tuttolibri n. 1711 (24-04-2010)

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f P. MALVEZZI, G. PIRELLI (a cura di) Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana 1943-1945 Einaudi, pp. XXVI-356, e 13 f BEPPE FENOGLIO Il partigiano Johnny Einaudi, pp. 527, e 13 Il romanzo rinvenuto tra le carte di Fenoglio dopo la morte: l’antieroica Resistenza sulle Langhe. f ITALO CALVINO Il sentiero dei nidi di ragno Mondadori, pp. LXI-162, e 8,50 La storia di Pin, dai giochi violenti dell'infanzia alla guerra partigiana Qui sotto i tre libri citati da Maurizio Maggiani per «leggere» la Resistenza. Tra i titoli in vetrina, torna da Einaudi «I miei sette figli» di Alcide Cervi ( pp. 110, e 11), a cura di Renato Nicolai. Resistenza è “quer che se ciama dignità” I titoli Ieri e oggi 25 aprile Come conservare e trasmettere memoria, una memoria non ossificata nei cippi: l’autore di «Meccanica celeste» narra la storia dei padri e il suo rapporto con i giovani che non sanno MAURIZIO MAGGIANI Sono natoseiannidopola finedellasecondaguerramondiale in una casa che era piantata nel mezzodellaLineaGotica;lamiafa- miglia entrava in casa dalla parte della Repubblica Sociale e andava a lavorare i campi nella terra di nessuno. Lì la guerra è stata vissu- ta e subita molto duramente, da quelle parti non c'è famiglia che non ci abbia lasciato almeno un morto,compresalamia. Mattutino, fratello di mia non- na, è stato fucilato dai repubblichi- ni della Monterosa perché aveva nascostodeipartigianinellacapan- nadelsuocastagneto,miozioCesa- rino è morto a dodici anni sotto il grandebombardamentodell'Offen- siva di Natale del '44. Mio nonno Garibà, Garibaldi, era sorvegliato speciale e ha passato gran parte della guerra in galera o in questu- ra, mio padre era condannato a morteincontumaciacomediserto- re della Repubblica Sociale e stava in montagna con il battaglione Lu- cetti, i patrioti che «son libertari e nulla più». Con lui c'erano altri due miei prozii: una famiglia piuttosto incline alla resistenza. Conosco molte cose di quel tempo perché le ho ascoltate raccontare per tutta l'infanzia e perché, per tutta la gio- vinezza, ho continuato a chiedere chemiraccontassero. Non c'è un'epica resistenziale della mia famiglia, né, tantomeno, unaretoricaalriguardo.Ciòcheho ascoltatoèsemprestatounraccon- tare piano, un semplice considera- re delle cose accadute. Quello che davvero contava è che chi era lì a raccontare era vivo. Vivere era quello che hanno sempre voluto, anche quando andavano a rischia- relamorte:viverecondignità. Per questo non so un granché di gesti eroici o eventi eccezionali: la dignità ha solo bisogno di fare tutti i giorni quello che va fatto; per quella mia gente la resistenza all'indegnità era cominciata molto prima della guerra e della Linea Gotica. L'unico discorso impegnativo chemihamaifattomiopadrealri- guardodellasuapartecipazioneal- la Resistenza è il seguente: «Quar- còdebonal’hofatto,adèteetosore- la a poté zogare, magnare e studiare, eamem’èremastoenpo’dequerche se ciama». Qualcosa di buono l'ho fatto, adesso tu puoi giocare, man- giare e studiare, e a me è rimasto unpo'diquelchesichiama.Inque- sto modo bizzarramente evocati- vo, en po’ de quer che se ciama, mio padre chiamava la dignità. Dignità A cura di: LUCIANO GENTA con BRUNO QUARANTA [email protected] www.lastampa.it/tuttolibri/ LA STAMPA Gentile signora Gelmini, miconsentadifelicitarmi conleiperlapropostadel reclutamento regionale degliinsegnantiapartire dal2011,ungrande contributoalle celebrazionidei150anni dell'Unità.Laprego,fatto trenta, faccia trentuno. Prendiamounaregionea caso,lamia,ilPiemonte. Sifaprestoadire piemontese.Daastigiano nonvorreimaicheimiei discendentiavesseroun insegnante biellese. Tuttabravagente,per carità,mafanaticadel lavoroededitaalculto deldiodenaro. Unlangarolo?Percarità, tuttabravagente,ma giocatori,hanno inventatoilpallone elasticoperpoter scommetteresuognitiro. Tengaconto,laprego, chelamiafamigliaèdel rioneSanSecondo; purtroppoanchequelli cheabitanoaldilàdel Tanarosifannochiamare astigiani, tutta brava gentepercaritàmalei m'insegnachenonc'è nientecomeunfiume capacedidifferenziarei caratteri.BravaGelmini: leiètroppogiovaneper ricordarsene,mac'è statountempoincuii professori,vintoil concorso,venivano mandatiinsedilontane; cosìgliAugustoMonti, gliUmbertoZanotti Biancoscoprivanola spaventosaarretratezza delnostroSudene scrivevano,mettendoin cattivalucelaloropatria all'estero.Nonsuccederà più,cenestaremo ciascunonelsuobozzolo, almassimoandremouna voltaaCatanzaroafarci darel'abilitazioneper esercitare la professione diavvocato. UnragazzoitalianosceltocomemascottedallapoliziamilitareamericanaaFirenze,nelsettembre1944.Eccolo imitareicommilitoniadulti,conlasua«fidanzatina».E’unafotodelsergenteWooldridge,nelcatalogodella mostraallestitanel2005daIstoreto,l’IstitutopiemonteseperlastoriadellaResistenzaintitolatoadAldoAgosti, cheanchequest’annocelebrail25aprileconunaseriediincontri(luoghiedatenelsitowww.istoreto.it). Continuaapag.VI TUTTOLIBRI NUMERO 1711 ANNO XXXIV SABATO 24 APRILE 2010 BRUNO GAMBAROTTA E COSÌ POI ARRIVERÀ LA SCUOLA DI CORTILE tutto LIBRI A LEGNANO Il Carroccio e Barbarossa Alle fonti della disunità d’Italia BARBERO P. VI DIARIO DI LETTURA Isnenghi ad alta voce Il Risorgimento come male minore BOATTI P. XI p Più di saggi e romanzi purimportantie belli, vale ilvissuto,l’esempio comemostranole Lettere deicondannatia morte CARTEGGIO Havel, Olga, la rivoluzione Le mie prigioni del presidente ceco FORTE P. IV VISIONI Tra Luna e Marte Cielo dei poeti e paure d’America CORTELLESSA-TROIANO P. IX 150 O Libri d’Italia Verso il 2011 I

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Page 1: Tuttolibri n. 1711 (24-04-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - I - 24/04/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/01 - Autore: MARGAL - Ora di stampa: 23/04/10 19.34

f

P. MALVEZZI, G. PIRELLI(a cura di)

Lettere di condannatia morte dellaResistenza italiana1943-1945Einaudi, pp. XXVI-356, € 13

f

BEPPE FENOGLIO

Il partigiano JohnnyEinaudi, pp. 527, € 13

Il romanzo rinvenuto tra lecarte di Fenoglio dopo lamorte: l’antieroicaResistenza sulle Langhe.

f

ITALO CALVINO

Il sentierodei nidi di ragnoMondadori, pp. LXI-162, € 8,50

La storia di Pin, dai giochiviolenti dell'infanzia allaguerra partigiana

Quisotto i tre libricitatidaMaurizioMaggianiper«leggere»laResistenza.Tra i titoli invetrina, tornadaEinaudi«Imiei sette figli»diAlcideCervi (pp.110,€ 11),acuradiRenatoNicolai.

Resistenza è“quer che seciama dignità” I titoli

Ieri e oggi 25 aprile Come conservare e trasmettere memoria,una memoria non ossificata nei cippi: l’autore di «Meccanica celeste»narra la storia dei padri e il suo rapporto con i giovani che non sanno

MAURIZIOMAGGIANI

Sono nato sei anni dopo lafine della seconda guerra mondialein una casa che era piantata nelmezzo della Linea Gotica; la mia fa-miglia entrava in casa dalla partedella Repubblica Sociale e andavaa lavorare i campi nella terra dinessuno. Lì la guerra è stata vissu-ta e subita molto duramente, daquelle parti non c'è famiglia chenon ci abbia lasciato almeno unmorto,compresa la mia.

Mattutino, fratello di mia non-na, è stato fucilato dai repubblichi-ni della Monterosa perché avevanascostodei partigiani nella capan-na del suo castagneto,mio zio Cesa-rino è morto a dodici anni sotto ilgrandebombardamentodell'Offen-siva di Natale del '44. Mio nonnoGaribà, Garibaldi, era sorvegliatospeciale e ha passato gran partedella guerra in galera o in questu-ra, mio padre era condannato amorte in contumacia come diserto-re della Repubblica Sociale e stavain montagna con il battaglione Lu-cetti, i patrioti che «son libertari enulla più». Con lui c'erano altri duemiei prozii: una famiglia piuttostoincline alla resistenza. Conosco

molte cose di quel tempo perché leho ascoltate raccontare per tuttal'infanzia e perché, per tutta la gio-vinezza, ho continuato a chiedereche mi raccontassero.

Non c'è un'epica resistenzialedella mia famiglia, né, tantomeno,unaretorica al riguardo.Ciò che hoascoltatoè sempre stato un raccon-tare piano, un semplice considera-re delle cose accadute. Quello chedavvero contava è che chi era lì araccontare era vivo. Vivere eraquello che hanno sempre voluto,anche quando andavano a rischia-re la morte:vivere con dignità.

Per questo non so un granchédi gesti eroici o eventi eccezionali:la dignità ha solo bisogno di faretutti i giorni quello che va fatto;per quella mia gente la resistenzaall'indegnità era cominciata moltoprima della guerra e della LineaGotica.

L'unico discorso impegnativoche mi ha mai fatto mio padre al ri-guardo della sua partecipazione al-la Resistenza è il seguente: «Quar-cò de bon a l’ho fatto, adè te e to sore-la a poté zogare, magnare e studiare,e a me m’è remasto en po’ de quer chese ciama». Qualcosa di buono l'hofatto, adesso tu puoi giocare, man-giare e studiare, e a me è rimastoun po' di quel che si chiama. In que-sto modo bizzarramente evocati-vo, en po’ de quer che se ciama, miopadre chiamava la dignità. Dignità

A cura di:LUCIANO GENTAcon BRUNO QUARANTA

[email protected]/tuttolibri/

LASTAMPA

Gentile signora Gelmini,mi consenta di felicitarmicon lei per la proposta del

reclutamento regionaledegli insegnanti a partire

dal 2011, un grandecontributo alle

celebrazioni dei 150 annidell'Unità. La prego, fatto

trenta, faccia trentuno.Prendiamo una regione acaso, la mia, il Piemonte.

Si fa presto a direpiemontese. Da astigianonon vorrei mai che i mieidiscendenti avessero un

insegnante biellese.Tutta brava gente, percarità, ma fanatica dellavoro e dedita al culto

del dio denaro.Un langarolo? Per carità,

tutta brava gente, magiocatori, hanno

inventato il palloneelastico per poter

scommettere su ogni tiro.Tenga conto, la prego,

che la mia famiglia è delrione San Secondo;

purtroppo anche quelliche abitano al di là del

Tanaro si fanno chiamareastigiani, tutta brava

gente per carità ma leim'insegna che non c'èniente come un fiume

capace di differenziare icaratteri. Brava Gelmini:

lei è troppo giovane perricordarsene, ma c'è

stato un tempo in cui iprofessori, vinto il

concorso, venivanomandati in sedi lontane;così gli Augusto Monti,

gli Umberto ZanottiBianco scoprivano la

spaventosa arretratezzadel nostro Sud e ne

scrivevano, mettendo incattiva luce la loro patriaall'estero. Non succederà

più, ce ne staremociascuno nel suo bozzolo,al massimo andremo unavolta a Catanzaro a farci

dare l'abilitazione peresercitare la professione

di avvocato.

Un ragazzo italiano scelto come mascotte dalla polizia militare americana a Firenze, nel settembre 1944. Eccoloimitare i commilitoni adulti, con la sua «fidanzatina». E’ una foto del sergente Wooldridge,nel catalogo della

mostra allestita nel 2005 da Istoreto, l’Istituto piemontese per la storia della Resistenza intitolato ad Aldo Agosti,che anche quest’anno celebra il 25 aprile con una serie di incontri (luoghi e date nel sito www.istoreto.it).

Continua a pag. VI

TUTTOLIBRI

NUMERO 1711ANNO XXXIVSABATO 24 APRILE 2010

BRUNO GAMBAROTTA

E COSÌ POIARRIVERÀ

LA SCUOLADI CORTILE

tuttoLIBRI

A LEGNANO

Il Carroccioe BarbarossaAlle fonti delladisunità d’ItaliaBARBERO P. VI

DIARIO DI LETTURA

Isnenghiad alta voceIl Risorgimentocome male minoreBOATTI P. XI

p

Più di saggi e romanzipur importanti e belli,vale il vissuto, l’esempiocome mostrano le Letteredei condannati a morte

CARTEGGIO

Havel, Olga,la rivoluzioneLe mie prigionidel presidente cecoFORTE P. IV

VISIONI

Tra Lunae MarteCielo dei poetie paure d’AmericaCORTELLESSA-TROIANO P. IX

150O

Libri d’ItaliaVerso il 2011

I

Page 2: Tuttolibri n. 1711 (24-04-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - II - 24/04/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/02 - Autore: MARGAL - Ora di stampa: 23/04/10 19.34

pp Dario Voltolinip FORAVÌAp Feltrinelli, pp.96, € 11

Morazzoni Come nella Milano settecentescauna conversa riuscirà a sottrarsi alla clausura

pp Gabriele Piccop COSA TI CADE DAGLI OCCHIp Mondadori, pp. 233, € 18,50

GIOVANNITESIO

Un «trittico» che sichiama Foravìa è l'ultimo titolodi Dario Voltolini. Tre racconti(il primo lungo e gli altri due pro-gressivamente più brevi) chenella loro trasparenza di scrittu-ra non derogano dai tratti fonda-mentali della poetica di unoscrittore «foravìa» per diverseragioni (foravìa - in piemontese,come lo stesso scrittore precisanel primo racconto, quello epo-nimo - significa di per sé «straor-dinario»: sia nel senso stupefat-to di cosa eccezionale, sia nelsenso meno enfatico di cosa noncomune, non abituale: un'ecce-zione, uno strappo alla regola).

Voltolini, infatti, è uno scrit-tore che non concede o non siconcede a usi di facile consumo;uno di quelli che prestano atten-zione al mistero del mondo e del-la scrittura con l'ambizione di in-dagarne i segreti, di scavarne imeccanismi mentali, di dirne lavitalità ramificata e complessa:un'ambizione di grana filosofi-

ca, a cui la narrativa corrispondenella semplice volontà di metterein scena un universo pieno di sen-si commutabili, di enigmi, di im-previsti o di imprevedibili, di asso-ciazioni e distorsioni, di memoriae di ricordi, di doppi e tripli fondi enello stesso tempo di geometri-che apparenze. Come del resto èqui indicato con giocoso sgambet-to: «- Ma chi se ne frega della tra-ma! - dico io cadendo nel mio difet-to precipuo».

Nessun minimalismo, comequalcuno ha potuto equivocare,niente petits riens. Ma tutt’al con-

trario l'energia di un'espressivitàvorace, esatta, attentissima alle ri-sonanze (e anche agli scarti, allearitmie) di un linguaggio vario ediverso, almeno quanto è mobile estratificato (geologicamente e psi-chicamente) il mondo in cui le sto-rie si collocano. Resta se mai da di-re che i tre racconti di Foravìa sisviluppano in orizzontale e conti-nuamente si lasciano catturaredai «fuorivia» o fuoripista dellesterniane digressioni, delle asso-ciazioni, delle induttanze, dei flus-si, degli scarti, dei soprassalti, del-le stasi, degli scollamenti e persi-

no degli impantanamenti: di tuttociò che porta un racconto a spez-zare la sua linearità e a svolgersidentro e fuori tracciato, assecon-dando i salti (facit saltus) di quellache Voltolini, con metafora fora-vìa, chiama «la mente pindaricache c'è in tutti noi». Pur conser-vando una limpidezza e una legge-rezza di ascendenza calviniana(cisono qui le peregrinazioni dentrola labirintica fabbrica quasi ab-

bandonata che Calvino avrebbecondiviso).

Il primo racconto è un invitomancato, il secondo la buffa odis-sea di una scoperta, il terzo la sor-presa di un gesto solidale. Tre vi-cende che imbarcano una quanti-tà di osservazioni apparentemen-te marginali, di certo impreviste,che si dispongono in una sorta diflânerie o gratuità mai fine a sestessa (non si tratta, va da sé, di

begli oggetti smerigliati e levigaticome in un ritorno di «Parnasse»)ma aperta alla contraddittorietàe- potremmo dire - all'«infinitività»a cui ogni storia e ogni buon narra-tore vanno incontro.

Nel suo trittico Voltolini con-ferma che il percorso (il viaggio)della sua scrittura non è quello diandare da A a B come amerebbel'editore qui convocato in formadi personaggio, ma compie altriitinerari, approdando ad altre de-rive, se mai si potesse mettere in-sieme ciò che sembra essere in op-posizione manifesta. Vocazioneall'ossimoro, tentativo di dire l'in-compatibile, ciò che abbiamo sot-to i nostri occhi e che - in tanti mo-di, e dunque anche nelle formementite dell’invenzione - tentia-mo continuamente di eludere, diriprodurre secondo modalità for-se più accettabili, ma a un tempotanto più evasive. «Foravìa» diVoltolini.«Foravìa» di Foravìa.

Vocata al cantonon al convento

RENATOBARILLI

L'anno scorso si sonosuonate le trombe per esalta-re il centenario dalla nascitadel Futurismo, ma ben pocosi è fatto per andare a vederese esso mantiene qualche inci-denza sugli attuali lavori incorso, soprattutto in ambitoletterario-narrativo.

In genere, si è lodato quelpicco di eccellenza assolutadato dall'Uomo di fumo, dal Co-dice di Perelà dovuto a Palaz-zeschi, ma nessuno si è chie-sto se al giorno d'oggi tantoautore può vantare qualchenipotino. Ebbene sì, si può se-gnalare una gemma preziosa,che oltretutto viene da chi, se-condo la lezione futurista, rie-sce a mescolare vari generiartistici: si tratta di GabrielePicco, molto affermato comeartista, autore di disegniniumorosi, ovvero di «concet-ti», ma nel senso seicentescodella parola, riferito a soluzio-ni ingegnose o barocche.

Ecco ora una sua secondaprova narrativa, Cosa ti cadedagli occhi, che sarebbe da direuna fumisteria, proprio al se-guito dell'Uomo di fumo palazze-schiano, solo che il fluido af-frontato da Picco è piuttosto dinatura liquida, sono le lacrimeche appunto cadono dagli oc-chi, considerate dall'autore co-me altrettanti magici microco-smi, da esternare anche con learmi della grafica e perfino del-la scultura.

Il bello è che il protagonistadi questa avventura, tale Ennio

Bernini, per parte sua non rie-sce affatto a lacrimare, mentrese ne va in giro pieno di curiosi-tà, in una New York in cui giun-ge per fare fortuna, cadendonelle grinfie di un italo-america-no immobiliarista, che va fierodi un colpo della sorte per cui,in un nome del tutto prosaicocome Gianni, è spuntata in fon-do una «y» fortuita, che però glidà un'aria equivoca e mafiosa.

Nel suo modesto compito diprocacciatore di affittanze, ilBernini fa tante scoperte, tutteintessute di leggerezza palazze-

schiana. C'è per esempio l'ami-co Arwin che si sdoppia in Zel-da, una telecamera sempre inazione. Ma forse la figura piùstraordinaria è Jos LaFond,che ha perso la moglie, rimastapolverizzata nell'attentato alleDue Torri, e dunque egli va rac-cogliendo le polveri sottili spar-se per la Grande Mela, nellasperanza di poter così riassem-blare la cara estinta. La pietas

del protagonista lo porta aprendersi cura di un gabbianorimasto ferito, Gardone, men-tre anche un'altra protagoni-sta, Victoria, vittima di pened'amore, decide di affidarsi aifluidi gettandosi da un gratta-cielo.

Tutte queste minuscole pe-ripezie, oltre che essere affida-te a frasi brevi, quasi stenogra-fiche, sono prontamente inte-

grate dai frutti dell'altra com-petenza dell'autore, disegni,emblemi, icone, come se sfo-gliassimo una mappa del teso-ro, o seguissimo una pista ver-bovisiva, con perfetta integra-zione delle parti.

Ma in mezzo a tanta legge-rezza, alla fine scatta pure undramma, parte un colpo di pi-stola che per sbaglio colpisce ilnostro eroe affondandolo inuno stato di coma molto newage, da cui non sappiamo se sirisveglierà, ma forse a quelpunto gli riuscirebbe di piange-re, di versare lacrime. Del re-sto, quante secrezioni prezioseha già riversato nelle paginedel suo brogliaccio, in contrap-punto con certe fastidiose flatu-lenze che provengono dal suointestino mettendo a rischio ivari appuntamenti, galanti od'affari, cui la vita da desto locostringe.

LORENZOMONDO

Per sua stessa am-missione, Marta Morazzoniha scritto La nota segretaispirandosi a una vicendaraccontata nei Cento anni diGiuseppe Rovani. Nella Mila-no settecentesca ha suscita-to scalpore la fuga di unaconversa dal monastero be-nedettino di Santa Radegon-da. Risulterà poi ampiamen-te dimostrato che la giovanedonna, appartenente a unanobile famiglia, era stata mo-nacata a forza.

Rovani incrocia nel suoromanzo questa contessa Pa-ola quando, ormai in età ma-tura e vedova dell’uomo chel’ha aiutata a fuggire, è ap-prezzata unanimemente perla sua saggezza e diritturamorale. Non sfugge alla Mo-razzoni che esiste in materiaun «illustre precedente», mal’imbarazzo è superato, oltreche da una civettuola profes-sione di modestia, consen-tendo con l’autore dei Centoanni, quando egli contrappo-ne alla torbida, manzonianaGertrude la sua monaca, do-

tata di «forte volontà» e di«pura coscienza».

Più agevole misurarsi, sen-za perifrasi, con Rovani, chenelle sue molte pagine lasciaspazio a una indagine menocondizionata dal dato di cro-naca e dalle sprezzature gior-nalistiche. Marta Morazzonisi diffonde sul dono straordi-nario di cui è dotata Paola: lasua voce di contralto spiradalla grata sul bel mondo che,per sentirla, affolla estasiatola chiesa di Santa Radegonda.Viene accompagnata dal cla-vicembalo di suor Rosalba,

che coltiva la sua vocazioneper il canto, mentre spia conaffettuosa complicità la sua ri-luttanza alla vita conventua-le. E la musica, sua sola conso-lazione, diventa l’inconsape-vole grido d’aiuto di una pri-gioniera.

Lo accoglie un gentiluomoinglese, John Breval, che sitrova a Milano per un incaricodiplomatico presso il Grandu-ca austriaco. Nel corso di unapubblica cerimonia, Paola ècolta da svenimento e vienesoccorsa da John, che la solle-va tra le braccia facendosi ide-

almente carico della sua sor-te. Scocca tra i due una passio-ne che si direbbe lungamenteattesa, non ostacolata ma at-tizzata dalle indistinte perce-zioni che trapassano il velomonacale. L’autrice segue idue amanti da Santa Radegon-da a Venezia, in una traversa-ta marina funestata (con bellainvenzione) da un assalto deipirati barbareschi, fino all’ap-prodo in Francia e in Inghil-terra.

Paola, che si scopre incin-ta, potrebbe appagarsi dellaritrovata libertà e della dedi-

zione di John che vuole spo-sarla, mettendo a rischio re-putazione e carriera (dissimi-le dal contemporaneo cava-lier Casanova, avventuriero eviolator di conventi, non a ca-so evocato fuggevolmente nelromanzo). Potrebbe appellar-si all’imperativo di una subli-me passione, ma esige giusti-zia. Non si sposerà prima diaver compiuto un faticoso e ri-schioso viaggio a Roma, perchiedere alla Chiesa di esseregiudicata e sciolta dal voto ju-xta principia sua, nel rispettocioè delle stesse norme previ-ste dalla fede in cui è stataeducata.

La maggiore e positiva tra-

sgressione di questa donna in-domita consiste in fondo nel-l’imporre, contro ipocrisie epigrizie consolidate, controun futile senso dell’onore, unaverità trasparente agli occhidi chi vuole vederla.

Questa, a un dipresso, latrama essenziale e il senso delgremito romanzo, che ha ilmerito certo di richiamare al-la nostra attenzione una singo-lare eroina in quell’età di tra-passo. Ma interessa in partico-lare il coinvolgimento conti-nuo della scrittrice, che inter-viene a commentare la vicen-da, a interrogarsi, sorridentee perplessa, sulla logica chedeve guidare il racconto, insie-me all’accettazione di una fe-conda autonomia delle situa-zioni e dei personaggi.

Marta Morazzoni, perquanto dotata di una forte co-scienza storica, crede nella ve-rità della letteratura, dellesue non revocabili «invenzio-ni». Seguendo una filiera che,avviata in questo romanzo dal-l’onesto Rovani, recupera sot-totraccia, ben al di là dei piùappariscenti riscontri, la fer-ma moralità manzoniana.

PAROLE IN CORSOGIAN LUIGI BECCARIA

E’ la linguala nostra Armata

La conquista della nazione muoveda Dante, Petrarca e Boccaccio

Voltolini «Foravìa», un trittico fraenigmi e imprevisti, limpido e leggero

Picco «Cosa ti cade dagli occhi»:sprazzi di futurismo alla Palazzeschi

PIERSANDROPALLAVICINI

I giorni nudi di Clau-dio Piersanti è bello come unfilm francese. È bello nel lorostesso, speciale modo di essereasciutti, disincantati e cinici, edi esserlo mentre ti racconta-no una storia d'amore travol-gente.

