tuttolibri n. 1737 (23-10-2010)

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La carta non è ancora stanca «L’Italia che legge» I colossi dell’ebook muovono i primi passi e ci si domanda se e quando ci sarà il sorpasso. Per ora un dossier dimostra che il lettore digitale è anche quello che compra più libri MIRELLA SERRI Voltiamo pagina. Ov- vero, come li sfogliamo Accaba- dora di Michela Murgia o La caduta dei giganti di Ken Fol- lett? Li maneggiamo, li stra- pazziamo, li macchiamo con il caffè, alla maniera di sempre, oppure li sfioriamo solo fugge- volmente? In altri termini, ver- sione virtuale o di carta? Sia- mo al bivio: sono circa 5 mila gliebookche,proprioinquesti giorni, vengono lanciati dalle nuove piattaforme digitali Edi- gita e Biblet: 1.500 i volumi (3.500 mila entro Natale) mes- si in rete dal gruppo a cui ade- riscono Feltrinelli, Messagge- rie Italiane, Gems e Rcs libri e 1.600 i titoli della mondadoria- na Biblet. I colossi dell'ebook stanno muovendo i primi passi e le domande incalzano: ci sa- rà il sorpasso? E quando il so- pravissuto in economica o con copertina cartonata sarà l'ulti- modeimohicani? A offrir risposte sulla vita e sulla morte (eventuale) di tutti i volumi, tradizionali e new ver- sion, arriva adesso un'impor- tante summa, un completo e aggiornatissimo dossier di Gio- vanni Solimine, L'Italia che leg- ge, in uscita da Laterza (pp. 184, e 12). Mettendo in correlazione le più recenti indagini di settore (dall'Istat al Censis all'Ipsos), lo studioso scopre gioie e dolo- ri e tante contraddizioni di questa complicata evoluzione. Ecispiegaanchechel'Indipen- dence day, il giorno in cui l'inva- sione delle nuove tecnologie se- gnerà il passaggio del testimo- ne dalla stampa al lettore digi- tale, non è ancora giunto per niente. Le ultime notizie dal fronte della nostra produzione libra- ria oggi segnano, infatti, molte novità: le aziende italiane sfor- nano tomi come panini e si col- locano al settimo-ottavo posto nel mondo e al quarto-quinto in Europa. Il numero di titoli pubblicati per mille abitanti non è molto diverso da quello di altri paesi del vecchio conti- nente. E le nostre case editrici si posizionano in uno spazio in- termedio tra Spagna e Regno Unito (che usufruiscono, però, di ben altre loro aree di diffu- sione linguistica). Insomma, l'Italia è diventa- ta un colosso del libro. Allora, di cosa ci lamentiamo? «E' un A cura di: LUCIANO GENTA con BRUNO QUARANTA [email protected] www.lastampa.it/tuttolibri/ BRUNO QUARANTA BenedettoCroceeraso- lito domandare agli studenti: «Vi indignate? Perché quando non vi indignerete più sarà la fi- ne». Ma come è possibile indi- gnarsi se non si sa né leggere né scrivere, se non si possiede quel bisturi, quella sonda, quel ter- mometrocheèl’alfabeto? Napoletana è Antonella Ci- lento. Un tempo, nell’età deami- cisiana riverberatasi fino agli anni Sessanta, sarebbe stata in- signita della medaglia d’oro. Da chi?MadalministerodellaPub- blicaIstruzione,talel’eroica mis- sion che l’autrice di Una lunga notte,frairomanziesemplaride- gli ultimi anni, va rinnovando nelle stagioni. Di scuola in scuo- la, porgendo il «talismano» che laparolaè,lettaescritta,un’«ar- ma scalza», la definisce nel suo febbrile journal Asino chi legge (Guanda, pp. 184, e 16), un’arma felicemente impropria, «per ri- cordarcidellaprofondità». Neibanchi,adattendereAn- tonella Cilento, «Esperto Ester- no di scrittura creativa», sono gli scugnizzi, scugnizzi di ogni ordine e grado, fino all’istituto tecnico, fino al liceo, tra le no- stre speranze, in attesa, loro co- me tutti i ragazzi d’Italia, della parola che montalianamente «squadri», dirozzi, elevi, nomini elegiferi,infine,ilcaos,sfarinan- do gli slogan, gli anatemi, gli strafalcioni. Idealmente, hanno come compagno Giulio Bollati, l’Italiano che non esitava a con- fessare come il pensiero gli si ri- velasse solo facendo scorrere la pennasulfogliobianco. Legite, prima di effettuare la scissione, approdando a «le gi- te».AvvertivadonGesualdoBu- falino che la mafia si comincia a vincere nelle classi elementari. Magariimparando,nellosfoglia- reilvocabolarioisolano,chema- fioso,intalunelande,comeaCo- miso, non è il tipo con la lupara, ma un dire galante, un omaggio allabellezzafemminile. Antonella Cilento, ostinata e generosacomedev’essereunte- stimone,spargequotidianamen- te le sue rose. L’asino che è in noi diverrà d’oro, diverrà uomo, diverràcittadinonutrendosene. IlSalonedelGustoè giuntoall'ottavaedizione: machecosaneèdelgusto inItalia?Avoltecapita ancoradiincontrare qualcheamericanodi passaggiocheripete: «VoiinItaliasapete vivere,aveteilgustodella vita»;filmevaria letteraturahannoresoil principioquasiunaverità logica,piùcheunluogo comune.InGermaniasi chiama«Italianisierung» (letteralmente «diventareitaliani»)il processopercuisiaprono ristorantiedehors,si prendeuncaffèoun bicchieredivino chiacchierando all'aperto,mangiando cibicurati.Maèancora così?Siamoancorai depositaridel«gusto dellavita»?Unfiumedi malumore,inimicizia, rabbiaerancore, attraversal'Italia confusaecorrotta: l'uomocheuccideconun pugno,iltassista malmenatoincoma,i medicichelitiganoinsala parto;epersinoNapoli,la patriadeldisordine felice,diTotòchesiinfila glispaghettiintasca, sembrapopolatadagente cupaenervosa, sopraffattadairifiuti.Un temposipensavachela politica,l'artedi cambiarelecose,fossela cura.Maadessol'origine deldisagioedellarabbia sembrastiapropriolì, nellapolitica.Ilfattoè chelapoliticanonha potere:ilveropotere consistenellacapacitàdi promuoverelapace, condizioneprimariadel gustodivivere(«necives adarmaruant»).Ma nonostanteisoldiela notorietà,i«potenti» italianidiogginonhanno neppureungrammodi questoveropotere. Continuaapag.IX TUTTOLIBRI LA STAMPA NUMERO 1737 ANNO XXXIV SABATO 23 OTTOBRE 2010 FRANCA DAGOSTINI C’È IL S ALONE MA NON PIÙ IL G USTO tutto LIBRI CITATI Nel Nulla di Leopardi C’era un ragazzo geniale a Recanati FICARA P.V DIARIO DI LETTURA Berengo Gardin 80 anni di foto Un flâneur tra Gramsci e Simenon VALLINOTTO P.XI Asino è chi legge senza profondità p La nostra editoria è quartainEuropa e settima nel mondo, il Piemonte è la regione con più lettori Una scrittricetra gliscugnizzi,offrendo «l’arma scalza» che è la parola,antidoto contro ogni babele DE CARLO L’amore al call center «LEIELUI»: come tornare a vivere BARILLI P. III MEMORIE Nel mare di Conrad L’avventura dell’immaginazione GORLIER P. VI I

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Tuttolibri, italian review of books, from www.lastampa.it. Page 4 missed.

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Page 1: Tuttolibri n. 1737 (23-10-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - I - 23/10/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/01 - Autore: FRABEL - Ora di stampa: 22/10/10 20.11

La cartanon è ancorastanca

«L’Italia che legge» I colossi dell’ebook muovono i primi passie ci si domanda se e quando ci sarà il sorpasso. Per ora un dossierdimostra che il lettore digitale è anche quello che compra più libri

MIRELLASERRI

Voltiamo pagina. Ov-vero, come li sfogliamo Accaba-dora di Michela Murgia o Lacaduta dei giganti di Ken Fol-lett? Li maneggiamo, li stra-pazziamo, li macchiamo con ilcaffè, alla maniera di sempre,oppure li sfioriamo solo fugge-volmente? In altri termini, ver-sione virtuale o di carta? Sia-mo al bivio: sono circa 5 milagli ebook che, proprio in questigiorni, vengono lanciati dallenuove piattaforme digitali Edi-gita e Biblet: 1.500 i volumi(3.500 mila entro Natale) mes-si in rete dal gruppo a cui ade-riscono Feltrinelli, Messagge-rie Italiane, Gems e Rcs libri e1.600 i titoli della mondadoria-na Biblet. I colossi dell'ebookstanno muovendo i primi passie le domande incalzano: ci sa-rà il sorpasso? E quando il so-pravissuto in economica o concopertina cartonata sarà l'ulti-mo dei mohicani?

A offrir risposte sulla vita esulla morte (eventuale) di tutti

i volumi, tradizionali e new ver-sion, arriva adesso un'impor-tante summa, un completo eaggiornatissimo dossier di Gio-vanni Solimine, L'Italia che leg-ge, in uscita da Laterza (pp.184, € 12).

Mettendo in correlazione lepiù recenti indagini di settore(dall'Istat al Censis all'Ipsos),lo studioso scopre gioie e dolo-ri e tante contraddizioni diquesta complicata evoluzione.E ci spiega anche che l'Indipen-dence day, il giorno in cui l'inva-sione delle nuove tecnologie se-gnerà il passaggio del testimo-ne dalla stampa al lettore digi-tale, non è ancora giunto perniente.

Le ultime notizie dal frontedella nostra produzione libra-ria oggi segnano, infatti, moltenovità: le aziende italiane sfor-nano tomi come panini e si col-locano al settimo-ottavo postonel mondo e al quarto-quintoin Europa. Il numero di titolipubblicati per mille abitantinon è molto diverso da quellodi altri paesi del vecchio conti-nente. E le nostre case editricisi posizionano in uno spazio in-termedio tra Spagna e RegnoUnito (che usufruiscono, però,di ben altre loro aree di diffu-sione linguistica).

Insomma, l'Italia è diventa-ta un colosso del libro. Allora,di cosa ci lamentiamo? «E' un

A cura di:LUCIANO GENTAcon BRUNO QUARANTA

[email protected]/tuttolibri/

BRUNOQUARANTA

Benedetto Croce era so-lito domandare agli studenti:«Vi indignate? Perché quandonon vi indignerete più sarà la fi-ne». Ma come è possibile indi-gnarsi se non si sa né leggere néscrivere, se non si possiede quelbisturi, quella sonda, quel ter-mometro che è l’alfabeto?

Napoletana è Antonella Ci-lento. Un tempo, nell’età deami-cisiana riverberatasi fino aglianni Sessanta, sarebbe stata in-signita della medaglia d’oro. Dachi? Ma dal ministero della Pub-blica Istruzione, tale l’eroica mis-sion che l’autrice di Una lunganotte, fra i romanzi esemplari de-gli ultimi anni, va rinnovando

nelle stagioni. Di scuola in scuo-la, porgendo il «talismano» chela parola è, letta e scritta, un’«ar-ma scalza», la definisce nel suofebbrile journal Asino chi legge(Guanda, pp. 184, € 16), un’armafelicemente impropria, «per ri-cordarci della profondità».

Nei banchi, ad attendere An-tonella Cilento, «Esperto Ester-no di scrittura creativa», sonogli scugnizzi, scugnizzi di ogniordine e grado, fino all’istitutotecnico, fino al liceo, tra le no-stre speranze, in attesa, loro co-me tutti i ragazzi d’Italia, dellaparola che montalianamente«squadri», dirozzi, elevi, nominie legiferi, infine, il caos, sfarinan-do gli slogan, gli anatemi, glistrafalcioni. Idealmente, hannocome compagno Giulio Bollati,l’Italiano che non esitava a con-fessare come il pensiero gli si ri-velasse solo facendo scorrere lapenna sul foglio bianco.

Legite, prima di effettuare lascissione, approdando a «le gi-te». Avvertiva don Gesualdo Bu-falino che la mafia si comincia avincere nelle classi elementari.Magari imparando, nello sfoglia-re il vocabolario isolano, che ma-fioso, in talune lande, come a Co-miso, non è il tipo con la lupara,ma un dire galante, un omaggioalla bellezza femminile.

Antonella Cilento, ostinata egenerosa come dev’essere un te-stimone, sparge quotidianamen-te le sue rose. L’asino che è innoi diverrà d’oro, diverrà uomo,diverrà cittadino nutrendosene.

Il Salone del Gusto ègiunto all'ottava edizione:ma che cosa ne è del gusto

in Italia? A volte capitaancora di incontrare

qualche americano dipassaggio che ripete:

«Voi in Italia sapetevivere, avete il gusto della

vita»; film e varialetteratura hanno reso il

principio quasi una veritàlogica, più che un luogo

comune. In Germania sichiama «Italianisierung»

(letteralmente«diventare italiani») il

processo per cui si apronoristoranti e dehors, si

prende un caffè o unbicchiere di vinochiacchierando

all'aperto, mangiandocibi curati. Ma è ancora

così? Siamo ancora idepositari del «gusto

della vita»? Un fiume dimalumore, inimicizia,

rabbia e rancore,attraversa l'Italia

confusa e corrotta:l'uomo che uccide con un

pugno, il tassistamalmenato in coma, i

medici che litigano in salaparto; e persino Napoli, la

patria del disordinefelice, di Totò che si infila

gli spaghetti in tasca,sembra popolata da gente

cupa e nervosa,sopraffatta dai rifiuti. Un

tempo si pensava che lapolitica, l'arte di

cambiare le cose, fosse lacura. Ma adesso l'originedel disagio e della rabbia

sembra stia proprio lì,nella politica. Il fatto è

che la politica non hapotere: il vero potere

consiste nella capacità dipromuovere la pace,

condizione primaria delgusto di vivere («ne cives

ad arma ruant»). Manonostante i soldi e lanotorietà, i «potenti»

italiani di oggi non hannoneppure un grammo di

questo vero potere.

Continua a pag. IX

TUTTOLIBRI

LASTAMPA

NUMERO 1737ANNO XXXIVSABATO 23 OTTOBRE 2010

FRANCA D’AGOSTINI

C’ÈIL SALONE

MA NON PIÙIL GUSTO

tuttoLIBRI

CITATI

Nel Nulladi LeopardiC’era un ragazzogeniale a RecanatiFICARA P.V

DIARIO DI LETTURA

Berengo Gardin80 anni di fotoUn flâneur traGramsci e SimenonVALLINOTTO P.XI

Asino èchi leggesenzaprofondità

p

La nostra editoria èquarta in Europae settima nel mondo,il Piemonte è la regionecon più lettori

Una scrittrice tragli scugnizzi, offrendo«l’arma scalza»che è la parola, antidotocontro ogni babele

DE CARLO

L’amoreal call center«LEIELUI»: cometornare a vivereBARILLI P. III

MEMORIE

Nel maredi ConradL’avventuradell’immaginazioneGORLIER P. VI

I

Page 2: Tuttolibri n. 1737 (23-10-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - II - 23/10/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/02 - Autore: FRABEL - Ora di stampa: 22/10/10 20.11

ANDREACORTELLESSA

E se un bel giorno nellastanza mi si materializzasse unmetro cubo d'oro massiccio? Ese una notte mi venisse a trova-re mio padre morto, che ha biso-gno di usare il bagno di casamia? E se mi accorgessi che, ap-pena volto lo sguardo, le coseche vedevo fino a un momentofa spariscono?

Sono alcune delle elucubra-zioni - esilaranti per gli assuntidi partenza ma soprattutto peri ragionamenti cui danno il via,a soqquadro di qualsiasi organi-cità logica - raccolte in Operetteipotetiche del modenese UgoCornia. È il secondo suo titolopubblicato da una collana, la«Compagnia Extra» diretta perQuodlibet da Ermanno Cavaz-zoni e Jean Talon, che pare fat-ta apposta per i tipi come lui: ta-lenti anarchici, impossibili da ot-timizzare editorialmente non-ché da etichettare per i lettori.

Il cartellino che si tende ausare, quello degli stralunati

emiliani, serve in effetti solo amettere assieme chi non sta as-sieme a nessun altro - e se è perquesto neppure a se stesso (il tito-lo della collana è in tal senso per-fetto). Negli altri suoi libri, quelliusciti da Sellerio e Feltrinelli chegli hanno guadagnato un pubbli-co limitato ma accanito, Corniaha seguito due condotte (parlaredi strategie, nel suo caso, sareb-be un controsenso): da un lato il

monologo affannosamente parai-potattico, à la Thomas Ber-nhard, dall'altro (nel caso delleStorie di mia zia, modellate sulgiuoco dell'oca) la struttura com-binatoria che prova a tenere as-sieme frammenti narrativi, per ilresto, perfettamente centrifughi.Nei libri in apparenza «minori»dati a Quodlibet invece - nei qualinon c'è traccia di scheletro con-nettivo e dunque i «pezzi» si sus-

seguono ineguali, e desultoria-mente strafottenti - si distilla unCornia quintessenziale, millesi-mato: da mandare in brodo digiuggiole gli aficionados.