Alberto, che del romanzo èil protagonista, ha 47 anni e falo sceneggiatore di fiction tv.Ha successo. È in società conGuido, che ha sposato la sua ex-moglie. Alberto è un uomo so-lo, ma da solo sta bene. C’è unafesta, nelle prime pagine, orga-nizzata per i dieci anni dellasua società. Ci va tutto il demi-monde romano della televisio-ne e se Guido ci sguazza alle-gro, Alberto, appartato, si an-noia, sopporta e sorride - nonsi sputa nel piatto dove si man-gia - ma disprezza i suoi ospiti,irrimediabilmente mediocri.

In queste prime pagine po-trebbe sembrare che I giorninudi prenda la strada della cri-tica sociale, dell’invettiva con-tro il mondo della cultura, del-la tv, del cinema (un mondo

che Piersanti, romanziere dilungo corso ma anche autoredi sceneggiature per CarloMazzacurati, conosce bene).Ma così non è. Alberto liquidaquel giro mediocre e ipocritacon qualche frase ben assesta-ta, e gli basta. Gli basta cioèconstatare che quel mondo, eintorno ad esso l'Italia, rotolainarrestabile giù dalla chinadella decadenza. Poi nient’al-tro, perché ad Alberto non im-porta niente di nulla.

Tornando a casa dalla festaha un incidente, si rompe unagamba, finisce in ospedale. Èqui che conosce Lucia, anchelei incidentata, anche lei pescefuor d'acqua, anche lei con lostesso culto delle poche parole,

se e quando necessarie. Con na-turalezza, attratti da una forzamagnetica cui non possono resi-stere, si innamorano.

Bello come un film francese,si diceva di questo romanzo. Mameglio fermarsi un istante a direche il paragone finisce qui, aquell’anticonformismo, a quelsentore amaro, alla disinvolturadi un vivere consapevole e disin-cantato, mai sopra le righe, cioè,in una parola, elegante, e senza ilcompiacimento dell’essere tale.Poi niente cinema, quella che co-mincia è una storia d'amore e ba-sta, anche se certamente unastoria poco italiana, vista la spi-gliatezza cui Alberto e Lucia vi si

abbandonano nonostante la dif-ferenza d’età (lei ha 25 anni).

Dopo l'ospedale, accuditi esospinti dall'enigmatico Arturo- solare e salvifico factotum asia-tico, «prestato» ad Alberto daun produttore per la convale-scenza - i due in pochi mesi si riti-rano dal mondo. Andranno adabitare insieme mentre Albertoromperà la società con Guido.Insieme ristruttureranno la ca-sa al mare della madre di Alber-to e là passeranno qualche meseselvaggio, fatto di sole, cene sen-za vestiti, libri, onde, molto ses-so. Ma anche molto pensare.

Il lettore sa quel che passaper la testa di entrambi - e lo saattraverso la voce nitida e piana,essenziale, del narratore. Sa del-la conquista dell'estasi, che altronon è che possedere il meravi-glioso, e saziarsene, e sapere dipoter continuare ad averne a vo-lontà. Sa dei dubbi che entranocome un tarlo nei pensieri di en-trambi, speculari: lei si stanche-rà e mi lascerà, è troppo giova-ne; lui non ha mai amato niente enessuno, dunque nemmeno me,e mi lascerà.

Poi la bravura, la severità,l’anticonformismo dell'autore:trovare un epilogo ragionevoleper una storia eccezionale. Si la-scia al lettore l’emozione dellascoperta. Basti dire che si chiu-de I giorni nudi un po’ più pessi-misti: non esiste possibilità di ec-cezionalità, di distinzione, di fu-ga, questo sembra dirci Piersan-ti. Perché anche i più brillanti, ipiù disincantati, i più caustici,soccombono ai tetri meccanismidel sentimento.

Scrittori italianiIITuttolibri

SABATO 24 APRILE 2010LA STAMPA III

«Il CUORE DEI BRIGANTI»DI FLAVIO SORIGA

Un’isola per Robin Hood= Per alcuni autori il romanzo di matrice storica è unascelta intima, necessaria, per altri rappresenta l'appiglio diuna carriera agli sgoccioli, la ricerca di una nobile derivaautoriale. Flavio Soriga a soli 35 anni si è già espresso insvariate forme narrative, dal romanzo «rurale» al noir altesto generazionale. Ora con Il cuore dei briganti(Bompiani,pp. 353, € 18,50) approda anch'egli al romanzostorico. Soriga scrive bene, ma forse la fretta editoriale diimporlo sul mercato rischia di confonderlo.Il tracciato è limpido, ben calibrato, tra un ampio antefattoalla Robin Hood in cui si esaltano le gesta del nobile Aurelio

Cabrè di Rosacroce - che punisce l'arroganza dei suoi similicon imprese atte a ricomporreun quadro di sommariagiustizia sociale - e una seconda parte dove la difesadall'attacco francese di Hermosa - isola al centro di unMediterraneodi fine Settecento - diventa fonte di riscattoper l'ex bandito inviso al consesso dei suoi pari.Aurelio cerca di motivare scelte remote e oscure, salvo poitrovare - nel tentativo di vendetta per salvaguardarel'onore del fratello maggiore dissennato - una sorta diricongiungimentoalle origini, oltre a diventare l'eroe delmomento storico difendendo la sua isola dal nemico. Iltempo è quello post-rivoluzione francese, i lumi dellaragionestentano a farsi strada in un contesto ancoravittimadei propri privilegi secolari, e Aurelio diventa

l'involontarioago della bilancia tra il medioevo sociale dellasua terra e il vento di una modernità ancora inafferrabile.In questa ottica il romanzo svolge una sua funzioneepico-avventurosadi felice ispirazione, anche se poi lanarrazione - linguisticamente eclettica,generosamentebarocca - non riesce a evolversi oltre una serie diaccadimenti circoscritti e poco incalzanti, ammassati piùche distribuiti con devozione.Una buona prova di stile, che tuttavia non stuzzica il lettorenei compiti primari del romanzo storico, quelli diammaliare e divertire. E che, soprattutto, non ci fa capire,dopo diverse prove così distanti tra loro, cosa vuole fare ilnarratore Flavio Soriga da grande. Sergio Pent

A MILANO

Figli e padri= Di testimonianza intestimonianza, nel nome delpadre. L’editore Melampoorganizza un ciclo di incontricome protagonisti i figli chehanno dato forma letteraria allaloro vicenda familiare. DopoUmberto Ambrosoli e AugustoBianchi Rizzi, il 27 aprile (SpazioMelampo di via Carlo Tenca, 7,h, 21,è la volta di BendettaTobagi. Seguiranno il 4 maggioBice Biagi, l’11 AndreaCasalegno, il 18 MarioCalabresi, il 25 Nando DallaChiesa.

MEMORIA

Per Jervis= «Contro il “sentito dire”» èil convegno in omaggio diGiovanni Jervis, a Roma, il 26 eaprile, aperto da LucianoMecacci. Scomparso l’annoscorso. Jervis, psichiatria epsicoterapeuta, fu allievo diErnesto De Martino ecollaboratore di FrancoBasaglia, la cui esperienzarielaborò criticamente, finoall’ultimo suo libro, Larazionalità negata. scritto incollaborazione con GilbertoCorbellini, edito da BollatiBoringhieri, che organizza ilconvegno con l’ UniversitàSapienza e la FondazioneSigma Tau.

LETTERA INTERNAZIONALE

Paese sbagliato= «Un Paese sbagliato» è lasezione che apre il numero 103di Lettera internazionale(www.letterainternazionale.it).In sommario «L’ingiustoradicale», gialogo fra C. Magrise G. Zagrebelsky, e «La dis-unitàd’Italia», confronto tra N. Nesi,G. Oliva, G. Ruffolo e M. L.Salvadori. Altre firme: Debray,Balibar, Jacques Rancière, sureligione e globalizzazione eun’intervista a Spivak.

Stiamo per celebrare i 150anni dell'Unità, e vieneda pensare al fatto che

da noi non si era costruita an-cora la nazione, ma da secoliesisteva tuttavia un'unità lin-guistico-letteraria nazionale:ci si riconosceva in questa no-stra ricca duttile stratificatalingua italiana. Il suo effettoaggregante contribuì più di al-tri fattori al conseguimentodell'unità politica. Come scri-veva già Isidoro di Siviglia, nel-le Etimologiae (IX I 11), «Exlinguis gentes, non ex gentibuslinguae exortae sunt», sono lelingue che fanno i popoli, non ipopoli che fanno le lingue.Johann Gottfried Herder soste-neva che la nazione, anche senon ancora costituita, è una co-munità di carattere culturalefondata innanzitutto sulla lin-gua: tutta la «ricchezza spiri-tuale di tradizioni, di storia, direligione e tutta la pienezzadella vita» di un popolo, «tuttoil suo cuore e la sua anima vivo-no nella lingua».

Le strutture fondamentalidella lingua italiana furonofornite dalla formidabile elabo-razione letteraria trecentescadel dialetto fiorentino, daigrandi testi innanzitutto delle«tre corone» Dante PetrarcaBoccaccio, autori nei quali lanostra letteratura e la nostralingua hanno voluto riconoscer-si. Nella Postfazione al Gran-de dizionario italiano dell'uso compare un'interessante

statistica di De Mauro: «quandoDante comincia a scrivere laCommedia il vocabolario fonda-mentale è già costituito al 60%»,e «alla fine del Trecento il voca-bolario fondamentale italiano èconfigurato e completo al 90%».

Nel corso dei secoli la nostralingua è rimasta perciò vicina,strutturalmente, alla lingua del-le origini. Cosa che negli altri Pa-esi non è capitato. Rispetto all'italiano antico il moderno è cam-biato in modo apprezzabile nell'ordine delle parole, ma nel com-plesso, sulla mobilità vistosa tut-to sommato sono prevalsi gli ele-menti di continuità e persisten-za. È molto interessante misura-re la progressiva diffusione delfiorentino su tutta la Penisola, ilsuo allargarsi a macchia d'olioman mano che si diffondono sulterritorio i manoscritti di Dantee di Petrarca.

Sono stati i manoscritti, le let-tere e non gli eserciti, a diffonde-re l'italiano. La nostra singolarestoria è quella di una lingua chepartendo da Firenze conquistauna nazione grazie alla lettera-tura. La lingua italiana nascesubito grande e illustre, tutta ar-mata (lo scriveva l'Alfieri) comeAtena dalla testa di Giove. È sta-ta una lingua non imperiale co-me la spagnola, che gli esercitiestesero geograficamente per ilmondo, ma idioma che sulla ba-se di quei giganti primi durantel'Umanesimo e il Rinascimentoconquistò la Penisola e conqui-stò il mondo senza le armi.

Il titolo

PICCOLI LETTORI CRESCONO, CON LA POESIA

Metti in rima la rabbia= Gli studiosi di psicoanalisi parlano di «rabbiainsolente» per la resistenza o l'opposizione deibambini alle richieste degli adulti a partire dall'etàquando questi ultimi pretendono il controllo deibisogni corporali. Autore di libri di narrativa,filastrocche, poesie, Bruno Tognolini è statosostenuto, agli inizi, da Donatella Ziliotto,personaggio determinante nella storia italiana dellaletteratura per l'infanzia. Ora, in Rime di rabbia(Salani, pp. 73, € 7) raccoglie cinquanta poesie su untema essenziale per lo sviluppo psicologico dei

bambini, almeno fino all'età dello sviluppo.Un itinerario fantastico che tocca tutte le ragioni diessere arrabbiati, almeno credo, perché non sonoriuscito a trovarne altri anche cercando a destra e amanca. Argomenti impensabili chiusi in due versi:«Mare in burrasca, terra in tempesta/ Se non mi amiti spacco la testa» (Rimetta d'amore furioso). Oppurein dieci righe per parlare della scuola: «Ma come seicarino! Ma come sei carina!/ Ma come siete pettinatibene stamattina!/ E come risplendete proprio sottola finestra!/ E come rispondete sempre bene allamaestra!/ E lei come vi guarda col sorriso nellabocca!/ S'è messa lì davanti il suo cocco e la suacocca/ Due belle statuine di cagnetti barboncini/ E

dietro tutti i sudici, i frenetici, i cretini/ I tonti, gliignoranti, i molesti ed i cattivi/ E dietro tutti noi,bambini vivi». (Filastrocca del coccobello).Non si possono citare singoli versi, perché ogni«invettiva» è una storia complessa e completa cheesige di essere letta in modo unitario.Fino alla pagina finale dal titolo estremamentesignificativo: Ultima riga. Per i grandi/ Scongiurocontro il nazismo futuro della quale non sorinunciare agli ultimi quattro versi: «Forse non c'èbisogno che indovini/ Per sapere che arriverà ilfuturo/ Speriamo che la rabbia dei bambini/ Non cipresenti un conto troppo duro». Roberto Denti

«I giorni nudi»:una storia eccezionale,un vivere consapevolee disincantato, maisopra le righe, elegante

Piersanti Una gamba rotta cambia la vitaa uno sceneggiatore in fuga dalla fiction tv Il titolo

L’uomo che non saversare lacrime

E’ straordinarioandare fuori strada

Innamorati comepesci fuor d’acqua

Bloc notes

Santa Ceciliapatrona

del canto edella musicain un dipinto

di OrazioGentileschi,

seguace diCaravaggio,prima metà

del XVIIsecolo,

ritrovatonel 1973

nelmonastero

di SanFrancescoa Todi, ora

alla GalleriaNazionale

dell’Umbriaa Perugia

Dario Voltolini:un trittico

«Foravìa»

Gabriele Picco:«Nuotatoridi lacrime»

«Nell’acqua» di Lorenzo Mattotti, copertina de «I giorni nudi» di Piersanti

«La nota segreta»:la musica unicaconsolazione di Paola,in attesa d’esseresalvata da un gentiluomo

pp Claudio Piersantip I GIORNI NUDIp Feltrinelli, pp. 212, € 18

Claudio Piersanti, scrittore

e sceneggiatore, è nato nel

1954. Tra i suoi libri, editi

da Feltrinelli, «Luisa e il

silenzio» (Premio

Viareggio) e «Il ritorno a

casa di Enrico Metz»

(premi Napoli e Alassio).

pp Marta Morazzonip LA NOTA SEGRETAp Longanesi, pp. 276, € 16,60

Marta Morazzoni è nata a

Milano e vive a Gallarate,

dove insegna in una scuola

superiore. Nel 1997 ha vinto

il premio Campiello con «Il

caso Courrier».

Page 3: Tuttolibri n. 1711 (24-04-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - III - 24/04/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/02 - Autore: MARGAL - Ora di stampa: 23/04/10 19.35

pp Dario Voltolinip FORAVÌAp Feltrinelli, pp.96, € 11

Morazzoni Come nella Milano settecentescauna conversa riuscirà a sottrarsi alla clausura

pp Gabriele Piccop COSA TI CADE DAGLI OCCHIp Mondadori, pp. 233, € 18,50

GIOVANNITESIO

Un «trittico» che sichiama Foravìa è l'ultimo titolodi Dario Voltolini. Tre racconti(il primo lungo e gli altri due pro-gressivamente più brevi) chenella loro trasparenza di scrittu-ra non derogano dai tratti fonda-mentali della poetica di unoscrittore «foravìa» per diverseragioni (foravìa - in piemontese,come lo stesso scrittore precisanel primo racconto, quello epo-nimo - significa di per sé «straor-dinario»: sia nel senso stupefat-to di cosa eccezionale, sia nelsenso meno enfatico di cosa noncomune, non abituale: un'ecce-zione, uno strappo alla regola).

Voltolini, infatti, è uno scrit-tore che non concede o non siconcede a usi di facile consumo;uno di quelli che prestano atten-zione al mistero del mondo e del-la scrittura con l'ambizione di in-dagarne i segreti, di scavarne imeccanismi mentali, di dirne lavitalità ramificata e complessa:un'ambizione di grana filosofi-

ca, a cui la narrativa corrispondenella semplice volontà di metterein scena un universo pieno di sen-si commutabili, di enigmi, di im-previsti o di imprevedibili, di asso-ciazioni e distorsioni, di memoriae di ricordi, di doppi e tripli fondi enello stesso tempo di geometri-che apparenze. Come del resto èqui indicato con giocoso sgambet-to: «- Ma chi se ne frega della tra-ma! - dico io cadendo nel mio difet-to precipuo».

Nessun minimalismo, comequalcuno ha potuto equivocare,niente petits riens. Ma tutt’al con-

trario l'energia di un'espressivitàvorace, esatta, attentissima alle ri-sonanze (e anche agli scarti, allearitmie) di un linguaggio vario ediverso, almeno quanto è mobile estratificato (geologicamente e psi-chicamente) il mondo in cui le sto-rie si collocano. Resta se mai da di-re che i tre racconti di Foravìa sisviluppano in orizzontale e conti-nuamente si lasciano catturaredai «fuorivia» o fuoripista dellesterniane digressioni, delle asso-ciazioni, delle induttanze, dei flus-si, degli scarti, dei soprassalti, del-le stasi, degli scollamenti e persi-

no degli impantanamenti: di tuttociò che porta un racconto a spez-zare la sua linearità e a svolgersidentro e fuori tracciato, assecon-dando i salti (facit saltus) di quellache Voltolini, con metafora fora-vìa, chiama «la mente pindaricache c'è in tutti noi». Pur conser-vando una limpidezza e una legge-rezza di ascendenza calviniana(cisono qui le peregrinazioni dentrola labirintica fabbrica quasi ab-

bandonata che Calvino avrebbecondiviso).

Il primo racconto è un invitomancato, il secondo la buffa odis-sea di una scoperta, il terzo la sor-presa di un gesto solidale. Tre vi-cende che imbarcano una quanti-tà di osservazioni apparentemen-te marginali, di certo impreviste,che si dispongono in una sorta diflânerie o gratuità mai fine a sestessa (non si tratta, va da sé, di

begli oggetti smerigliati e levigaticome in un ritorno di «Parnasse»)ma aperta alla contraddittorietàe- potremmo dire - all'«infinitività»a cui ogni storia e ogni buon narra-tore vanno incontro.

Nel suo trittico Voltolini con-ferma che il percorso (il viaggio)della sua scrittura non è quello diandare da A a B come amerebbel'editore qui convocato in formadi personaggio, ma compie altriitinerari, approdando ad altre de-rive, se mai si potesse mettere in-sieme ciò che sembra essere in op-posizione manifesta. Vocazioneall'ossimoro, tentativo di dire l'in-compatibile, ciò che abbiamo sot-to i nostri occhi e che - in tanti mo-di, e dunque anche nelle formementite dell’invenzione - tentia-mo continuamente di eludere, diriprodurre secondo modalità for-se più accettabili, ma a un tempotanto più evasive. «Foravìa» diVoltolini.«Foravìa» di Foravìa.

Vocata al cantonon al convento

RENATOBARILLI

L'anno scorso si sonosuonate le trombe per esalta-re il centenario dalla nascitadel Futurismo, ma ben pocosi è fatto per andare a vederese esso mantiene qualche inci-denza sugli attuali lavori incorso, soprattutto in ambitoletterario-narrativo.

In genere, si è lodato quelpicco di eccellenza assolutadato dall'Uomo di fumo, dal Co-dice di Perelà dovuto a Palaz-zeschi, ma nessuno si è chie-sto se al giorno d'oggi tantoautore può vantare qualchenipotino. Ebbene sì, si può se-gnalare una gemma preziosa,che oltretutto viene da chi, se-condo la lezione futurista, rie-sce a mescolare vari generiartistici: si tratta di GabrielePicco, molto affermato comeartista, autore di disegniniumorosi, ovvero di «concet-ti», ma nel senso seicentescodella parola, riferito a soluzio-ni ingegnose o barocche.

Ecco ora una sua secondaprova narrativa, Cosa ti cadedagli occhi, che sarebbe da direuna fumisteria, proprio al se-guito dell'Uomo di fumo palazze-schiano, solo che il fluido af-frontato da Picco è piuttosto dinatura liquida, sono le lacrimeche appunto cadono dagli oc-chi, considerate dall'autore co-me altrettanti magici microco-smi, da esternare anche con learmi della grafica e perfino del-la scultura.

Il bello è che il protagonistadi questa avventura, tale Ennio

Bernini, per parte sua non rie-sce affatto a lacrimare, mentrese ne va in giro pieno di curiosi-tà, in una New York in cui giun-ge per fare fortuna, cadendonelle grinfie di un italo-america-no immobiliarista, che va fierodi un colpo della sorte per cui,in un nome del tutto prosaicocome Gianni, è spuntata in fon-do una «y» fortuita, che però glidà un'aria equivoca e mafiosa.

Nel suo modesto compito diprocacciatore di affittanze, ilBernini fa tante scoperte, tutteintessute di leggerezza palazze-

schiana. C'è per esempio l'ami-co Arwin che si sdoppia in Zel-da, una telecamera sempre inazione. Ma forse la figura piùstraordinaria è Jos LaFond,che ha perso la moglie, rimastapolverizzata nell'attentato alleDue Torri, e dunque egli va rac-cogliendo le polveri sottili spar-se per la Grande Mela, nellasperanza di poter così riassem-blare la cara estinta. La pietas

del protagonista lo porta aprendersi cura di un gabbianorimasto ferito, Gardone, men-tre anche un'altra protagoni-sta, Victoria, vittima di pened'amore, decide di affidarsi aifluidi gettandosi da un gratta-cielo.

Tutte queste minuscole pe-ripezie, oltre che essere affida-te a frasi brevi, quasi stenogra-fiche, sono prontamente inte-

grate dai frutti dell'altra com-petenza dell'autore, disegni,emblemi, icone, come se sfo-gliassimo una mappa del teso-ro, o seguissimo una pista ver-bovisiva, con perfetta integra-zione delle parti.

Ma in mezzo a tanta legge-rezza, alla fine scatta pure undramma, parte un colpo di pi-stola che per sbaglio colpisce ilnostro eroe affondandolo inuno stato di coma molto newage, da cui non sappiamo se sirisveglierà, ma forse a quelpunto gli riuscirebbe di piange-re, di versare lacrime. Del re-sto, quante secrezioni prezioseha già riversato nelle paginedel suo brogliaccio, in contrap-punto con certe fastidiose flatu-lenze che provengono dal suointestino mettendo a rischio ivari appuntamenti, galanti od'affari, cui la vita da desto locostringe.

LORENZOMONDO

Per sua stessa am-missione, Marta Morazzoniha scritto La nota segretaispirandosi a una vicendaraccontata nei Cento anni diGiuseppe Rovani. Nella Mila-no settecentesca ha suscita-to scalpore la fuga di unaconversa dal monastero be-nedettino di Santa Radegon-da. Risulterà poi ampiamen-te dimostrato che la giovanedonna, appartenente a unanobile famiglia, era stata mo-nacata a forza.

Rovani incrocia nel suoromanzo questa contessa Pa-ola quando, ormai in età ma-tura e vedova dell’uomo chel’ha aiutata a fuggire, è ap-prezzata unanimemente perla sua saggezza e diritturamorale. Non sfugge alla Mo-razzoni che esiste in materiaun «illustre precedente», mal’imbarazzo è superato, oltreche da una civettuola profes-sione di modestia, consen-tendo con l’autore dei Centoanni, quando egli contrappo-ne alla torbida, manzonianaGertrude la sua monaca, do-

tata di «forte volontà» e di«pura coscienza».

Più agevole misurarsi, sen-za perifrasi, con Rovani, chenelle sue molte pagine lasciaspazio a una indagine menocondizionata dal dato di cro-naca e dalle sprezzature gior-nalistiche. Marta Morazzonisi diffonde sul dono straordi-nario di cui è dotata Paola: lasua voce di contralto spiradalla grata sul bel mondo che,per sentirla, affolla estasiatola chiesa di Santa Radegonda.Viene accompagnata dal cla-vicembalo di suor Rosalba,

che coltiva la sua vocazioneper il canto, mentre spia conaffettuosa complicità la sua ri-luttanza alla vita conventua-le. E la musica, sua sola conso-lazione, diventa l’inconsape-vole grido d’aiuto di una pri-gioniera.

Lo accoglie un gentiluomoinglese, John Breval, che sitrova a Milano per un incaricodiplomatico presso il Grandu-ca austriaco. Nel corso di unapubblica cerimonia, Paola ècolta da svenimento e vienesoccorsa da John, che la solle-va tra le braccia facendosi ide-

almente carico della sua sor-te. Scocca tra i due una passio-ne che si direbbe lungamenteattesa, non ostacolata ma at-tizzata dalle indistinte perce-zioni che trapassano il velomonacale. L’autrice segue idue amanti da Santa Radegon-da a Venezia, in una traversa-ta marina funestata (con bellainvenzione) da un assalto deipirati barbareschi, fino all’ap-prodo in Francia e in Inghil-terra.

Paola, che si scopre incin-ta, potrebbe appagarsi dellaritrovata libertà e della dedi-

zione di John che vuole spo-sarla, mettendo a rischio re-putazione e carriera (dissimi-le dal contemporaneo cava-lier Casanova, avventuriero eviolator di conventi, non a ca-so evocato fuggevolmente nelromanzo). Potrebbe appellar-si all’imperativo di una subli-me passione, ma esige giusti-zia. Non si sposerà prima diaver compiuto un faticoso e ri-schioso viaggio a Roma, perchiedere alla Chiesa di esseregiudicata e sciolta dal voto ju-xta principia sua, nel rispettocioè delle stesse norme previ-ste dalla fede in cui è stataeducata.

La maggiore e positiva tra-

sgressione di questa donna in-domita consiste in fondo nel-l’imporre, contro ipocrisie epigrizie consolidate, controun futile senso dell’onore, unaverità trasparente agli occhidi chi vuole vederla.

Questa, a un dipresso, latrama essenziale e il senso delgremito romanzo, che ha ilmerito certo di richiamare al-la nostra attenzione una singo-lare eroina in quell’età di tra-passo. Ma interessa in partico-lare il coinvolgimento conti-nuo della scrittrice, che inter-viene a commentare la vicen-da, a interrogarsi, sorridentee perplessa, sulla logica chedeve guidare il racconto, insie-me all’accettazione di una fe-conda autonomia delle situa-zioni e dei personaggi.

Marta Morazzoni, perquanto dotata di una forte co-scienza storica, crede nella ve-rità della letteratura, dellesue non revocabili «invenzio-ni». Seguendo una filiera che,avviata in questo romanzo dal-l’onesto Rovani, recupera sot-totraccia, ben al di là dei piùappariscenti riscontri, la fer-ma moralità manzoniana.

PAROLE IN CORSOGIAN LUIGI BECCARIA

E’ la linguala nostra Armata

La conquista della nazione muoveda Dante, Petrarca e Boccaccio

Voltolini «Foravìa», un trittico fraenigmi e imprevisti, limpido e leggero

Picco «Cosa ti cade dagli occhi»:sprazzi di futurismo alla Palazzeschi

PIERSANDROPALLAVICINI

I giorni nudi di Clau-dio Piersanti è bello come unfilm francese. È bello nel lorostesso, speciale modo di essereasciutti, disincantati e cinici, edi esserlo mentre ti racconta-no una storia d'amore travol-gente.

Alberto, che del romanzo èil protagonista, ha 47 anni e falo sceneggiatore di fiction tv.Ha successo. È in società conGuido, che ha sposato la sua ex-moglie. Alberto è un uomo so-lo, ma da solo sta bene. C’è unafesta, nelle prime pagine, orga-nizzata per i dieci anni dellasua società. Ci va tutto il demi-monde romano della televisio-ne e se Guido ci sguazza alle-gro, Alberto, appartato, si an-noia, sopporta e sorride - nonsi sputa nel piatto dove si man-gia - ma disprezza i suoi ospiti,irrimediabilmente mediocri.

In queste prime pagine po-trebbe sembrare che I giorninudi prenda la strada della cri-tica sociale, dell’invettiva con-tro il mondo della cultura, del-la tv, del cinema (un mondo

che Piersanti, romanziere dilungo corso ma anche autoredi sceneggiature per CarloMazzacurati, conosce bene).Ma così non è. Alberto liquidaquel giro mediocre e ipocritacon qualche frase ben assesta-ta, e gli basta. Gli basta cioèconstatare che quel mondo, eintorno ad esso l'Italia, rotolainarrestabile giù dalla chinadella decadenza. Poi nient’al-tro, perché ad Alberto non im-porta niente di nulla.

Tornando a casa dalla festaha un incidente, si rompe unagamba, finisce in ospedale. Èqui che conosce Lucia, anchelei incidentata, anche lei pescefuor d'acqua, anche lei con lostesso culto delle poche parole,

se e quando necessarie. Con na-turalezza, attratti da una forzamagnetica cui non possono resi-stere, si innamorano.

Bello come un film francese,si diceva di questo romanzo. Mameglio fermarsi un istante a direche il paragone finisce qui, aquell’anticonformismo, a quelsentore amaro, alla disinvolturadi un vivere consapevole e disin-cantato, mai sopra le righe, cioè,in una parola, elegante, e senza ilcompiacimento dell’essere tale.Poi niente cinema, quella che co-mincia è una storia d'amore e ba-sta, anche se certamente unastoria poco italiana, vista la spi-gliatezza cui Alberto e Lucia vi si

abbandonano nonostante la dif-ferenza d’età (lei ha 25 anni).

Dopo l'ospedale, accuditi esospinti dall'enigmatico Arturo- solare e salvifico factotum asia-tico, «prestato» ad Alberto daun produttore per la convale-scenza - i due in pochi mesi si riti-rano dal mondo. Andranno adabitare insieme mentre Albertoromperà la società con Guido.Insieme ristruttureranno la ca-sa al mare della madre di Alber-to e là passeranno qualche meseselvaggio, fatto di sole, cene sen-za vestiti, libri, onde, molto ses-so. Ma anche molto pensare.

Il lettore sa quel che passaper la testa di entrambi - e lo saattraverso la voce nitida e piana,essenziale, del narratore. Sa del-la conquista dell'estasi, che altronon è che possedere il meravi-glioso, e saziarsene, e sapere dipoter continuare ad averne a vo-lontà. Sa dei dubbi che entranocome un tarlo nei pensieri di en-trambi, speculari: lei si stanche-rà e mi lascerà, è troppo giova-ne; lui non ha mai amato niente enessuno, dunque nemmeno me,e mi lascerà.

Poi la bravura, la severità,l’anticonformismo dell'autore:trovare un epilogo ragionevoleper una storia eccezionale. Si la-scia al lettore l’emozione dellascoperta. Basti dire che si chiu-de I giorni nudi un po’ più pessi-misti: non esiste possibilità di ec-cezionalità, di distinzione, di fu-ga, questo sembra dirci Piersan-ti. Perché anche i più brillanti, ipiù disincantati, i più caustici,soccombono ai tetri meccanismidel sentimento.

Scrittori italianiIITuttolibri

SABATO 24 APRILE 2010LA STAMPA III

«Il CUORE DEI BRIGANTI»DI FLAVIO SORIGA

Un’isola per Robin Hood= Per alcuni autori il romanzo di matrice storica è unascelta intima, necessaria, per altri rappresenta l'appiglio diuna carriera agli sgoccioli, la ricerca di una nobile derivaautoriale. Flavio Soriga a soli 35 anni si è già espresso insvariate forme narrative, dal romanzo «rurale» al noir altesto generazionale. Ora con Il cuore dei briganti(Bompiani,pp. 353, € 18,50) approda anch'egli al romanzostorico. Soriga scrive bene, ma forse la fretta editoriale diimporlo sul mercato rischia di confonderlo.Il tracciato è limpido, ben calibrato, tra un ampio antefattoalla Robin Hood in cui si esaltano le gesta del nobile Aurelio

Cabrè di Rosacroce - che punisce l'arroganza dei suoi similicon imprese atte a ricomporreun quadro di sommariagiustizia sociale - e una seconda parte dove la difesadall'attacco francese di Hermosa - isola al centro di unMediterraneodi fine Settecento - diventa fonte di riscattoper l'ex bandito inviso al consesso dei suoi pari.Aurelio cerca di motivare scelte remote e oscure, salvo poitrovare - nel tentativo di vendetta per salvaguardarel'onore del fratello maggiore dissennato - una sorta diricongiungimentoalle origini, oltre a diventare l'eroe delmomento storico difendendo la sua isola dal nemico. Iltempo è quello post-rivoluzione francese, i lumi dellaragionestentano a farsi strada in un contesto ancoravittimadei propri privilegi secolari, e Aurelio diventa

l'involontarioago della bilancia tra il medioevo sociale dellasua terra e il vento di una modernità ancora inafferrabile.In questa ottica il romanzo svolge una sua funzioneepico-avventurosadi felice ispirazione, anche se poi lanarrazione - linguisticamente eclettica,generosamentebarocca - non riesce a evolversi oltre una serie diaccadimenti circoscritti e poco incalzanti, ammassati piùche distribuiti con devozione.Una buona prova di stile, che tuttavia non stuzzica il lettorenei compiti primari del romanzo storico, quelli diammaliare e divertire. E che, soprattutto, non ci fa capire,dopo diverse prove così distanti tra loro, cosa vuole fare ilnarratore Flavio Soriga da grande. Sergio Pent

A MILANO

Figli e padri= Di testimonianza intestimonianza, nel nome delpadre. L’editore Melampoorganizza un ciclo di incontricome protagonisti i figli chehanno dato forma letteraria allaloro vicenda familiare. DopoUmberto Ambrosoli e AugustoBianchi Rizzi, il 27 aprile (SpazioMelampo di via Carlo Tenca, 7,h, 21,è la volta di BendettaTobagi. Seguiranno il 4 maggioBice Biagi, l’11 AndreaCasalegno, il 18 MarioCalabresi, il 25 Nando DallaChiesa.

MEMORIA

Per Jervis= «Contro il “sentito dire”» èil convegno in omaggio diGiovanni Jervis, a Roma, il 26 eaprile, aperto da LucianoMecacci. Scomparso l’annoscorso. Jervis, psichiatria epsicoterapeuta, fu allievo diErnesto De Martino ecollaboratore di FrancoBasaglia, la cui esperienzarielaborò criticamente, finoall’ultimo suo libro, Larazionalità negata. scritto incollaborazione con GilbertoCorbellini, edito da BollatiBoringhieri, che organizza ilconvegno con l’ UniversitàSapienza e la FondazioneSigma Tau.

LETTERA INTERNAZIONALE

Paese sbagliato= «Un Paese sbagliato» è lasezione che apre il numero 103di Lettera internazionale(www.letterainternazionale.it).In sommario «L’ingiustoradicale», gialogo fra C. Magrise G. Zagrebelsky, e «La dis-unitàd’Italia», confronto tra N. Nesi,G. Oliva, G. Ruffolo e M. L.Salvadori. Altre firme: Debray,Balibar, Jacques Rancière, sureligione e globalizzazione eun’intervista a Spivak.

Stiamo per celebrare i 150anni dell'Unità, e vieneda pensare al fatto che

da noi non si era costruita an-cora la nazione, ma da secoliesisteva tuttavia un'unità lin-guistico-letteraria nazionale:ci si riconosceva in questa no-stra ricca duttile stratificatalingua italiana. Il suo effettoaggregante contribuì più di al-tri fattori al conseguimentodell'unità politica. Come scri-veva già Isidoro di Siviglia, nel-le Etimologiae (IX I 11), «Exlinguis gentes, non ex gentibuslinguae exortae sunt», sono lelingue che fanno i popoli, non ipopoli che fanno le lingue.Johann Gottfried Herder soste-neva che la nazione, anche senon ancora costituita, è una co-munità di carattere culturalefondata innanzitutto sulla lin-gua: tutta la «ricchezza spiri-tuale di tradizioni, di storia, direligione e tutta la pienezzadella vita» di un popolo, «tuttoil suo cuore e la sua anima vivo-no nella lingua».

Le strutture fondamentalidella lingua italiana furonofornite dalla formidabile elabo-razione letteraria trecentescadel dialetto fiorentino, daigrandi testi innanzitutto delle«tre corone» Dante PetrarcaBoccaccio, autori nei quali lanostra letteratura e la nostralingua hanno voluto riconoscer-si. Nella Postfazione al Gran-de dizionario italiano dell'uso compare un'interessante

statistica di De Mauro: «quandoDante comincia a scrivere laCommedia il vocabolario fonda-mentale è già costituito al 60%»,e «alla fine del Trecento il voca-bolario fondamentale italiano èconfigurato e completo al 90%».

Nel corso dei secoli la nostralingua è rimasta perciò vicina,strutturalmente, alla lingua del-le origini. Cosa che negli altri Pa-esi non è capitato. Rispetto all'italiano antico il moderno è cam-biato in modo apprezzabile nell'ordine delle parole, ma nel com-plesso, sulla mobilità vistosa tut-to sommato sono prevalsi gli ele-menti di continuità e persisten-za. È molto interessante misura-re la progressiva diffusione delfiorentino su tutta la Penisola, ilsuo allargarsi a macchia d'olioman mano che si diffondono sulterritorio i manoscritti di Dantee di Petrarca.

Sono stati i manoscritti, le let-tere e non gli eserciti, a diffonde-re l'italiano. La nostra singolarestoria è quella di una lingua chepartendo da Firenze conquistauna nazione grazie alla lettera-tura. La lingua italiana nascesubito grande e illustre, tutta ar-mata (lo scriveva l'Alfieri) comeAtena dalla testa di Giove. È sta-ta una lingua non imperiale co-me la spagnola, che gli esercitiestesero geograficamente per ilmondo, ma idioma che sulla ba-se di quei giganti primi durantel'Umanesimo e il Rinascimentoconquistò la Penisola e conqui-stò il mondo senza le armi.

Il titolo

PICCOLI LETTORI CRESCONO, CON LA POESIA

Metti in rima la rabbia= Gli studiosi di psicoanalisi parlano di «rabbiainsolente» per la resistenza o l'opposizione deibambini alle richieste degli adulti a partire dall'etàquando questi ultimi pretendono il controllo deibisogni corporali. Autore di libri di narrativa,filastrocche, poesie, Bruno Tognolini è statosostenuto, agli inizi, da Donatella Ziliotto,personaggio determinante nella storia italiana dellaletteratura per l'infanzia. Ora, in Rime di rabbia(Salani, pp. 73, € 7) raccoglie cinquanta poesie su untema essenziale per lo sviluppo psicologico dei

bambini, almeno fino all'età dello sviluppo.Un itinerario fantastico che tocca tutte le ragioni diessere arrabbiati, almeno credo, perché non sonoriuscito a trovarne altri anche cercando a destra e amanca. Argomenti impensabili chiusi in due versi:«Mare in burrasca, terra in tempesta/ Se non mi amiti spacco la testa» (Rimetta d'amore furioso). Oppurein dieci righe per parlare della scuola: «Ma come seicarino! Ma come sei carina!/ Ma come siete pettinatibene stamattina!/ E come risplendete proprio sottola finestra!/ E come rispondete sempre bene allamaestra!/ E lei come vi guarda col sorriso nellabocca!/ S'è messa lì davanti il suo cocco e la suacocca/ Due belle statuine di cagnetti barboncini/ E

dietro tutti i sudici, i frenetici, i cretini/ I tonti, gliignoranti, i molesti ed i cattivi/ E dietro tutti noi,bambini vivi». (Filastrocca del coccobello).Non si possono citare singoli versi, perché ogni«invettiva» è una storia complessa e completa cheesige di essere letta in modo unitario.Fino alla pagina finale dal titolo estremamentesignificativo: Ultima riga. Per i grandi/ Scongiurocontro il nazismo futuro della quale non sorinunciare agli ultimi quattro versi: «Forse non c'èbisogno che indovini/ Per sapere che arriverà ilfuturo/ Speriamo che la rabbia dei bambini/ Non cipresenti un conto troppo duro». Roberto Denti

«I giorni nudi»:una storia eccezionale,un vivere consapevolee disincantato, maisopra le righe, elegante

Piersanti Una gamba rotta cambia la vitaa uno sceneggiatore in fuga dalla fiction tv Il titolo

L’uomo che non saversare lacrime

E’ straordinarioandare fuori strada

Innamorati comepesci fuor d’acqua

Bloc notes

Santa Ceciliapatrona

del canto edella musicain un dipinto

di OrazioGentileschi,

seguace diCaravaggio,prima metà

del XVIIsecolo,

ritrovatonel 1973

nelmonastero

di SanFrancescoa Todi, ora

alla GalleriaNazionale

dell’Umbriaa Perugia

Dario Voltolini:un trittico

«Foravìa»

Gabriele Picco:«Nuotatoridi lacrime»

«Nell’acqua» di Lorenzo Mattotti, copertina de «I giorni nudi» di Piersanti

«La nota segreta»:la musica unicaconsolazione di Paola,in attesa d’esseresalvata da un gentiluomo

pp Claudio Piersantip I GIORNI NUDIp Feltrinelli, pp. 212, € 18

Claudio Piersanti, scrittore

e sceneggiatore, è nato nel

1954. Tra i suoi libri, editi

da Feltrinelli, «Luisa e il

silenzio» (Premio

Viareggio) e «Il ritorno a

casa di Enrico Metz»

(premi Napoli e Alassio).

pp Marta Morazzonip LA NOTA SEGRETAp Longanesi, pp. 276, € 16,60

Marta Morazzoni è nata a

Milano e vive a Gallarate,

dove insegna in una scuola

superiore. Nel 1997 ha vinto

il premio Campiello con «Il

caso Courrier».

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Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - IV - 24/04/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/04 - Autore: MARGAL - Ora di stampa: 23/04/10 19.36

ALESSANDROMONTI

Melanconico e sparti-to tra Storia e dolenti vite,Ombre bruciate di KamilaShamsie non è una saga fami-liare, sia pure complessa, incui 70 anni circa di storiamondiale servono da sfondoalle vicende intrecciate nelcorso di due generazioni. Nonè neppure il solito romanzo dimatrice etnica, come ne arri-vano tanti dagli scrittori india-ni e pakistani, o neppure ungoffo tentativo di attingere amodi di mondanità cosmopoli-ta. Ombre bruciate è soprattut-to la cronaca dolente, ma nonsentimentale o lacrimosa, del-l’impossibilità, per noi tutti, diessere, o diventare, cittadinidella nazione in cui si è nati oin cui si vive.

Simbolo genetico di talestraniamento è l’esplosioneatomica di Nagasaki, che mar-chia a fuoco sulla schiena diHiroko il disegno tremendo einsieme bellissimo degli airo-ni stampati sul tessuto dellaveste da lei indossata. L'esplo-sione cancella anche il corpo,lasciando solo l'impronta suun sasso di un'ombra, del te-desco Konrad, da lei amato. Ilmarchio e l'ombra suggellanometaforicamente la dupliceestraneità dei personaggi ri-spetto al Giappone in guerra:considerata con sospetto leiper comportamento anti-pa-triottico, isolato lui dopo la re-sa della Germania.

Tappa successiva è Delhi,intorno al 1947, alla fine del-l’età coloniale e subito primadella Partition tra India ePakistan. Lì vivono, e accolgo-no Hiroko, la tedesca Ilse, so-rella di Konrad, e James Bur-ton, altra coppia ibridizzante,ma in crisi. Il destino di Hiro-ko s’intreccia, con il matrimo-nio, con quello del musulma-no Sajjad, la cui eredità urdudella vecchia Delhi sta per es-sere cancellata dall’indipen-denza. Infatti la nuova Indiarifiuta la cittadinanza alla cop-pia, considerando il viaggio dinozze in Turchia come un op-zione per il Pakistan.

Ancora una volta gli even-ti della Storia separano e de-terminano destini. La scenasi sposta a Karachi, in unPakistan sempre più fonda-mentalista, al centro degli in-trighi per l'Afghanistan.Emerge la figura irrequieta,come agitata dal conflitto nonrisolto dell’incrocio tra diver-si mondi e culture, di Raza, ilfiglio di Hiroko e Sajjad. Il gio-

vane si troverà invischiato, in-sieme a Harry Burton - figlio diIlse - come contractor nel pan-tano afgano, che inghiottirà ilsuo amico. Incolpato di tradi-mento, Raza è costretto a riper-correre tutta la via segreta cheporta terroristi, migranti ederoina dall’Afghanistan agliStati Uniti, in un esodo che ha icaratteri di una diaspora indivi-duale, di una dispersione che lo

riporta tuttavia al passato, aitempi della sua amicizia giova-nile con l'afghano Abdullah,che dagli Stati Uniti deve rien-trare a Kandahar, in un percor-so simmetrico e complementa-re rispetto a quello compiutoda Raza.

Raza e Kim s'incontrano inun finale convulso e in parteenigmatico, in cui Raza assume

l'identità di Abdullah, denun-ciato da Kim, per permettereall'afghano di fuggire. Kim ce-de alla paura e all'odio per chi èciò che ci estranea, al disprezzoper l'Islam e ha un sussulto fo-bico di disgusto che metaboliz-za la morte del padre, ucciso daun afgano, nella visione imma-ginata degli emigrati orientaliche passano con l'auto su deiconiglietti e orsacchiotti di pe-luche. Immagine tragica e insie-me ridicola, all'origine dell'attoche consegna Raza, il presuntotraditore che ha causato lamorte del padre di Kim, alla po-lizia e infrange nello stesso persempre il reticolato familiareche aveva unito Giappone e In-dia, Pakistan e Afghanistan, In-ghilterra e Stati Uniti. E' la finedi una speranza e di un sogno,nutriti e mantenuti nonostanteguerre e lacerazioni, diaspore elontananze. Sono legami diven-tati ombre bruciate.

ELENALOEWENTHAL

L’avvertenza s’impo-ne: questo non è un libro per pa-lati fini. Teologicamente suscet-tibili. Dotati di una sana e fidu-ciosa percezione del numinoso.Questo libro non fa assoluta-mente per loro: neanche a par-larne. Per tutti gli altri (difficiledire quanti siano) sarà un’espe-rienza. Quale? Dipende: diver-tente, spiazzante. Travolgente.Meritoria. Illuminante.

Insomma, A Dio spiacendo èun libro che non di rado fa mol-to ridere. In altri casi sovvertela nostra idea di realtà. L’hascritto il giovane e talentuosoShalom Auslander, che ha allesue spalle l’indimenticabile Il la-mento del prepuzio (anch’essoda Guanda). Questo secondo li-bro è una raccolta di racconti,ma con un’unità narrativa fon-damentale (mica per niente)che tiene banco per tutte le pa-gine indistintamente: Dio. Lui èl’unico e indiscusso protagoni-sta. Gli altri, che siano uomini,scimmie o cartoni animati, a uncerto punto della storia capisco-no di essere burattini, fantocci,giocattoli nelle Sue mani. An-che se Dio non ha qui nulla a chevedere con quel che abbiamosempre immaginato di Lui: èuna specie di gangster che ucci-de a sangue freddo. Un enormee vanitoso pollo indifferente atutto fuorché al suo becchime.L’incontentabile cliente di unaagenzia di comunicazione.

Il Dio di Auslander non è mi-sericordioso e men che menoonnisciente. Non assomiglianemmeno agli abitanti del-l’Olimpo, perché se loro sono infondo lo specchio dell’umanitàsottostante, lui invece è sempretotalmente imprevedibile. Nonne fa mai una che t’aspetti. Ep-pure tutto va sempre a finire co-me al solito: non tanto bene.Questo Dio sembra insomma ilfrutto di un colossale equivoco,che non si sa bene chi abbia co-minciato. Anzi no. Forse sì.

Nel racconto intitolato «Leallarmanti rivelazioni del Libroperduto di Stan» un tizio «in unmomento di iella, senza lavoro econ un figlio in arrivo», scovanel deserto del Negev (non è ilcaso di chiedere come ci sia arri-vato, fin laggiù) un antichissimorotolo contenente tutto l’AnticoTestamento. Uguale uguale alnostro, ma molto più vecchio.Preciso parola per parola, senon fosse per un paragrafo che«a quanto pare, era stato espun-to dalle edizioni successive. Unparagrafo che diceva semplice-mente: Quanto segue è un’ope-

ra di fantasia. Ogni somiglianzacon persone vive o defunte è pura-mente accidentale».

Ancora una volta Shalom Au-slander decostruisce, anzi smon-ta alla grande quanto di più sacroe intoccabile ci sia (forse) rima-sto. Si accanisce con Dio e ne di-pinge una serie di ritratti dal sur-realismo spinto. Più spinti chesurreali, a dire il vero. E i suoi rac-conti, a saperli prendere per il

verso giusto, sono di una comici-tà grandiosa. Perché oltre a uncerto spirito caustico, Auslanderha tanta fantasia, e non la rispar-mia al suo lettore. A questo pro-posito, se l’umorismo ebraicomorto non è, certo di questi tem-pi non sembra passarsela troppobene. E quando se ne parla, lo sievoca – non a torto - come un mi-to remoto, pressoché estinto. In-

vece questi racconti sono, perl’umorismo ebraico, una provvi-denziale respirazione bocca a boc-ca: quasi quasi resuscita! Con lasua accanita irriverenza che scon-fina (altro che) nella blasfemia,Auslander in fondo si inserisce inuna storia già scritta. Quella dellagrande risata ebraica. Semprecondita di sarcasmo, di autodi-struzionismo (Dio compreso), diamarezza di fondo. E’ bello ritro-vare qui tutto questo, dopo cheavevamo dato quasi per spaccia-to l’umorismo ebraico.

Se una cosa manca a questo li-bro, ma non certo per colpa sua,si tratta dello yiddish. Questi rac-conti meritavano proprio di esse-re scritti in quella lingua dall’imi-tabile potenzialità di spirito, capa-ce come nessun’altra di farti ride-re e piangere nello stesso tempo.Purtroppo, però, lo yiddish è mor-to: salito in cielo insieme al fumodei forni crematori e dei milioni divite che lo parlavano.

pp Kamila Shamsiep OMBRE BRUCIATEp trad.diG.Calzap PontealleGrazie,pp.386, € 18,60

pp Shalom Auslanderp A DIO SPIACENDOp trad. di Elettra Caporellop Guanda, pp.177, € 15

pp David Belbinp L'INEDITO DI HEMINGWAYp trad. di Silvia Rota Spertip Isbn, pp. 233, € 15

RUGGEROBIANCHI

Ha un vago retrogu-sto borgesiano (il Borges,soprattutto ma non solo, diPierre Menard, autore delDon Chisciotte) L'inedito diHemingway, il raffinato e go-dibilissimo romanzo del cin-quantenne britannico Da-vid Belbin, al suo debuttonella narrativa tout court,dopo aver acquisito non so-lo in patria una grande po-polarità come autore per ra-gazzi.

Non lasciatevi ingannaredal titolo e nemmeno dalsottotitolo. L’«intrigo lette-rario» c'è senz'altro e ani-ma e avvolge l’intreccio, sca-gliando chi legge in una spi-rale di curiosità, ma non hanulla a che vedere con i lam-biccati thrillers oggi corren-ti, incernierati su codici emanoscritti perduti o occul-tati, riscoperti il più dellevolte soltanto per essere di-strutti o nuovamente secre-

tati, o sulle loro varianti iconi-che e figurative, ma nella so-stanza omologhe, di effigi o ri-tratti misteriosi o misterici,saturi di metafore criptiche ocriptate. L'inedito del titolo èinfatti un puro e semplice fal-so e il dirlo scopertamente inquesta sede non è un abuso oun'ingenuità del recensorebensì la premessa necessariaper cogliere il senso del ro-manzo, intitolato più ambi-guamente nell'originale ThePretender. Vale a dire uno chefinge di essere ciò che non è

(non a caso in inglese la nar-rativa si chiama fiction) maanche chi a vario titolo aspiraa prendere il posto di qual-cun altro. E L'inedito di He-mingway racconta appunto inprima persona le varie fortu-ne di un falsario delle lettereche contrabbanda i propriscritti come inediti di Hemin-gway o di Graham Greene, diRoalds Dahl o di James She-rwin, più per passione e perdiletto che per interesse oper guadagno. Inediti nonsempre postumi, visto che a

volte riesce a persuadere gliscrittori imitati a riconosce-re i falsi come autentici e ori-ginali.