Unico barlume di coerenza,come si accennava, l'andamentoipotetico. Come ben sapeva unodei maestri di Cornia, GiorgioManganelli (che intitolò Hyperipo-tesi la sua adesione a un'«ipotesidi lavoro» come il Gruppo 63, e

che sul periodo ipotetico imper-niò la sua opera estrema, Nuovocommento), questo artificio asso-cia una continuità stilistico-retori-ca («alta» e manieristica nel suocaso, studiatamente ruspante enaïve in quello di Cornia) e unaproliferante discontinuità struttu-rale: ogni ipotesi apre una serie di«bivî» concettuali e sintattici chefrantumano, col dettato linguisti-co, il panorama mentale. Esem-

pio persino dimostrativo sono quile pagine 100-104, nelle quali Cor-nia descrive (non sto a dire il per-ché) la scena più famosa di Fren-zy: così come la scena di quel «fur-bone» di Hitchcock è tutto un pia-no-sequenza, senza stacchi dimontaggio, così lui s'impenna sul-le montagne russe della sintassi,senza mai un punto fermo, percinque pagine filate. Un hors d'oe-uvre da lasciare senza fiato.

Allo stesso modo lasciano stu-pefatti, i pezzi del libro, per lacombinazione di retoriche «bas-se» e «classici» repertorî filosoficie teologici - come la dialettica framonoteismo e politeismo o l'esseest percipi del vescovo Berkeley -che mostrano come il vero arche-tipo di questa scrittura non sia dacercare nell'aggettivo del titolo,bensì nel sostantivo.

Usando ritrovati stilistici re-motissimi, al modo di quelle «mo-rali» di Leopardi anche queste«ipotetiche» di Cornia ci mettonodi fronte agli interrogativi più ra-dicali e ai paradossi più squisiti:«con leggerezza apparente».

GIANNIBONINA

Maria, la capinera ca-tanese di Verga, diventa la mes-sinese Agata della Agnello Hor-nby. Che alla sua rinovellata mo-naca di Monza dà il nome dellapatrona di Catania, anche leisuora, di vasta erudizione emanzoniana «santa d'alti nata-li». Pur non essendo preda delloscontro tra amore sacro e amo-re profano che tormenta la Eloi-sa di Rousseau e l'altra Eloisa diAbelardo, né mezzo - come laSusanna di Diderot - per impor-re il primato della ragione sullafede, la monaca della Hornby ètuttavia, come Susanna, Mariae Gertrude, una donna emanci-pata che al pari di Antigone lot-ta contro le leggi del suo tempoper affermare l'autorità dei sen-timentisulla potenza dell'etica.

In un'epoca, quella del Re-gno delle due Sicilie, nella qua-le già il valzer suscita scandaloanche nei salotti più avvertiti,Agata è costretta dalla madrea monacarsi e vive la clausura

in uno stato di dissidio lacerantetra il trasporto per il suo Giaco-mo (che poi diventa James: unsecondo amore più forte del pri-mo, ma di cui conserva il nome) eun sentito fervore religioso chenon diventa però mai vocazione.Alla fine, tra alti e bassi della fe-de, decisioni a scegliere definiti-vamente il chiostro e ripensa-menti perché risospinta verso ilmondo, la ragazza dagli occhi a

mandorla per un ghiribizzo di re-moti geni si salva dalla morte,che spetta invece alla Maria ver-ghiana, e corona il suo sogno.

La sua arma vincente (perconquistare il cuore del nobile ericco James come anche per pri-meggiare in una società che si tur-ba a sentire parlare inglese unaragazza) sono i romanzi borghesiche legge e che le infiammano lospirito, nonché le gazzette che le

schiudono l'orizzonte sui turbo-lenti anni prerisorgimentali chevive alla distanza e che pure in-crociano la sua movimentata vi-cenda complicandola. Ma a diffe-renza delle figlie del Principe diSalina che di fronte alle uniformidi Tancredi e Cavriaghi, portato-ri del fatto nuovo, lasciano cadereil «romanzo edificante» dietro lapoltrona (un romanzo il cui titolocuriosamente corrisponde al no-

me della zia di Agata, la più spre-giudicata di casa Padellani, «An-giola Maria»), i romanzi che Aga-ta legge di nascosto, Orgoglio epregiudizio su tutti, sono quelliche la educano a una culturaaconfessionalee antinomica.

Sicché la sua guerra alla mo-rale corrente è il correlato della ri-volta che l'insorgenza unitaria co-mincia a muovere alla società bor-bonica imperante. E Agata è la so-

rella d'inchiostro di AngiolinaUzeda de I Viceré, monacata per-ché colpevole come primogenitadi essere nata femmina: con la dif-ferenza che la remissiva e rinun-ciataria Angiolina viene qui ri-scattata dalla irriducibile e risolu-ta Agata Padellani.

A ben vedere, La monaca dellaHornby, per l'ampiezza del rac-conto, per la potenza della rico-struzione storica e la pluralità dipersonaggi cavati con cura, benepuò essere inteso come un antece-dente del capolavoro di De Rober-to, che - in un'ideale controstoriad'Italia - comincia laddove questonuovo romanzo della scrittrice si-ciliana si chiude.

Romanzo che pecca però allafine: James scopre dove è tenutaAgata perché «sente» che nonpuò che essere da Angiola Maria.Ma non ha mai conosciuto la ziadi Agata né il cardinale, ignaro an-che lui, può averglielo detto. Unpo' come tanti romanzi del gene-re storico, non ultimo I promessisposi, anche La monaca alla fineviene chiuso troppo in fretta.

Nel call centerc’è il sacro Graal

De Carlo Un narratore di fama e una donnain apparenza sbiadita ricominciano a vivere

RENATOBARILLI

Da circa un trenten-nio esiste nella narrativa ita-liana il caso ingombrante co-stituito dalla fitta produzionedi Andrea De Carlo, una quin-dicina di romanzi, più questoultimo, Leielui, affidata a unritmo di uscite biennali, accol-te dalla critica con consenso oimbarazzo e repulsione. Un ca-so, a ben pensarci, molto pros-simo a quello di Moravia, ante-riore a lui di un mezzo secolo.

I capi d'accusa che si pos-sono volgere a entrambi si ras-somigliano assai: il fatto diaver esordito con opere giàquasi perfette, ma col rischiosuccessivo di essere condan-nati una ripetizione ossessivae senza troppe varianti. E su-bito dopo, la possibile accusadi «scrivere male», cioè in unitaliano medio, perfettamentescorrevole e trasparente, sen-za quegli spessori e tormenti

linguistici che piacciono tantoai nostri lettori esigenti, sullascorta di Gadda. Entrambi reidi seguire l'ammonimento da-to a suo tempo da Stendhal,cioè di valersi dello stesso lin-guaggio del codice civile. Mad'altra parte, quanti vantaggie lati positivi in questa stessasindrome, e De Carlo ne èbuon erede.

La sua scrittura, ampia,scorrevole, si adatta all'interocontesto della nostra civiltà at-tuale, usi e costumi e consumi,nelle varie modalità di com-portamento, quali si conven-gono a una borghesia mediache peraltro ha fatto scuola,imposta ad ogni altro ordinesociale dalla diffusione televi-

siva. Siamo tutti cittadini di unaimmensa e onniestesa societàvolta a praticare ovunque i non-lieux di Augé, a saltare da unweek-end all'altro, a praticareacquisti massicci nei super-market, a essere sempre benforniti di telefonini, corretta-mente vestiti, anche nelle formecasual che si addicono alle circo-stanze quotidiane.

Lo stesso si dica se dai con-sumi materiali passiamo a quel-li affettivi, dove d'altronde il ses-so funziona anch'esso come un

«usa e getta», e la famiglia è piùche mai aperta, ciascuno deiprotagonisti si trascina dietrouna serie di nuclei familiari cre-ati e abbandonati, con relativaprole, che però non appare tri-ste e avvilita, bensì pronta a per-donare i genitori smemorati e acontinuarli nelle medesime pro-cedure. E' insomma ovunque iltrionfo del banale, del piatto,del conforme. Sennonché, pro-prio come Moravia, seppure suun livello minore e meno appari-scente, anche De Carlo inseri-

sce in tanta desolazione taluniprotagonisti di segno contrario,capaci di alimentare una ripul-sa, quasi presi appunto dalla no-ia moraviana, o addirittura dal-la nausea sartriana. Insomma,ci sono, confusi nella massa, deicavalieri intrepidi che vanno al-la ricerca di anime gemelle.

Posto questo scenario comu-ne, andiamo a vedere le variantiche ci fornisce questo Leielui. Ilcavaliere errante questa voltasi chiama Daniel Deserti, e recagià un segno di elezione in quan-

to risulta baciato dal successo,è narratore di fama, abbastanzaprossimo allo stesso autore, ilche gli consente un comporta-mento sprezzante che fa stra-me dei comuni mortali. Sarebbequesto un tratto negativo, inquanto gli eroi o cavalieri checompaiono nell'universo di DeCarlo dovrebbero essere solita-ri, lavorare sott'acqua, non usci-re troppo allo scoperto.

Infatti, diciamolo pure, que-sto Deserti è alquanto antipati-co per la sua oltracotanza, mapoi rivela pure lui un lato debo-le, si mostra anima inquieta, pernulla appagato dai facili trionfinella carriera e nel sesso, postoalla ricerca di un sacro Graalperduto. E così, diviene provvi-denziale l'incontro con ClareMoretto, figura in apparenzasbiadita, alle prese con un lavo-ro modesto in un call center, erassegnata a convivere con unprofessionista mediocre. Anchelei ha un avvoltoio che le rode ilfegato, se pensa al padre che, vit-

tima di un male incurabile, si èfatto saltare in aria rifugiandosinella barca delle vacanze.

Lei e lui, come dice il titolo, siriconoscono per segni impercet-tibili, si sentono elevati al diso-pra della mischia, richiamatiquasi a un pudore edenico chegli impedisce di commettere su-bito il sesso facile cui non si sot-trarrebbero in altre occasioni.Tanto è vero che la loro relazio-ne risulta contrastata, come inuna corsa a ostacoli, con un cre-scendo finale che sembra giàpronto a scivolare in un film o inuna telenovela. Ma De Carlo, eprima di lui Moravia, ci hannoinsegnato che la narrativa carta-cea deve ormai spartire il desti-no con quella su nastro.

E se apparisseun metrocubo d’oro?

PAROLE IN CORSOGIAN LUIGI BECCARIA

L’aziendalicenzia Manzoni

Meglio spendere in telefoni che in libri:la cultura alla deriva nell’Italia del fare

Quella monacaha il coraggiodi Antigone

LORENZOMONDO

Se c’è coerenza nellanarrativa di Luigi Guarnieri,essa consiste nell’applicarsi al«romanzesco» offerto per cosìdire in re da certe figure o ac-cadimenti storici, mantenen-dosi fedele a una rigorosa do-cumentazione e limitandosi asollecitarne i silenzi e le zoned’ombra. Mi sembra che que-sto lo distingua dal tradiziona-le autore di romanzo storicoche ricorre con dovizia all’in-venzione. Per il resto, egli puòspaziare tranquillamente daLombroso a Vermeer, dal colo-nialismo in Congo al brigan-taggio nell’Italia meridionale.Oppure, come fa nel suo ulti-mo libro, Una strana storiad’amore, portandoci nel mon-do della grande musica roman-tica dell’Ottocento.

Dirò subito che non occor-

re avere la competenza musi-cale di cui dà prova Guarnieriper essere catturati dal suoracconto. Che prende ideal-mente le mosse dal giorno disettembre del 1853 in cui l’ap-pena ventenne e sconosciutoJohannes Brahms viene rice-vuto nella casa di Düsseldorfdove abitano, con i sei figli, l’af-fermato compositore RobertSchumann e la moglie ClaraWieck, acclamata pianista.

Johannes esegue al piano-forte una propria Sonata in laminore che incanta gli ospiti.E’ l’incontro magico che in-treccia i loro destini e dà vita aun inedito triangolo amoroso esentimentale. Se Robert, giàinsidiato dalla follia, intravedein Johannes il più degno conti-nuatore della sua arte, Clara

condivide il trasporto che il bion-do, arcangelico musicista mani-festa per lei. Quando Schu-mann, di lì a poco, tenta il suici-dio e viene ricoverato in manico-mio, Brahms assume una imba-razzante posizione, producendo-si come cavalier servente dellacelebre pianista e sostituto pa-terno della sua numerosa figlio-lanza. E’ un amore prima esitan-te e inconfessato che si accendee brucia per una breve stagione,per ritrarsi infine e restituirsi al-la devozione assoluta delle origi-ni. Neanche la morte precoce diSchumann è riuscita a dargli ali.

Il libro racconta questa sto-ria attraverso la lunga lettera-confessione che Brahms scrivea Clara all’indomani della suamorte e nella quale rivivono lefrustrazioni e i successi delle ri-

spettive carriere in una Europasedotta dalla musica, le fervideamicizie e rivalità, quella tor-mentosa passione che si dibattenell’ombra proiettata dal reclu-so Schumann. Ed è proprio me-ditando sulla sua follia che Guar-nieri, e per lui Brahms, trovanogli accenti più veri, le più ambi-gue, attraenti invenzioni.

Forse Schumann, anzichécontrastarla, ha accondiscesoalla malattia per un sentimentodi vendetta, per impedire chel’amore nascente tra Johannese Clara, contaminato dal rimor-so, avesse un futuro. O forse havoluto semplicemente levarsi dimezzo per generosità, per age-volare la destinata unione didue esseri a lui superiori nellagrazia e nell’arte: «Il progetto, ilpiano di Robert era proprio que-sto: sgravare dal peso intollera-bile della sua presenza le due so-le persone cui doveva i pochigiorni di serenità e bellezza cheaveva vissuto»: dal momento incui sentì quella sonata, rimastainedita, che il vecchio Johannestornerà a eseguire nel suo ulti-mo addio a Clara. Le chiederà inquell’occasione di distruggerneil manoscritto, perché destinatasoltanto a loro due, e all’indi-menticato Robert.

Il Guarnieri filologo ci infor-ma che invece riapparve inopina-tamente dopo la morte diBrahms, ma come dimezzata, re-stituita nella parte per violino eamputata di quella per pianofor-te. Quasi una metafora dell’amo-re incompiuto che Guarnieri hasaputo raccontarci con la suafluida prosa, con il suo fervore.

Cornia «Operette ipotetiche»: cosìva in frantumi il panorama mentale

Agnello Hornby Nel Regno delleDue Sicilie una lacerante clausura

PER I RAGAZZI: LA MAFIA RACCONTATA DA GANDOLFI

Per non diventare infame= Vite a grilletti premuti e vitenel mirino, spezzate negliagguatidi mafia che Silvana Gandolfi racconta in Iodentro gli spari (Salani, pp. 222, € 14) attraverso il«rimbalzo» delle voci di Santino e di Lucio. Sei anni vissutiin un paesino del palermitanoa masticaregiornate con isensi all'erta, Santino capta che nel mestiere di nonno epapà qualcosa non va. Non tanto perché rubano quanto,piuttosto, perché hanno pestato «piedi d'onore» conqualchemossa maldestra. Per U Taruccatu non è cosa,però quelli sgarrano di nuovo e allora lui dall’avvertimentopassa all'esecuzione. Testimone Santino che schizza via, in

una corsa disperata e fortunosaa un'allungatura di bracciodallamorte. Il bambino la scampa, tuttavia dovràmacerarsi fra il tacere «per non diventare un infame»,minaccia zi' Turi, e il parlare per essere un uomo con laschiena dritta come lo vuole la mamma, finendo per fare lascelta che lo proietta verso un’adultità consapevoleeorgogliosa. Undici anni, livornese d’adozione,madre esorellinaal seguito, Lucio narra in prima persona che«tutto mi fa pena, a partire da me stesso» come scrive alCacciatore, l'amico segreto, in lettere mai spedite. Soltantola passione per la vela s'innesta a piccoli sorsi interrotti nellasua rarefatta esistenza d'attesa, d'improvviso accesa da unsms sbagliato che sembra alludere al rapimento dellamadre. Così lo ritroviamo a Palermo dove «indossa»

Santino, riappropriandosi dell’identitàdivisa dalprogramma di protezione dei testimoni, e dove collaboradi nuovo con il Cacciatore, il magistrato al quale ha fattonomi e cognomidei killer di nonno e di papà.Ma con il ragazzo sul proscenio la solida, catturantearchitettura della narrazione si smaglia in una girandoladicombinazioni concatenate che danno affrettatamentesull’epilogo scontato: la cattura del killer ancora latitante, eSantino-Lucione è l'artefice decisivo. Io dentro gli spari vaad aggiungersi a Ragazzi di Camorra di Pina Varriale e a Perquesto mi chiamo Giovanni (Falcone)di Luigi Garlando,titoli di riferimento «intorno» alla criminalità organizzatache induconoa riflettere. E a schierarsi. Ferdinando Albertazzi

Gustavo Zagrebelsky èautorevolmente interve-nuto sul tema del lin-

guaggio moderno della politica,tutto impregnato di aziendali-smo e produttivismo. La vitaodierna, concentrata sul benesse-re materiale, sui consumi e lo svi-luppo economico, sta lasciandoorme vistose anche nei linguaggidella politica, dove quel che contaè ora «far marciare», cioè far an-dare «nel verso giusto», l'«azien-da Italia», trascurando ogni al-tro aspetto profondo e vitale.

Meglio spendere in telefoniniche in libri. La cultura conta sem-pre di meno. Compito primariodella scuola è ritenuto il produrre«risorse umane» per lo «svilup-po». Si dovrà comunicare quelloche davvero conta, cioè l'utile. SeDante e Manzoni tirano poco intermini di mercato, meglio accan-tonarli.

L'Italia è dunque un Paesefondato sull'economia (e non piùsul lavoro), dove i fatti dovrannoprevalere sulle chiacchiere. Intel-lettuali e professori sono dei per-digiorno, disperdono nel ventoparole e parole (si pensi al tempoche fanno perdere i dibattiti par-lamentari!) che non producono,che ritardano il «fare», disturba-no l'attività dell'imprenditore,non lasciano lavorare. Centrale èdiventato il concetto di operosità:non importa se si è ottusi e incol-ti, basta operare. Le cose si devo-no amministrare e guidare comesi guida un'azienda, che fa le sueindagini di mercato e decide di

conseguenza. Il pluralismo, il dibat-tito, le idee diverse a confronto, di-straggono, conducono al vanilo-quio.

A questo punto ci viene quasida rimpiangere i tempi tragici, te-sissimi, dell'immediato dopoguer-ra, anni che ci hanno dato il senso(o l'illusione) della grandezza dellapolitica e dell'impegno. Oggi che èsubentrata l'azienda, il danaro, lapolitica come affarismo, si alterna-no sulla scena figure senza speran-za e senza fantasia, che ci rivelanobrutalmente l'insignificanza delleloro parole. Il linguaggio politico èterra terra: «Portare a casa» il fe-deralismo, «metter le mani nelle ta-sche degli italiani», «mettersi ditraverso», «tirare per la giacca», il«doppio forno», e poi tanti insulti evolgarità...

Su tante parole della political'Italia è spaccata. Quella di mag-gior corso è «federalismo», il trasfe-rimento di competenze dallo Statoalle regioni. Parola magica, che di-stoglie dal pensare che il «federali-smo» è cosa utile e buona se intesocome il voler rendere più vicine alcittadino le istituzioni, deleteria in-vece, se diventa frattura dell'unità,disgregazione della coesione socia-le. Penso infine a «liberismo», paro-la intesa come operosità individua-le liberata da regole che ostacolanol'iniziativa e la libertà personale, ifamosi «lacci e lacciuoli». Non la siconfonda con «liberalismo», che èinvece un'armonia tra le libertà ditutti attraverso un controllo ammi-nistrativo e un autocontrollo mora-le. Ma è cosa d'altri tempi...

AD AOSTA

Per Sapegno= Vent’anni fa morivaNatalino Sapegno, storico ecritico insigne della letteratura.La Fondazione a lui intitolata,con sede ad Aosta (Sapegno vinacque nel 1901), gli hadedicato una mostra apertafino al 30 ottobre, a Morgex,Tour de l’Archet: «NatalinoSapegno: “la letteratura formadi tutta la nostra vita”».

A MILANO

Per Ferretti= «Nuove fonti e prospettiveper la storia dell’editoria» è ilseminario organizzato aMilano per celebrare gliottant’anni di Gian CarloFerretti, autore di «Il mercatodelle lettere», studioso deiprocessi dell’editoria libraria edei suoi rapporti con ilmercato. Il 26 ottobre, allaFondazione Mondadori di viaRiccione, con lo stesso Ferretti,Cadioli, Finocchi, Peresson,Pischedda e Rollo.

DOPOIL TERREMOTO

L’Aquila che legge= Vincenzo Cerami, MarinoSinibaldi, Lidia Ravera sono fra iprotagonisti, oggi, di «L’Aquilaad alta voce», una kermesseculturale che culminerà conl’inaugurazione della nuovaBibliocasa. Fino al 31 ottobre,«L’Aquila felice», festivalpromosso da Minimondi Parma.Partecipa il Salone del Libro diTorino proponendo «L’Italia deiFestival» con Mantova,Pordenone e Premio Napoli.

A PISA

Book Festival= Fino a domani, «Pisa BookFestival», Paese ospite ilPortogallo. Nel suo ambito,«Pisa Book Junior», perbambini e ragazzi.www.pisabookfestival.it

pp Ugo Corniap OPERETTE IPOTETICHEp Quodlibet, pp. 115, € 12

«UOMINI SENZA VENTO», NOIR MEDITERRANEO DI PEROTTI

In fuga, a caccia di balene= Simone Perotti è un uomo che ha trovato il vento, ilcoraggio di cambiare vita: da top manager a skipper etuttofare, per inseguire il sogno di scrivere e del mare. Ilsuo ritorno alla libertà lo ha raccontato in Adesso basta(Chiarelettere), che è diventato il manifesto deldownshifting, di chi non ce la fa più con il lavoro fine ase stesso e vuole mollare. Il libro è stato laboratorio diUomini senza vento (Garzanti, pp. 292, € 17,60), chearriva adesso a completare il percorso, anche se aritroso. Quando Roberto, il protagonista, riceve latelefonata del suo amico Antonio, da Ponza, è ancora

incastrato infatti nella «bolla», nel mondo circoscritto,quello ripetitivo ma anche protettivo in cui sono arenatitanti quarantenni. Imprigionati nella bonaccia, in bilicotra progetto e azione. Antonio gli comunica chequalcosa non va sull’isola, gli trasmette il sospetto e lapaura. Roberto gli crede soltanto in parte, ma salpaugualmente, con la sua barca a vela, forse più perscrollarsi di dosso la Milano degli happy hour, che perspirito d’avventura. Quella che sogna, ma che teme.In mare, quello vero, s’imbatterà in una golettacondotta da una donna misteriosa. Sull’isola, in unostrano abuso edilizio, in una morte che non torna e inun muro di gomma che inquieta. Roberto resta ancoraun po’ sulla china, finché precipita nell’azione. Nel

mondo reale, fuori dalla «bolla». La donna misteriosa èSara, una militante ecologista che insegue ed èinseguita da una nave nera. Una donna che ha fatto unascelta, che si è gettata nelle onde della vita. A differenzadi Roberto, il quale, decidendo di condividerne il destinosi trova involontariamente risucchiato in una grandecaccia alla balena e ai balenieri che si gioca tra Ponza,l’Elba e la Corsica. A tirare le fila, una massoneria dicomandanti di lungo corso e uno scontro inevitabile traSara e il suo passato. Alla fine della corsa, di questo noirmediterraneo e ambientalista, in cui il mare domina,contiene ed è luogo di epifania del male, il protagonistaha, finalmente, superato la linea d’ombra. Fabio Pozzo

«Una strana storia»:carriere, amicizie,rivalità, la passionedi Johannes per Clara,moglie di Robert

Guarnieri Brahms in casa Schumann:una mirabile Sonata fa scattare la scintilla

pp Simonetta Agnello Hornbyp LA MONACAp Feltrinelli, pp. 300, € 17

pp Luigi Guarnierip UNA STRANA STORIA

D’AMOREp Rizzoli, pp. 214 , € 17p Luigi Guarnieri è nato a Catanza-

ro nel 1962 e vive a Roma. Con«Vita scriteriata di Cesare Lom-broso» (Mondadori) vinse il pre-mio Bagutta. E’ autore anche di«Tenebre sul Congo» e «Unabreve follia».

pp Andrea De Carlop LEIELUIp Bompiani, pp. 568, € 18,50

Clara Wieck, acclamata pianista, moglie di Robert Schumann

Un triangolodi amore e follia

Bloc notes

Un’illustrazione da «Amantes» racconti per immagini di Ana Juan, edito da Logos (pp. 208, € 20)

Simonetta Agnello Hornby

«LEIELUI»: un’animainquieta oltrela carriera e il sesso,alla ricerca di unaprovvidenziale sponda

Ugo Cornia

Tra noia moravianae nausea sartriana,un italiano mediosenza spessorie tormenti linguistici

Silvana GandolfiSimone Perotti

Scrittori italianiIITuttolibri

SABATO 23 OTTOBRE 2010LA STAMPA III

Page 3: Tuttolibri n. 1737 (23-10-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - III - 23/10/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/02 - Autore: FRABEL - Ora di stampa: 22/10/10 20.11

ANDREACORTELLESSA

E se un bel giorno nellastanza mi si materializzasse unmetro cubo d'oro massiccio? Ese una notte mi venisse a trova-re mio padre morto, che ha biso-gno di usare il bagno di casamia? E se mi accorgessi che, ap-pena volto lo sguardo, le coseche vedevo fino a un momentofa spariscono?

Sono alcune delle elucubra-zioni - esilaranti per gli assuntidi partenza ma soprattutto peri ragionamenti cui danno il via,a soqquadro di qualsiasi organi-cità logica - raccolte in Operetteipotetiche del modenese UgoCornia. È il secondo suo titolopubblicato da una collana, la«Compagnia Extra» diretta perQuodlibet da Ermanno Cavaz-zoni e Jean Talon, che pare fat-ta apposta per i tipi come lui: ta-lenti anarchici, impossibili da ot-timizzare editorialmente non-ché da etichettare per i lettori.

Il cartellino che si tende ausare, quello degli stralunati

emiliani, serve in effetti solo amettere assieme chi non sta as-sieme a nessun altro - e se è perquesto neppure a se stesso (il tito-lo della collana è in tal senso per-fetto). Negli altri suoi libri, quelliusciti da Sellerio e Feltrinelli chegli hanno guadagnato un pubbli-co limitato ma accanito, Corniaha seguito due condotte (parlaredi strategie, nel suo caso, sareb-be un controsenso): da un lato il

monologo affannosamente parai-potattico, à la Thomas Ber-nhard, dall'altro (nel caso delleStorie di mia zia, modellate sulgiuoco dell'oca) la struttura com-binatoria che prova a tenere as-sieme frammenti narrativi, per ilresto, perfettamente centrifughi.Nei libri in apparenza «minori»dati a Quodlibet invece - nei qualinon c'è traccia di scheletro con-nettivo e dunque i «pezzi» si sus-

seguono ineguali, e desultoria-mente strafottenti - si distilla unCornia quintessenziale, millesi-mato: da mandare in brodo digiuggiole gli aficionados.

Unico barlume di coerenza,come si accennava, l'andamentoipotetico. Come ben sapeva unodei maestri di Cornia, GiorgioManganelli (che intitolò Hyperipo-tesi la sua adesione a un'«ipotesidi lavoro» come il Gruppo 63, e

che sul periodo ipotetico imper-niò la sua opera estrema, Nuovocommento), questo artificio asso-cia una continuità stilistico-retori-ca («alta» e manieristica nel suocaso, studiatamente ruspante enaïve in quello di Cornia) e unaproliferante discontinuità struttu-rale: ogni ipotesi apre una serie di«bivî» concettuali e sintattici chefrantumano, col dettato linguisti-co, il panorama mentale. Esem-

pio persino dimostrativo sono quile pagine 100-104, nelle quali Cor-nia descrive (non sto a dire il per-ché) la scena più famosa di Fren-zy: così come la scena di quel «fur-bone» di Hitchcock è tutto un pia-no-sequenza, senza stacchi dimontaggio, così lui s'impenna sul-le montagne russe della sintassi,senza mai un punto fermo, percinque pagine filate. Un hors d'oe-uvre da lasciare senza fiato.

Allo stesso modo lasciano stu-pefatti, i pezzi del libro, per lacombinazione di retoriche «bas-se» e «classici» repertorî filosoficie teologici - come la dialettica framonoteismo e politeismo o l'esseest percipi del vescovo Berkeley -che mostrano come il vero arche-tipo di questa scrittura non sia dacercare nell'aggettivo del titolo,bensì nel sostantivo.

Usando ritrovati stilistici re-motissimi, al modo di quelle «mo-rali» di Leopardi anche queste«ipotetiche» di Cornia ci mettonodi fronte agli interrogativi più ra-dicali e ai paradossi più squisiti:«con leggerezza apparente».

GIANNIBONINA

Maria, la capinera ca-tanese di Verga, diventa la mes-sinese Agata della Agnello Hor-nby. Che alla sua rinovellata mo-naca di Monza dà il nome dellapatrona di Catania, anche leisuora, di vasta erudizione emanzoniana «santa d'alti nata-li». Pur non essendo preda delloscontro tra amore sacro e amo-re profano che tormenta la Eloi-sa di Rousseau e l'altra Eloisa diAbelardo, né mezzo - come laSusanna di Diderot - per impor-re il primato della ragione sullafede, la monaca della Hornby ètuttavia, come Susanna, Mariae Gertrude, una donna emanci-pata che al pari di Antigone lot-ta contro le leggi del suo tempoper affermare l'autorità dei sen-timentisulla potenza dell'etica.

In un'epoca, quella del Re-gno delle due Sicilie, nella qua-le già il valzer suscita scandaloanche nei salotti più avvertiti,Agata è costretta dalla madrea monacarsi e vive la clausura

in uno stato di dissidio lacerantetra il trasporto per il suo Giaco-mo (che poi diventa James: unsecondo amore più forte del pri-mo, ma di cui conserva il nome) eun sentito fervore religioso chenon diventa però mai vocazione.Alla fine, tra alti e bassi della fe-de, decisioni a scegliere definiti-vamente il chiostro e ripensa-menti perché risospinta verso ilmondo, la ragazza dagli occhi a

mandorla per un ghiribizzo di re-moti geni si salva dalla morte,che spetta invece alla Maria ver-ghiana, e corona il suo sogno.

La sua arma vincente (perconquistare il cuore del nobile ericco James come anche per pri-meggiare in una società che si tur-ba a sentire parlare inglese unaragazza) sono i romanzi borghesiche legge e che le infiammano lospirito, nonché le gazzette che le

schiudono l'orizzonte sui turbo-lenti anni prerisorgimentali chevive alla distanza e che pure in-crociano la sua movimentata vi-cenda complicandola. Ma a diffe-renza delle figlie del Principe diSalina che di fronte alle uniformidi Tancredi e Cavriaghi, portato-ri del fatto nuovo, lasciano cadereil «romanzo edificante» dietro lapoltrona (un romanzo il cui titolocuriosamente corrisponde al no-

me della zia di Agata, la più spre-giudicata di casa Padellani, «An-giola Maria»), i romanzi che Aga-ta legge di nascosto, Orgoglio epregiudizio su tutti, sono quelliche la educano a una culturaaconfessionalee antinomica.

Sicché la sua guerra alla mo-rale corrente è il correlato della ri-volta che l'insorgenza unitaria co-mincia a muovere alla società bor-bonica imperante. E Agata è la so-

rella d'inchiostro di AngiolinaUzeda de I Viceré, monacata per-ché colpevole come primogenitadi essere nata femmina: con la dif-ferenza che la remissiva e rinun-ciataria Angiolina viene qui ri-scattata dalla irriducibile e risolu-ta Agata Padellani.

A ben vedere, La monaca dellaHornby, per l'ampiezza del rac-conto, per la potenza della rico-struzione storica e la pluralità dipersonaggi cavati con cura, benepuò essere inteso come un antece-dente del capolavoro di De Rober-to, che - in un'ideale controstoriad'Italia - comincia laddove questonuovo romanzo della scrittrice si-ciliana si chiude.

Romanzo che pecca però allafine: James scopre dove è tenutaAgata perché «sente» che nonpuò che essere da Angiola Maria.Ma non ha mai conosciuto la ziadi Agata né il cardinale, ignaro an-che lui, può averglielo detto. Unpo' come tanti romanzi del gene-re storico, non ultimo I promessisposi, anche La monaca alla fineviene chiuso troppo in fretta.

Nel call centerc’è il sacro Graal

De Carlo Un narratore di fama e una donnain apparenza sbiadita ricominciano a vivere

RENATOBARILLI

Da circa un trenten-nio esiste nella narrativa ita-liana il caso ingombrante co-stituito dalla fitta produzionedi Andrea De Carlo, una quin-dicina di romanzi, più questoultimo, Leielui, affidata a unritmo di uscite biennali, accol-te dalla critica con consenso oimbarazzo e repulsione. Un ca-so, a ben pensarci, molto pros-simo a quello di Moravia, ante-riore a lui di un mezzo secolo.

I capi d'accusa che si pos-sono volgere a entrambi si ras-somigliano assai: il fatto diaver esordito con opere giàquasi perfette, ma col rischiosuccessivo di essere condan-nati una ripetizione ossessivae senza troppe varianti. E su-bito dopo, la possibile accusadi «scrivere male», cioè in unitaliano medio, perfettamentescorrevole e trasparente, sen-za quegli spessori e tormenti

linguistici che piacciono tantoai nostri lettori esigenti, sullascorta di Gadda. Entrambi reidi seguire l'ammonimento da-to a suo tempo da Stendhal,cioè di valersi dello stesso lin-guaggio del codice civile. Mad'altra parte, quanti vantaggie lati positivi in questa stessasindrome, e De Carlo ne èbuon erede.

La sua scrittura, ampia,scorrevole, si adatta all'interocontesto della nostra civiltà at-tuale, usi e costumi e consumi,nelle varie modalità di com-portamento, quali si conven-gono a una borghesia mediache peraltro ha fatto scuola,imposta ad ogni altro ordinesociale dalla diffusione televi-

siva. Siamo tutti cittadini di unaimmensa e onniestesa societàvolta a praticare ovunque i non-lieux di Augé, a saltare da unweek-end all'altro, a praticareacquisti massicci nei super-market, a essere sempre benforniti di telefonini, corretta-mente vestiti, anche nelle formecasual che si addicono alle circo-stanze quotidiane.

Lo stesso si dica se dai con-sumi materiali passiamo a quel-li affettivi, dove d'altronde il ses-so funziona anch'esso come un

«usa e getta», e la famiglia è piùche mai aperta, ciascuno deiprotagonisti si trascina dietrouna serie di nuclei familiari cre-ati e abbandonati, con relativaprole, che però non appare tri-ste e avvilita, bensì pronta a per-donare i genitori smemorati e acontinuarli nelle medesime pro-cedure. E' insomma ovunque iltrionfo del banale, del piatto,del conforme. Sennonché, pro-prio come Moravia, seppure suun livello minore e meno appari-scente, anche De Carlo inseri-

sce in tanta desolazione taluniprotagonisti di segno contrario,capaci di alimentare una ripul-sa, quasi presi appunto dalla no-ia moraviana, o addirittura dal-la nausea sartriana. Insomma,ci sono, confusi nella massa, deicavalieri intrepidi che vanno al-la ricerca di anime gemelle.