Ma ha ancora senso, stan-do così le cose, parlare di pla-gio o imitazione, copiatura ofalsificazione? Non è la storiastessa della letteratura a inse-gnare che lo scrittore deve sa-

per fingere e camuffarsi, met-tersi nei panni e nelle situa-zioni dei propri personaggi?Su un altro versante, non èforse vero che, per parafrasa-re Picasso, «i cattivi scrittoricopiano e i bravi scrittori ru-bano»? E' un atto criminale oun gesto artistico, quello dichi, nel contraffare, riesce a

captare e a riprodurre fedel-mente le idiosincrasie e i si-stemi di scrittura dei maestripiù amati e ammirati, rielabo-randoli tuttavia in intrecci epersonaggi nuovi e originali?

Su questa tematica com-plessa e a tratti coltissima,Belbin costruisce con grandeabilità un thriller anomalo eavvincente, dove persino talu-ne divagazioni erudite nelcampo della filologia e dell'analisi linguistica fiorisconoin invenzioni e sorprese inge-gnose. Il suo è un anomalogiallo dove il corpo del delittoè la scrittura, il criminale è ilpretender e l'investigatore(più ancora che il critico, chetroppo facilmente tende a ca-scare in trappola e ad assu-mere come credibili proprio ifalsi indizi) è lo scrittore pla-giato.

Belbin Un falsario per passione,un thriller ingegnoso, borgesiano

Scrittori stranieriIVTuttolibri

SABATO 24 APRILE 2010LA STAMPA V

Dopo la bombasulla schienaresta l’airone

LUIGIFORTE

Václav Havel, il presi-dente-poeta, il drammaturgoceco diventato uomo politico,il protagonista della «rivolu-zione di velluto» che portònel novembre del 1989 alla fi-ne di un regime, ha attraver-sato la storia del suo Paesecome una costante contraddi-zione. Un intellettuale contro-corrente che confessò: «Avolte ho la sensazione che esi-sta una barriera tra me e ciòche mi circonda».

Non poté infatti studiareregolarmente perché figlio digrandi borghesi espropriatidal partito comunista nel1948. Da uomo di teatro si tra-sformò in uno dei contestato-ri più accaniti di un poteredogmatico e illiberale. Nemi-co di ogni forma di censura,finì in carcere per alcuni annicon l'accusa di «attività anti-socialiste». Poi da simbolodel dissenso divenne nel lu-glio del 1990 Presidente dellaRepubblica cecoslovacca.

L'utopia nata con Dubceke la «primavera di Praga» di-ventava realtà e all'Est il

mondo si capovolgeva. Forseper questo Havel ha riflettu-to spesso sul problema dell'identità e della sua dissoluzio-ne, uno dei temi ricorrentidelle sue pièces, ma anche del-le intense Lettere a Olga chel'editore Santi Quaranta pre-senta nella traduzione diChiara Barbatella. Sono 144missive dirette alla moglie(ne mancano in realtà unaventina escluse o mai arriva-te a destinazione), che risal-gono più o meno a trent’annifa, quando lo scrittore fu rin-chiuso, fra il giugno del 1979e il settembre del 1982, nellecarceri di Hermanice e Plzen-Bory per le sue aperte criti-che verso la «normalizzazio-ne» che il regime di GustavHusák aveva imposto e per ilsuo impegno nel movimentoper i diritti civili «Carta 77».

Olga Splichalova non fusolo l'amore della sua vita,ma la compagna di molte lot-te. Lo sostenne durante i dif-ficili anni in cui Havel ebbetotale divieto di pubblicazio-ne, fondò con lui nel 1972 un

giornale clandestino che dires-se quando il marito fu arresta-to. La futura first lady venera-ta dai suoi connazionali e mor-ta nel 1996 era la sola personaa cui il recluso potesse scrive-re, così come le lettere eranole uniche annotazioni ammes-se fra le pareti del carcere,una minuscola ancora di sal-vezza di fronte alle brutali umi-liazioni quotidiane. Ma con re-gole rigidissime: non più diuna lettera alla settimana cali-brando con cura il contenuto.

Bastava infatti un nonnullaperché lo scritto non superas-se il rigido controllo della cen-sura: una parola straniera, un'espressione maliziosa su coseproibite, la grafia poco leggibi-le. E Havel, come ricorda il suocompagno di detenzione JiríDienstbier, fu il bersaglio pre-ferito di tali persecuzioni. Manon si perse d'animo. Riuscì atrasformare il carcere in unascuola di «auto-consolidamen-to» di se stesso, nella ricercadel suo io più profondo, nellacapacità di imprimere a quelladrammatica esperienza il pro-

prio significato.A distanza di molti anni

queste lettere restano la testi-monianza della «testardaggi-ne» di una coscienza indivi-duale, ben allenata nelle pale-stre del dissenso, che prevalesul perverso spirito del mon-do. Il debole bisbiglio del con-dannato si amplifica in un giu-dizio morale su ogni aberra-zione ideologica e politica.

Certo bisogna leggere frale righe e interpretare ognipiccolo segnale che parla di fe-de e speranza, di nichilismo ememoria dell’Essere, di re-sponsabilità, del radicamentodell’uomo in una prospettivapiù ampia e universale. Laclaustrofobia carceraria si di-lata così in una vera e propriafilosofia e metafisica della vi-ta, che non poco deve al pen-siero di Lévinas (soprattuttonel secondo gruppo di lettere,il «ciclo meditativo» già tra-dotto nel 1983) e in una gran-de riflessione sulla crisi dellaciviltà e del mondo moderno.

Ma al di qua dell’orizzonteteorico che spesso si aggrovi-glia su se stesso, resta lo scrit-tore-psicologo, l'umorista chediscetta sui suoi «quindiciumori», il marito affettuoso eimpaziente che rampogna lasua Olga, la brontolona, per lapigrizia nello scrivere proiet-tandola sull’immaginaria sce-na di una vita che, in quegli an-ni, solo nelle parole trova ade-guata sostanza.

Queste lettere sono la vocedi un naufrago: isolato dalmondo, spedito in un campo dilavoro, esposto ai capricci e aisoprusi degli «educatori» delcarcere. Ma quel piccolo, abi-tuale rito della scrittura setti-manale gli regala una bussolaorientata verso il futuro. Ver-so Olga, la sua tenace e instan-cabile destinataria.

Dio, il gangsterche uccidea sangue freddo

Due generazioni,una cronaca dolente:quando la Storiaincrocia, separa, laceraculture e destini

VICTOR GISCHLER

I poeti assassini= Semplicemente delirante:Anche i poeti uccidono diVictor Gischler (MeridianoZero, pp. 286, € 15) è qualcosadi più del solito incrocio di noir,pulp e horror. Va oltre.Possiede una cadenza cosìossessivamente irreale (eirridente) nel mescolaresangue, vendette, droga,poesia e grilletti facili datravalicare il genere anche arischio di risultare talvoltairritante. Ma il ritmo,sconclusionato e martellante, èdi per sé un pregio. E la scritturanon concede attimi di respiro aun plot che vede protagonistaun Jay Morgan, professore diletteratura inglese all’Universitàdi Eastern Oklahoma, incapaceormai da anni di pubblicareversi degni di tal nome. Eppurequesta dovrebbe essere la suavita. Per di più il corpo nudo diuna studentessa del primoanno, Annie Walsh, vieneritrovato cadavere nel suo letto.Ma non è tutto: il suo futuropiù prossimo, e dunque le suefortune universitarie, sonostrettamente legateall’organizzazione di unreading poetico incentrato suuno studente afroamericanodalla falsa identità: si trattainfatti di un ex spacciatore semianalfabeta in grado di produrreesclusivamente rap primordiali.Aggiungeteci il piccantecontorno composto da: uninvestigatore privato allaricerca non tanto di Annie madi un’occasione per fare soldialla faccia degli interessi del suocliente; un’ingente quantità didroga rubata; un boss spietatoche si aggira con vari killerdall’aspetto selvaggio per imeandri del campus al fine diricuperare quanto gli è statosottratto; un professore chedovrebbe essere in giro per ilmondo e invece se ne starintanato in un sottotetto delcollege a sbevazzare in gransegreto con una pittorescabanda di accoliti. Ed eccoservito un menu davverooriginale e spiazzante.Anche se - ribadiamo - i tonidiventano talvolta fin troppoeccessivi e le scazzottature, lefughe e i colpi di scenaassumono più le sequenze dellapochade che gli arguti tonitarantiniani.A garantire però ulteriorequalità al romanzo è l’ottimatraduzione di Luca Conti, uomodi fiducia per l’Italia di Leonard,Sallis e Crumley. Piero Soria

Né onniscientené misericordioso:una comicità grandiosa,caustica, pure blasfema,uno spinto surrealismo

INOUE E MURAKAMI

Felici ritorni= In contemporanea sonoritornati due libri da anniintrovabili, due «casi»esemplari della narrativagiapponese.Di Inoue Yasushi (1907-1991)Adelphi ha riedito Ricordi dimia madre (pp. 150, € 17),uscito nel 1985 da Spirali conanche il racconto Il cimitero ela frutta di stagione che quimanca. Stessa traduzionedall'originale, riveduta, diLydia Origlia. I «ricordi» sonotre testi autobiograficipubblicati in un decenniosulla rivista Gunzo, dallametà degli Anni Sessanta allametà dei Settanta, poi riunitiin volume con un solo titolo.L'autore - già notosoprattutto per Il fucile dacaccia (Adelphi, 2004) -racconta prima la morte delpadre ottuagenario, poi ilprogressivo decadimentosenile e la scomparsa dellamadre quasi novantenne:una intensa e controllatarielaborazione di luttifamiliari.Di Murakami Haruki Einaudiha mandato in librerial'atteso Nel segno dellapecora (pp. 298, € 19,50),che, nel 1992, era statopubblicato da Longanesinella traduzione dall'inglesedi Anna Rusconi. OraAntonietta Pastore, condivertita partecipazione e conla puntuale precisione disempre, l'ha tradotto dalgiapponese.E' un avvincente romanzonoir. L'autore si misura con ilpassato espansionisticonipponico (servizi segreti,spionaggio, complotti,attentati, traffico di droga edi preziosi, incalcolabiliricchezze di dubbiaprovenienza) e con unpresente dominato da unamisteriosa organizzazione diestrema destra che controllala pubblicità, la politica, lacultura, l'informazione, laburocrazia, lo Stato.Uno svagato pubblicitario ela sua ragazza, una modelladalle splendide orecchie edalle facoltà divinatorie, sonomandati sotto ricatto sullefredde montagnedell'Hokkaido alla ricerca diuna fantomatica pecora. Quiessi penetrano in quegliinquietanti mondi paralleliche caratterizzano l'universopoetico di Murakami. Per lagioia degli appassionati. Angelo Z. Gatti

Havel Lettere alla moglie: quando il futuropresidente-poeta ceco fu costretto in carcere

Il titolo

Noir e pulp

Colei che diverràuna venerata first ladyera la sola personaa cui il reclusopotesse scrivere

La «testardaggine»di una coscienzaindividuale, benallenata nelle palestredel dissenso

Kamila Shamsie, nata in Pakistan nel 1973, vive a Londra

Shamsie Vite bruciate da Nagasakiall’India, dal Pakistan all’Afghanistan

E’ di Hemingwayquesta mia storia

Shalom Auslander (New York, 1970), autore de «Il lamento del prepuzio»

Auslander Una serie di ritratti di Luinel segno dell’umorismo ebraico

La rivoluzionenel nome di Olga

Dal Giappone

David Belbinè noto

soprattuttoper i suoi libri

per ragazzi

Václav Havel con la moglie Olga Splichalova, scomparsa nel 1996

pp Václav Havelp LETTERE A OLGAp trad. di Chiara Barbatellap revisione di F. Mazzariolp Santi Quaranta,pp. 480, € 15

Sono 144 missive dirette alla

moglie che risalgono più o

meno a trent’anni fa, quando

lo scrittore fu rinchiuso, fra il

giugno del 1979 e il settembre

del 1982, nelle carceri di

Hermanice e Plzen-Bory per

le sue aperte critiche verso la

«normalizzazione» che il

regime di Gustav Husák

aveva imposto e per il suo

impegno nel movimento per i

diritti civili «Carta 77».

Havel, nato a Praga nel

1936, è stato presidente della

Repubblica ceca dal 1989 al

2003.

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Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - V - 24/04/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/04 - Autore: MARGAL - Ora di stampa: 23/04/10 19.36

ALESSANDROMONTI

Melanconico e sparti-to tra Storia e dolenti vite,Ombre bruciate di KamilaShamsie non è una saga fami-liare, sia pure complessa, incui 70 anni circa di storiamondiale servono da sfondoalle vicende intrecciate nelcorso di due generazioni. Nonè neppure il solito romanzo dimatrice etnica, come ne arri-vano tanti dagli scrittori india-ni e pakistani, o neppure ungoffo tentativo di attingere amodi di mondanità cosmopoli-ta. Ombre bruciate è soprattut-to la cronaca dolente, ma nonsentimentale o lacrimosa, del-l’impossibilità, per noi tutti, diessere, o diventare, cittadinidella nazione in cui si è nati oin cui si vive.

Simbolo genetico di talestraniamento è l’esplosioneatomica di Nagasaki, che mar-chia a fuoco sulla schiena diHiroko il disegno tremendo einsieme bellissimo degli airo-ni stampati sul tessuto dellaveste da lei indossata. L'esplo-sione cancella anche il corpo,lasciando solo l'impronta suun sasso di un'ombra, del te-desco Konrad, da lei amato. Ilmarchio e l'ombra suggellanometaforicamente la dupliceestraneità dei personaggi ri-spetto al Giappone in guerra:considerata con sospetto leiper comportamento anti-pa-triottico, isolato lui dopo la re-sa della Germania.

Tappa successiva è Delhi,intorno al 1947, alla fine del-l’età coloniale e subito primadella Partition tra India ePakistan. Lì vivono, e accolgo-no Hiroko, la tedesca Ilse, so-rella di Konrad, e James Bur-ton, altra coppia ibridizzante,ma in crisi. Il destino di Hiro-ko s’intreccia, con il matrimo-nio, con quello del musulma-no Sajjad, la cui eredità urdudella vecchia Delhi sta per es-sere cancellata dall’indipen-denza. Infatti la nuova Indiarifiuta la cittadinanza alla cop-pia, considerando il viaggio dinozze in Turchia come un op-zione per il Pakistan.

Ancora una volta gli even-ti della Storia separano e de-terminano destini. La scenasi sposta a Karachi, in unPakistan sempre più fonda-mentalista, al centro degli in-trighi per l'Afghanistan.Emerge la figura irrequieta,come agitata dal conflitto nonrisolto dell’incrocio tra diver-si mondi e culture, di Raza, ilfiglio di Hiroko e Sajjad. Il gio-

vane si troverà invischiato, in-sieme a Harry Burton - figlio diIlse - come contractor nel pan-tano afgano, che inghiottirà ilsuo amico. Incolpato di tradi-mento, Raza è costretto a riper-correre tutta la via segreta cheporta terroristi, migranti ederoina dall’Afghanistan agliStati Uniti, in un esodo che ha icaratteri di una diaspora indivi-duale, di una dispersione che lo

riporta tuttavia al passato, aitempi della sua amicizia giova-nile con l'afghano Abdullah,che dagli Stati Uniti deve rien-trare a Kandahar, in un percor-so simmetrico e complementa-re rispetto a quello compiutoda Raza.

Raza e Kim s'incontrano inun finale convulso e in parteenigmatico, in cui Raza assume

l'identità di Abdullah, denun-ciato da Kim, per permettereall'afghano di fuggire. Kim ce-de alla paura e all'odio per chi èciò che ci estranea, al disprezzoper l'Islam e ha un sussulto fo-bico di disgusto che metaboliz-za la morte del padre, ucciso daun afgano, nella visione imma-ginata degli emigrati orientaliche passano con l'auto su deiconiglietti e orsacchiotti di pe-luche. Immagine tragica e insie-me ridicola, all'origine dell'attoche consegna Raza, il presuntotraditore che ha causato lamorte del padre di Kim, alla po-lizia e infrange nello stesso persempre il reticolato familiareche aveva unito Giappone e In-dia, Pakistan e Afghanistan, In-ghilterra e Stati Uniti. E' la finedi una speranza e di un sogno,nutriti e mantenuti nonostanteguerre e lacerazioni, diaspore elontananze. Sono legami diven-tati ombre bruciate.

ELENALOEWENTHAL

L’avvertenza s’impo-ne: questo non è un libro per pa-lati fini. Teologicamente suscet-tibili. Dotati di una sana e fidu-ciosa percezione del numinoso.Questo libro non fa assoluta-mente per loro: neanche a par-larne. Per tutti gli altri (difficiledire quanti siano) sarà un’espe-rienza. Quale? Dipende: diver-tente, spiazzante. Travolgente.Meritoria. Illuminante.

Insomma, A Dio spiacendo èun libro che non di rado fa mol-to ridere. In altri casi sovvertela nostra idea di realtà. L’hascritto il giovane e talentuosoShalom Auslander, che ha allesue spalle l’indimenticabile Il la-mento del prepuzio (anch’essoda Guanda). Questo secondo li-bro è una raccolta di racconti,ma con un’unità narrativa fon-damentale (mica per niente)che tiene banco per tutte le pa-gine indistintamente: Dio. Lui èl’unico e indiscusso protagoni-sta. Gli altri, che siano uomini,scimmie o cartoni animati, a uncerto punto della storia capisco-no di essere burattini, fantocci,giocattoli nelle Sue mani. An-che se Dio non ha qui nulla a chevedere con quel che abbiamosempre immaginato di Lui: èuna specie di gangster che ucci-de a sangue freddo. Un enormee vanitoso pollo indifferente atutto fuorché al suo becchime.L’incontentabile cliente di unaagenzia di comunicazione.

Il Dio di Auslander non è mi-sericordioso e men che menoonnisciente. Non assomiglianemmeno agli abitanti del-l’Olimpo, perché se loro sono infondo lo specchio dell’umanitàsottostante, lui invece è sempretotalmente imprevedibile. Nonne fa mai una che t’aspetti. Ep-pure tutto va sempre a finire co-me al solito: non tanto bene.Questo Dio sembra insomma ilfrutto di un colossale equivoco,che non si sa bene chi abbia co-minciato. Anzi no. Forse sì.

Nel racconto intitolato «Leallarmanti rivelazioni del Libroperduto di Stan» un tizio «in unmomento di iella, senza lavoro econ un figlio in arrivo», scovanel deserto del Negev (non è ilcaso di chiedere come ci sia arri-vato, fin laggiù) un antichissimorotolo contenente tutto l’AnticoTestamento. Uguale uguale alnostro, ma molto più vecchio.Preciso parola per parola, senon fosse per un paragrafo che«a quanto pare, era stato espun-to dalle edizioni successive. Unparagrafo che diceva semplice-mente: Quanto segue è un’ope-

ra di fantasia. Ogni somiglianzacon persone vive o defunte è pura-mente accidentale».

Ancora una volta Shalom Au-slander decostruisce, anzi smon-ta alla grande quanto di più sacroe intoccabile ci sia (forse) rima-sto. Si accanisce con Dio e ne di-pinge una serie di ritratti dal sur-realismo spinto. Più spinti chesurreali, a dire il vero. E i suoi rac-conti, a saperli prendere per il

verso giusto, sono di una comici-tà grandiosa. Perché oltre a uncerto spirito caustico, Auslanderha tanta fantasia, e non la rispar-mia al suo lettore. A questo pro-posito, se l’umorismo ebraicomorto non è, certo di questi tem-pi non sembra passarsela troppobene. E quando se ne parla, lo sievoca – non a torto - come un mi-to remoto, pressoché estinto. In-

vece questi racconti sono, perl’umorismo ebraico, una provvi-denziale respirazione bocca a boc-ca: quasi quasi resuscita! Con lasua accanita irriverenza che scon-fina (altro che) nella blasfemia,Auslander in fondo si inserisce inuna storia già scritta. Quella dellagrande risata ebraica. Semprecondita di sarcasmo, di autodi-struzionismo (Dio compreso), diamarezza di fondo. E’ bello ritro-vare qui tutto questo, dopo cheavevamo dato quasi per spaccia-to l’umorismo ebraico.

Se una cosa manca a questo li-bro, ma non certo per colpa sua,si tratta dello yiddish. Questi rac-conti meritavano proprio di esse-re scritti in quella lingua dall’imi-tabile potenzialità di spirito, capa-ce come nessun’altra di farti ride-re e piangere nello stesso tempo.Purtroppo, però, lo yiddish è mor-to: salito in cielo insieme al fumodei forni crematori e dei milioni divite che lo parlavano.

pp Kamila Shamsiep OMBRE BRUCIATEp trad.diG.Calzap PontealleGrazie,pp.386, € 18,60

pp Shalom Auslanderp A DIO SPIACENDOp trad. di Elettra Caporellop Guanda, pp.177, € 15

pp David Belbinp L'INEDITO DI HEMINGWAYp trad. di Silvia Rota Spertip Isbn, pp. 233, € 15

RUGGEROBIANCHI

Ha un vago retrogu-sto borgesiano (il Borges,soprattutto ma non solo, diPierre Menard, autore delDon Chisciotte) L'inedito diHemingway, il raffinato e go-dibilissimo romanzo del cin-quantenne britannico Da-vid Belbin, al suo debuttonella narrativa tout court,dopo aver acquisito non so-lo in patria una grande po-polarità come autore per ra-gazzi.

Non lasciatevi ingannaredal titolo e nemmeno dalsottotitolo. L’«intrigo lette-rario» c'è senz'altro e ani-ma e avvolge l’intreccio, sca-gliando chi legge in una spi-rale di curiosità, ma non hanulla a che vedere con i lam-biccati thrillers oggi corren-ti, incernierati su codici emanoscritti perduti o occul-tati, riscoperti il più dellevolte soltanto per essere di-strutti o nuovamente secre-

tati, o sulle loro varianti iconi-che e figurative, ma nella so-stanza omologhe, di effigi o ri-tratti misteriosi o misterici,saturi di metafore criptiche ocriptate. L'inedito del titolo èinfatti un puro e semplice fal-so e il dirlo scopertamente inquesta sede non è un abuso oun'ingenuità del recensorebensì la premessa necessariaper cogliere il senso del ro-manzo, intitolato più ambi-guamente nell'originale ThePretender. Vale a dire uno chefinge di essere ciò che non è

(non a caso in inglese la nar-rativa si chiama fiction) maanche chi a vario titolo aspiraa prendere il posto di qual-cun altro. E L'inedito di He-mingway racconta appunto inprima persona le varie fortu-ne di un falsario delle lettereche contrabbanda i propriscritti come inediti di Hemin-gway o di Graham Greene, diRoalds Dahl o di James She-rwin, più per passione e perdiletto che per interesse oper guadagno. Inediti nonsempre postumi, visto che a

volte riesce a persuadere gliscrittori imitati a riconosce-re i falsi come autentici e ori-ginali.

Ma ha ancora senso, stan-do così le cose, parlare di pla-gio o imitazione, copiatura ofalsificazione? Non è la storiastessa della letteratura a inse-gnare che lo scrittore deve sa-

per fingere e camuffarsi, met-tersi nei panni e nelle situa-zioni dei propri personaggi?Su un altro versante, non èforse vero che, per parafrasa-re Picasso, «i cattivi scrittoricopiano e i bravi scrittori ru-bano»? E' un atto criminale oun gesto artistico, quello dichi, nel contraffare, riesce a

captare e a riprodurre fedel-mente le idiosincrasie e i si-stemi di scrittura dei maestripiù amati e ammirati, rielabo-randoli tuttavia in intrecci epersonaggi nuovi e originali?

Su questa tematica com-plessa e a tratti coltissima,Belbin costruisce con grandeabilità un thriller anomalo eavvincente, dove persino talu-ne divagazioni erudite nelcampo della filologia e dell'analisi linguistica fiorisconoin invenzioni e sorprese inge-gnose. Il suo è un anomalogiallo dove il corpo del delittoè la scrittura, il criminale è ilpretender e l'investigatore(più ancora che il critico, chetroppo facilmente tende a ca-scare in trappola e ad assu-mere come credibili proprio ifalsi indizi) è lo scrittore pla-giato.

Belbin Un falsario per passione,un thriller ingegnoso, borgesiano

Scrittori stranieriIVTuttolibri

SABATO 24 APRILE 2010LA STAMPA V

Dopo la bombasulla schienaresta l’airone

LUIGIFORTE

Václav Havel, il presi-dente-poeta, il drammaturgoceco diventato uomo politico,il protagonista della «rivolu-zione di velluto» che portònel novembre del 1989 alla fi-ne di un regime, ha attraver-sato la storia del suo Paesecome una costante contraddi-zione. Un intellettuale contro-corrente che confessò: «Avolte ho la sensazione che esi-sta una barriera tra me e ciòche mi circonda».

Non poté infatti studiareregolarmente perché figlio digrandi borghesi espropriatidal partito comunista nel1948. Da uomo di teatro si tra-sformò in uno dei contestato-ri più accaniti di un poteredogmatico e illiberale. Nemi-co di ogni forma di censura,finì in carcere per alcuni annicon l'accusa di «attività anti-socialiste». Poi da simbolodel dissenso divenne nel lu-glio del 1990 Presidente dellaRepubblica cecoslovacca.

L'utopia nata con Dubceke la «primavera di Praga» di-ventava realtà e all'Est il

mondo si capovolgeva. Forseper questo Havel ha riflettu-to spesso sul problema dell'identità e della sua dissoluzio-ne, uno dei temi ricorrentidelle sue pièces, ma anche del-le intense Lettere a Olga chel'editore Santi Quaranta pre-senta nella traduzione diChiara Barbatella. Sono 144missive dirette alla moglie(ne mancano in realtà unaventina escluse o mai arriva-te a destinazione), che risal-gono più o meno a trent’annifa, quando lo scrittore fu rin-chiuso, fra il giugno del 1979e il settembre del 1982, nellecarceri di Hermanice e Plzen-Bory per le sue aperte criti-che verso la «normalizzazio-ne» che il regime di GustavHusák aveva imposto e per ilsuo impegno nel movimentoper i diritti civili «Carta 77».