Posto questo scenario comu-ne, andiamo a vedere le variantiche ci fornisce questo Leielui. Ilcavaliere errante questa voltasi chiama Daniel Deserti, e recagià un segno di elezione in quan-

to risulta baciato dal successo,è narratore di fama, abbastanzaprossimo allo stesso autore, ilche gli consente un comporta-mento sprezzante che fa stra-me dei comuni mortali. Sarebbequesto un tratto negativo, inquanto gli eroi o cavalieri checompaiono nell'universo di DeCarlo dovrebbero essere solita-ri, lavorare sott'acqua, non usci-re troppo allo scoperto.

Infatti, diciamolo pure, que-sto Deserti è alquanto antipati-co per la sua oltracotanza, mapoi rivela pure lui un lato debo-le, si mostra anima inquieta, pernulla appagato dai facili trionfinella carriera e nel sesso, postoalla ricerca di un sacro Graalperduto. E così, diviene provvi-denziale l'incontro con ClareMoretto, figura in apparenzasbiadita, alle prese con un lavo-ro modesto in un call center, erassegnata a convivere con unprofessionista mediocre. Anchelei ha un avvoltoio che le rode ilfegato, se pensa al padre che, vit-

tima di un male incurabile, si èfatto saltare in aria rifugiandosinella barca delle vacanze.

Lei e lui, come dice il titolo, siriconoscono per segni impercet-tibili, si sentono elevati al diso-pra della mischia, richiamatiquasi a un pudore edenico chegli impedisce di commettere su-bito il sesso facile cui non si sot-trarrebbero in altre occasioni.Tanto è vero che la loro relazio-ne risulta contrastata, come inuna corsa a ostacoli, con un cre-scendo finale che sembra giàpronto a scivolare in un film o inuna telenovela. Ma De Carlo, eprima di lui Moravia, ci hannoinsegnato che la narrativa carta-cea deve ormai spartire il desti-no con quella su nastro.

E se apparisseun metrocubo d’oro?

PAROLE IN CORSOGIAN LUIGI BECCARIA

L’aziendalicenzia ManzoniMeglio spendere in telefoni che in libri:la cultura alla deriva nell’Italia del fare

Quella monacaha il coraggiodi Antigone

LORENZOMONDO

Se c’è coerenza nellanarrativa di Luigi Guarnieri,essa consiste nell’applicarsi al«romanzesco» offerto per cosìdire in re da certe figure o ac-cadimenti storici, mantenen-dosi fedele a una rigorosa do-cumentazione e limitandosi asollecitarne i silenzi e le zoned’ombra. Mi sembra che que-sto lo distingua dal tradiziona-le autore di romanzo storicoche ricorre con dovizia all’in-venzione. Per il resto, egli puòspaziare tranquillamente daLombroso a Vermeer, dal colo-nialismo in Congo al brigan-taggio nell’Italia meridionale.Oppure, come fa nel suo ulti-mo libro, Una strana storiad’amore, portandoci nel mon-do della grande musica roman-tica dell’Ottocento.

Dirò subito che non occor-

re avere la competenza musi-cale di cui dà prova Guarnieriper essere catturati dal suoracconto. Che prende ideal-mente le mosse dal giorno disettembre del 1853 in cui l’ap-pena ventenne e sconosciutoJohannes Brahms viene rice-vuto nella casa di Düsseldorfdove abitano, con i sei figli, l’af-fermato compositore RobertSchumann e la moglie ClaraWieck, acclamata pianista.

Johannes esegue al piano-forte una propria Sonata in laminore che incanta gli ospiti.E’ l’incontro magico che in-treccia i loro destini e dà vita aun inedito triangolo amoroso esentimentale. Se Robert, giàinsidiato dalla follia, intravedein Johannes il più degno conti-nuatore della sua arte, Clara

condivide il trasporto che il bion-do, arcangelico musicista mani-festa per lei. Quando Schu-mann, di lì a poco, tenta il suici-dio e viene ricoverato in manico-mio, Brahms assume una imba-razzante posizione, producendo-si come cavalier servente dellacelebre pianista e sostituto pa-terno della sua numerosa figlio-lanza. E’ un amore prima esitan-te e inconfessato che si accendee brucia per una breve stagione,per ritrarsi infine e restituirsi al-la devozione assoluta delle origi-ni. Neanche la morte precoce diSchumann è riuscita a dargli ali.

Il libro racconta questa sto-ria attraverso la lunga lettera-confessione che Brahms scrivea Clara all’indomani della suamorte e nella quale rivivono lefrustrazioni e i successi delle ri-

spettive carriere in una Europasedotta dalla musica, le fervideamicizie e rivalità, quella tor-mentosa passione che si dibattenell’ombra proiettata dal reclu-so Schumann. Ed è proprio me-ditando sulla sua follia che Guar-nieri, e per lui Brahms, trovanogli accenti più veri, le più ambi-gue, attraenti invenzioni.

Forse Schumann, anzichécontrastarla, ha accondiscesoalla malattia per un sentimentodi vendetta, per impedire chel’amore nascente tra Johannese Clara, contaminato dal rimor-so, avesse un futuro. O forse havoluto semplicemente levarsi dimezzo per generosità, per age-volare la destinata unione didue esseri a lui superiori nellagrazia e nell’arte: «Il progetto, ilpiano di Robert era proprio que-sto: sgravare dal peso intollera-bile della sua presenza le due so-le persone cui doveva i pochigiorni di serenità e bellezza cheaveva vissuto»: dal momento incui sentì quella sonata, rimastainedita, che il vecchio Johannestornerà a eseguire nel suo ulti-mo addio a Clara. Le chiederà inquell’occasione di distruggerneil manoscritto, perché destinatasoltanto a loro due, e all’indi-menticato Robert.

Il Guarnieri filologo ci infor-ma che invece riapparve inopina-tamente dopo la morte diBrahms, ma come dimezzata, re-stituita nella parte per violino eamputata di quella per pianofor-te. Quasi una metafora dell’amo-re incompiuto che Guarnieri hasaputo raccontarci con la suafluida prosa, con il suo fervore.

Cornia «Operette ipotetiche»: cosìva in frantumi il panorama mentale

Agnello Hornby Nel Regno delleDue Sicilie una lacerante clausura

PER I RAGAZZI: LA MAFIA RACCONTATA DA GANDOLFI

Per non diventare infame= Vite a grilletti premuti e vitenel mirino, spezzate negliagguatidi mafia che Silvana Gandolfi racconta in Iodentro gli spari (Salani, pp. 222, € 14) attraverso il«rimbalzo» delle voci di Santino e di Lucio. Sei anni vissutiin un paesino del palermitanoa masticaregiornate con isensi all'erta, Santino capta che nel mestiere di nonno epapà qualcosa non va. Non tanto perché rubano quanto,piuttosto, perché hanno pestato «piedi d'onore» conqualchemossa maldestra. Per U Taruccatu non è cosa,però quelli sgarrano di nuovo e allora lui dall’avvertimentopassa all'esecuzione. Testimone Santino che schizza via, in

una corsa disperata e fortunosaa un'allungatura di bracciodallamorte. Il bambino la scampa, tuttavia dovràmacerarsi fra il tacere «per non diventare un infame»,minaccia zi' Turi, e il parlare per essere un uomo con laschiena dritta come lo vuole la mamma, finendo per fare lascelta che lo proietta verso un’adultità consapevoleeorgogliosa. Undici anni, livornese d’adozione,madre esorellinaal seguito, Lucio narra in prima persona che«tutto mi fa pena, a partire da me stesso» come scrive alCacciatore, l'amico segreto, in lettere mai spedite. Soltantola passione per la vela s'innesta a piccoli sorsi interrotti nellasua rarefatta esistenza d'attesa, d'improvviso accesa da unsms sbagliato che sembra alludere al rapimento dellamadre. Così lo ritroviamo a Palermo dove «indossa»

Santino, riappropriandosi dell’identitàdivisa dalprogramma di protezione dei testimoni, e dove collaboradi nuovo con il Cacciatore, il magistrato al quale ha fattonomi e cognomidei killer di nonno e di papà.Ma con il ragazzo sul proscenio la solida, catturantearchitettura della narrazione si smaglia in una girandoladicombinazioni concatenate che danno affrettatamentesull’epilogo scontato: la cattura del killer ancora latitante, eSantino-Lucione è l'artefice decisivo. Io dentro gli spari vaad aggiungersi a Ragazzi di Camorra di Pina Varriale e a Perquesto mi chiamo Giovanni (Falcone)di Luigi Garlando,titoli di riferimento «intorno» alla criminalità organizzatache induconoa riflettere. E a schierarsi. Ferdinando Albertazzi

Gustavo Zagrebelsky èautorevolmente interve-nuto sul tema del lin-

guaggio moderno della politica,tutto impregnato di aziendali-smo e produttivismo. La vitaodierna, concentrata sul benesse-re materiale, sui consumi e lo svi-luppo economico, sta lasciandoorme vistose anche nei linguaggidella politica, dove quel che contaè ora «far marciare», cioè far an-dare «nel verso giusto», l'«azien-da Italia», trascurando ogni al-tro aspetto profondo e vitale.

Meglio spendere in telefoniniche in libri. La cultura conta sem-pre di meno. Compito primariodella scuola è ritenuto il produrre«risorse umane» per lo «svilup-po». Si dovrà comunicare quelloche davvero conta, cioè l'utile. SeDante e Manzoni tirano poco intermini di mercato, meglio accan-tonarli.

L'Italia è dunque un Paesefondato sull'economia (e non piùsul lavoro), dove i fatti dovrannoprevalere sulle chiacchiere. Intel-lettuali e professori sono dei per-digiorno, disperdono nel ventoparole e parole (si pensi al tempoche fanno perdere i dibattiti par-lamentari!) che non producono,che ritardano il «fare», disturba-no l'attività dell'imprenditore,non lasciano lavorare. Centrale èdiventato il concetto di operosità:non importa se si è ottusi e incol-ti, basta operare. Le cose si devo-no amministrare e guidare comesi guida un'azienda, che fa le sueindagini di mercato e decide di

conseguenza. Il pluralismo, il dibat-tito, le idee diverse a confronto, di-straggono, conducono al vanilo-quio.

A questo punto ci viene quasida rimpiangere i tempi tragici, te-sissimi, dell'immediato dopoguer-ra, anni che ci hanno dato il senso(o l'illusione) della grandezza dellapolitica e dell'impegno. Oggi che èsubentrata l'azienda, il danaro, lapolitica come affarismo, si alterna-no sulla scena figure senza speran-za e senza fantasia, che ci rivelanobrutalmente l'insignificanza delleloro parole. Il linguaggio politico èterra terra: «Portare a casa» il fe-deralismo, «metter le mani nelle ta-sche degli italiani», «mettersi ditraverso», «tirare per la giacca», il«doppio forno», e poi tanti insulti evolgarità...

Su tante parole della political'Italia è spaccata. Quella di mag-gior corso è «federalismo», il trasfe-rimento di competenze dallo Statoalle regioni. Parola magica, che di-stoglie dal pensare che il «federali-smo» è cosa utile e buona se intesocome il voler rendere più vicine alcittadino le istituzioni, deleteria in-vece, se diventa frattura dell'unità,disgregazione della coesione socia-le. Penso infine a «liberismo», paro-la intesa come operosità individua-le liberata da regole che ostacolanol'iniziativa e la libertà personale, ifamosi «lacci e lacciuoli». Non la siconfonda con «liberalismo», che èinvece un'armonia tra le libertà ditutti attraverso un controllo ammi-nistrativo e un autocontrollo mora-le. Ma è cosa d'altri tempi...

AD AOSTA

Per Sapegno= Vent’anni fa morivaNatalino Sapegno, storico ecritico insigne della letteratura.La Fondazione a lui intitolata,con sede ad Aosta (Sapegno vinacque nel 1901), gli hadedicato una mostra apertafino al 30 ottobre, a Morgex,Tour de l’Archet: «NatalinoSapegno: “la letteratura formadi tutta la nostra vita”».

A MILANO

Per Ferretti= «Nuove fonti e prospettiveper la storia dell’editoria» è ilseminario organizzato aMilano per celebrare gliottant’anni di Gian CarloFerretti, autore di «Il mercatodelle lettere», studioso deiprocessi dell’editoria libraria edei suoi rapporti con ilmercato. Il 26 ottobre, allaFondazione Mondadori di viaRiccione, con lo stesso Ferretti,Cadioli, Finocchi, Peresson,Pischedda e Rollo.

DOPOIL TERREMOTO

L’Aquila che legge= Vincenzo Cerami, MarinoSinibaldi, Lidia Ravera sono fra iprotagonisti, oggi, di «L’Aquilaad alta voce», una kermesseculturale che culminerà conl’inaugurazione della nuovaBibliocasa. Fino al 31 ottobre,«L’Aquila felice», festivalpromosso da Minimondi Parma.Partecipa il Salone del Libro diTorino proponendo «L’Italia deiFestival» con Mantova,Pordenone e Premio Napoli.

A PISA

Book Festival= Fino a domani, «Pisa BookFestival», Paese ospite ilPortogallo. Nel suo ambito,«Pisa Book Junior», perbambini e ragazzi.www.pisabookfestival.it

pp Ugo Corniap OPERETTE IPOTETICHEp Quodlibet, pp. 115, € 12

«UOMINI SENZA VENTO», NOIR MEDITERRANEO DI PEROTTI

In fuga, a caccia di balene= Simone Perotti è un uomo che ha trovato il vento, ilcoraggio di cambiare vita: da top manager a skipper etuttofare, per inseguire il sogno di scrivere e del mare. Ilsuo ritorno alla libertà lo ha raccontato in Adesso basta(Chiarelettere), che è diventato il manifesto deldownshifting, di chi non ce la fa più con il lavoro fine ase stesso e vuole mollare. Il libro è stato laboratorio diUomini senza vento (Garzanti, pp. 292, € 17,60), chearriva adesso a completare il percorso, anche se aritroso. Quando Roberto, il protagonista, riceve latelefonata del suo amico Antonio, da Ponza, è ancora

incastrato infatti nella «bolla», nel mondo circoscritto,quello ripetitivo ma anche protettivo in cui sono arenatitanti quarantenni. Imprigionati nella bonaccia, in bilicotra progetto e azione. Antonio gli comunica chequalcosa non va sull’isola, gli trasmette il sospetto e lapaura. Roberto gli crede soltanto in parte, ma salpaugualmente, con la sua barca a vela, forse più perscrollarsi di dosso la Milano degli happy hour, che perspirito d’avventura. Quella che sogna, ma che teme.In mare, quello vero, s’imbatterà in una golettacondotta da una donna misteriosa. Sull’isola, in unostrano abuso edilizio, in una morte che non torna e inun muro di gomma che inquieta. Roberto resta ancoraun po’ sulla china, finché precipita nell’azione. Nel

mondo reale, fuori dalla «bolla». La donna misteriosa èSara, una militante ecologista che insegue ed èinseguita da una nave nera. Una donna che ha fatto unascelta, che si è gettata nelle onde della vita. A differenzadi Roberto, il quale, decidendo di condividerne il destinosi trova involontariamente risucchiato in una grandecaccia alla balena e ai balenieri che si gioca tra Ponza,l’Elba e la Corsica. A tirare le fila, una massoneria dicomandanti di lungo corso e uno scontro inevitabile traSara e il suo passato. Alla fine della corsa, di questo noirmediterraneo e ambientalista, in cui il mare domina,contiene ed è luogo di epifania del male, il protagonistaha, finalmente, superato la linea d’ombra. Fabio Pozzo

«Una strana storia»:carriere, amicizie,rivalità, la passionedi Johannes per Clara,moglie di Robert

Guarnieri Brahms in casa Schumann:una mirabile Sonata fa scattare la scintilla

pp Simonetta Agnello Hornbyp LA MONACAp Feltrinelli, pp. 300, € 17

pp Luigi Guarnierip UNA STRANA STORIA

D’AMOREp Rizzoli, pp. 214 , € 17p Luigi Guarnieri è nato a Catanza-

ro nel 1962 e vive a Roma. Con«Vita scriteriata di Cesare Lom-broso» (Mondadori) vinse il pre-mio Bagutta. E’ autore anche di«Tenebre sul Congo» e «Unabreve follia».

pp Andrea De Carlop LEIELUIp Bompiani, pp. 568, € 18,50

Clara Wieck, acclamata pianista, moglie di Robert Schumann

Un triangolodi amore e follia

Bloc notes

Un’illustrazione da «Amantes» racconti per immagini di Ana Juan, edito da Logos (pp. 208, € 20)

Simonetta Agnello Hornby

«LEIELUI»: un’animainquieta oltrela carriera e il sesso,alla ricerca di unaprovvidenziale sponda

Ugo Cornia

Tra noia moravianae nausea sartriana,un italiano mediosenza spessorie tormenti linguistici

Silvana GandolfiSimone Perotti

Scrittori italianiIITuttolibri

SABATO 23 OTTOBRE 2010LA STAMPA III

Page 4: Tuttolibri n. 1737 (23-10-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - V - 23/10/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/05 - Autore: FRABEL - Ora di stampa: 22/10/10 20.12

GIORGIOFICARA

Lo ammetto, mi sonoavvicinato a questo Leopardidi Pietro Citati con una lievissi-ma esitazione: da De Sanctis aoggi, gli studi leopardiani han-no raggiunto un grado di spe-cialismo cui Citati stesso si di-chiara, ironicamente e formal-mente, estraneo (i critici nonsanno «divertirsi»: qui a p.115). D'altra parte, come scri-vere una sola riga su Leopardial di là di quei risultati «specia-listici»?

Ma subito, fin dalle primepagine, Citati oltrepassa il suostesso snobismo: frequentasenza la minima affettazionetutti i discorsi che il tempo e lalena dei filologi e dei biografihanno gettato come un ponte,o migliaia di ponti, tra noi e Le-opardi, ed è nello stesso tempolibero, altrove.

Le pagine su Adelaide eMonaldo, e sul mondo fantasti-co del piccolo Giacomo, sonole più belle che mai siano statescritte sull'argomento: Adelai-de «stava sullo sfondo, coi suoistivali, i cappelli, le chiavi, co-me un'incarnazione tenebro-sa della Maternità». Monaldoera «un Arlecchino, un Lepo-rello vestito di nero con lo spa-dino» ed era «la vera madre»di Giacomo: a tavola gli sedevaaccanto, lo serviva amorosa-mente, ovunque era la sua om-bra. «Giacomo era il suo dop-pio: il suo doppio compiuto».

Così le annotazioni sull'amor di sogno tra Giacomo e ilfratello Carlo, sono molto acu-te: «erano un'anima sola indue figure, come diceva la tra-dizione teologica», ma tutte lesensazioni e i sentimenti diCarlo «erano avvolti da un gra-zioso spirito fantastico e chi-merico». Anche a Napoli, agli

anni della Palinodia e dei Nuo-vi credenti, Citati dedica pagi-ne ammirevoli: viene a capod'un altro Leopardi, del tuttosfuggente e del tutto nuovo ri-spetto al lirico di prima e de-scrive, come pochi hanno sa-puto, la sua ira e la sua dolcez-za umana, il suo no all'orgogliodei «filosofi» napoletani e ilsuo sì all'umile vita delle formi-che, dei fiori, degli uomini:quella vita che in lui si era«concentrata» nel sorriso, di-rà De Sanctis. Napoli stessa,coi suoi pulcinelli «degnissimidi spagnoli e di forche», è unacittà «turpe, piena di taverne edi bordelli, di Orecchie di le-pre e di Malefemmine», ma èanche «un'immensa città-tor-ta o città-gelato, che Leopardidivorava con gli occhi e con identi».

Il Citati del Tè del cappellaiomatto (1972), slegato, curioso,plastico, erede vivacissimo deiCecchi, dei Trompeo, deiPraz, si ritrova qui, in questaopera abbastanza colossale suun autore dalla «scienza nonvaga», e che non parrebbe po-stulare un tale brio. Eppure,l'operazione riesce: il suo Leo-pardi, dove sono profusi centi-naia di riscontri e allegazionianche di prima mano e fonticanoniche sugli antichi e i mo-derni (Citati ha letto perfino idue Avis pedagogici di M.mede Lambert!), è anche un sag-gio in cui l'autore «gioca» conquesto colosso. Gioca con infi-nita cura e delicatezza conquesto ragazzo timido per ec-cesso di riflessione, che «tieneper nulla» le cose umane e de-sidera la morte, «vola oltre lamorte»; e, come Rousseau,considera la lettura l'atto fon-damentale della vita, e si ad-

dormenta «con versi o parole ocantilene sulla bocca».

«Leopardi ragazzo che leggein ginocchio davanti alla lanter-na o alla candela che si sta spe-gnendo è una delle grandi visio-ni fantastiche che il tempo gli co-struì intorno»: Citati si avvicinaai massimi «sistemi» leopardia-ni e ai capolavori - A Silvia, Ilpensiero dominante, ad esempio -non dimenticando mai il ragaz-zo che legge in ginocchio; né ilgracile, dolcissimo uomo che atavola, una sera, dopo una cuc-chiaiata di minestra, dice a Ra-nieri: «Mi sento un pochino cre-scere l'asma»; né «Giacomo ilprepotente», il «bel parlatore»delle recite puerili a Recanati;né il figlio prossimo a morte, chesi rivolge a Monaldo dapprimacon la dedica: «Signor padre»,poi «Carissimo Signor Padre» epoi «Caro Papà», «Mio Carissi-mo Papà».

Citati segue questo «vero epretto ragazzo» nei suoi malin-conici viaggi, nella sua predilet-ta postura di absent, a Roma acasa di Antici, piena di «squillan-ti vescovi e cardinali, come,d'estate, la campagna romanadi grilli e cicale»; a Bologna; a Pi-sa, lungo le tiepide rive dell'Ar-no dove per un istante ritrova esogna l'Eden. La sua tesi è chel'assoluta estraneità di Leopardial suo tempo, il suo cervello «fuo-ri moda», gli consentono di esse-re moderno, come se costante-mente «abitasse e guardasse estudiasse cosa avviene oggi».All'orizzonte delle pagine delloZibaldone, capolavoro filosofica-mente bloccato al Settecento, Ci-tati vede i turbini di Nietzsche,Spengler, Adorno. E ancora:«Senza saperlo, Leopardi parladi Flaubert,di Kafka, di Musil,diGadda e di molti scrittori delventesimo secolo, divorati dallospiritodi incompiutezza».

Ma se la modernità, questamodernità di cui parla Citati, haa che fare per l'appunto con la«sacrilega presa a rovescio» diNietzsche, o la via chiusa in cuisi dibatte l'arte alle soglie delNovecento, il negativo non anco-ra realizzato (realizzato poi: da

quella «potente capacità demoli-trice» che Adorno vedrà inKafka); se ha a che fare con losquilibrio di tutti i punti di vistae una «moltitudine di idee» che,secondo Citati stesso, conducelo scrittore «contemporanea-mente da molte parti diverse»,allora Leopardi non è affatto«moderno».

«Lo Zibaldone era lì, sotto isuoi occhi - scrive Citati-, comeun'immensa e mostruosa rovi-na, a dimostrargli quale forza didissoluzione lo possedesse». Mala «modernità» di Leopardi nonha a che fare né con l'incompiu-tezza, né con la rovina. Lo Zibal-done stesso, libro teratologico emagnifico composto di tanti li-bri perfettamente compiuti inse stessi, e di progetti e canovac-ci lavoratissimi, mostra un suoparadossale culto della forma.Idea di forma e idea di natura so-no peraltro in Leopardi stretta-mente connesse: la forma è in-sieme fondazione e limite, pro-prio come la natura: al di là dellaforma non è pensabile alcunaopera umana, come al di là dellanatura non è pensabile altro cheil nulla.

Se Leopardi, dunque, è «mo-derno», lo è in una direzioneumanistico-critica, e in qualchemomento utopica, non ignota al-la modernità storica. I notissimiversi della Ginestra sulla «socialcatena», che a Citati, in conclu-sione, sembrano «banali», sonoal contrario, quelli sì, del tutto«moderni».

Citati L’arte di accostare con infinita curaun ragazzo timido per eccesso di riflessione

DIALOGHIIN VERSI

MAURIZIO CUCCHI

L’ora felicecon i poeti

in giardino

Sono talmente poche lebuone collane di poesiapresenti in libreria che è

nostro dovere segnalarle. Unadi queste, con uscite anche piut-tosto frequenti, è quella di Don-zelli, dove sono apparsi, anchein questi ultimi mesi testi di qua-lità, come L'ora felice (p.144, €14) del 59enne marchigianoFrancesco Scarabicchi. Chi se-gue la poesia già lo conosce, per-ché si tratta di un poeta attivoda quasi trent’anni, che si fa ap-prezzare per la rara raffinatez-za compositiva, per la sottigliez-za elegante e colta della suascrittura, che sa incidersi, senzasbavature, sulla pagina. Varieforme dell’amore troviamoespresse in varie scelte formali,con prevalenza dell'endecasilla-bo, e con una ricca serie di tradu-zioni dai sonetti di Shakespea-re. A volte concentra la sobriadelicatezza della sua mano in se-gni appena accennati, in brevis-simi scorci lirici, in singoli versiisolati, o in quartine come que-sta: «Guardaci come siamo, sen-za spine, / noi che ci lincia ognivolta il tempo, / se lo perdiamo,dal dolore al pianto, / l'amoreche si ferma alla tua porta».

Tra l'altro, a cura dello stes-so Scarabicchi e di MassimoRaffaeli esce ora un bel volumet-to, Poesia in giardino1994-2004 (ItalicPequod p.180,€ 12), nel quale sono raccolte poe-sie (precedute da note critiche)di una trentina di autori cheavevano partecipato a incontri isulla bella terrazza anconetanadel Museo Archeologico, ideatida Franco Scataglini, scompar-so prematuramente proprio nel'94. Tra i presenti nella singola-re antologia troviamo D'Elia,Loi, Jaccottet, Neri, De Angelis,Majorino, Magrelli, Baldini, Bel-lezza, Raboni, Zeichen...

Passando ai nostri lettori -autori, Giuseppe Di Bella mo-stra interessante compattezza econcreta energia nei suoi testi,caratterizzati da una certa ruvi-da asprezza che a volte potrebbeessere attenuata, per evitarequalche pesantezza evidente, oqualche sottolineatura intellet-tualistica: «Sembianze demoni-ache stropicciate /Sopra il lettometamorfico /O memorie evapo-rate liquescenti». Infatti, quan-do si fa più sciolto e lieve, è piut-tosto efficace: «Sembrava facilecapire il corpo / per cave, vena-ture di calore / […]/ per fasciartila mano nella mia / sulla tua co-stola più tenera / ansimante[…]// Solo un velo di muschio ebrina /sotto l'arco di quel vicolo/ […]/ e stillava la tua essenzaminerale /[…] /La vita abbaci-nata da un niente. Lieve /comea confondersi un velluto di pelle/la tua voce i capelli le vene».

Notevole energia scorre an-che nei versi di Simona Verzé,capace di caricare il suo testo difigure e immagini originali: «Hourlato nella trasparenza /ch’era viola, atra, negra,/[…]/ma tu non udisti /la neniaferale, l'esausta /cantilena delmio labbro /esangue, /che fecedel mio corpo /-con questa mate-ria- /il furioso impasto, /albergodella tua assenza». Dimostrapersonalità e accensioni forti.Anche a lei dovrebbe essere utileattenuare i toni, oltre a una ri-flessione sull’unità verso, quasisempre scandito un po’ meccani-camente per unità di senso.

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IL CARATTERE NAZIONALE

Ilprogettodiriformaletterariaeculturaledell’ItaliasecondoLeopardiappassioneràinparticolareGiulioBollati,cheglidedicherà il saggioGiacomoLeopardie la letteraturaitaliana (oraperBollatiBoringhieri,pp.184,e 9,30).Leopardiè, insieme,tra iriferimentispecialidiBollatineldelineareL’Italiano (Einaudi,pp.XXIV-207,€ 12,91),ossia ilcaratterenazionalecomestoriae invenzione.

150O

Libri d’ItaliaVerso il 2011

pp Pietro Citatip LEOPARDIp Mondadori, pp. 436, € 22p Continua la serie dei suoi saggi

biografici, da Kafka a Proust

La famiglia, gli amicii viaggi e in parallelol’opera: una vita in cuiera la lettural’atto fondamentale

L’elogio di un cervello«fuori moda» chegli consente di esseremoderno, annunciatoredi Flaubert e Kafka

Con Leopardiil gioco del Nulla

Classici TuttolibriSABATO 23 OTTOBRE 2010

LA STAMPA V

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Illustrazione diFranco Brunaper Tuttolibri

Page 5: Tuttolibri n. 1737 (23-10-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - VI - 23/10/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/06 - Autore: FRABEL - Ora di stampa: 22/10/10 20.12

Memorie L’autore di «Follia di Almayer» e «Lord Jim»si racconta :nel segno dell’immaginazione, la forza che domina l’arte e la vita

GIOVANNIBOGLIOLO

Se, come egli stessoha spesso ripetuto, quelleche Bonnefoy scrive non so-no poesie autonome e in séconcluse, ma frammenti diun insieme tanto omogeneoquanto multiforme, il «Meri-diano» che oggi presenta tut-ta quanta la sua Opera poeti-ca è molto di più di una rac-colta celebrativa: è questo in-sieme - o, più propriamente,questo agglomerato di insie-mi - finalmente costituito ecapace, attraverso un infini-to gioco di rifrazioni, riecheg-giamenti e rimandi, di faremergere in piena luce an-che ciò che, disperso nellamiriade di poemi, poteva es-sere rimasto latente.

A questa sistemazione de-finitiva, ma non conclusiva(l’ottantasettenne poeta è inpiena e fertile attività e an-nuncia per questo autunnol’uscita di una nuova serie disonetti), ha posto mano con ri-gore e passione uno studiosoaccreditato come Fabio Scot-to, che ha anche tradottoquanto non aveva a suo tem-po provveduto a fare DianaGrange Fiori. Ma quello cherende capitale l'impresa e fadi questa edizione un puntodi riferimento ormai ineludi-bile - e non solo per i lettoriitaliani - è la supervisione chead essa ha dedicato lo stessoBonnefoy, che ha personal-mente redatto una meticolo-sa Cronologia, ha legittimatola lezione definitiva ogni voltache di un testo esistevano va-rianti e ha collaborato col cu-ratore affinché il minuziosoapparato di note, oltre a tuttele esaurienti informazioni dicarattere storico, editoriale,critico ed esegetico, si arric-chisse anche di sue prezioseriflessioni e autoanalisi.

È un apporto illuminante,perché la poesia di Bonnefoyè tanto cristallina nella purez-za delle sue forme quantodensa di sostanza speculativae ricca di vibrazioni interte-stuali. Basti pensare che in es-sa convergono in matura sin-tesi tradizioni e istanze poeti-che diverse e apparentemen-te incompatibili: non soloquelle di Baudelaire e di Rim-baud, che un critico come Ge-orges Poulet considerava co-sì antitetiche da far deflagra-re, nel passaggio dall’una al-l’altra, l’idea stessa di poesia;ma anche quelle di Omero, diVirgilio e di Dante, di Nervale di Mallarmé, di Vigny e diKeats, per non parlare di Pe-trarca, Shakespeare, Leopar-di e Yeats, dei quali Bonnefoyè stato anche traduttore.

Il rispetto della successio-ne cronologica delle raccol-te, che va dal recupero delle

prime prove, di stretta obbe-dienza surrealista, degli Anniquaranta e si spinge fino acomposizioni recentissimeuscite per ora soltanto in rivi-sta consente di seguire il lun-go percorso di una ricerca poe-tica che ha voluto essere, sen-za cedimenti né appagamenti,forma suprema di conoscenza.E una scelta degli scritti e deidiscorsi che l'autore ha dedica-to alla poesia ne chiarisce effi-cacemente le ambizioni, lestrategie e i conseguimenti.

Per Bonnefoy compito dellapoesia è quello di «restituire ilmondo al volto della sua pre-senza», intendendo per presen-za, parola chiave nel lessico delpoeta-pensatore, una percezio-ne della realtà tanto lontanadalle pericolose astrazioni delplatonismo quanto dall’esteti-smo e dalla deriva onirica delSurrealismo. Contro il dupliceinganno del concetto e dell’im-magine, presenza è la finitudi-ne del concreto, che va coltacon i sensi prima e più che conl’intelletto, e nella sua mutevo-lezza prima e più che nella suaimmutabile essenza. Ma se co-glierla è arduo, disperante di-venta comunicarla, disponen-

do di uno strumento come quel-lo del linguaggio che per sua na-tura è portato ad esprimerenon il reale, ma una sua astrat-ta nozione.

L’unico modo per riuscirci èquello di deviare dai percorsiobbligati e limitativi della logi-ca e del razionale e fare ricorsoa tutte le straordinarie possibi-lità comunicative che offre -con le sue sonorità, i suoi ritmi,i suoi giochi di assonanze, allit-terazioni e rime - il linguaggiopoetico: «È sufficiente che lapoesia utilizzi le parole a parti-re dai suoni, e i concetti verran-no messi in pericolo, la loro au-torevolezza sarà indebolita, ilvelo che gettano sulla realtà sa-rà strappato, in ogni caso assot-tigliato. Contatto è ritrovatocon la presenza».

Poesia non come fine dun-que, ma come mezzo di decifra-zione del reale e di iniziazionealla sua conoscenza, secondouna concezione etica del farepoetico che è stata definita unateologia negativa o, per il suo ri-gore ascetico e per l’esplicitointento di fondare una nuovasperanza, un’escatologia atea.Una sorta di ininterrotto eser-cizio spirituale, che non si la-scia distrarre o frenare da com-piacimenti formali («Amare laperfezione in quanto soglia, /Ma conosciuta negarla, dimen-ticarla morta, / L’imperfezioneè la cima») e non resta circo-scritto al solo ambito canonicodella poesia. La stessa tensionedi ricerca, lo stesso concomi-tante ricorso al registro lirico ea quello critico si avverte nelleprose poetiche di Bonnefoy eperfino, seppure in gradi diver-si, nella sua importante produ-zione saggistica, che è così con-tigua a quella poetica da costi-tuirne un naturale, indispensa-bile complemento. Materia, ciauguriamo, di un altro splendi-do «Meridiano».

GABRIELLABOSCO

«Quelle barocche sil-labe straniere…». Un indiriz-zo finlandese - Savitaipole, Koi-rami, Haparanda - che IrèneNémirovsky riporta sottoline-ando l'astrusità di una linguanon sua, è una sorta di segnoincastonato nel cuore del pri-mo romanzo che pubblicòquando ancora non aveva com-piuto ventitré anni.