Olga Splichalova non fusolo l'amore della sua vita,ma la compagna di molte lot-te. Lo sostenne durante i dif-ficili anni in cui Havel ebbetotale divieto di pubblicazio-ne, fondò con lui nel 1972 un

giornale clandestino che dires-se quando il marito fu arresta-to. La futura first lady venera-ta dai suoi connazionali e mor-ta nel 1996 era la sola personaa cui il recluso potesse scrive-re, così come le lettere eranole uniche annotazioni ammes-se fra le pareti del carcere,una minuscola ancora di sal-vezza di fronte alle brutali umi-liazioni quotidiane. Ma con re-gole rigidissime: non più diuna lettera alla settimana cali-brando con cura il contenuto.

Bastava infatti un nonnullaperché lo scritto non superas-se il rigido controllo della cen-sura: una parola straniera, un'espressione maliziosa su coseproibite, la grafia poco leggibi-le. E Havel, come ricorda il suocompagno di detenzione JiríDienstbier, fu il bersaglio pre-ferito di tali persecuzioni. Manon si perse d'animo. Riuscì atrasformare il carcere in unascuola di «auto-consolidamen-to» di se stesso, nella ricercadel suo io più profondo, nellacapacità di imprimere a quelladrammatica esperienza il pro-

prio significato.A distanza di molti anni

queste lettere restano la testi-monianza della «testardaggi-ne» di una coscienza indivi-duale, ben allenata nelle pale-stre del dissenso, che prevalesul perverso spirito del mon-do. Il debole bisbiglio del con-dannato si amplifica in un giu-dizio morale su ogni aberra-zione ideologica e politica.

Certo bisogna leggere frale righe e interpretare ognipiccolo segnale che parla di fe-de e speranza, di nichilismo ememoria dell’Essere, di re-sponsabilità, del radicamentodell’uomo in una prospettivapiù ampia e universale. Laclaustrofobia carceraria si di-lata così in una vera e propriafilosofia e metafisica della vi-ta, che non poco deve al pen-siero di Lévinas (soprattuttonel secondo gruppo di lettere,il «ciclo meditativo» già tra-dotto nel 1983) e in una gran-de riflessione sulla crisi dellaciviltà e del mondo moderno.

Ma al di qua dell’orizzonteteorico che spesso si aggrovi-glia su se stesso, resta lo scrit-tore-psicologo, l'umorista chediscetta sui suoi «quindiciumori», il marito affettuoso eimpaziente che rampogna lasua Olga, la brontolona, per lapigrizia nello scrivere proiet-tandola sull’immaginaria sce-na di una vita che, in quegli an-ni, solo nelle parole trova ade-guata sostanza.

Queste lettere sono la vocedi un naufrago: isolato dalmondo, spedito in un campo dilavoro, esposto ai capricci e aisoprusi degli «educatori» delcarcere. Ma quel piccolo, abi-tuale rito della scrittura setti-manale gli regala una bussolaorientata verso il futuro. Ver-so Olga, la sua tenace e instan-cabile destinataria.

Dio, il gangsterche uccidea sangue freddo

Due generazioni,una cronaca dolente:quando la Storiaincrocia, separa, laceraculture e destini

VICTOR GISCHLER

I poeti assassini= Semplicemente delirante:Anche i poeti uccidono diVictor Gischler (MeridianoZero, pp. 286, € 15) è qualcosadi più del solito incrocio di noir,pulp e horror. Va oltre.Possiede una cadenza cosìossessivamente irreale (eirridente) nel mescolaresangue, vendette, droga,poesia e grilletti facili datravalicare il genere anche arischio di risultare talvoltairritante. Ma il ritmo,sconclusionato e martellante, èdi per sé un pregio. E la scritturanon concede attimi di respiro aun plot che vede protagonistaun Jay Morgan, professore diletteratura inglese all’Universitàdi Eastern Oklahoma, incapaceormai da anni di pubblicareversi degni di tal nome. Eppurequesta dovrebbe essere la suavita. Per di più il corpo nudo diuna studentessa del primoanno, Annie Walsh, vieneritrovato cadavere nel suo letto.Ma non è tutto: il suo futuropiù prossimo, e dunque le suefortune universitarie, sonostrettamente legateall’organizzazione di unreading poetico incentrato suuno studente afroamericanodalla falsa identità: si trattainfatti di un ex spacciatore semianalfabeta in grado di produrreesclusivamente rap primordiali.Aggiungeteci il piccantecontorno composto da: uninvestigatore privato allaricerca non tanto di Annie madi un’occasione per fare soldialla faccia degli interessi del suocliente; un’ingente quantità didroga rubata; un boss spietatoche si aggira con vari killerdall’aspetto selvaggio per imeandri del campus al fine diricuperare quanto gli è statosottratto; un professore chedovrebbe essere in giro per ilmondo e invece se ne starintanato in un sottotetto delcollege a sbevazzare in gransegreto con una pittorescabanda di accoliti. Ed eccoservito un menu davverooriginale e spiazzante.Anche se - ribadiamo - i tonidiventano talvolta fin troppoeccessivi e le scazzottature, lefughe e i colpi di scenaassumono più le sequenze dellapochade che gli arguti tonitarantiniani.A garantire però ulteriorequalità al romanzo è l’ottimatraduzione di Luca Conti, uomodi fiducia per l’Italia di Leonard,Sallis e Crumley. Piero Soria

Né onniscientené misericordioso:una comicità grandiosa,caustica, pure blasfema,uno spinto surrealismo

INOUE E MURAKAMI

Felici ritorni= In contemporanea sonoritornati due libri da anniintrovabili, due «casi»esemplari della narrativagiapponese.Di Inoue Yasushi (1907-1991)Adelphi ha riedito Ricordi dimia madre (pp. 150, € 17),uscito nel 1985 da Spirali conanche il racconto Il cimitero ela frutta di stagione che quimanca. Stessa traduzionedall'originale, riveduta, diLydia Origlia. I «ricordi» sonotre testi autobiograficipubblicati in un decenniosulla rivista Gunzo, dallametà degli Anni Sessanta allametà dei Settanta, poi riunitiin volume con un solo titolo.L'autore - già notosoprattutto per Il fucile dacaccia (Adelphi, 2004) -racconta prima la morte delpadre ottuagenario, poi ilprogressivo decadimentosenile e la scomparsa dellamadre quasi novantenne:una intensa e controllatarielaborazione di luttifamiliari.Di Murakami Haruki Einaudiha mandato in librerial'atteso Nel segno dellapecora (pp. 298, € 19,50),che, nel 1992, era statopubblicato da Longanesinella traduzione dall'inglesedi Anna Rusconi. OraAntonietta Pastore, condivertita partecipazione e conla puntuale precisione disempre, l'ha tradotto dalgiapponese.E' un avvincente romanzonoir. L'autore si misura con ilpassato espansionisticonipponico (servizi segreti,spionaggio, complotti,attentati, traffico di droga edi preziosi, incalcolabiliricchezze di dubbiaprovenienza) e con unpresente dominato da unamisteriosa organizzazione diestrema destra che controllala pubblicità, la politica, lacultura, l'informazione, laburocrazia, lo Stato.Uno svagato pubblicitario ela sua ragazza, una modelladalle splendide orecchie edalle facoltà divinatorie, sonomandati sotto ricatto sullefredde montagnedell'Hokkaido alla ricerca diuna fantomatica pecora. Quiessi penetrano in quegliinquietanti mondi paralleliche caratterizzano l'universopoetico di Murakami. Per lagioia degli appassionati. Angelo Z. Gatti

Havel Lettere alla moglie: quando il futuropresidente-poeta ceco fu costretto in carcere

Il titolo

Noir e pulp

Colei che diverràuna venerata first ladyera la sola personaa cui il reclusopotesse scrivere

La «testardaggine»di una coscienzaindividuale, benallenata nelle palestredel dissenso

Kamila Shamsie, nata in Pakistan nel 1973, vive a Londra

Shamsie Vite bruciate da Nagasakiall’India, dal Pakistan all’Afghanistan

E’ di Hemingwayquesta mia storia

Shalom Auslander (New York, 1970), autore de «Il lamento del prepuzio»

Auslander Una serie di ritratti di Luinel segno dell’umorismo ebraico

La rivoluzionenel nome di Olga

Dal Giappone

David Belbinè noto

soprattuttoper i suoi libri

per ragazzi

Václav Havel con la moglie Olga Splichalova, scomparsa nel 1996

pp Václav Havelp LETTERE A OLGAp trad. di Chiara Barbatellap revisione di F. Mazzariolp Santi Quaranta,pp. 480, € 15

Sono 144 missive dirette alla

moglie che risalgono più o

meno a trent’anni fa, quando

lo scrittore fu rinchiuso, fra il

giugno del 1979 e il settembre

del 1982, nelle carceri di

Hermanice e Plzen-Bory per

le sue aperte critiche verso la

«normalizzazione» che il

regime di Gustav Husák

aveva imposto e per il suo

impegno nel movimento per i

diritti civili «Carta 77».

Havel, nato a Praga nel

1936, è stato presidente della

Repubblica ceca dal 1989 al

2003.

Page 6: Tuttolibri n. 1711 (24-04-2010)

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Controcanto

PAOLADÈCINA LOMBARDI

Giornali di moda o pe-riodici educativi per giovinetteerano apparsi anche da noi findal Settecento ma è negli ultimidecenni dell’Ottocento, nel fer-mento post unitario che si svi-luppa una vera Stampa periodi-ca femminile in Italia, come reci-ta il titolo del «Repertorio1861-2009», uscito in una colla-na della Biblioteca di Storia mo-derna e contemporanea di Bi-blink: un catalogo a cura di dueesperte come Gisella Bochic-chio e Rosanna De Longis.

Già i 1600 titoli fornisconouna prima, interessante rico-gnizione. Oltre ai tentativi perconquistare il ruolo che sul filodella storia le donne hanno avu-to nel processo di modernizza-zione dell’Italia, indicano il rap-porto tra riviste nazionali e ini-ziative locali o di categoria cheproliferano durante il fascismo,

la varietà e vitalità della stam-pa femminile cattolica, i fogli dilotta politica e anche l'evoluzio-ne della stampa commerciale,un fenomeno che tra il 1970 e il1980 diventa ipertrofico, un bu-siness ai cui modelli il neofem-minismo oppone la riflessionedi riviste come DWF, Quotidia-no donna, Memoria, L'Orsa mino-re, Effe.

E’ un capitolo da approfon-dire, ma sapere che nel 1861 aNapoli si pubblica Il diavoletto,e nel 1868 La comare. Giornalet-to quotidiano per le sole femmine,incuriosisce. E sorprende sco-prire che nel 1891, a Roma, l'edi-tore Perino pubblica un Alma-nacco delle serve o che nell’esta-te del 1898, a Palermo, esce Lacameriera. Organo della lotta di

classe fra padrone e serve. Neiquattro numeri conservati all'Istituto Salvemini di Messina siavverte, lontana, l'eco delle tur-bolenze di quell’anno tormentatodalla disoccupazione e dalle rivol-te popolari che nella Sicilia dei Vi-cerè furono più violente per la cri-si delle zolfatare, i raccolti deci-mati dalla filossera e i dazi sulgrano. Con l'obiettivo di far pren-dere coscienza dei propri dirittialle cameriere dei Signori - mag-giore salario, più ore di libertà,cura di sé - si invitavano i Signoriad acquistare il giornale per rega-larlo, o leggerlo, alle cameriere.

Con le sue rubriche su la mo-da di Parigi, la cucina, la monda-nità e il tempo libero, questo sor-prendente «Organo della lotta diclasse» voleva essere formativo.A ispirarlo, furono gli ambientidel socialismo anarchico che sta-vano organizzando società di mu-tuo soccorso anche tra le donnedel sud o qualche circolo di Signo-re illuminate? D’altronde sono lo-ro - aristocratiche, mogli di politi-ci e ricche borghesi - a unirsi a so-cialiste, femministe e rappresen-tanti di impiegate nel ConsiglioNazionale donne italiane per or-ganizzare a Roma, dieci anni do-po, il primo affollatissimo Con-gressocon l’obiettivo di ottenere,con la parità giuridica, il diritto divoto.

In tempi in cui si discutevasulpeso del cervello femminile e PioIX ribadiva la subalternità delladonna nell’Enciclica Pascendi,l’emancipazione è il filo rosso checaratterizza le prime importantiriviste, a cominciare dal settima-nale La donna. Periodico moraleed istruttivo che esce a Venezianel 1868. La sua «Rassegna politi-ca» è di respiro internazionale e

le «Lettere lombarde» discutonodi questione romana, cattolicesi-mo e laicismo, diritto dei popoli ecolonialismo, difesa della pace,questioni sociali e nuove dottri-ne. Le firma Anna Maria Mozzo-ni che nel 1881 presenta la primamozione per il diritto di voto del-le donne. Per quindici anni, Ladonna propone autostima, sobrie-tà, sorellanza, matrimonio d’amo-re e mobilitazioni per il riconosci-mento dei diritti civili.

L'apertura internazionale ca-ratterizza anche il quindicinaleLa donna che esce a Torino nel1905 e, tra alterne vicende, finirànel 1968. Distribuito con La Stam-

pa e La Tribuna di Roma, illustra-to da foto e decori liberty, esaltauna diversa modernità. «Diver-tente e brillante, utile e pratico»,inaugura il femminile di fascia al-ta legato ai consumi e alla piccolaindustria nascente. Massiccia, lapubblicità irrompe infatti tra iracconti di Neera o di Paul Bour-get, le foto di Dive e di automobili-ste, le rubriche di moda e gioielli,floricoltura e animali domestici.Si mostrano le belle case colmedi oggetti e le fabbriche di moda,l’opificio americano con club e bi-blioteca per le operaie e l’esem-plare nido della Manifattura diTabacchi di Chiaravalle. Con spi-rito positivista si criticano «gli oc-cultisti di Porta Palazzo», si dàampio spazio al Congresso del1908 e, un po’ appannata, la ten-

sione per i diritti cede a mondani-tà e «beneficenza».

L’associazionismo cresce e inparte si politicizza o accentua lalinea femminista - come docu-menta L'Almanacco della donnaitaliana, Bemporad, 1922. Già nelnovembre 1920 la Camera avevadeliberato il voto delle donne che,con dei limiti, hanno ottenuto diesercitare le professioni e avereimpieghi pubblici: ma non diven-tò legge. Deluse le attese sul voto,Mussolini coinvolgerà massiccia-mente le donne nella costruzionedel regime come rivelano la Ras-segna femminile Italiana. Bolletti-no ufficiale dei fasci femminili, etante pubblicazioni di propagan-da per sostenere la politica demo-grafica, l’autarchia e l’esterofo-bia, l'industria e l'agricoltura. Ac-canto al modello della madre pro-lifica, della massaia rurale e ditante levatrici, infermiere e mae-stre, c'è quello della Piccola fata,il «quindicinale di novelle e varie-tà», che nel 1932 s’ispira alle divedel cinema, truccate, vestite concura e più tedesche che italiane.Dieci anni dopo insegnerà a utiliz-zare la pelliccia «per inserti e ma-nicotti».

Sarà Noi donne, nato durantela Resistenza e poi divenuto orga-no dell’Unione donne Italiane trail 1945 e il 2000, a raccogliere il te-stimone della stampa femminileimpegnata. Nel frattempo nell’ul-timo mezzo secolo, le donne han-no cominciato a leggere di più e ifemminili si sono moltiplicati. Macome, e quanto, sono davverocambiati?

GIOVANNIDE LUNA

E’ possibile storicizza-re Berlusconi? Osservarlo, cioè,con il distacco e lo scrupolo filo-logico di uno storico del futuroche guardi al nostro presentesenza lasciarsi coinvolgeredallepassioni e dai tumulti che oggi siagitano intorno al presidentedel Consiglio. Prova a farlo - conmolta efficacia, in Berlusconi pas-sato alla storia. L'Italia nell'eradella democrazia autoritaria- An-tonio Gibelli, grande studiosodella prima guerra mondiale ein generale dei conflitti novecen-teschi, confrontando Berlusco-ni con altri capi del governo chesono riusciti a contrassegnareun’epoca (Giolitti e l'età giolittia-na, Crispi e l’età crispina, ecc.) evalutando la possibilità di indivi-duare già da ora quelli che po-trebbero essere definiti i carat-teri originari dell’«età berlusco-niana» così come si è sviluppatadal 1994 fino a oggi.

Gibelli ne indica alcuni di in-dubbio rilievo: la singolarità diun linguaggio mutuato dallosport e dal marketing; un discor-so pubblico consapevolmente in-centrato su un anticomunismoradicato negli strati più profon-

di della società italiana, tanto dapassare intatto anche dopo la fi-ne del regime sovietico e la disin-tegrazione del Pci; l’attenzionea una nuova estetica della politi-ca, a un uso del corpo che, nono-stante la bassa statura e la calvi-zie, si pone in assolta antitesticon l’incorporeità dei leader po-litici della Prima Repubblica (daTogliatti a De Gasperi, da Almi-rante a La Malfa), tutti pronti arifuggire da ogni riferimento al-la propria fisicità; l’investimen-to strategico su un modo di ap-parire rassicurante, («il suo vol-to non comanda e non spaventa,non scruta e non offre protezio-ne, ma si insinua con discrezio-ne e invita a imitarlo facendo,come lui, i propri comodi») se-condo quanto gli aveva consi-gliato - agli inizi della sua carrie-ra politica -, Mike Buongiorno(«sorridi, sorridi sempre»); lagrande importanza accordataalle passioni e alle emozioni delsuo pubblico, con l’«esaltazioneiperbolica dell’egoismo, intesosia in senso positivo promessadi felicità, sia in senso negativodi odio nei confronti dei diversie protezione dalla paura».

C’è da chiedersi, però, quan-ti di questi elementi siano in ef-fetti specifici del «berlusconi-smo» e non appartengano inve-ce a una più generale trasforma-zione della politica che ha inve-stito tutte le democrazie occi-dentali, a partire dalla strari-pante dimensione che i massmedia hanno assunto nel «co-struire» leadership e elettorato,nel plasmare i «luoghi» stessi incui si formano i gruppi dirigentidei nuovi partiti.

Alcuni dei tratti dell’«età ber-lusconiana» sono stati inoltre an-ticipati in Italia già negli Anni 80,prima da Craxi (il vero GiovanniBattista di Berlusconi), poi dallaLega di Umberto Bossi (il ruolodel capo carismatico). Per di più,la fase storica vissuta dal nostroPaese ha già di per se stessaun’assoluta specificità che la ren-de diversa da tutte quelle chel’hanno preceduta; la stabilizza-zione autoritaria dell’Italia libera-le dopo la frattura risorgimentalee lo sviluppo economico del decol-lo industriale che segnarono gliorizzonti dell’età crispina e diquella giolittiana hanno lasciato ilposto oggi all’inedito protagoni-smo dei ceti medi (i veri arteficidella rottura tra prima e secondarepubblica e dei successi di Bossi

e Berlusconi) e al confronto con iventi impetuosi della globalizza-zione (con le sue paure e i suoiflussi di merci, uomini, informa-zioni, capitali).

In questo confronto con il pas-sato, a suscitare qualche inquietu-dine è soprattutto il fatto che l’op-posizione di centro-sinistra sia lapiù sgangherata e meno credibileche questo Paese abbia mai speri-mentato nella storia delle sue isti-tuzioni democratiche. Nel berlu-sconismo si agitano pulsioni auto-ritarie, fremiti di illegalità, insoffe-renze per le regole della democra-zia che vengono da lontano, che siannidarono già nei progetti di Cri-

spi e che affiorarono anche in etàgiolittiana: sempre, però, c’è sta-ta una forte opposizione in gradodi contrastarle nelle piazze e nelleaule parlamentari, almeno fino alcrollo dello Stato liberale sottol’urto di un fascismo che ricorseall'arma estrema della violenzasquadristica.

Oggi, di questi anticorpi, diquesti antidoti in grado di contra-stare le scelte populistiche di Ber-lusconi, se ne scorgono veramen-te pochi e quasi nessuno nel mon-do della politica. Gli stessi ex co-munisti, che con la forza del loropartito furono un argine potentecontro le spinte eversive che affio-rarono nell’Italia democristiana,sono ridotti, nel migliore dei casi,a balbettanti epigoni della stagio-ne togliattiana.

ALESSANDROBARBERO

Per gli uomini del Me-dioevo, una battaglia era ungiudizio di Dio. Nelle loro guer-re le battaglie erano rare. Farela guerra significava entrarenel paese nemico, razziare ilbestiame, bruciare le case, ta-gliare le viti e gli alberi da frut-ta, ammazzare o mutilare chifaceva resistenza, senza distin-guere troppo fra combattentie civili. Ma affrontare una bat-taglia significava mettersi ingioco fino in fondo, accettareche in poche ore Dio mostras-se a tutti chi aveva ragione echi torto; chi perdeva unagrande battaglia spesso perde-va anche la voglia di combatte-re. All'indomani di Legnano, lareazione del Barbarossa nonfu di allestire un altro esercitoe riprovarci, ma di firmare unarmistizio, e avviare i faticosinegoziati che sette anni doposi sarebbero tradotti nella pa-ce di Costanza.

Famosissima, la battagliadi Legnano è in realtà poco co-nosciuta. Prima di questo li-bro di Paolo Grillo, è stata sog-getto di romanzi, opere lirichee polpettoni cinematografici,assai più che di ricerche stori-che serie: non c'è da stupirsise quasi tutto quello che crede-vamo di sapere si rivela unaleggenda. Il giuramento diPontida c'è forse stato davve-ro, ma che sia avvenuto in quelluogo è un'invenzione più tar-da; Alberto da Giussano e laCompagnia della Morte sonotrovate dei cronisti lombarditrecenteschi, ansiosi di colori-re un evento che già ai lorotempi appariva antichissimo edi cui si sapeva ben poco; e letruppe lombarde, che l'icono-grafia risorgimentale raffigu-ra come un manipolo strettoin disperata difesa attorno alCarroccio, in realtà erano

enormemente più numerose diquelle dell’imperatore.

Nel libro la battaglia occupaun solo capitolo, ma ci si arrivaavendo già imparato moltissi-mo su che cosa voleva dire aquei tempi mettere in campo unesercito, cosa si poteva fare conla tecnologia disponibile all'epo-ca, e perfino cosa pensavano esentivano i combattenti e i civilicoinvolti nel dramma. Una pa-ziente ricerca ha permesso aGrillo di trovare documenti incui parlano in prima persona icontadini dei luoghi attraversa-ti dalle truppe: questa capacitàdi far parlare gli uomini, insie-me all'abilità di far capire al let-tore che cosa cercavano di fare i

comandanti e perché prendeva-no certe decisioni, fa del librouno dei rari tentativi riusciti diapplicare al Medioevo i criteridella new military history.

Non per caso si combatté aLegnano, ma perché Federicostava cercando di fare qualcosadi molto preciso - riunire i 2000cavalieri che l'avevano raggiun-to dalla Germania grazie a unaspettacolare marcia forzata conquelli degli alleati italiani, perpoi assediare Alessandria conuna forza così poderosa che nes-suno avrebbe potuto fermarlo -e i suoi nemici stavano cercandodi impedirglielo: che è poi la defi-nizione di quello che capita di so-lito in guerra. L'evento confuso,brutale, irrazionale della batta-glia, il cui esito fu appeso a un fi-lo, acquista tutto il suo sensouna volta collocato in questocontesto.

Ma al di là dell’evento, la que-

stione storica cruciale è se vin-cendo a Legnano l'imperatoreavrebbe potuto cambiare la sto-ria d'Italia, trasformando anchela Penisola in un regno unitariocome stavano facendo con suc-cesso i suoi colleghi in altre zoned'Europa. La risposta di Grillo èche era troppo tardi, perchél'Italia era già andata troppoavanti su una strada diversa.

Il tentativo del Barbarossadi costruire un regno era statostravolto fin dall’inizio dalla resi-stenza dei Comuni, dalla neces-sità di usare la forza, dall’impie-go di personale straniero. Per dipiù, l'uomo che tentava di farsiobbedire in quanto re d'Italia fa-ticava a riuscirci anche nel natìoregno di Germania. Rispetto amonarchie già solidamente or-ganizzate come l'Inghilterra, laSicilia o la Francia, o rispetto al-la straordinaria macchina am-ministrativa capeggiata dai pa-pi, l'imperatore era al vertice diun'amministrazione debole, pri-va di una capitale, incapace di in-ventariare le proprie risorse, co-stretta a trasportare perfino iltesoro su e giù per l'Europa alseguito di un imperatore itine-rante. La prestigiosa cancelle-ria imperiale produsse e conser-vò lungo tutto il regno del Bar-barossa appena un migliaio diatti, mentre nello stesso periodola cancelleria papale ne produ-ceva diecimila.