Pur nella riconoscibilità diuna scrittura forte e caratte-rizzata come la sua, Il malinte-so suona in effetti in certa mi-sura atipico rispetto agli altridi Irène. Non tanto perché è ilprimo (uscì in rivista nel 1926,prima aveva pubblicato soloracconti, sarebbe poi diventa-

ta famosa con David Golder dilì a tre anni), non cioè per un'eventuale voce ancora da sta-bilizzare, o un'intonazione nonben definita. No, tutto questo ègià pienamente fissato, indivi-duabile fin dalle prime pagine,dalle prime righe addirittura:«Yves dormiva sodo, come unragazzino. Aveva cacciato latesta nell'incavo del gomito…».

La Némirovsky è già quelladei titoli più noti, del Ballo, del-la Suite. La singolarità del Ma-linteso sta piuttosto nella sensi-bile intenzione da parte della

giovanissima e ancora scono-sciuta autrice di dimostrarsifrancese, di dare prova di un'as-similazione avvenuta già cosìtanto, nel giro dei pochi anni tra-scorsi da quando è giunta inFrancia al seguito della sua fami-glia esule dalla Russia rivoluzio-naria, da permetterle sottili ela-borazioni psicologiche sui senti-menti intimi di una classe - l'altaborghesia parigina - messa a du-

ra prova dalle contingenze diffi-cili del dopoguerra.

E l'impegno profuso, gra-zie a un'abilità nel maneggiarei ferri del mestiere già da scrit-trice matura, è tale che i primicommenti, all'uscita del ro-manzo, proprio questo le rico-nobbero. Al pari di EmmanuelBove, anche lui di origine rus-sa, scrissero, aveva saputo pe-netrare l'animo francese me-

glio di un francese di nascita.Pene per due, fatica spreca-

ta, verrebbe da dire. Ciò che(ai nostri occhi odierni - d'ac-cordo) convince e rende inte-ressante Il malinteso, come delresto gli altri titoli che il pubbli-co italiano sta scoprendo gra-zie a Adelphi, è proprio queltanto di non appartenenza cherende lo sguardo della Némiro-vsky acuto. Quel po' di non riu-

scito, nello sforzo di apparireintegrata, che dà alla sua scrit-tura una marcia in più.

La storia è quella di un amo-re infelice tra Yves, ex-benestan-te cui la guerra ha tolto i mezzicostringendolo alla diminutiodella vita da impiegato, e Deni-se, alto-borghese sposata conbambina piccola che si buttanell'adulterio con l'ingenuità diun'adolescente e vive l'infernodella relazione clandestina resapiù dolorosa ancora dal progres-sivo immalinconirsi del suo uo-mo, provato dalle crescenti diffi-coltà economiche e da evidentiproblemi caratteriali.

Dalla costa atlantica, dove èambientato l'avvio del romanzo,a Parigi, dove si consuma l'edu-cazione sentimentale dei dueprotagonisti, il percorso propo-sto è quello dello zoom: su unmodo di vivere, un modo di sen-tire, un modo di reagire. Dietroalla macchina c'è lei, Irène, vesti-ta alla francese eppure così irre-sistibilmente diversa nel tocco,nel movimento della camera.

La felicità non riconosciutaper tempo e quindi non goduta(il malinteso del titolo) è il pernoautobiografico del libro, ci dico-no i biografi. Ma è anche, quasi,una prefigurazione. Quelle ba-rocche sillabe straniere, l'essereprofondo della Némirovsky, sa-rebbero emerse come un fiumein piena, non più barocche e nonpiù celate, troppo tardi per dar-le la soddisfazione che avrebbemeritato. La Francia tanto ama-ta e ambita era ormai decisa, do-po averla omaggiata e incensatae ufficialmente riconosciuta, amandarla ad Auschwitz.

MARTAMORAZZONI

New York e EdmundWhite, un legame fatto di rela-zioni sentimentali, storie disesso e letteratura: questo Ra-gazzo di città, è infatti il per-corso, tra autobiografia e rac-conto, dell’autore che, diventa-to newyorchese a vent’anni, èentrato nel ritmo della metro-poli negli Anni 60 con le emo-zioni e le aspettative di unoscrittore alle prime armi alleprese con un mondo pieno dioccasioni e promesse e rischidi fallimento. Sono tanti i temiche scorrono sul filo della let-tura di questo libro dal saporeacre a volte, insistito sul temasessuale e sulla scoperta del-l’omoerotismo, ma mai inuti-le, mai gratuito e compiaciuto.In queste pagine c’è la storiadi un uomo e insieme la storiadi una cultura che si è espres-sa nell’arco di un trentennioper nomi famosi, da TrumanCapote, a Susan Sontag, aBurroughs, e per personaggicomparsi come meteore, poiinghiottiti dall’anonimato o de-stinati al ricordo di pochi cul-tori.

La vena narrativa di Whiteporta il lettore nel cuore diuna società particolare, nelcuore di una città particolare,che non è la New York patina-ta di oggi, tale ancora nono-stante le ferite dell’11 settem-

bre, di cui l’autore, caso raro,non fa cenno. Il suo è piuttostoun canto dedicato a un mondoal limite, prossimo al collasso: laNew York degli Anni 60 è unacittà sporca che l’America perbene ripudia e disconosce, unasocietà costruita sul provviso-rio, o tale almeno nella memoriasentimentale di White.

È un ritratto della città, que-sto, che spiazza il nostro oriz-zonte visuale. Da Woody Allenin poi siamo abituati a sguardilusinghieri e inquadrature sedu-centi, alla favola della GrandeMela, che qui ci si presenta ba-cata dall’interno. Ma dentro lamalattia e la cancrena di questomondo White insinua una suadiversa umanità, il cui sbanda-mento non significa solo lo scan-

dalo del perbenismo borghese,ma anche la partecipazione atti-va e emozionata di una genera-zione di artisti che muove passiprovocatori, ma nasconde sottopelle una timidezza insospetta-

ta e un’altrettanto riposto biso-gno di tenerezza. Viene fatto diparagonare questa realtà almondo sempre sul filo della tra-gedia di Pierpaolo Pasolini, perricavarne una sensazione a suomodo più lieve in White, che

percorre la sua città tra passatoe presente con una vena di iro-nia e autoironia, così da sman-tellare lo sgomento di certe soli-tudini interiori e esteriori.

Non sto qui a ripercorrere itanti incontri d’amore, di cultu-ra e di mestiere di cui lo scritto-re ci fa partecipi, questo è unodei mortivi di interesse del libroe va scoperto all’atto della lettu-ra. Mi sembra giusto sottolinea-re il chiacchiericcio febbrile e leturbolenze di relazioni tra senti-mento e mestiere, tra sbilancia-menti affettivi e delusioni, vissu-ti nella stagione della libertàsessuale, della rivolta dei gay edel loro venire allo scoperto.Stonewall, nel 1969, ci ricordaWhite, è stata la loro Bastiglia,cui è seguita la paura dell’Aids:

la libertà sessuale appena co-minciata nel segno di una sortadi dichiarata innocenza è subitobloccata dalla paura della pestee lo stupore della festa appenacominciata e interrotta percor-re le pagine franche di White.

Ma le percorre anche un ge-nuino omaggio all’amicizia e al-la solidarietà che fa di quel mon-do di protagonisti di una stagio-ne fiorente un luogo di incontroora solidale, ora burrascoso.Credo che basterebbero le ulti-me pagine di questa autobiogra-fia, e biografia di una città, adarci la misura della sincerità edell’affetto su cui appoggia lostile di un autore che, mentre di-vaga su un tema, jazzisticamen-te, traccia una affascinante li-nea melodica.

Vi cantola Grande Melasull’abisso

CLAUDIOGORLIER

«Solo nell’immagina-zione dell’uomo ogni veritàtrova la propria effettiva einnegabile esistenza. L’im-maginazione, non l’invenzio-ne, è la forza che dominaogni arte e la vita stessa».Questa vigorosa legittima-zione dello scrivere è di Jo-seph Conrad, nell’autobio-grafico A Personal Record,del 1912, ora disponibile nel-la traduzione efficace di Ce-cilia Motti come Memorie.

Conrad ha cinquantacin-que anni quando il libro ap-pare, e gli si devono alcunidei suoi assoluti capolavori,dall’iniziale Follia di Al-mayer, della cui gestazione -per così dire - egli tratta quiampiamente, a Lord Jim, aTifone, a Nostromo, tanto perrammentarne soltanto alcu-ni memorabili.

La genesi del libro è abba-stanza curiosa, poiché l’ami-co Ford Madox Ford, pseu-donimo di Ford Madox Huef-fer, sostenne di averlo scrit-to sotto precisa dettatura diConrad. Va rammentatoche Ford, autore a sua voltadel romanzo Il buon soldato,da molti considerato il capo-stipite della narrativa mo-dernista, fu ascoltato consi-gliere di Conrad, e collaboròcon lui sicuramente in dueromanzi, Avventura romanti-ca e Gli eredi, e forse in unterzo, La natura di un delitto.

Non bisogna farsi ingan-nare dalla fattualità del tito-lo. Queste memorie si snoda-no con un quasi irresistibileritmo narrativo, intreccian-do ricordi, osservazioni spe-culative come quella che ab-biamo citato, nel segno diuna lampeggiante invenzio-ne di scrittura: dunque, tut-t’altro che un’opera minorenel canone conradiano.

Queste Memorie sono dav-vero un caleidoscopio. Natu-ralmente una parte fonda-mentale riguarda l’iniziazio-ne alla vita di scrittore, esem-plificata appunto in chiavequasi sperimentale, dallacomposizione della Follia diAlmayer. Ma un’altra inizia-zione risulta non meno deci-siva, quella al mare, vissutacome capitano di lungo cor-so, e risolutamente, irresisti-bilmente fusa con l’altra, euniversalizzata, nel segno diuna incessante metamorfosi.Il mare, come «una medicinaportentosa». Qui realtà e im-maginazione si fondono, so-stanziando il romanzo, dove«una forma di vita immagina-ta diventa più nitida della re-altà stessa». L’esperienzadel mare nutre l’immagina-zione, e conferisce al roman-zo un nuovo spazio.

Uno dei maggiori studiosidi Conrad, Albert J. Guerard,ha osservato acutamente chequeste Memorie sono un librocon un inizio - la stesura deldecimo capitolo di La follia diAlmayer - che equivale alla fi-ne, e una fine - il primo mo-mentaneo contatto con unanave inglese - che sostanziaun inizio.

Conrad dedica relativa-mente poco e piuttosto ambi-guo spazio alla sua inizialeidentità, quella del polaccoJòzef Teodor Korzeniowski.Colpisce l’intensità controlla-ta del ritratto della madre, ilricordo della sorella mortabambina, e naturalmente l’in-cisivo ritratto dello zio Thad-deus, quello che gli aprì nuo-

vi e decisivi orizzonti man-dandolo a Marsiglia. L’ambi-guità, che gli fu a suo temporimproverata, riguarda ilsuo atteggiamento, o se vole-te il risentimento, nei con-fronti dei dominatori russi.Più di un critico ha sostenutoche la sua dichiarata acrimo-nia nei confronti di Dostoe-vskij, con il quale possiedenumerosi tratti letterari incomune, dipende dal fatto,appunto, che era russo.

L’esperienza francese inci-se profondamente su Conrad.Anche se egli indica come unalettura per così dire formati-va, di traduzione, i Due genti-luomini di Verona, ci si rendeconto di quanto contarono gliautori francesi. Qui egli non lo

confessa, ma si sa che in unprimo tempo, lasciato il polac-co - la cui sintassi, badate,non comparve mai del suo lin-guaggio - intendeva scegliereil francese. La famosa triplaaggettivazione conradiana ri-manda a Flaubert. La sceltadell’inglese, e dell’Inghilterra,fu fondamentalmente politi-ca, e lo rammentò proprioFord. Proprio la penultima pa-gina delle Memorie evoca, qua-si come una magica eppur ca-suale illuminazione, la voltache si sentì rivolgere la parolain inglese, «la lingua che ave-vo segretamente scelto, quel-la del mio futuro». E’ la svoltaper chi, a dieci anni, aveva giàletto «tutto Victor Hugo e glialtri romantici».

Grazie a Conrad prendeforma quella che è stata defi-

nita «la perdita del centro».Nessuno dei suoi romanzi,scritto in inglese, ha luogo inInghilterra. Il polacco Conradscopre il mondo, paradossal-mente appropriando una lin-gua che non è la sua, ricrean-dola, ma soprattutto aprendola strada all’epica moderna.

Edmund White «Ragazzo di città»,nel cuore bacato di New York

«LA COMMEDIA UMANA»DI SAROYAN NEI TASCABILI

L’America che ci resta nel cuore= Ci sono libri che restano nel cuore. Come La commediaumana di William Saroyan (1908-1981), ora nei tascabilimarcos y marcos (trad. di Claudia Tarolo e Marco Zapparoli,pp. 254, € 10). Scritto negli anni caldi del secondo conflittomondiale e distribuito a pioggia in Italia dalle agenzie dipropaganda statunitensi nei giorni della Liberazione con unautentico volantinaggio aereo, conquistò subito i lettori, chedi lui già conoscevano Che ve ne sembra dell’America?,tradotto da Elio Vittorini nel 1940. Delizioso e toccantecollage di racconti montati in romanzo, moderna favolateneramente sentimentale, intrisa di umorismo benevolo

eppure intimamente drammatica, pacifista e pacificatoriapersino quando sfiora la non accettazione e addirittura laribellione, La commedia umana riprende da Balzac solo iltitolo, così come dall’Odissea trae unicamente i nomi deiprincipali protagonisti, Homer e il fratellino Ulysses, e diIthaca, la cittadina californiana ove scorre la loro piccolastoria. Il quattordicenne Homer guadagna qualche soldofacendo il postino, perché il padre è morto e Marcus, il fratellomaggiore, combatte in una guerra dalla quale non faràritorno. Ulysses trascorre il tempo a scoprire il mondo e ainnamorarsene. Attorno a loro una variegata platea di amici eparenti, adulti e ragazzi emigrati e viaggiatori: tutte personecomuni con i propri difetti, delle quali gli altri, in una sorta dibenevolenza condivisa e solidale, preferiscono tuttavia

evidenziare le poche piccole virtù, in un delicato gioco dispecchi che s’illude di esorcizzare la violenza e il dolore,relegandoli in una lontana Europa in guerra dalla quale nonvorrebbero essere contaminati ma che si ostina a irromperecon notizie di perdite e di morti. Proprio in tale prospettiva(sorretta da una straordinaria capacità di conferire allascrittura gli accenti e i ritmi del racconto orale) risiede ilfascino quasi viscerale di questo minuscolo capolavoro: nellafacilità con cui riesce a convincerci che non c’è nulla di giustoma neanche nulla di ingiusto nella vita e nella morte, nellafelicità e nella sofferenza, nella conquista e nella perdita, siritrova quella filosofia spicciola che per anni abbiamoassociato all’America. Ruggero Bianchi

Conrad, il mareè la mia medicina

«Restituire il mondoal volto della suapresenza»: una fedeletestimonianzadal Surrealismo a oggi

Ma che inferno èquesto adulterio

Bonnefoy:l’imperfezioneè la cima

«Il malinteso»:dall’Atlantico a Parigiun amore infelicetra un ex benestantee una alto-borghese

UN CLASSICO ILLUSTRATO PER BAMBINI (GRANDI)

Tristano e Isotta, amore infelice= La tragica vicenda di Tristano e Isotta è una delleleggende spirituali del medioevo in cui è racchiusa lasimbologia misteriosa del mito e lo splendore della fede.Poco conosciuta in Italia se non per il nome dei dueprotagonisti dell’opera di Wagner, la storia dei due amanti èsegnata dai sentimenti generali di fedeltà e di rigido onoredominanti nelle epopee nordiche del XII secolo dove trionfala nota appassionata dell’amore illegittimo. Amoreillegittimo che supera tutte le leggi e le convenzioni delmondo feudale. Oggi i testi originali sono difficilmenteleggibili sia per gli adulti che per i ragazzi, è invece

affascinante il Tristano e Isotta di Béatrice Fontanel con leimmagini di Aurélia Fronty (Donzelli, pp. 34, € 24). Ilracconto è in prosa ma già le parole iniziali ci introducononel mondo della ballata: «Ascoltate gente, ascoltate la storiadel valente Tristano e della dolce Isotta che si amarono cosìtanto che oggi ancora si sente, dal fondo della nostramemoria, il loro cuore battere all'unisono». Il libro ha ilformato (cm 24x32) degli albi illustrati per la prima infanziama è destinato a lettori più maturi, almeno dai 10 anni inavanti. L'editoria italiana ci ha ormai abituato (a cominciareda quel capolavoro che è Greta la matta, Adelphi 2005) alibri con contenuti narrativi adatti per il secondo ciclo perscuola primaria e per la media dell’obbligo, di forte impegnonarrativo e iconico. Aurélia Fronty ha illustrato Tristano e

Isotta con una intelligente scelta di metodo: nienteriferimento e reminiscenze culturali medioevali e invece unaprecisa lezione di modernità nelle immagini che sostengonocon forti tinte emotive la storia ancora attualissima dei dueamanti infelici. Nelle sue tavole ci troviamo di fronte a unacontinua suggestione nella rappresentazione di persone,animali e paesaggi, di un «mistero» intuitivo, espresso conessenziale sintesi poetica. Nell’album, molto ben tradottodal francese da Adelina Galeotti, l'equilibrio fra la partenarrativa e quella illustrativa permette alla parabola d'amoree di morte di concretarsi in pagine in cui troviamo realizzatoil primordiale istinto dell’uomo e nel contempo la spiritualesensualità amorosa. Roberto Denti

pp Edmund Whitep RAGAZZO DI CITTÀp trad. di Alessandro Bocchip Playgroundp pp. 301, € 18

pp Conradp MEMORIEp trad. di Cecilia Mottip Mattioli, pp. 122, € 15,90p Scritte a 55 anni, dettate al-

l’amico Ford Madox Ford, intrec-ciando ricordi e speculazioni

pp Irène Némirovskyp IL MALINTESOp trad. di Marina Di Leop Adelphi, pp. 190, € 12

pp Yves Bonnefoyp L'OPERA POETICAp a cura di Fabio Scottop trad. di Diana Grange Fiori

e Fabio Scottop Mondadori, pp. CXXXV-1697, € 60

Il poeta pensatore La sistemazionedefinitiva di un’officina del Novecento

Sesso e letteraturaAnni 60, autobiografiae ritratto d’ambientecon la Sontag e Capote,una stagione di libertà

Némirovsky Il racconto con cui esordì nel 1926la scrittrice russo-francese che si imporrà con la «Suite»

Un’opera apparsanel 1912: tra ricordie osservazionispeculative, un ritmonarrativo irresistibile

Capitano di lungocorso, polacco di nascitae inglese per scelta:nei romanzi, un mondoche ha «perso il centro»

Irène Némirovsky: il suo primoromanzo ne rileva la vocazione

di grande scrittrice

Joseph Conrad, nato in Polonia nel 1857, scomparso nel 1924

Illustrazione di Aurélia Fronty

Particolare da un’illustrazione del volume «Manifesti navali», edito da Jaca Book a cura di Gabrile Cadringher

Edmund White

Ritratto di William Saroyan

Yves Bonnefoy, 87 anni: in un Meridiano tutta la sua «Opera poetica»

Scrittori stranieriVITuttolibri

SABATO 23 OTTOBRE 2010LA STAMPA VII

Page 6: Tuttolibri n. 1737 (23-10-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - VII - 23/10/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/06 - Autore: FRABEL - Ora di stampa: 22/10/10 20.12

Memorie L’autore di «Follia di Almayer» e «Lord Jim»si racconta :nel segno dell’immaginazione, la forza che domina l’arte e la vita

GIOVANNIBOGLIOLO

Se, come egli stessoha spesso ripetuto, quelleche Bonnefoy scrive non so-no poesie autonome e in séconcluse, ma frammenti diun insieme tanto omogeneoquanto multiforme, il «Meri-diano» che oggi presenta tut-ta quanta la sua Opera poeti-ca è molto di più di una rac-colta celebrativa: è questo in-sieme - o, più propriamente,questo agglomerato di insie-mi - finalmente costituito ecapace, attraverso un infini-to gioco di rifrazioni, riecheg-giamenti e rimandi, di faremergere in piena luce an-che ciò che, disperso nellamiriade di poemi, poteva es-sere rimasto latente.

A questa sistemazione de-finitiva, ma non conclusiva(l’ottantasettenne poeta è inpiena e fertile attività e an-nuncia per questo autunnol’uscita di una nuova serie disonetti), ha posto mano con ri-gore e passione uno studiosoaccreditato come Fabio Scot-to, che ha anche tradottoquanto non aveva a suo tem-po provveduto a fare DianaGrange Fiori. Ma quello cherende capitale l'impresa e fadi questa edizione un puntodi riferimento ormai ineludi-bile - e non solo per i lettoriitaliani - è la supervisione chead essa ha dedicato lo stessoBonnefoy, che ha personal-mente redatto una meticolo-sa Cronologia, ha legittimatola lezione definitiva ogni voltache di un testo esistevano va-rianti e ha collaborato col cu-ratore affinché il minuziosoapparato di note, oltre a tuttele esaurienti informazioni dicarattere storico, editoriale,critico ed esegetico, si arric-chisse anche di sue prezioseriflessioni e autoanalisi.

È un apporto illuminante,perché la poesia di Bonnefoyè tanto cristallina nella purez-za delle sue forme quantodensa di sostanza speculativae ricca di vibrazioni interte-stuali. Basti pensare che in es-sa convergono in matura sin-tesi tradizioni e istanze poeti-che diverse e apparentemen-te incompatibili: non soloquelle di Baudelaire e di Rim-baud, che un critico come Ge-orges Poulet considerava co-sì antitetiche da far deflagra-re, nel passaggio dall’una al-l’altra, l’idea stessa di poesia;ma anche quelle di Omero, diVirgilio e di Dante, di Nervale di Mallarmé, di Vigny e diKeats, per non parlare di Pe-trarca, Shakespeare, Leopar-di e Yeats, dei quali Bonnefoyè stato anche traduttore.

Il rispetto della successio-ne cronologica delle raccol-te, che va dal recupero delle

prime prove, di stretta obbe-dienza surrealista, degli Anniquaranta e si spinge fino acomposizioni recentissimeuscite per ora soltanto in rivi-sta consente di seguire il lun-go percorso di una ricerca poe-tica che ha voluto essere, sen-za cedimenti né appagamenti,forma suprema di conoscenza.E una scelta degli scritti e deidiscorsi che l'autore ha dedica-to alla poesia ne chiarisce effi-cacemente le ambizioni, lestrategie e i conseguimenti.

Per Bonnefoy compito dellapoesia è quello di «restituire ilmondo al volto della sua pre-senza», intendendo per presen-za, parola chiave nel lessico delpoeta-pensatore, una percezio-ne della realtà tanto lontanadalle pericolose astrazioni delplatonismo quanto dall’esteti-smo e dalla deriva onirica delSurrealismo. Contro il dupliceinganno del concetto e dell’im-magine, presenza è la finitudi-ne del concreto, che va coltacon i sensi prima e più che conl’intelletto, e nella sua mutevo-lezza prima e più che nella suaimmutabile essenza. Ma se co-glierla è arduo, disperante di-venta comunicarla, disponen-

do di uno strumento come quel-lo del linguaggio che per sua na-tura è portato ad esprimerenon il reale, ma una sua astrat-ta nozione.

L’unico modo per riuscirci èquello di deviare dai percorsiobbligati e limitativi della logi-ca e del razionale e fare ricorsoa tutte le straordinarie possibi-lità comunicative che offre -con le sue sonorità, i suoi ritmi,i suoi giochi di assonanze, allit-terazioni e rime - il linguaggiopoetico: «È sufficiente che lapoesia utilizzi le parole a parti-re dai suoni, e i concetti verran-no messi in pericolo, la loro au-torevolezza sarà indebolita, ilvelo che gettano sulla realtà sa-rà strappato, in ogni caso assot-tigliato. Contatto è ritrovatocon la presenza».

Poesia non come fine dun-que, ma come mezzo di decifra-zione del reale e di iniziazionealla sua conoscenza, secondouna concezione etica del farepoetico che è stata definita unateologia negativa o, per il suo ri-gore ascetico e per l’esplicitointento di fondare una nuovasperanza, un’escatologia atea.Una sorta di ininterrotto eser-cizio spirituale, che non si la-scia distrarre o frenare da com-piacimenti formali («Amare laperfezione in quanto soglia, /Ma conosciuta negarla, dimen-ticarla morta, / L’imperfezioneè la cima») e non resta circo-scritto al solo ambito canonicodella poesia. La stessa tensionedi ricerca, lo stesso concomi-tante ricorso al registro lirico ea quello critico si avverte nelleprose poetiche di Bonnefoy eperfino, seppure in gradi diver-si, nella sua importante produ-zione saggistica, che è così con-tigua a quella poetica da costi-tuirne un naturale, indispensa-bile complemento. Materia, ciauguriamo, di un altro splendi-do «Meridiano».

GABRIELLABOSCO

«Quelle barocche sil-labe straniere…». Un indiriz-zo finlandese - Savitaipole, Koi-rami, Haparanda - che IrèneNémirovsky riporta sottoline-ando l'astrusità di una linguanon sua, è una sorta di segnoincastonato nel cuore del pri-mo romanzo che pubblicòquando ancora non aveva com-piuto ventitré anni.

Pur nella riconoscibilità diuna scrittura forte e caratte-rizzata come la sua, Il malinte-so suona in effetti in certa mi-sura atipico rispetto agli altridi Irène. Non tanto perché è ilprimo (uscì in rivista nel 1926,prima aveva pubblicato soloracconti, sarebbe poi diventa-

ta famosa con David Golder dilì a tre anni), non cioè per un'eventuale voce ancora da sta-bilizzare, o un'intonazione nonben definita. No, tutto questo ègià pienamente fissato, indivi-duabile fin dalle prime pagine,dalle prime righe addirittura:«Yves dormiva sodo, come unragazzino. Aveva cacciato latesta nell'incavo del gomito…».

La Némirovsky è già quelladei titoli più noti, del Ballo, del-la Suite. La singolarità del Ma-linteso sta piuttosto nella sensi-bile intenzione da parte della

giovanissima e ancora scono-sciuta autrice di dimostrarsifrancese, di dare prova di un'as-similazione avvenuta già cosìtanto, nel giro dei pochi anni tra-scorsi da quando è giunta inFrancia al seguito della sua fami-glia esule dalla Russia rivoluzio-naria, da permetterle sottili ela-borazioni psicologiche sui senti-menti intimi di una classe - l'altaborghesia parigina - messa a du-

ra prova dalle contingenze diffi-cili del dopoguerra.

E l'impegno profuso, gra-zie a un'abilità nel maneggiarei ferri del mestiere già da scrit-trice matura, è tale che i primicommenti, all'uscita del ro-manzo, proprio questo le rico-nobbero. Al pari di EmmanuelBove, anche lui di origine rus-sa, scrissero, aveva saputo pe-netrare l'animo francese me-

glio di un francese di nascita.Pene per due, fatica spreca-

ta, verrebbe da dire. Ciò che(ai nostri occhi odierni - d'ac-cordo) convince e rende inte-ressante Il malinteso, come delresto gli altri titoli che il pubbli-co italiano sta scoprendo gra-zie a Adelphi, è proprio queltanto di non appartenenza cherende lo sguardo della Némiro-vsky acuto. Quel po' di non riu-

scito, nello sforzo di apparireintegrata, che dà alla sua scrit-tura una marcia in più.

La storia è quella di un amo-re infelice tra Yves, ex-benestan-te cui la guerra ha tolto i mezzicostringendolo alla diminutiodella vita da impiegato, e Deni-se, alto-borghese sposata conbambina piccola che si buttanell'adulterio con l'ingenuità diun'adolescente e vive l'infernodella relazione clandestina resapiù dolorosa ancora dal progres-sivo immalinconirsi del suo uo-mo, provato dalle crescenti diffi-coltà economiche e da evidentiproblemi caratteriali.

Dalla costa atlantica, dove èambientato l'avvio del romanzo,a Parigi, dove si consuma l'edu-cazione sentimentale dei dueprotagonisti, il percorso propo-sto è quello dello zoom: su unmodo di vivere, un modo di sen-tire, un modo di reagire. Dietroalla macchina c'è lei, Irène, vesti-ta alla francese eppure così irre-sistibilmente diversa nel tocco,nel movimento della camera.

La felicità non riconosciutaper tempo e quindi non goduta(il malinteso del titolo) è il pernoautobiografico del libro, ci dico-no i biografi. Ma è anche, quasi,una prefigurazione. Quelle ba-rocche sillabe straniere, l'essereprofondo della Némirovsky, sa-rebbero emerse come un fiumein piena, non più barocche e nonpiù celate, troppo tardi per dar-le la soddisfazione che avrebbemeritato. La Francia tanto ama-ta e ambita era ormai decisa, do-po averla omaggiata e incensatae ufficialmente riconosciuta, amandarla ad Auschwitz.

MARTAMORAZZONI

New York e EdmundWhite, un legame fatto di rela-zioni sentimentali, storie disesso e letteratura: questo Ra-gazzo di città, è infatti il per-corso, tra autobiografia e rac-conto, dell’autore che, diventa-to newyorchese a vent’anni, èentrato nel ritmo della metro-poli negli Anni 60 con le emo-zioni e le aspettative di unoscrittore alle prime armi alleprese con un mondo pieno dioccasioni e promesse e rischidi fallimento. Sono tanti i temiche scorrono sul filo della let-tura di questo libro dal saporeacre a volte, insistito sul temasessuale e sulla scoperta del-l’omoerotismo, ma mai inuti-le, mai gratuito e compiaciuto.In queste pagine c’è la storiadi un uomo e insieme la storiadi una cultura che si è espres-sa nell’arco di un trentennioper nomi famosi, da TrumanCapote, a Susan Sontag, aBurroughs, e per personaggicomparsi come meteore, poiinghiottiti dall’anonimato o de-stinati al ricordo di pochi cul-tori.

La vena narrativa di Whiteporta il lettore nel cuore diuna società particolare, nelcuore di una città particolare,che non è la New York patina-ta di oggi, tale ancora nono-stante le ferite dell’11 settem-

bre, di cui l’autore, caso raro,non fa cenno. Il suo è piuttostoun canto dedicato a un mondoal limite, prossimo al collasso: laNew York degli Anni 60 è unacittà sporca che l’America perbene ripudia e disconosce, unasocietà costruita sul provviso-rio, o tale almeno nella memoriasentimentale di White.

È un ritratto della città, que-sto, che spiazza il nostro oriz-zonte visuale. Da Woody Allenin poi siamo abituati a sguardilusinghieri e inquadrature sedu-centi, alla favola della GrandeMela, che qui ci si presenta ba-cata dall’interno. Ma dentro lamalattia e la cancrena di questomondo White insinua una suadiversa umanità, il cui sbanda-mento non significa solo lo scan-

dalo del perbenismo borghese,ma anche la partecipazione atti-va e emozionata di una genera-zione di artisti che muove passiprovocatori, ma nasconde sottopelle una timidezza insospetta-

ta e un’altrettanto riposto biso-gno di tenerezza. Viene fatto diparagonare questa realtà almondo sempre sul filo della tra-gedia di Pierpaolo Pasolini, perricavarne una sensazione a suomodo più lieve in White, che

percorre la sua città tra passatoe presente con una vena di iro-nia e autoironia, così da sman-tellare lo sgomento di certe soli-tudini interiori e esteriori.

Non sto qui a ripercorrere itanti incontri d’amore, di cultu-ra e di mestiere di cui lo scritto-re ci fa partecipi, questo è unodei mortivi di interesse del libroe va scoperto all’atto della lettu-ra. Mi sembra giusto sottolinea-re il chiacchiericcio febbrile e leturbolenze di relazioni tra senti-mento e mestiere, tra sbilancia-menti affettivi e delusioni, vissu-ti nella stagione della libertàsessuale, della rivolta dei gay edel loro venire allo scoperto.Stonewall, nel 1969, ci ricordaWhite, è stata la loro Bastiglia,cui è seguita la paura dell’Aids:

la libertà sessuale appena co-minciata nel segno di una sortadi dichiarata innocenza è subitobloccata dalla paura della pestee lo stupore della festa appenacominciata e interrotta percor-re le pagine franche di White.

Ma le percorre anche un ge-nuino omaggio all’amicizia e al-la solidarietà che fa di quel mon-do di protagonisti di una stagio-ne fiorente un luogo di incontroora solidale, ora burrascoso.Credo che basterebbero le ulti-me pagine di questa autobiogra-fia, e biografia di una città, adarci la misura della sincerità edell’affetto su cui appoggia lostile di un autore che, mentre di-vaga su un tema, jazzisticamen-te, traccia una affascinante li-nea melodica.

Vi cantola Grande Melasull’abisso

CLAUDIOGORLIER

«Solo nell’immagina-zione dell’uomo ogni veritàtrova la propria effettiva einnegabile esistenza. L’im-maginazione, non l’invenzio-ne, è la forza che dominaogni arte e la vita stessa».Questa vigorosa legittima-zione dello scrivere è di Jo-seph Conrad, nell’autobio-grafico A Personal Record,del 1912, ora disponibile nel-la traduzione efficace di Ce-cilia Motti come Memorie.

Conrad ha cinquantacin-que anni quando il libro ap-pare, e gli si devono alcunidei suoi assoluti capolavori,dall’iniziale Follia di Al-mayer, della cui gestazione -per così dire - egli tratta quiampiamente, a Lord Jim, aTifone, a Nostromo, tanto perrammentarne soltanto alcu-ni memorabili.

La genesi del libro è abba-stanza curiosa, poiché l’ami-co Ford Madox Ford, pseu-donimo di Ford Madox Huef-fer, sostenne di averlo scrit-to sotto precisa dettatura diConrad. Va rammentatoche Ford, autore a sua voltadel romanzo Il buon soldato,da molti considerato il capo-stipite della narrativa mo-dernista, fu ascoltato consi-gliere di Conrad, e collaboròcon lui sicuramente in dueromanzi, Avventura romanti-ca e Gli eredi, e forse in unterzo, La natura di un delitto.

Non bisogna farsi ingan-nare dalla fattualità del tito-lo. Queste memorie si snoda-no con un quasi irresistibileritmo narrativo, intreccian-do ricordi, osservazioni spe-culative come quella che ab-biamo citato, nel segno diuna lampeggiante invenzio-ne di scrittura: dunque, tut-t’altro che un’opera minorenel canone conradiano.