E' vero, insomma, che la vit-toria dei Comuni sul Barbaros-sa sancì per l'Italia un futuro dipiccoli stati rivali fra loro, men-tre altri paesi d'Europa si stava-no strutturando in monarchienazionali; ma può darsi che quel-l’esito fosse già inevitabile quan-do il Barbarossa si affacciò perla prima volta al Brennero.

pp LA STAMPA PERIODICAFEMMINILE IN ITALIAp a cura di G. Bochicchio e R. De Longisp biblink (www.biblink.it),pp.218,€ 30

pp Antonio Gibellip BERLUSCONI PASSATO

ALLA STORIA. L'Italia nell'eradella democrazia autoritariap Donzelli, pp. 122, € 12,50

Paralleli Da Crispi e Giolitti a Craxi,radici e identità di un’epoca politica

Berlusconi:non solo sorrisie marketing

pp Paolo Grillop LEGNANO 1176

Una battaglia per la libertàp Laterza, pp. XVIII - 242, € 18

Dalla «Cameriera»,organo della lottadi classe fra padronee serve, alle «Fate»dei telefoni bianchi

MAURIZIO MAGGIANI

IL FUMETTO:L’ULTIMOPAZ, PRESENTATODA SAVIANO

Astarte, il cane di Annibale= E' veramente una bella storia quella di Astarte, ilgrande cane del condottiero africano Annibaleimmaginato da Andrea Pazienza per il suo ultimo,affascinante, racconto, rimasto purtroppo incompiutoper la morte dell'autore nel giugno del 1988. Paz disegnail molosso enorme, nero e cieco da un occhio, scrivendoche gli è apparso in sogno una notte per narrargli la suavita di battaglie e fedeltà nell'esercito cartaginese alfianco del suo Annibale, sino alla grande battaglia nellapiana del Rodano. Un racconto incalzante, duro eppuresentimentale, che sottolinea la passione di Paz per la

natura e per la storia. «Nei primi mesi del 1988 legge labiografia di Annibale scritta dal bravo Gianni Granzotto -scrive Marina Comandini Pazienza - e si innamora delpersonaggio, un condottiero più meridionale di lui chetiene a lungo in scacco il potere romano». La storia è statapubblicata più volte, anche con una prefazione diBeniamino Placido, tuttavia l'attuale Astarte (Fandangolibri, pp. 103, € 20) è l'edizione più convincente nel suoformato rettangolare che esalta il segno e lacomposizione di Pazienza, qui davvero ai massimi livelli. Ilvolume ha la prefazione di Roberto Saviano che annota:«Storia di Astarte rimane un'opera d'arte. Un connubioperfetto ed equilibrato tra parole e immagini a sancire lagrandezza di un intellettuale del nostro tempo». Un

sogno, certo, contrappuntato però dalle pagine di storiadi Tito Livio, Cornelio Nepote, Polibio e Plutarco, concartine e fotografie a rendere plausibile l'immaginario diPazienza. Del quale resta celebre, tra l'altro, la definizionedel fumetto che è «evasione, è sempre evasione, deveessere evasione, del resto la parola evasione è unabellissima parola: evadere è sempre bello, la cosa piùsaggia da fare… poi se c'è qualcos'altro, ben venga!».Astarte ci porta nel suo mondo di battaglie forse perevadere dalla quotidianità, oppure per sottolinearla nellasua crudele routine, fuggendo nel sogno di un molossoaffabulatore? La risposta di Paz, quell'ultima pagina delracconto, si è persa nel vento… Alberto Gedda

Dai modelli del regimefascista (tra massaierurali e levatrici)alle lotte di «Noi donne»organo dell’Udi

La Resistenza è dignità UN’ALTRA ITALIA

Vista da RevelliLe metamorfosi d’Italia scrutate eraccontate da Marco Revelli,scienziato della politica, che ha direcente curato il Meridiano dedicatoa Norberto Bobbio. PerChiarelettere fa il Controcanto (pp.269, € 13,60) all’Italia, segnata dallafine dell’umanesimo sociale, dallasecessione morale, dalle retorichedisumane, dalla segregazionerazziale. Un’antologia ragionata diarticoli, per quotidiani e riviste, percercare «un brandello in più di senso,se non di speranza». Fra la«liquefazione istituzionale» checontraddistingue il berlusconismo e«il melodramma della sinistra» che,consapevole o meno, lo riecheggia.Sullo sfondo, le cerimonie degliaddii, il venir meno di una certa Italia,dai ceti produttivi quali siriflettevano nell’Avvocatoall’aristocrazia operaia. L’estremoinvito a opporre un Gran Rifiutodello stato presente: rifiuto esteticoe etico, prima ancora che politico.

I TESORIDEL BIBLIOFILO

Rimbaud, ma quanto mi costi!= Notizia clamorosa, allora. Due librai pariginihannoindividuato la fisionomiadi Rimbaud in una fotografia digrupposcattata ad Aden attornoagli Anni 80dell’Ottocento.Nella fissità di quell’immagine,preso perbuono il riconoscimento (gli altri sei chi saranno?), l'ariaperplessae assente dell’ex ragazzo dalle suole di vento,guardachi guarda.È diventato veramentealtro da sé. Harealizzato il proprio ideale, espresso quand’era il «fanciulloprodigio» tra letterati maudit: «Voi non potrete capire e iononposso spiegare: IO è un altro». Già nel 1998 si era avutoun analogo riconoscimento.Ancheallora una fotografia di

gruppo. In posa tra cinque esploratori a Sheikh-Othman,eccolo il nostro fuggitivo. La medesimaaria perplessa di chisi trovi a passare da quelleparti per caso. Con gli occhi cheesprimonouna domanda: che ci faccio io qui? A ogni buonconto,Rimbaud veritableo Rimbaud supposto, il mito nonsi incrina, né subisce l'usuradel tempo.Lo dimostrerebbeanche l'attenzione dell’editoria italianache negli ultimi mesi ha pubblicatoalcune opere: EdmundWhite,Ladoppiavita di Rimbaud (minimumfax), unaraffinata biografia; YvesBonnefoy,Rimbaud, speranzaelucidità (Donzelli) testimonianzadi inesausta fedeltà e,ancora oggi,di un «bisognodi Rimbaud», in letteratura enella vita; L'ultimoviaggio dimio fratelloArthur, paginedal diario di IsabelleRimbaud, edite da Via del vento, nella

microcollanaOcra gialla: una dolentissimacronacadegliultimi giornidel transfugaall'ospedale della ConceptionaMarsigliadove, a 37 anni, morì il 10 novembre1891.Se neandò ignorandod'essere un celebratopoeta. Verlaineaveva reso nota la sua opera. La leggenda di Rimbaud stavadilagando.E iniziò la cacciaai «cimeli».L' edizione di Une saison en Enfer, stampata a Bruxelles nel1873, esile libretto di 54 pagine, se lo si riesce a rintracciare,haun prezzo che dovrebbe aggirarsi sui 6 mila euro. Salvorichiestad'affezione.Una lettera autografa dall'Harar - sonorarissime: la maggiorparte è ormai custodita in bibliotechepubbliche - non meno di 25/30 mila euro. Conbattaglied'astaal calor bianco. GiuseppeMarcenaro

della vita. Per il resto, l'unico epi-sodio di cui l'ho mai sentito van-tarsi più volte è stato un miticoviaggio di tre notti, a piedi e disar-mato, per trovare da mangiare asé e ai suoi compagni libertari;era arrivato fin quasi a Parma edera tornato con due sacchi di risoin spalla: per tutto il viaggio nonne aveva toccato neppure unchicco, anche se era quasi certoche sarebbe mortodi fame primadi arrivare. Non ho mai sentitoparlare con entusiasmo né lui néaltri di battaglie e ammazzamen-ti, e quando è accaduto ho sem-pre avvertito insensatezza, rin-crescimento e persino della ver-gogna. Parlavano di chi era mor-

to abbassando la voce e guardandoa terra, si fosse trattato di un com-pagnoo di un brigatanera.

Del resto, se mio padre avesseavuto voglia di fare lo sbruffone,ci avrebbe pensato mia madre afargli abbassare la cresta. Per tut-to il tempo che è vissuta, ha conti-

nuato a rinfacciargli di averle fat-to passare una volta il fronte condelle bombe a mano nascoste nel-la sacca del granturco da macina-re. Senza dirle niente, come se lavita della sua fidanzata non vales-se da sola tutta quanta la dignità

del suo uomo.Mia nonna, per altro, mi ha

raccontato più volte del sottuffi-ciale tedesco che dormiva in unastanza requisita della casa, di co-me fosse un brav'uomo che divide-va le sue patate con loro, di comepiangesse ogni volta che faceva ve-dere la fotografia dei suoi figli.Mia nonna ha nascosto quell'uo-mo ai suoi figli a guerra ormai fini-ta, per paura che lo uccidessero, el'ha portato lei stessa ad arrender-si agli inglesi. Lei, la moglie delsovversivo Garibà, la madre dei ri-voltosi; lei, che era andata con uncoltello in mano a chiedere alleBrigate Nere di darle da benediree seppellire il corpo del fratello fu-cilato.

So anche di mio padre e deisuoi compagni, perché altri e nonlui me lo hanno detto, che non sce-sero dalla montagna proprio il 25

aprile, ma un po' di giorni dopo. Ilfatto è che volevano essere sicuri,sicurissimi, che le cose si eranomesse nel modo giusto, nel mododella dignità, della dignità per tut-ti e per ciascuno. E so che non ser-virono le rassicurazioni di un fa-moso e rispettato comandantepartigiano, e nemmeno le ossutepressioni del questore appena no-minato, ma scesero perché anda-rono a prenderli le loro donne. Ve-nì adè o ne farve pù vedere. Veniteora o non fatevi più vedere, ha in-timato mia nonna ai suoi, gridan-dolo alla bocca della cava di mar-mo dove erano accampati.

Poi, nel corso degli anni ho let-to e studiato, e visto e ascoltatomolte altre cose e persone, e soche la Resistenza non è stata soloquesta, che ha avuto ben altro pen-siero per sé, e complessità, e ric-chezza di intenti. Ma quando mi

imbatto nel seccume di una me-moria ossificata nei cippi e nelletarghe, nello sfasciume di una sto-ria consumata nei manifesti di ri-correnza e nei discorsi di circo-stanza, allora io so che, pur ristret-te che potessero essere, le vicendedella casa sulla Linea Gotica e deisuoi uomini e delle sue donne, so-no ancora vita, come viva è la di-gnità, quer che se ciama, che le hagenerate e ne ha fatto racconto.

Per questa ragione, ogni voltache vado in una scuola, e mi capita

spesso perché me ne son fatto unapassione, a parlare intorno alla Li-berazione dell'Italia dal nazifasci-smo, continuo a raccontare ciòche mi è stato raccontato. Perchénon si estingua quel sentimento divita e dignità, così semplice, così

naturale, così necessario, che puòessere raccolto da chiunque, gene-razione dopo generazione. E cer-co così di rendere giustizia di altriragazzi, perché mio padre e i suoicompagni erano solo dei ragazzi,che, semplicemente, si sono cari-cati il peso della loro vita e della lo-ro dignità quando la storia degliuomini li ha messi di fronte a quelpeso e al quel privilegio.

E per questa ragione, con gransgomento dei professori, non pro-pongo di leggere i romanzi di Cal-vino, di Cassola, di Fenoglio, chesono belli e importanti, ma asso-migliano troppo alla letteratura, edentro la letteratura cova sempreun di più, un di più che è ideologia,e l'ideologia è il fossile della vita.Ma gli metto davanti le Lettere deicondannati a morte. E vedo chefunziona, sempre. Vedo che nelleLettere i ragazzi scoprono quantavita e quanta verità ci fosse in que-gli uomini che stavano morendo,quanta semplicità e quanto assolu-to. Quel genere di assoluto che lo-ro comprendono bene perché locovano nel loro cuore.

Storia e societàVITuttolibri

SABATO 24 APRILE 2010LA STAMPA VII

Stampa femminile Dal 1861 al 2009, in un catalogo con 1600 titoli: dalla subalternità all’emancipazione,un cammino nel solco della modernità, fino al diritto di voto, alla parità giuridica, al neo femminismo

p

Legnano La battaglia del 1176 sanciràun futuro di piccoli stati rivali fra loro

Una delle 1600 testate nel catalogo curato da Gisella Bochicchio e Rosanna De Longis

Segue da pag. I

L’Italia disunitacontro Barbarossa

«La battaglia di Legnano» (1860-70) di Amos Cassioli , ora a Firenze (GAM, Palazzo Pitti)

La foto ritrovata di Rimbaud

Donne passate in rivista

«Né gesti eroiciné eventi eccezionali,ma fare tutti i giorniquel che va fatto:ecco la mia gente»

«Parlare dei mortiabbassando la vocee guardando a terra,fosse un compagnoo un brigata nera»

Berlusconi leader massimo del potere mediatico

Il cane Astarte disegnato da Paz

Paolo Grillo smascherala leggenda: da Albertoda Giussano a Pontidaalle forze accorsein difesa del Carroccio

La tesi di Gibelli:un’era di «democraziaautoritaria», decisivoil ruolo dei media nellacostruzione dei leader

Mai come oggile nostre istituzionidemocratiche hannoavuto un’opposizionecosì sgangherata

Page 7: Tuttolibri n. 1711 (24-04-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - VII - 24/04/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/06 - Autore: MARGAL - Ora di stampa: 23/04/10 19.36

Controcanto

PAOLADÈCINA LOMBARDI

Giornali di moda o pe-riodici educativi per giovinetteerano apparsi anche da noi findal Settecento ma è negli ultimidecenni dell’Ottocento, nel fer-mento post unitario che si svi-luppa una vera Stampa periodi-ca femminile in Italia, come reci-ta il titolo del «Repertorio1861-2009», uscito in una colla-na della Biblioteca di Storia mo-derna e contemporanea di Bi-blink: un catalogo a cura di dueesperte come Gisella Bochic-chio e Rosanna De Longis.

Già i 1600 titoli fornisconouna prima, interessante rico-gnizione. Oltre ai tentativi perconquistare il ruolo che sul filodella storia le donne hanno avu-to nel processo di modernizza-zione dell’Italia, indicano il rap-porto tra riviste nazionali e ini-ziative locali o di categoria cheproliferano durante il fascismo,

la varietà e vitalità della stam-pa femminile cattolica, i fogli dilotta politica e anche l'evoluzio-ne della stampa commerciale,un fenomeno che tra il 1970 e il1980 diventa ipertrofico, un bu-siness ai cui modelli il neofem-minismo oppone la riflessionedi riviste come DWF, Quotidia-no donna, Memoria, L'Orsa mino-re, Effe.

E’ un capitolo da approfon-dire, ma sapere che nel 1861 aNapoli si pubblica Il diavoletto,e nel 1868 La comare. Giornalet-to quotidiano per le sole femmine,incuriosisce. E sorprende sco-prire che nel 1891, a Roma, l'edi-tore Perino pubblica un Alma-nacco delle serve o che nell’esta-te del 1898, a Palermo, esce Lacameriera. Organo della lotta di

classe fra padrone e serve. Neiquattro numeri conservati all'Istituto Salvemini di Messina siavverte, lontana, l'eco delle tur-bolenze di quell’anno tormentatodalla disoccupazione e dalle rivol-te popolari che nella Sicilia dei Vi-cerè furono più violente per la cri-si delle zolfatare, i raccolti deci-mati dalla filossera e i dazi sulgrano. Con l'obiettivo di far pren-dere coscienza dei propri dirittialle cameriere dei Signori - mag-giore salario, più ore di libertà,cura di sé - si invitavano i Signoriad acquistare il giornale per rega-larlo, o leggerlo, alle cameriere.

Con le sue rubriche su la mo-da di Parigi, la cucina, la monda-nità e il tempo libero, questo sor-prendente «Organo della lotta diclasse» voleva essere formativo.A ispirarlo, furono gli ambientidel socialismo anarchico che sta-vano organizzando società di mu-tuo soccorso anche tra le donnedel sud o qualche circolo di Signo-re illuminate? D’altronde sono lo-ro - aristocratiche, mogli di politi-ci e ricche borghesi - a unirsi a so-cialiste, femministe e rappresen-tanti di impiegate nel ConsiglioNazionale donne italiane per or-ganizzare a Roma, dieci anni do-po, il primo affollatissimo Con-gressocon l’obiettivo di ottenere,con la parità giuridica, il diritto divoto.

In tempi in cui si discutevasulpeso del cervello femminile e PioIX ribadiva la subalternità delladonna nell’Enciclica Pascendi,l’emancipazione è il filo rosso checaratterizza le prime importantiriviste, a cominciare dal settima-nale La donna. Periodico moraleed istruttivo che esce a Venezianel 1868. La sua «Rassegna politi-ca» è di respiro internazionale e

le «Lettere lombarde» discutonodi questione romana, cattolicesi-mo e laicismo, diritto dei popoli ecolonialismo, difesa della pace,questioni sociali e nuove dottri-ne. Le firma Anna Maria Mozzo-ni che nel 1881 presenta la primamozione per il diritto di voto del-le donne. Per quindici anni, Ladonna propone autostima, sobrie-tà, sorellanza, matrimonio d’amo-re e mobilitazioni per il riconosci-mento dei diritti civili.

L'apertura internazionale ca-ratterizza anche il quindicinaleLa donna che esce a Torino nel1905 e, tra alterne vicende, finirànel 1968. Distribuito con La Stam-

pa e La Tribuna di Roma, illustra-to da foto e decori liberty, esaltauna diversa modernità. «Diver-tente e brillante, utile e pratico»,inaugura il femminile di fascia al-ta legato ai consumi e alla piccolaindustria nascente. Massiccia, lapubblicità irrompe infatti tra iracconti di Neera o di Paul Bour-get, le foto di Dive e di automobili-ste, le rubriche di moda e gioielli,floricoltura e animali domestici.Si mostrano le belle case colmedi oggetti e le fabbriche di moda,l’opificio americano con club e bi-blioteca per le operaie e l’esem-plare nido della Manifattura diTabacchi di Chiaravalle. Con spi-rito positivista si criticano «gli oc-cultisti di Porta Palazzo», si dàampio spazio al Congresso del1908 e, un po’ appannata, la ten-

sione per i diritti cede a mondani-tà e «beneficenza».

L’associazionismo cresce e inparte si politicizza o accentua lalinea femminista - come docu-menta L'Almanacco della donnaitaliana, Bemporad, 1922. Già nelnovembre 1920 la Camera avevadeliberato il voto delle donne che,con dei limiti, hanno ottenuto diesercitare le professioni e avereimpieghi pubblici: ma non diven-tò legge. Deluse le attese sul voto,Mussolini coinvolgerà massiccia-mente le donne nella costruzionedel regime come rivelano la Ras-segna femminile Italiana. Bolletti-no ufficiale dei fasci femminili, etante pubblicazioni di propagan-da per sostenere la politica demo-grafica, l’autarchia e l’esterofo-bia, l'industria e l'agricoltura. Ac-canto al modello della madre pro-lifica, della massaia rurale e ditante levatrici, infermiere e mae-stre, c'è quello della Piccola fata,il «quindicinale di novelle e varie-tà», che nel 1932 s’ispira alle divedel cinema, truccate, vestite concura e più tedesche che italiane.Dieci anni dopo insegnerà a utiliz-zare la pelliccia «per inserti e ma-nicotti».

Sarà Noi donne, nato durantela Resistenza e poi divenuto orga-no dell’Unione donne Italiane trail 1945 e il 2000, a raccogliere il te-stimone della stampa femminileimpegnata. Nel frattempo nell’ul-timo mezzo secolo, le donne han-no cominciato a leggere di più e ifemminili si sono moltiplicati. Macome, e quanto, sono davverocambiati?

GIOVANNIDE LUNA

E’ possibile storicizza-re Berlusconi? Osservarlo, cioè,con il distacco e lo scrupolo filo-logico di uno storico del futuroche guardi al nostro presentesenza lasciarsi coinvolgeredallepassioni e dai tumulti che oggi siagitano intorno al presidentedel Consiglio. Prova a farlo - conmolta efficacia, in Berlusconi pas-sato alla storia. L'Italia nell'eradella democrazia autoritaria- An-tonio Gibelli, grande studiosodella prima guerra mondiale ein generale dei conflitti novecen-teschi, confrontando Berlusco-ni con altri capi del governo chesono riusciti a contrassegnareun’epoca (Giolitti e l'età giolittia-na, Crispi e l’età crispina, ecc.) evalutando la possibilità di indivi-duare già da ora quelli che po-trebbero essere definiti i carat-teri originari dell’«età berlusco-niana» così come si è sviluppatadal 1994 fino a oggi.

Gibelli ne indica alcuni di in-dubbio rilievo: la singolarità diun linguaggio mutuato dallosport e dal marketing; un discor-so pubblico consapevolmente in-centrato su un anticomunismoradicato negli strati più profon-

di della società italiana, tanto dapassare intatto anche dopo la fi-ne del regime sovietico e la disin-tegrazione del Pci; l’attenzionea una nuova estetica della politi-ca, a un uso del corpo che, nono-stante la bassa statura e la calvi-zie, si pone in assolta antitesticon l’incorporeità dei leader po-litici della Prima Repubblica (daTogliatti a De Gasperi, da Almi-rante a La Malfa), tutti pronti arifuggire da ogni riferimento al-la propria fisicità; l’investimen-to strategico su un modo di ap-parire rassicurante, («il suo vol-to non comanda e non spaventa,non scruta e non offre protezio-ne, ma si insinua con discrezio-ne e invita a imitarlo facendo,come lui, i propri comodi») se-condo quanto gli aveva consi-gliato - agli inizi della sua carrie-ra politica -, Mike Buongiorno(«sorridi, sorridi sempre»); lagrande importanza accordataalle passioni e alle emozioni delsuo pubblico, con l’«esaltazioneiperbolica dell’egoismo, intesosia in senso positivo promessadi felicità, sia in senso negativodi odio nei confronti dei diversie protezione dalla paura».

C’è da chiedersi, però, quan-ti di questi elementi siano in ef-fetti specifici del «berlusconi-smo» e non appartengano inve-ce a una più generale trasforma-zione della politica che ha inve-stito tutte le democrazie occi-dentali, a partire dalla strari-pante dimensione che i massmedia hanno assunto nel «co-struire» leadership e elettorato,nel plasmare i «luoghi» stessi incui si formano i gruppi dirigentidei nuovi partiti.

Alcuni dei tratti dell’«età ber-lusconiana» sono stati inoltre an-ticipati in Italia già negli Anni 80,prima da Craxi (il vero GiovanniBattista di Berlusconi), poi dallaLega di Umberto Bossi (il ruolodel capo carismatico). Per di più,la fase storica vissuta dal nostroPaese ha già di per se stessaun’assoluta specificità che la ren-de diversa da tutte quelle chel’hanno preceduta; la stabilizza-zione autoritaria dell’Italia libera-le dopo la frattura risorgimentalee lo sviluppo economico del decol-lo industriale che segnarono gliorizzonti dell’età crispina e diquella giolittiana hanno lasciato ilposto oggi all’inedito protagoni-smo dei ceti medi (i veri arteficidella rottura tra prima e secondarepubblica e dei successi di Bossi

e Berlusconi) e al confronto con iventi impetuosi della globalizza-zione (con le sue paure e i suoiflussi di merci, uomini, informa-zioni, capitali).

In questo confronto con il pas-sato, a suscitare qualche inquietu-dine è soprattutto il fatto che l’op-posizione di centro-sinistra sia lapiù sgangherata e meno credibileche questo Paese abbia mai speri-mentato nella storia delle sue isti-tuzioni democratiche. Nel berlu-sconismo si agitano pulsioni auto-ritarie, fremiti di illegalità, insoffe-renze per le regole della democra-zia che vengono da lontano, che siannidarono già nei progetti di Cri-

spi e che affiorarono anche in etàgiolittiana: sempre, però, c’è sta-ta una forte opposizione in gradodi contrastarle nelle piazze e nelleaule parlamentari, almeno fino alcrollo dello Stato liberale sottol’urto di un fascismo che ricorseall'arma estrema della violenzasquadristica.

Oggi, di questi anticorpi, diquesti antidoti in grado di contra-stare le scelte populistiche di Ber-lusconi, se ne scorgono veramen-te pochi e quasi nessuno nel mon-do della politica. Gli stessi ex co-munisti, che con la forza del loropartito furono un argine potentecontro le spinte eversive che affio-rarono nell’Italia democristiana,sono ridotti, nel migliore dei casi,a balbettanti epigoni della stagio-ne togliattiana.

ALESSANDROBARBERO

Per gli uomini del Me-dioevo, una battaglia era ungiudizio di Dio. Nelle loro guer-re le battaglie erano rare. Farela guerra significava entrarenel paese nemico, razziare ilbestiame, bruciare le case, ta-gliare le viti e gli alberi da frut-ta, ammazzare o mutilare chifaceva resistenza, senza distin-guere troppo fra combattentie civili. Ma affrontare una bat-taglia significava mettersi ingioco fino in fondo, accettareche in poche ore Dio mostras-se a tutti chi aveva ragione echi torto; chi perdeva unagrande battaglia spesso perde-va anche la voglia di combatte-re. All'indomani di Legnano, lareazione del Barbarossa nonfu di allestire un altro esercitoe riprovarci, ma di firmare unarmistizio, e avviare i faticosinegoziati che sette anni doposi sarebbero tradotti nella pa-ce di Costanza.

Famosissima, la battagliadi Legnano è in realtà poco co-nosciuta. Prima di questo li-bro di Paolo Grillo, è stata sog-getto di romanzi, opere lirichee polpettoni cinematografici,assai più che di ricerche stori-che serie: non c'è da stupirsise quasi tutto quello che crede-vamo di sapere si rivela unaleggenda. Il giuramento diPontida c'è forse stato davve-ro, ma che sia avvenuto in quelluogo è un'invenzione più tar-da; Alberto da Giussano e laCompagnia della Morte sonotrovate dei cronisti lombarditrecenteschi, ansiosi di colori-re un evento che già ai lorotempi appariva antichissimo edi cui si sapeva ben poco; e letruppe lombarde, che l'icono-grafia risorgimentale raffigu-ra come un manipolo strettoin disperata difesa attorno alCarroccio, in realtà erano

enormemente più numerose diquelle dell’imperatore.

Nel libro la battaglia occupaun solo capitolo, ma ci si arrivaavendo già imparato moltissi-mo su che cosa voleva dire aquei tempi mettere in campo unesercito, cosa si poteva fare conla tecnologia disponibile all'epo-ca, e perfino cosa pensavano esentivano i combattenti e i civilicoinvolti nel dramma. Una pa-ziente ricerca ha permesso aGrillo di trovare documenti incui parlano in prima persona icontadini dei luoghi attraversa-ti dalle truppe: questa capacitàdi far parlare gli uomini, insie-me all'abilità di far capire al let-tore che cosa cercavano di fare i

comandanti e perché prendeva-no certe decisioni, fa del librouno dei rari tentativi riusciti diapplicare al Medioevo i criteridella new military history.

Non per caso si combatté aLegnano, ma perché Federicostava cercando di fare qualcosadi molto preciso - riunire i 2000cavalieri che l'avevano raggiun-to dalla Germania grazie a unaspettacolare marcia forzata conquelli degli alleati italiani, perpoi assediare Alessandria conuna forza così poderosa che nes-suno avrebbe potuto fermarlo -e i suoi nemici stavano cercandodi impedirglielo: che è poi la defi-nizione di quello che capita di so-lito in guerra. L'evento confuso,brutale, irrazionale della batta-glia, il cui esito fu appeso a un fi-lo, acquista tutto il suo sensouna volta collocato in questocontesto.

Ma al di là dell’evento, la que-

stione storica cruciale è se vin-cendo a Legnano l'imperatoreavrebbe potuto cambiare la sto-ria d'Italia, trasformando anchela Penisola in un regno unitariocome stavano facendo con suc-cesso i suoi colleghi in altre zoned'Europa. La risposta di Grillo èche era troppo tardi, perchél'Italia era già andata troppoavanti su una strada diversa.

Il tentativo del Barbarossadi costruire un regno era statostravolto fin dall’inizio dalla resi-stenza dei Comuni, dalla neces-sità di usare la forza, dall’impie-go di personale straniero. Per dipiù, l'uomo che tentava di farsiobbedire in quanto re d'Italia fa-ticava a riuscirci anche nel natìoregno di Germania. Rispetto amonarchie già solidamente or-ganizzate come l'Inghilterra, laSicilia o la Francia, o rispetto al-la straordinaria macchina am-ministrativa capeggiata dai pa-pi, l'imperatore era al vertice diun'amministrazione debole, pri-va di una capitale, incapace di in-ventariare le proprie risorse, co-stretta a trasportare perfino iltesoro su e giù per l'Europa alseguito di un imperatore itine-rante. La prestigiosa cancelle-ria imperiale produsse e conser-vò lungo tutto il regno del Bar-barossa appena un migliaio diatti, mentre nello stesso periodola cancelleria papale ne produ-ceva diecimila.

E' vero, insomma, che la vit-toria dei Comuni sul Barbaros-sa sancì per l'Italia un futuro dipiccoli stati rivali fra loro, men-tre altri paesi d'Europa si stava-no strutturando in monarchienazionali; ma può darsi che quel-l’esito fosse già inevitabile quan-do il Barbarossa si affacciò perla prima volta al Brennero.

pp LA STAMPA PERIODICAFEMMINILE IN ITALIAp a cura di G. Bochicchio e R. De Longisp biblink (www.biblink.it),pp.218,€ 30

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Paralleli Da Crispi e Giolitti a Craxi,radici e identità di un’epoca politica

Berlusconi:non solo sorrisie marketing

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Dalla «Cameriera»,organo della lottadi classe fra padronee serve, alle «Fate»dei telefoni bianchi

MAURIZIO MAGGIANI

IL FUMETTO:L’ULTIMOPAZ, PRESENTATODA SAVIANO

Astarte, il cane di Annibale= E' veramente una bella storia quella di Astarte, ilgrande cane del condottiero africano Annibaleimmaginato da Andrea Pazienza per il suo ultimo,affascinante, racconto, rimasto purtroppo incompiutoper la morte dell'autore nel giugno del 1988. Paz disegnail molosso enorme, nero e cieco da un occhio, scrivendoche gli è apparso in sogno una notte per narrargli la suavita di battaglie e fedeltà nell'esercito cartaginese alfianco del suo Annibale, sino alla grande battaglia nellapiana del Rodano. Un racconto incalzante, duro eppuresentimentale, che sottolinea la passione di Paz per la

natura e per la storia. «Nei primi mesi del 1988 legge labiografia di Annibale scritta dal bravo Gianni Granzotto -scrive Marina Comandini Pazienza - e si innamora delpersonaggio, un condottiero più meridionale di lui chetiene a lungo in scacco il potere romano». La storia è statapubblicata più volte, anche con una prefazione diBeniamino Placido, tuttavia l'attuale Astarte (Fandangolibri, pp. 103, € 20) è l'edizione più convincente nel suoformato rettangolare che esalta il segno e lacomposizione di Pazienza, qui davvero ai massimi livelli. Ilvolume ha la prefazione di Roberto Saviano che annota:«Storia di Astarte rimane un'opera d'arte. Un connubioperfetto ed equilibrato tra parole e immagini a sancire lagrandezza di un intellettuale del nostro tempo». Un

sogno, certo, contrappuntato però dalle pagine di storiadi Tito Livio, Cornelio Nepote, Polibio e Plutarco, concartine e fotografie a rendere plausibile l'immaginario diPazienza. Del quale resta celebre, tra l'altro, la definizionedel fumetto che è «evasione, è sempre evasione, deveessere evasione, del resto la parola evasione è unabellissima parola: evadere è sempre bello, la cosa piùsaggia da fare… poi se c'è qualcos'altro, ben venga!».Astarte ci porta nel suo mondo di battaglie forse perevadere dalla quotidianità, oppure per sottolinearla nellasua crudele routine, fuggendo nel sogno di un molossoaffabulatore? La risposta di Paz, quell'ultima pagina delracconto, si è persa nel vento… Alberto Gedda

Dai modelli del regimefascista (tra massaierurali e levatrici)alle lotte di «Noi donne»organo dell’Udi

La Resistenza è dignità UN’ALTRA ITALIA

Vista da RevelliLe metamorfosi d’Italia scrutate eraccontate da Marco Revelli,scienziato della politica, che ha direcente curato il Meridiano dedicatoa Norberto Bobbio. PerChiarelettere fa il Controcanto (pp.269, € 13,60) all’Italia, segnata dallafine dell’umanesimo sociale, dallasecessione morale, dalle retorichedisumane, dalla segregazionerazziale. Un’antologia ragionata diarticoli, per quotidiani e riviste, percercare «un brandello in più di senso,se non di speranza». Fra la«liquefazione istituzionale» checontraddistingue il berlusconismo e«il melodramma della sinistra» che,consapevole o meno, lo riecheggia.Sullo sfondo, le cerimonie degliaddii, il venir meno di una certa Italia,dai ceti produttivi quali siriflettevano nell’Avvocatoall’aristocrazia operaia. L’estremoinvito a opporre un Gran Rifiutodello stato presente: rifiuto esteticoe etico, prima ancora che politico.

I TESORIDEL BIBLIOFILO

Rimbaud, ma quanto mi costi!= Notizia clamorosa, allora. Due librai pariginihannoindividuato la fisionomiadi Rimbaud in una fotografia digrupposcattata ad Aden attornoagli Anni 80dell’Ottocento.Nella fissità di quell’immagine,preso perbuono il riconoscimento (gli altri sei chi saranno?), l'ariaperplessae assente dell’ex ragazzo dalle suole di vento,guardachi guarda.È diventato veramentealtro da sé. Harealizzato il proprio ideale, espresso quand’era il «fanciulloprodigio» tra letterati maudit: «Voi non potrete capire e iononposso spiegare: IO è un altro». Già nel 1998 si era avutoun analogo riconoscimento.Ancheallora una fotografia di

gruppo. In posa tra cinque esploratori a Sheikh-Othman,eccolo il nostro fuggitivo. La medesimaaria perplessa di chisi trovi a passare da quelleparti per caso. Con gli occhi cheesprimonouna domanda: che ci faccio io qui? A ogni buonconto,Rimbaud veritableo Rimbaud supposto, il mito nonsi incrina, né subisce l'usuradel tempo.Lo dimostrerebbeanche l'attenzione dell’editoria italianache negli ultimi mesi ha pubblicatoalcune opere: EdmundWhite,Ladoppiavita di Rimbaud (minimumfax), unaraffinata biografia; YvesBonnefoy,Rimbaud, speranzaelucidità (Donzelli) testimonianzadi inesausta fedeltà e,ancora oggi,di un «bisognodi Rimbaud», in letteratura enella vita; L'ultimoviaggio dimio fratelloArthur, paginedal diario di IsabelleRimbaud, edite da Via del vento, nella

microcollanaOcra gialla: una dolentissimacronacadegliultimi giornidel transfugaall'ospedale della ConceptionaMarsigliadove, a 37 anni, morì il 10 novembre1891.Se neandò ignorandod'essere un celebratopoeta. Verlaineaveva reso nota la sua opera. La leggenda di Rimbaud stavadilagando.E iniziò la cacciaai «cimeli».L' edizione di Une saison en Enfer, stampata a Bruxelles nel1873, esile libretto di 54 pagine, se lo si riesce a rintracciare,haun prezzo che dovrebbe aggirarsi sui 6 mila euro. Salvorichiestad'affezione.Una lettera autografa dall'Harar - sonorarissime: la maggiorparte è ormai custodita in bibliotechepubbliche - non meno di 25/30 mila euro. Conbattaglied'astaal calor bianco. GiuseppeMarcenaro

della vita. Per il resto, l'unico epi-sodio di cui l'ho mai sentito van-tarsi più volte è stato un miticoviaggio di tre notti, a piedi e disar-mato, per trovare da mangiare asé e ai suoi compagni libertari;era arrivato fin quasi a Parma edera tornato con due sacchi di risoin spalla: per tutto il viaggio nonne aveva toccato neppure unchicco, anche se era quasi certoche sarebbe mortodi fame primadi arrivare. Non ho mai sentitoparlare con entusiasmo né lui néaltri di battaglie e ammazzamen-ti, e quando è accaduto ho sem-pre avvertito insensatezza, rin-crescimento e persino della ver-gogna. Parlavano di chi era mor-

to abbassando la voce e guardandoa terra, si fosse trattato di un com-pagnoo di un brigatanera.

Del resto, se mio padre avesseavuto voglia di fare lo sbruffone,ci avrebbe pensato mia madre afargli abbassare la cresta. Per tut-to il tempo che è vissuta, ha conti-

nuato a rinfacciargli di averle fat-to passare una volta il fronte condelle bombe a mano nascoste nel-la sacca del granturco da macina-re. Senza dirle niente, come se lavita della sua fidanzata non vales-se da sola tutta quanta la dignità

del suo uomo.Mia nonna, per altro, mi ha

raccontato più volte del sottuffi-ciale tedesco che dormiva in unastanza requisita della casa, di co-me fosse un brav'uomo che divide-va le sue patate con loro, di comepiangesse ogni volta che faceva ve-dere la fotografia dei suoi figli.Mia nonna ha nascosto quell'uo-mo ai suoi figli a guerra ormai fini-ta, per paura che lo uccidessero, el'ha portato lei stessa ad arrender-si agli inglesi. Lei, la moglie delsovversivo Garibà, la madre dei ri-voltosi; lei, che era andata con uncoltello in mano a chiedere alleBrigate Nere di darle da benediree seppellire il corpo del fratello fu-cilato.

So anche di mio padre e deisuoi compagni, perché altri e nonlui me lo hanno detto, che non sce-sero dalla montagna proprio il 25

aprile, ma un po' di giorni dopo. Ilfatto è che volevano essere sicuri,sicurissimi, che le cose si eranomesse nel modo giusto, nel mododella dignità, della dignità per tut-ti e per ciascuno. E so che non ser-virono le rassicurazioni di un fa-moso e rispettato comandantepartigiano, e nemmeno le ossutepressioni del questore appena no-minato, ma scesero perché anda-rono a prenderli le loro donne. Ve-nì adè o ne farve pù vedere. Veniteora o non fatevi più vedere, ha in-timato mia nonna ai suoi, gridan-dolo alla bocca della cava di mar-mo dove erano accampati.

Poi, nel corso degli anni ho let-to e studiato, e visto e ascoltatomolte altre cose e persone, e soche la Resistenza non è stata soloquesta, che ha avuto ben altro pen-siero per sé, e complessità, e ric-chezza di intenti. Ma quando mi

imbatto nel seccume di una me-moria ossificata nei cippi e nelletarghe, nello sfasciume di una sto-ria consumata nei manifesti di ri-correnza e nei discorsi di circo-stanza, allora io so che, pur ristret-te che potessero essere, le vicendedella casa sulla Linea Gotica e deisuoi uomini e delle sue donne, so-no ancora vita, come viva è la di-gnità, quer che se ciama, che le hagenerate e ne ha fatto racconto.

Per questa ragione, ogni voltache vado in una scuola, e mi capita

spesso perché me ne son fatto unapassione, a parlare intorno alla Li-berazione dell'Italia dal nazifasci-smo, continuo a raccontare ciòche mi è stato raccontato. Perchénon si estingua quel sentimento divita e dignità, così semplice, così

naturale, così necessario, che puòessere raccolto da chiunque, gene-razione dopo generazione. E cer-co così di rendere giustizia di altriragazzi, perché mio padre e i suoicompagni erano solo dei ragazzi,che, semplicemente, si sono cari-cati il peso della loro vita e della lo-ro dignità quando la storia degliuomini li ha messi di fronte a quelpeso e al quel privilegio.

E per questa ragione, con gransgomento dei professori, non pro-pongo di leggere i romanzi di Cal-vino, di Cassola, di Fenoglio, chesono belli e importanti, ma asso-migliano troppo alla letteratura, edentro la letteratura cova sempreun di più, un di più che è ideologia,e l'ideologia è il fossile della vita.Ma gli metto davanti le Lettere deicondannati a morte. E vedo chefunziona, sempre. Vedo che nelleLettere i ragazzi scoprono quantavita e quanta verità ci fosse in que-gli uomini che stavano morendo,quanta semplicità e quanto assolu-to. Quel genere di assoluto che lo-ro comprendono bene perché locovano nel loro cuore.

Storia e societàVITuttolibri

SABATO 24 APRILE 2010LA STAMPA VII

Stampa femminile Dal 1861 al 2009, in un catalogo con 1600 titoli: dalla subalternità all’emancipazione,un cammino nel solco della modernità, fino al diritto di voto, alla parità giuridica, al neo femminismo

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Legnano La battaglia del 1176 sanciràun futuro di piccoli stati rivali fra loro

Una delle 1600 testate nel catalogo curato da Gisella Bochicchio e Rosanna De Longis

Segue da pag. I

L’Italia disunitacontro Barbarossa

«La battaglia di Legnano» (1860-70) di Amos Cassioli , ora a Firenze (GAM, Palazzo Pitti)

La foto ritrovata di Rimbaud

Donne passate in rivista

«Né gesti eroiciné eventi eccezionali,ma fare tutti i giorniquel che va fatto:ecco la mia gente»

«Parlare dei mortiabbassando la vocee guardando a terra,fosse un compagnoo un brigata nera»

Berlusconi leader massimo del potere mediatico

Il cane Astarte disegnato da Paz

Paolo Grillo smascherala leggenda: da Albertoda Giussano a Pontidaalle forze accorsein difesa del Carroccio

La tesi di Gibelli:un’era di «democraziaautoritaria», decisivoil ruolo dei media nellacostruzione dei leader

Mai come oggile nostre istituzionidemocratiche hannoavuto un’opposizionecosì sgangherata

Page 8: Tuttolibri n. 1711 (24-04-2010)

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SABATO 24 APRILE 2010 LA STAMPA VIII

Page 9: Tuttolibri n. 1711 (24-04-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - IX - 24/04/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/19 - Autore: MARGAL - Ora di stampa: 23/04/10 19.36

ANDREACORTELLESSA

Già Leopardi ironiz-zava sul rintocco tristemen-te festoso degli anniversa-ri. Ma - proprio per il con-sumismo della memoria delnostro tempo - l'anno scor-so mi ha impressionato unanniversario mancato, omeglio «rientrato». Il 21 lu-glio ricorrevano infatti qua-rant'anni dal cosiddetto«allunaggio» dell'Apollo 11,data davvero memorabileperò, mi pare, poco ramme-morata.

In quei giorni del 1969,non si pensava ad altro. Pa-blo Picasso annunciò che lasera della mondovisioneavrebbe rivolto la schienaallo schermo televisivo; in-vece Ungaretti era entusia-sta («è il più bel paesaggioche sia mai stato visto»; fan-tastico il fotoreportage diUngà che fa il tifo davantialla tivù). Al dibattito prese-ro parte personaggi come

Anna Maria Ortese, GuidoCeronetti e Italo Calvino;nonché - diffondendo in pri-vato il poemetto Gli Sguardii Fatti e Senhal - AndreaZanzotto.

Proprio sulla sua ambiva-lente reazione si concludel'originale libro del giovanefilosofo napoletano Carme-lo Colangelo, allievo di JeanStarobinski. Per Zanzottolo «sbarco» sulla Luna è uno«stupro» che dissacra unsimbolo mitologicamente in-tangibile (la luna sineddo-che dello spazio siderale, lacui remotezza dai nostri su-blunari affanni non per casosi cela nell'ètimo stesso delde-siderio): come tale canta-to per esempio da Leopardi.Ci si ricorda del Viaggio nel-la luna di Georges Méliès(1902), con l'occhio di unaLuna deflorato da un fallicorazzo (Zanzotto ha tradottoBataille, e sullo «stupro dell'occhio» ha scritto in IX Eclo-

ghe...). Ma non sfugge a Zan-zotto che in quel momento inrealtà si svelava (nel sensoproprio del fisicamentesquarciare un velo psichico)la mistificazione storica rias-sunta dal mito della luna «sa-cra» e inviolabile (la «Castadiva» di Bellini...).

Heidegger è tra le mille«fonti» di Zanzotto, il più doc-tus dei poeti: e infatti proprioil suo pensiero è al centro dellibro di Colangelo. In un’inter-vista del '66 il pensatore chepiù ha riflettuto sulla «tecni-ca» si diceva «spaventato»dalle «fotografie della Terrascattate dalla Luna […]Non èpiù la Terra quella su cui oggil'uomo vive». Alla base delsuo pensiero è infatti il risie-dere dell'uomo su un suoloben individuato; vedere l'inte-ro pianeta dall'esterno signifi-ca al contrario percepirlo co-me «astro errante»: sito fragli infiniti altri, anziché soste-gno perenne dalla necessitan-te unicità. Lo disse l'astronau-ta William Anders: «Abbia-mo fatto tutta questa stradaper esplorare la Luna, e la co-sa più importante è che abbia-mo scoperto la Terra».

Ancor prima dell'allunag-gio vero e proprio, infatti,

l'immagine della Terra vista«da Fuori» mostrò a tutti ciòche sapevamo dai tempi diCopernico, Keplero (e Giorda-no Bruno) ma che non aveva-mo mai visto: uno choc cultu-rale - lo scacco definitivo all'antropocentrismo messo inridicolo già dal Leopardi delleOperette morali - che, comemostra Colangelo, hanno cer-cato di elaborare anche il ma-estro (rinnegato) e la maggio-re allieva di Heidegger (chemai lo rinnegò): Edmund Hus-serl e Hannah Arendt.

Al contrario, MauriceBlanchot ed Emmanuel Lévi-nas videro nell'avventuraastronautica una possibilitàstraordinaria. Il primo definì«disastro», ma in positivo(dis-astro), l'«irrevocabilità,per l'uomo, di un'erranza in-definita». Anziché radicarsinei «luoghi», la «verità» per

Blanchot non può che essere«nomade». Cioè, puntualizzal'ebreo Lévinas, sottratta auna «maternità della terra»che «determina tutta la civi-lizzazione occidentale di pro-prietà, di sfruttamento, di ti-rannia politica e di guerra».

Non sfugge peraltro aLévinas il paradosso per cuiuna tale trascendentale lezio-ne di libertà venga proprio daun'operazione tecnologico-militare mirata alla «proprie-tà» e allo «sfruttamento». Macerto la fase ascensionaledell'umanità tendeva da sem-pre a un «fuori»: un’«oltran-za» che, una volta conseguitae realizzata, pare aver persoil suo appeal millenario.

Già nel 1928 (proprio quan-do il suo connazionale Wer-ner Von Braun cominciava abaloccarsi coi primi razzetti),Walter Benjamin lamentavala perdita, da parte dell’uomomoderno, della «dedizione aun’esperienza cosmica».L'idea di oggi, che la Lunanon sia più la meta dell'Avven-tura per antonomasia bensì,al più, quella del turismo piùcafonamente «esclusivo», è ilsegno definitivo che per il no-stro tempo «un altro mondo»,davvero, non è più possibile.

Il titolo

pp Ken Hollingsp BENVENUTI SU MARTEp trad. di L. Faviap Isbn, pp. 242, € 22

pp Carmelo Colangelop LA VERITÀ ERRANTE

Viaggi spazialialla prova del pensierop Liguori, pp. 159, € 16,50p e-book € 9

pp Giovanni Listap IL CINEMA FUTURISTAp Le Mani, pp. 264, € 15

GIANNIRONDOLINO

Quando nel 1909 Filip-po Tommaso Marinetti scrissenel suo famoso Manifesto del fu-turismo «Noi vogliamo esaltareil movimento aggressivo, l'in-sonnia febbrile, il passo di cor-sa, il salto mortale, lo schiaffo eil pugno», di fatto non pensavané alludeva al cinematografo, in-ventato quindici anni prima daifratelli Lumière, che proprio ilmovimento era riuscito a cattu-raree riprodurre.

E tuttavia non v'è dubbioche nella sua idiosincrasia per ilpassato, per la tradizione artisti-ca e culturale, per i musei, lapresenza del cinematografo de-ve avere avuto una certa in-fluenza. Tanto che pochi annidopo, nel 1916, i futuristi vollerorealizzareun film e pubblicare ilrelativo Manifesto della cinema-tografia futurista, in cui si puòleggere: «A prima vista il cine-matografo, nato da pochi anni,

può sembrare già futurista cioèprivo di passato e libero da tradi-zioni: in realtà, esso ha ereditatetutte le più tradizionali spazzatu-re del teatro letterario [...]mentrenoi vediamo in esso la possibilitàdi un'arte eminentemente futuri-sta e il mezzo di espressione piùadatto alla plurisensibilità di unartista futurista».

Era la consacrazione artisticadi uno spettacolo popolare, la suautilizzazione per superare i limitidel teatro e la staticità della pittu-

ra. Il film che essi realizzarono,Vita futurista, è andato perduto enon ebbe quella risonanza che es-si forse speravano; ma non v'èdubbio che le loro idee ebberouna certa influenza, magari indi-retta, non soltanto sul cinemad'avanguardia come si sviluppòsoprattutto in Francia e in Ger-mania negli anni seguenti, ma an-che sul cinema spettacolare.

Di ciò parla con dovizia di par-ticolari, analisi attente e ricca do-cumentazione Giovanni Lista in

un suo libro che è il frutto di unlungo lavoro di indagine da luicondotto sul tema a partire dagliAnni 70 (come documenta la bi-bliografia in cui compaiono 46suoi testi!). A ben vedere la storiadel cinema futurista è legata a po-chi titoli, oltre a Vita futurista, maciò che scrive Lista ci consente di

meglio comprendere quell'in-fluenza di cui si è detto. E soprat-tutto di soffermarci su un altrofilm, anch'esso in parte perduto,che fu realizzato a Torino nel1930 da Tina Cordero, GuidoMartina e Pippo Oriani.

Si tratta di Velocità, di cui è ri-masta una versione di 13 minuti,

che in certo senso sintetizza e illu-stra non pochi elementi della poe-tica futurista. E' un film d'avan-guardia, del tutto fuori dei canonidel cinema narrativo e spettacola-re, che, come il precedente, ebbepoca risonanza allora e in segui-to. Ma è un film che Lista defini-sce «un'opera maggiore» e ben siinserisce nel capitolo europeo delcinema di ricerca; meno tuttavianel più ampio capitolo del cinemaspettacolare.

Sarebbe invece di grande inte-resse cercare e documentare inquale misura le idee dei futuristiabbiano influenzato, direttamen-te o indirettamente, lo sviluppodel cinema come spettacolo: adesempio da un film come Cabiriaad uno come Avatar, cioè dalla ri-lettura del passato in chiave av-venturosa all'immaginazione diun futuro ultraumano.

Nel cielo dei poeti Da Leopardi a Ungaretti a Zanzotto: così lo sbarcodell’Apollo 11 «dissacrò» il mito letterario dell’astro, eterno inviolabile

Fantascienza Tic e paure d’Americafra dischi volanti e guerra fredda

Cinema Come il futurismo influenzò,oltre l’avanguardia, i kolossal popolari

Stupro di LunaFRANCESCOTROIANO

«Il gran risultatodella letteratura moderna èche ci impedisce di essere re-almente moderni»: la sceltafatta da Ken Hollings, di por-re in esergo a Benvenuti suMarte una frase tratta da Ilmattino dei maghi, dice moltosugli intendimenti suoi.Scritto nel 1960 da LouisPauwels, ex-occultista ed ex-surrealista, e da un singola-re scienziato e mitografo del-la scienza, Jacques Bergier,Le matin des magiciens se nesta in bilico tra il dato razio-nale, la leggenda ed il ca-nard, a mezza via fra una sor-ta di misticismo «reaziona-rio» alla Guénon o alla Gur-djiev ed un accalorato pro-gressismo scientista. Un rife-rimento d’obbligo, dunque,per chi - al pari dello scritto-re londinese - intendesse oc-cuparsi di guerra fredda e di-schi volanti, Lsd e b-movies,robot, lavaggio del cervello,fumetti, invasori spaziali inuna ben precisa epoca dellastoria Usa.

Il periodo preso in esameva dal 1947 al 1959: si comin-cia con l’apertura al pubblicodi Levittown, comunità di sei-mila abitazioni a basso costoche diverrà un modello perl’architettura suburbana de-gli anni a venire, per finirecon una tra le prime confe-renze di Scientology, dove ilguru Ron Hubbard blatera diradioattività promanante da-gli apparecchi tv.

La scaturigine di tuttociò era nello stato cripto-schizofrenico di un paeseche, euforizzato da un boomeconomico senza preceden-ti e da poco attore principa-le nel consesso delle nazionipiù potenti del mondo, erascisso nel modo d’immagina-re il proprio futuro: v’erachi profetizzava scenari uto-pici d’esistenze automatiz-zate, tra macchine volanti eservi robotici, altri che pre-vedevano invece terre de-sertificate e invase da comu-nisti, magari con l’ausilio diformiche giganti e di giova-ni bikers teppisti. In ambe-due le visioni, il pianetaMarte aveva un ruolo prima-rio: destinazione per le va-

canze, in logica alternativa al-le spiagge della California, op-pure sede d’una razza di alie-ni minacciosa quanto quellasovietica, la cui bandiera era- soltanto per caso? - rossaquanto il pianeta.

L’abilità di Ken Hollingsconsiste nel frammischiare fat-ti reali a leggende metropolita-ne, dipingendo l’identità di unpopolo (che, d’altra parte, nel1938 s’era riversato urlante instrada scambiando, pronubo ilgeniale Orson Welles, una ri-duzione radiofonica de Laguerra dei mondi per un’inva-sione aliena) pronto a crederea tutto: si va dai famigerati di-schi volanti, per la prima voltaavvistati appunto nel 1947, alsinistro progetto Mk-Ultra, na-to per controllare la mente tra-mite Lsd, Pentothal ed intruglichimici d’ogni genere.

Di peculiare interesse, poi,la fioritura di pellicole di sapo-re maccartista, ove lo splendi-do L’invasione degli ultracorpi(1956) di Don Siegel finiva den-

tro ad un branco comprenden-te i vari Piano 9 da un altro spa-zio, Gli uomini coccodrillo, Mar-te distruggerà la terra, Missilisulla luna, Ho sposato un mo-stro venuto dallo spazio, i cui ti-toli bastano ed avanzano adesplicitarne i contenuti.

Ora, in un’epoca nella qualeInternet ha preso il posto delleavventure astronautiche, sipuò sorridere di tutto questo,concordando col Nietzscheche ne La gaia scienza si chie-deva: «Chi ancora osa intra-prendere opere per le quali do-vrebbe aspettare millenni pri-ma che vengano realizzate?»;non, però, denegare che il «co-me erano» di Hollings sia gu-stoso repertorio di tic e paured’una nazione tanto grossier edingenua quanto capace d’inusi-tati slanci.

Visioni TuttolibriSABATO 24 APRILE 2010

LA STAMPA IX

Marte sventolabandiera rossa

Romanzi, film,leggende metropolitane,fumetti, dal ’47 al ’59,mettono in lucel’identità di un popolo

Una esplorazionedel filosofo Colangelo,allievo di Starobinski:uno choc che pose fineal «sogno» del cosmo

A tutta velocitàda Cabiria a Avatar

Marinettiduella

nel film «Vitafuturista»

Un’immagine da «Viaggio nella luna» di Méliès (1902), con l'occhio della Luna deflorato da un fallico razzo

Page 10: Tuttolibri n. 1711 (24-04-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - X - 24/04/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/10 - Autore: MARGAL - Ora di stampa: 23/04/10 19.37

Narrativaitaliana

Narrativastraniera Saggistica Varia Tascabili Ragazzi

Perché è nata la «Bibliotecapermanente»? «Perché sia-mo dei rivoluzionari di

fronte al marketing». Non è unabattuta quella di Joshua Volpa-ra, direttore editoriale della JacaBook, editrice laica dalle radiciprofondamente cristiane, succedu-to alla madre, Maretta Campi,donna di temperamento, fondatri-ce 45 anni fa con Sante Bagnoli(attuale presidente) di una dellesigle italiane tuttora più forti nel-la ricerca inserita in una rete in-ternazionale.

Rivoluzionari... però, giusta-mente, accorti. Se l’editoria, nonsolo nostra, si sostiene in parte sudue filoni, il thriller portatore diossigeno ai «botteghini», e i classi-ci, modesti quanto a numeri mainesauribili «long seller», eccospiegato il destino, in un Paesenon così «svaporato» come sem-bra, che questa «Biblioteca» po-trà avere su lettori esigenti «nonspecialisti».

Fedele alla doppia anima del-l’editrice «esperienza cristiana e

approccio al fenomeno umano intutte le sue componenti» (vedi lapresenza della poesia sotto la guidadi Mussapi che sta anche raccontan-do, ai bambini, capolavori come Latempesta , il Faust, L’Avaro ecc.),la collana è stata progettata comemix tra classici-classici ripescatitra i 4 mila titoli di un catalogo pre-valentemente di saggistica e «classi-

ci istantanei», novità «mature»: leprime 7 uscite, tra lo scorso febbraioe il prossimo giugno, confermano illivello delle scelte: dal Derrida di Lavoce e il fenomeno al Ricoeur diLa metafora viva a Il sacro selvag-gio di Roger Bastide cui si aggiun-gerà La potenza dei poveri, dialo-go di oggi tra il persiano RahnemaMajid e Jean Robert dove «lo sradi-camento della miseria passa per lariscopertà della povertà».

Tutt’altro che nuova nella cac-cia a grandi talenti fra teologia, filo-sofia, antropologia, da Balthasar aRatzinger a Julien Ries, Jaca lo èanche nella narrativa: nell’84 esor-dio italiano di Vita e destino diGrossman, nei Novanta della qua-drilogia di Chinua Achebe che apre«il primo vero catalogo di letteratu-ra africana in Italia». Nel 2011, nelprogetto di rilancio della fiction, GliHooligans di Mircea Eliade (1935),romanzo tra mito e realtà, ineditoda noi e molto discusso al tempo an-che per l’infatuazione dell’autoreverso il fascismo. La «rivoluzione» èanche questa?

Cotto emangiato

PARODIA. VALLARDI

LA CLASSIFICA DI TUTTOLIBRI È REALIZZATA DALLA SOCIETÀ NIELSEN BOOKSCAN, ANALIZZANDO I DATI DELLE COPIE VENDUTE OGNI SETTIMANA, RACCOLTI IN UN CAMPIONE DI 900 LIBRERIE.SI ASSEGNANO I 100 PUNTI AL TITOLO PIÙ VENDUTO TRA LE NOVITÀ. TUTTI GLI ALTRI SONO CALCOLATI IN PROPORZIONE. LA RILEVAZIONE SI RIFERISCE AI GIORNI DALL’11 AL 17 APRILE.

83 80

Biblioteche, vita dura. Nel-la più antica di NewYork, nonostante i solleci-

ti George W. è in ritardo con larestituzione di due libri, una rac-colta dei dibattiti parlamentariinglesi e un manuale di diritto in-ternazionale. I bibliotecari spe-rano di recuperare i volumi, masanno di non avere alcuna possi-bilità di incassare la multa, chenegli anni (220, dalla scadenzadel prestito) è in effetti diventa-ta altina: 300.000 dollari, cente-simo più centesimo meno.

George W., che di cognomefaceva Washington e di mestiereil Presidente, pare effettivamen-te impossibilitato a pagare il de-bito. Vita dura, per i biblioteca-ri. Quelli che fanno volontariatonel carcere di Rikers Island dico-no che i libri più popolari sonoquelli di James Patterson. Fini-to il giro, devono premurarsi dimetterli sotto chiave, perché ten-dono a sparire...

Ma ancora più dura è, e sa-rà, la vita sul Pianeta Terra, se-

condo quello che per molti è il libropiù importante dell’anno. Ha unagrande croce nera in copertina,una croce sopra il globo terrac-queo che abitiamo, e un titolo che èanche un urlo di dolore: Eaarth,con due «a» e un sottotitolo altret-tanto drammatico, «Making a Li-fe on a Tough New Planet», diffici-le cavarsela su un pianeta cambia-

to in peggio. Bill McKibben, l’auto-re, è stato il primo a usare le paro-le «global warming», riscalda-mento globale, già nel remoto1989, il suo libro di allora si chia-mava, allegramente, The End ofNature. Il punto di non ritorno, di-ce ora, è già arrivato, il pianetanon è già più quello che conosceva-mo e i cambiamenti sono irreversi-bili, ma dalla galoppata verso ladistruzione si può ancora faremarcia indietro.

Anche Al Gore, in questi giornial Festival Internazionale delGiornalismo di Perugia, sul suoblog, che rimbalza su siti seguitis-simi come Huffingtonpost, consi-glia un libro sulla crisi ambienta-le. Per lui Straight Up di JoeRomm, a sua volta blogger in-fluentissimo con il suo ClimateProgress, è «a must read», unalettura obbligatoria. Peccato chela maggioranza di chi legge leggaben altro: Change di Jim Butcher,primo in classifica, non raccontadi cambiamenti del clima o delleeco-abitudini. È un fantasy.

1. Gomorra 29SAVIANO 10,00 MONDADORI

2. È una vita che ti aspetto 28VOLO 9,00 MONDADORI

3. Il giorno in più 26VOLO 12,00 MONDADORI

4. Il piccolo principe 22SAINT-EXUPÉRY 7,50 BOMPIANI

5. Maigret e il caso Nahour 21SIMENON 9,00 ADELPHI

6. Un posto nel mondo 21VOLO 12,00 MONDADORI

7. Esco a fare due passi 20VOLO 9,00 MONDADORI

8. L’ombra del vento 19RUIZ ZAFÓN 13,00 MONDADORI

9. Mille splendidi soli 19HOSSEINI 7,90 PIEMME

10. 1984 17ORWELL 9,00 MONDADORI

AI PUNTILUCIANO GENTA

Cacciaal tesoro con

i Templari

100 2 773

68 43

1. Prima di morire addio 83VARGAS 16,50 EINAUDI

2. Due 60NÉMIROVSKY 18,50 ADELPHI

3. Tre secondi 32ROSLUND; HELLSTRÖM 21,00 EINAUDI

4. L’eleganza del riccio 31BARBERY 18,00 E/O

5. La principessa di ghiaccio 31LÄCKBERG 18,50 MARSILIO

6. L’ipnotista 30KEPLER 18,60 LONGANESI

7. La libreria del buon romanzo 30COSSÉ 18,00 E/O

8. Il paese delle prugne verdi 25MÜLLER 16,00 KELLER

9. La compagna di scuola 25WICKHAM 19,00 MONDADORI

10. Ilgustoproibito dello zenzero 20FORD 18,60 GARZANTI

1. Cotto e mangiato 80PARODI 14,90 A. VALLARDI

2. E’ facile smettere di fumare... 23CARR 10,00 EWI

3. Dizionariobilingueitaliano-cane... 20MARCHESINI; CUVALIER 13,90 SONDA

4. The secret 16BYRNE 18,60 MACRO EDIZIONI

5. Dizionariobilingueitaliano-gatto... 14CUVALIER 12,90 SONDA

6. Fate i bravi! (0-3 anni) 13RIZZI 17,00 RIZZOLI

7. L’ultima profezia 8SITCHIN 18,50 PIEMME

8. I cinque tibetani 8KELDER 8,90 ED. MEDITERRANEE

9. Giardino & orto terapia 8PERA 11,00 SALANI

10. Fate la nanna 7ESTIVILL; DE BÉJAR 8,00 MANDRAGORA

1. Il ladro di fulmini 19RIORDAN 17,00 MONDADORI

2. Diario di una schiappa (III) 13KINNEY 12,00 IL CASTORO

3. Diario di una schiappa (I) 9KINNEY 12,00 IL CASTORO

4. Il diario segreto di Patty 9AUTORI VARI 16,50 SPERLING & KUPFER

5. Nel regno della fantasia 8STILTON 23,50 PIEMME

6. Bentornato Mister! 8GARLANDO 11,00 PIEMME

7. Losmeraldodelprincipe indiano 8STILTON 15,50 PIEMME

8. Quinto viaggio del regno della fantasia 8STILTON 23,50 PIEMME

9. Terzoviaggionel regnodella fantasia 8STILTON 23,50 PIEMME

10. Il bacio dell’angelo caduto 8FITZPATRICK 17,00 PIEMME

I PRIMI DIECI INDAGINE NIELSEN BOOKSCAN

Alta classifica sempre all’insegna di storie in giallo.Non solo si conferma primo Camilleri, con un valo-re stabile dei suoi 100 punti un po’ sopra le 5000 co-

pie e il suo scapestrato nipote del Negus studente a Vigàta,seguito dai commissari della Vargas, in cerca dell’assassi-no tra artisti e prelati di Roma. Ma soprattutto balzano alsesto posto, unica novità della settimana tra i primi 10, iTemplari di Roberto Giacobbo, conduttore tv di Voyager.Un bignè bignami per i golosi di Dan Brown. La bandelladi copertina batte il tamburo: «Un libro di storia, e molto dipiù... libro documentatissimo, con una nutrita bibliografia,ricco di informazioni e scoperte, nobilitato dagli interventi

di due studiosi del calibro di Franco Cardini e BarbaraFrale». Nell’Indice il nome della Frale non appare (a propo-sito, in un «documentatissimo libro di storia» manca pro-prio un indice dei nomi). Comunque, in una nota finale l’au-tore ringrazia «la dottoressa Frale per la stimolante inter-vista». Si trova alle pagine 112-121 e la studiosa vi ribadiscela propria tesi sulla autenticità della Sindone, sudario diGesù, che i Templari ebbero in custodia. Quanto a Cardinifirma una succosa postfazione per la causa della «buona di-vulgazione», auspicando sinergia tra i professori che nondebbono rinchiudersi altezzosi nella turris eburnea delleloro ricerche scientifiche e gli operatori dei mass media che

vogliono rispondere alla «dilagante voglia di passato» delpubblico. Però il nostro stimato medievista si premura diprecisare che non intende «fornire alcuna legittimazioneaccademica». Non senza aver chiosato che la bibliografiadi Giacobbo contiene «molte cose buone, altre meno buone ealtre che manderei al rogo senza battere ciglio». E aggiun-gendo, a scanso di equivoci: «Non scrivo queste righe per so-stenere che ha ragione, che le sue idee sono giuste, che le sot-toscrivo: al contrario, chi ha letto qualcosa di mio sa che dialcune di esse diffido e che con altre non ho niente a che fa-re». Per il grato Giacobbo la postfazione è «appassionata».Si potrebbe aggiungere: istruttiva, astuta, machiavellica.

Classifiche TuttolibriSABATO 24 APRILE 2010

LA STAMPAX

Il nipotedel Negus

CAMILLERISELLERIO

Hanno tuttiragione

SORRENTINOFELTRINELLI

Templari.Dov’èil tesoro?GIACOBBOMONDADORI

Il tempoche vorrei

VOLOMONDADORI

Due

NÉMIROVSKYADELPHI

60

Il pesodella farfalla

DE LUCAFELTRINELLI

39

1. Il nipote del Negus 100CAMILLERI 13,00 SELLERIO

2. Hanno tutti ragione 77SORRENTINO 18,00 FELTRINELLI

3. Le perfezioni provvisorie 51CAROFIGLIO 14,00 SELLERIO

4. Il tempo che vorrei 43VOLO 18,00 MONDADORI

5. Il peso della farfalla 39DE LUCA 7,50 FELTRINELLI

6. Bianca come il latte, rossa... 32D’AVENIA 19,00 MONDADORI

7. Caduta libera 26LILIN 21,00 EINAUDI

8. La mamma del sole 26VITALI 18,60 GARZANTI

9. Canale Mussolini 16PENNACCHI 20,00 MONDADORI

10. Meccanica celeste 15MAGGIANI 18,00 FELTRINELLI

CHE LIBRO FA...A NEW YORK

GIOVANNA ZUCCONI

Che fantasyla fine

della natura

1. Laparolacontrolacamorra.Dvd 76SAVIANO 19,50 EINAUDI

2. Templari. Dov’è il tesoro? 68GIACOBBO 17,50 MONDADORI

3. Così in terra, come in cielo 36GALLO 17,00 MONDADORI

4. Ulisse era un fico 34DE CRESCENZO 16,00 MONDADORI

5. I cari estinti 29PANSA 22,00 RIZZOLI

6. La bellezza e l’inferno 29SAVIANO 17,50 MONDADORI

7. La vita autentica 27MANCUSO 13,50 CORTINA

8. Don Vito 25CIANCIMINO; LA LICATA 18,00 FELTRINELLI

9. I sogni fanno rima 20CARONE 15,50 MONDADORI

10. Giardini e no 19PASTI 15,00 BOMPIANI

PROSSIMAMENTE

MIRELLA APPIOTTI

Hooligansdi Eliade

in casa Jaca

1Prima dimorire addio

VARGASEINAUDI

Le perfezioniprovvisorie

CAROFIGLIOSELLERIO

516 7

La parolacontrolacamorra.DvdSAVIANOEINAUDI

76

10

.

4

8 9

5

Page 11: Tuttolibri n. 1711 (24-04-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - XI - 24/04/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/11 - Autore: GIOVIA - Ora di stampa: 23/04/10 20.21

f

MIGUEL DE UNAMUNO

Vita di Don Chisciottee Sancio PanzaB. Mondadori, pp. 362, € 12,50

«L’ho scoperto nel cenacolodi una signora veneziana»

f

THOMAS MANN

La montagnaincantataTea, pp. IX-687, € 12,90

«Vi trovo Settembrini, ilpedagogo, il mio modello»

f

ELIO VITTORINI

Conversazionein SiciliaRizzoli, pp. XIX-223, € 25

«Un maestro di doverismo,scoperto al Pedrocchi»

I PREFERITI

Studioso della Grande Guerra e della memoria nazionale,formatosi tra Venezia e Padova, tra la Fuci e Gramsci,prepara un saggio sullo Stato nei 150 anni dell’Italia unita

GIORGIOBOATTI

A Mario Isnenghi nonfanno paura le sfide imponen-ti. Col suo libro I vinti di Capo-retto (1967) seguito da Il mitodella Grande guerra (1970) haaperto una nuova stagionenello studio dell'impatto delprimo conflitto mondiale sullasocietà italiana. Poi si è dedi-cato a decifrare sussulti e con-tinuità della cultura del no-stro Novecento, facendoneracconto in Intellettuali mili-tanti e intellettuali funzionariuscito da Einaudi nel 1979.Quindi è stato il curatore deitre volumi dei Luoghi della me-moria, mappa tematica di sti-molante approccio ai simbolie ai miti dell'Italia unita cheLaterza si appresta a ripre-sentare in tascabile. Adessoha appena terminato di coor-dinare per la Utet Gli italianiin guerra. E' una ricognizione,articolata in cinque volumi,centinaia di saggi di altrettan-ti collaboratori, in totale quasicinquemila pagine complessi-ve, che da poco ha trovato con-clusione con Le armi della Re-pubblica, tappa finale di un af-fresco puntuale e documenta-to che scruta tutti gli aspettidel Bel Paese in armi, dal Ri-sorgimento sino all'attualemissione in Afghanistan.

Professore ordinario di sto-ria contemporanea a Venezia,dove presiede l'Istituto vene-ziano per la storia della Resi-stenza e dirige la rivista di sto-ria locale «Venetica», Isnen-ghi vive a Padova.

Venezia e Padova. Una po-larizzazione tra questedue città che scandisce tan-ti aspetti della sua militan-za intellettuale, del suo im-pegno civile. C'è un inizio?

«Sì, il più semplice. Quandoprendo la maturità a Veneziae mi sembra di intravederenel mio orizzonte professiona-le un triplice possibile futuro -insegnante di lettere (in una

scuola media ovviamente,scartata ogni ulteriore ambi-zione), scrittore o giornalista- mi iscrivo presso l'universi-tà patavina, a Lettere. Perchécomunque la letteratura, i li-bri, costituiscono già da allo-ra la bussola da cui non possoprescindere...».

Grazie alla biblioteca di ca-sa?

«A casa dei miei genitori, aVenezia, la parte del leone lafanno i libri di narratori in-glesi. In lingua originale, vi-sto che mia madre insegnal'inglese a mezza città. Ma sudi me lasciano scarsa trac-cia. Sui banchi di scuola fac-cio i conti con De Sanctis: un'impronta - quella di uno Sta-to italiano che nasce dallabreccia di Porta Pia, dunqueanticlericale - che in me per-mane. Fuori dall'aula scoproTonio Kröger: adolescenti sia-mo tutti dei Tonio Kröger al-la ricerca del nostro destino.Poi arriva a La Montagna In-cantata. Vi trovo Settembri-ni, il pedagogo, l'intellettua-le, l'italiano sanguigno allie-vo del Carducci. Diventa ilmio modello».

Dunque incontra un mae-stro, seppure di carta...

«In effetti sono stato ancorapiù fortunato perché incon-tro, tra il liceo e i primi annid'università, tre maestri ve-ri. La scoperta di Don Chi-sciotte, anzi del Don Chisciot-

te ripensato da Miguel de Una-muno, avviene in una specie dicenacolo di letture, a Venezia.Una signora dal nome impor-tante vi raduna degli studenti.Si leggono i classici russi. So-no fulminato da L'Idiota. Com-mosso da Missa sine nomine diErnst Wiechert. Prendo gustoa leggere in pubblico, ad altavoce, nella sala bianca del Caf-fè Pedrocchi, a Padova...».

Il baricentro dunque si spo-sta in quel di Padova?

«Non del tutto. In quel periodoleggo Gramsci e chi me lo faconoscere? Gli amici della Fu-ci di Venezia. La Fuci vuole di-re per me lo studio di Mari-tain, di Mounier. Attraverso laFuci veneziana, quella del cari-smatico don Germano Patta-ro, arrivo a Wladimiro Dorigo.Era uno dei giovani astri dell'Azione Cattolica che Gedda haappena epurato da Roma. Do-rigo è un intellettuale finissi-mo, con una rete di relazioniculturali impressionante. E' ildirettore de Il popolo veneto,

settimanale della sinistra dibase Dc ma, soprattutto, è ilfondatore di Questitalia. Que-sta rivista che non si definiscecattolica e che di fatto è anti-concordataria, per l'autono-mia tra Stato e Chiesa, sarà unpunto di riferimento per quan-do si arriverà al Concilio volu-

to da Roncalli che sino al '58 èstato il Patriarca di Venezia.Dorigo per me è il rigore, il"doverismo" vero. Un "doveri-smo" altrettanto forte lo sco-pro anche nel Vittorini di Con-versazione in Sicilia che leggoagli amici del "Pedrocchi"...».

La signora del cenacolo, Do-rigo. Manca ancora il terzomaestro...

«Ci sto arrivando. Accade a

Padova. Mentre a Venezia fre-quento la Fuci, a Padova fac-cio politica universitaria nellalaicissima Ugi, quella di LinoJannuzzi e Pannella. A Padovasono "il cattolico" dell'Ugi.Una contraddizione che nonpuò durare. Faccio i conti colfatto che gli amici della Fucisono davvero credenti. Io no.Così mi laicizzo. Entro nei gio-vani del Psi che a Venezia, co-me idee nuove, vuol dire il gio-vane De Michelis. A Padova in-vece brilla Toni Negri. E' lui ilterzo significativo incontrodella mia formazione giovani-le. Il Toni Negri che prima erail giovane astro del mondo cat-tolico padovano, il pupillo delvescovo Girolamo Bordignon.Poi è diventato consigliere co-munale del Psi e ha intrapresouna rapidissima carriera acca-demica. Il Psi a Padova pubbli-ca Progresso veneto che mi vie-ne affidato e, con Negri, per-corro il Veneto per un'inchie-sta articolata a tappe. Incon-triamo sindacalisti, militanti.

Io, svelto di penna, fisso ogniimpressione e poi scrivo i re-portage. Intanto scopro anchePanzieri e il suo impegno gene-roso. A Milano incontro Gian-ni Bosio e quelli delle edizionidel Gallo. Mi laureo nel '62 conuna tesi sugli intellettuali delprimo Novecento italiano. Ov-

vero Salvemini, Gobetti, Gram-sci. Quando Negri e gli "operai-sti" danno inizio all'interventosulle fabbriche sono insegnan-te alle medie di Feltre, seppurper poco, visto che mi sospen-dono per un tema su "Carlinoe l'amicizia amorosa con la Pi-sana" giudicato troppo osé. In-segnerò nelle superiori, per an-ni, altrove, prima di approda-re all'università: quella di Pa-

dova, poi Torino e infine Vene-zia. Un letterato prestato allaricerca storica. O viceversa.Alla metà dei '60 l'interventosulle fabbriche non mi appas-siona. Insegno e vado ad ap-profondire il tema degli intel-lettuali, delle riviste, dei gior-nali di guerra. Studio l'ultimoanno della Grande Guerra.L'Italia che a Caporetto fa iconti con la realtà vera dellanazione. Analizzo le velleità ri-voluzionarie e lo Stato chesembra prossimo a sbriciolar-si come accadrà nel '43 e inve-ce a Vittorio Veneto sa rimet-tersi in piedi. Attorno a questinodi ruota la trilogia che ho de-dicato alla grande guerra».

E adesso?«Dopo il decennio dedicato astudiare gli intellettuali, e gli an-ni successivi profusi sui mecca-nismi della storia e della memo-ria nazionale, sono ancora ascrutare questo Paese e le suevicende. Sto lavorando a un li-bro per Laterza su come lo Sta-to unitario è stato percepito inquesto secolo e mezzo. Voglioprendere il Risorgimento sul se-rio e fare quello che molti evite-ranno. Fare i conti con un Risor-gimento oggi conculcato e offe-so. D'accordo, non tutto è anda-to nel migliore dei modi. Ma avolte, per capire, bisogna rico-noscere anche dove sta il mino-re dei mali possibili, quando edove sa farsi spazio. Del resto,mi sento un ircocervo, un ibri-do, un nazionalista di sinistrache in un certo senso è diventa-to comunista con l'89, dopo la fi-ne del comunismo. Perché? Per-ché pensavo che chi parlava dirivoluzione dicesse sul serio. Ec-co, io sono uno che prende le co-se sul serio». [email protected]

«Al liceo scopriiTonio Kröger,mi sentivo come lui,un adolescente allaricerca del suo destino»

Diario di lettura TuttolibriSABATO 24 APRILE 2010

LA STAMPA XI

“Farò i conti con chi haoffeso il Risorgimento”

«Tra i miei maestri,Wladimiro Dorigoe Toni Negri, primagiovane astro del mondocattolico, poi socialista»

«Insegnante, misospesero perché diediun tema troppo osé,su Carlino e l’amiciziaamorosa con la Pisana»

La vita. Mario Isnenghi è nato a Venezia nel 1938. E’ professore ordinario di storia contemporanea a Venezia, dovepresiede l'Istituto veneziano per la storia della Resistenza. Dirige la rivista di storia locale «Venetica».

Le opere. Ha coordinato per la Utet l’opera «Gli italiani in guerra» in cinque volumi. Tra gli altri suoi libri: «Il mitodella grande guerra» , «L’Italia in piazza» , «La grande guerra 1914-1918» (con Giorgio Rochat) per il Mulino; «Iluoghi della memoria. Simboli e miti dell’Italia unita » (Laterza); «Garibaldi fu ferito» (Donzelli).

Mario Isnenghi

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