Queste Memorie sono dav-vero un caleidoscopio. Natu-ralmente una parte fonda-mentale riguarda l’iniziazio-ne alla vita di scrittore, esem-plificata appunto in chiavequasi sperimentale, dallacomposizione della Follia diAlmayer. Ma un’altra inizia-zione risulta non meno deci-siva, quella al mare, vissutacome capitano di lungo cor-so, e risolutamente, irresisti-bilmente fusa con l’altra, euniversalizzata, nel segno diuna incessante metamorfosi.Il mare, come «una medicinaportentosa». Qui realtà e im-maginazione si fondono, so-stanziando il romanzo, dove«una forma di vita immagina-ta diventa più nitida della re-altà stessa». L’esperienzadel mare nutre l’immagina-zione, e conferisce al roman-zo un nuovo spazio.

Uno dei maggiori studiosidi Conrad, Albert J. Guerard,ha osservato acutamente chequeste Memorie sono un librocon un inizio - la stesura deldecimo capitolo di La follia diAlmayer - che equivale alla fi-ne, e una fine - il primo mo-mentaneo contatto con unanave inglese - che sostanziaun inizio.

Conrad dedica relativa-mente poco e piuttosto ambi-guo spazio alla sua inizialeidentità, quella del polaccoJòzef Teodor Korzeniowski.Colpisce l’intensità controlla-ta del ritratto della madre, ilricordo della sorella mortabambina, e naturalmente l’in-cisivo ritratto dello zio Thad-deus, quello che gli aprì nuo-

vi e decisivi orizzonti man-dandolo a Marsiglia. L’ambi-guità, che gli fu a suo temporimproverata, riguarda ilsuo atteggiamento, o se vole-te il risentimento, nei con-fronti dei dominatori russi.Più di un critico ha sostenutoche la sua dichiarata acrimo-nia nei confronti di Dostoe-vskij, con il quale possiedenumerosi tratti letterari incomune, dipende dal fatto,appunto, che era russo.

L’esperienza francese inci-se profondamente su Conrad.Anche se egli indica come unalettura per così dire formati-va, di traduzione, i Due genti-luomini di Verona, ci si rendeconto di quanto contarono gliautori francesi. Qui egli non lo

confessa, ma si sa che in unprimo tempo, lasciato il polac-co - la cui sintassi, badate,non comparve mai del suo lin-guaggio - intendeva scegliereil francese. La famosa triplaaggettivazione conradiana ri-manda a Flaubert. La sceltadell’inglese, e dell’Inghilterra,fu fondamentalmente politi-ca, e lo rammentò proprioFord. Proprio la penultima pa-gina delle Memorie evoca, qua-si come una magica eppur ca-suale illuminazione, la voltache si sentì rivolgere la parolain inglese, «la lingua che ave-vo segretamente scelto, quel-la del mio futuro». E’ la svoltaper chi, a dieci anni, aveva giàletto «tutto Victor Hugo e glialtri romantici».

Grazie a Conrad prendeforma quella che è stata defi-

nita «la perdita del centro».Nessuno dei suoi romanzi,scritto in inglese, ha luogo inInghilterra. Il polacco Conradscopre il mondo, paradossal-mente appropriando una lin-gua che non è la sua, ricrean-dola, ma soprattutto aprendola strada all’epica moderna.

Edmund White «Ragazzo di città»,nel cuore bacato di New York

«LA COMMEDIA UMANA»DI SAROYAN NEI TASCABILI

L’America che ci resta nel cuore= Ci sono libri che restano nel cuore. Come La commediaumana di William Saroyan (1908-1981), ora nei tascabilimarcos y marcos (trad. di Claudia Tarolo e Marco Zapparoli,pp. 254, € 10). Scritto negli anni caldi del secondo conflittomondiale e distribuito a pioggia in Italia dalle agenzie dipropaganda statunitensi nei giorni della Liberazione con unautentico volantinaggio aereo, conquistò subito i lettori, chedi lui già conoscevano Che ve ne sembra dell’America?,tradotto da Elio Vittorini nel 1940. Delizioso e toccantecollage di racconti montati in romanzo, moderna favolateneramente sentimentale, intrisa di umorismo benevolo

eppure intimamente drammatica, pacifista e pacificatoriapersino quando sfiora la non accettazione e addirittura laribellione, La commedia umana riprende da Balzac solo iltitolo, così come dall’Odissea trae unicamente i nomi deiprincipali protagonisti, Homer e il fratellino Ulysses, e diIthaca, la cittadina californiana ove scorre la loro piccolastoria. Il quattordicenne Homer guadagna qualche soldofacendo il postino, perché il padre è morto e Marcus, il fratellomaggiore, combatte in una guerra dalla quale non faràritorno. Ulysses trascorre il tempo a scoprire il mondo e ainnamorarsene. Attorno a loro una variegata platea di amici eparenti, adulti e ragazzi emigrati e viaggiatori: tutte personecomuni con i propri difetti, delle quali gli altri, in una sorta dibenevolenza condivisa e solidale, preferiscono tuttavia

evidenziare le poche piccole virtù, in un delicato gioco dispecchi che s’illude di esorcizzare la violenza e il dolore,relegandoli in una lontana Europa in guerra dalla quale nonvorrebbero essere contaminati ma che si ostina a irromperecon notizie di perdite e di morti. Proprio in tale prospettiva(sorretta da una straordinaria capacità di conferire allascrittura gli accenti e i ritmi del racconto orale) risiede ilfascino quasi viscerale di questo minuscolo capolavoro: nellafacilità con cui riesce a convincerci che non c’è nulla di giustoma neanche nulla di ingiusto nella vita e nella morte, nellafelicità e nella sofferenza, nella conquista e nella perdita, siritrova quella filosofia spicciola che per anni abbiamoassociato all’America. Ruggero Bianchi

Conrad, il mareè la mia medicina

«Restituire il mondoal volto della suapresenza»: una fedeletestimonianzadal Surrealismo a oggi

Ma che inferno èquesto adulterio

Bonnefoy:l’imperfezioneè la cima

«Il malinteso»:dall’Atlantico a Parigiun amore infelicetra un ex benestantee una alto-borghese

UN CLASSICO ILLUSTRATO PER BAMBINI (GRANDI)

Tristano e Isotta, amore infelice= La tragica vicenda di Tristano e Isotta è una delleleggende spirituali del medioevo in cui è racchiusa lasimbologia misteriosa del mito e lo splendore della fede.Poco conosciuta in Italia se non per il nome dei dueprotagonisti dell’opera di Wagner, la storia dei due amanti èsegnata dai sentimenti generali di fedeltà e di rigido onoredominanti nelle epopee nordiche del XII secolo dove trionfala nota appassionata dell’amore illegittimo. Amoreillegittimo che supera tutte le leggi e le convenzioni delmondo feudale. Oggi i testi originali sono difficilmenteleggibili sia per gli adulti che per i ragazzi, è invece

affascinante il Tristano e Isotta di Béatrice Fontanel con leimmagini di Aurélia Fronty (Donzelli, pp. 34, € 24). Ilracconto è in prosa ma già le parole iniziali ci introducononel mondo della ballata: «Ascoltate gente, ascoltate la storiadel valente Tristano e della dolce Isotta che si amarono cosìtanto che oggi ancora si sente, dal fondo della nostramemoria, il loro cuore battere all'unisono». Il libro ha ilformato (cm 24x32) degli albi illustrati per la prima infanziama è destinato a lettori più maturi, almeno dai 10 anni inavanti. L'editoria italiana ci ha ormai abituato (a cominciareda quel capolavoro che è Greta la matta, Adelphi 2005) alibri con contenuti narrativi adatti per il secondo ciclo perscuola primaria e per la media dell’obbligo, di forte impegnonarrativo e iconico. Aurélia Fronty ha illustrato Tristano e

Isotta con una intelligente scelta di metodo: nienteriferimento e reminiscenze culturali medioevali e invece unaprecisa lezione di modernità nelle immagini che sostengonocon forti tinte emotive la storia ancora attualissima dei dueamanti infelici. Nelle sue tavole ci troviamo di fronte a unacontinua suggestione nella rappresentazione di persone,animali e paesaggi, di un «mistero» intuitivo, espresso conessenziale sintesi poetica. Nell’album, molto ben tradottodal francese da Adelina Galeotti, l'equilibrio fra la partenarrativa e quella illustrativa permette alla parabola d'amoree di morte di concretarsi in pagine in cui troviamo realizzatoil primordiale istinto dell’uomo e nel contempo la spiritualesensualità amorosa. Roberto Denti

pp Edmund Whitep RAGAZZO DI CITTÀp trad. di Alessandro Bocchip Playgroundp pp. 301, € 18

pp Conradp MEMORIEp trad. di Cecilia Mottip Mattioli, pp. 122, € 15,90p Scritte a 55 anni, dettate al-

l’amico Ford Madox Ford, intrec-ciando ricordi e speculazioni

pp Irène Némirovskyp IL MALINTESOp trad. di Marina Di Leop Adelphi, pp. 190, € 12

pp Yves Bonnefoyp L'OPERA POETICAp a cura di Fabio Scottop trad. di Diana Grange Fiori

e Fabio Scottop Mondadori, pp. CXXXV-1697, € 60

Il poeta pensatore La sistemazionedefinitiva di un’officina del Novecento

Sesso e letteraturaAnni 60, autobiografiae ritratto d’ambientecon la Sontag e Capote,una stagione di libertà

Némirovsky Il racconto con cui esordì nel 1926la scrittrice russo-francese che si imporrà con la «Suite»

Un’opera apparsanel 1912: tra ricordie osservazionispeculative, un ritmonarrativo irresistibile

Capitano di lungocorso, polacco di nascitae inglese per scelta:nei romanzi, un mondoche ha «perso il centro»

Irène Némirovsky: il suo primoromanzo ne rileva la vocazione

di grande scrittrice

Joseph Conrad, nato in Polonia nel 1857, scomparso nel 1924

Illustrazione di Aurélia Fronty

Particolare da un’illustrazione del volume «Manifesti navali», edito da Jaca Book a cura di Gabrile Cadringher

Edmund White

Ritratto di William Saroyan

Yves Bonnefoy, 87 anni: in un Meridiano tutta la sua «Opera poetica»

Scrittori stranieriVITuttolibri

SABATO 23 OTTOBRE 2010LA STAMPA VII

Page 7: Tuttolibri n. 1737 (23-10-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - VIII - 23/10/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/08 - Autore: FRABEL - Ora di stampa: 22/10/10 20.12

Hardt-Negri L’alternativa del «comune»,superando l’opposizione pubblico-privato

FRANCOGARELLI

Che cosa ha mai spin-to Edmondo Berselli a dedica-re gli ultimi travagliati giornidella sua vita ancora matura ascrivere un libro su un tema as-sai più serio di quelli trattatinei pamphlet che l’hanno con-sacrato come una delle figurepiù eclettiche dell’editoria e delgiornalismo italiano? Perchélui, che è stato il biografo di unPaese impazzito, l’intellettualeironico che ha narrato i nostricostumi e le nostre passioni(parlando di politica, tv, calcio,musica pop) ha voluto conse-gnarci alla fine un saggio densoe veloce sull’Economia giusta?

Certamente la malattia haavuto il suo peso, nell’indirizza-re «ciò che resta dei giorni» aduna sintesi più alta e impegnati-va, che però era già nell’ordinedelle cose per uno spirito liberoche non poteva non cogliere ildramma della situazione politi-ca ed economica che stiamo vi-vendo. E il libro postumo, a sei

mesi dalla sua scomparsa, si ri-collega alla vena politica e cul-turale che ha sempre distintol’impegno pubblico di Berselli,sia quando ha sposato e anima-to la «fabbrica» bolognese delMulino, sia nelle profezie scrit-te sulla nostra società, raccon-tando l’Italia più diversa.

L’incipit è un rosario deidubbi e delle lacerazioni cheabitano menti e cuori di quantinon si capacitano che il mondo(anche il nostro) si stia avvitan-do sempre più su se stesso. Co-me mai il vento è da tempo gira-to a favore dei partiti di destra?Come mai essi sono riusciti atenere le mani sul potere e ilconsenso, nonostante la gravi-tà di una crisi che hanno contri-buito a creare? Perché i granditemi del Novecento (lavoro, oc-cupazione, pensioni, investi-menti pubblici ecc.) sono sfiori-ti nella mentalità corrente?Perché la sinistra in Europasta vivendo un malinconico au-tunno, senza idee praticabili nériscatto possibile? Perché la no-stra gente è appagata dalla«politica di corte» (fatta di pet-tegolezzi e trovate televisive) oda misure di controllo pubblicospesso inefficaci e ridicole?

Tuttavia il saggio non è solo

una denuncia delle molte coseche non vanno, dalla crisi globaleinnescata dalla «superstizionemonetarista» alle malattie delnostro modello di sviluppo, dalsempre più folto esercito di pre-cari e disoccupati all’ampliarsidella disuguaglianza e dell’ingiu-stizia sociale; per non parlare deilimiti progettuali delle destreche sono perlopiù al governo edello spaesamento dei partiti co-siddetti progressisti.

L’intento coraggioso di Ber-selli è di guardare oltre la crisi,mutuando da Hirschman l’ideache «in ogni condizione c’è unariforma possibile». Così si inne-sca la sua ricerca delle buoneprassi del passato, dei contributiteorici e delle esperienze politi-che e di governo più significativeche hanno abitato l’Europa dal-l’800 ad oggi. Sino ad individua-

re nell’«economia sociale di mer-cato» quel modello di sviluppo(di matrice renana) che può tene-re insieme sia le istanze liberistesia i diritti della persona e il sen-so della comunità. Una sorta diterza via tra il laissez-faire e il so-cialismo, capace di armonizzareinteresse privato e benesserepubblico, dinamismo del merca-to e intervento dello Stato teso aevitare la rapacità del sistema.

Di qui le molte assonanze diquesto pensiero con la più recen-te dottrina sociale della chiesacattolica, che per bocca soprat-tutto di Karol Wojtyla ma anchedi Benedetto XVI ha più volte econ largo anticipo richiamatol’attenzione sui guasti sociali diun sistema economico non rego-lato e sull’imminenza della crisi.

Ecco dunque l’ultimo mes-saggio che Berselli ci ha lascia-to, letto da alcuni come il suo te-stamento «politico». Si trattacerto di uno spunto interessan-te, a cui dare gambe e profondi-tà, che invita quanti vogliono ilcambiamento a uscire dal diso-rientamento e a riprendere l’ini-ziativa. Con una riflessione fina-le, di sapore antropologico.L’uscita dalla crisi (se ci sarà)non ci riporterà ai precedenti li-velli di consumo e di benessere.Dovremmo abituarci tutti a es-sere più poveri o a vivere in mo-do più armonico ed essenziale.In sintesi, a ridare priorità allecose che contano.

MARCOAIME

«Nei Paesi piccoli e po-veri che occupano gli ultimi po-sti nella graduatoria mondiale,dove vive un miliardo di perso-ne, la principale via d’accessoal potere rimane la violenza».

Con queste amare e lucideparole Paul Collier inizia la suariflessione sulla violenza che, apartire dal termine della guer-ra fredda, sembra essersi tra-sferita nel cosiddetto Sud delmondo, sebbene in molti casicon il contributo delle grandipotenze internazionali. Il succe-dersi di colpi di stato e guerrelocali che ha caratterizzato lastoria dell’Africa post-indipen-denza è uno degli esempi lam-pantidi questonuovo scenario.

E non basta la finzione delleelezioni, spesso imposte dalFMI, dalla Banca Mondiale odalle grandi potenze per co-struire una democrazia. Senzala realizzazione di strutture edi servizi, senza la garanzia disicurezza e senza governi affi-dabili si passa, come per esem-pio nel caso della RepubblicaDemocratica del Congo, dalladittatura personale di Mobutua quella che l'autore definiscela «demopazzia». Una farsache il grande scrittore nigeria-no Wole Soyinka ha chiamato«democrazia vudu», dove l'exdittatore, per mantenere il po-tere e soddisfare gli osservato-ri internazionali, crea due o trepartiti finti, retti da suoi soste-nitori e indice false elezioni.

È un’illusione che basti por-tare la gente alle urne, perchéquesta abbandoni il kalash-nikov. Lo dimostrano peraltro

gli eventi più recenti in Afgha-nistan o in Iraq. La democrazianon è un semplice meccanismoelettorale, ma un insieme diconsapevolezza e di conoscen-za dei diritti e dei doveri e si fon-da sulla partecipazione attivadi cittadini in grado di giudica-re. L’analfabetismo dominanteè uno degli ostacoli più grandisul cammino democratico, co-me lo sono la fame, la miseria,la difficoltà di accesso a servizifondamentali.

Dello stesso parere è IreneKhan, nata nel Bangladesh edex segretaria generale di Am-

nesty International. Secondol'autrice di Prigionieri della pover-tà, non basta risolvere il proble-ma economico, per sconfiggeremiseria e povertà, ma occorre ga-rantire soprattutto i diritti civili.Ci sono paesi ricchi, dove però lagiustizia non è garantita a tutti edove si riscontrano fortissimesperequazioni a ogni livello: traclassi sociali, tra uomini e donne,ecc. Ecco allora che scatta quelleche viene definita la trappola del-la povertà: non avendo accesso

all’istruzione, all’assistenza sani-taria, alla politica e alle risorseeconomiche, i poveri non hannonessuna chance di emanciparsi,di uscire dalla loro condizione.

Ecco la trappola: se non si ri-modellano i rapporti di potere edi forza, non si possono nemme-no modificare quelli economici.La gerarchie delle caste nel sub-continente indiano, i pregiudizi ele discriminazioni razziali diffusein molti paesi non sono fenomenieconomici, ma influenzano l’eco-nomia. La povertà è anche esclu-sione, non solo carenza di risorsee le due cose sono indissolubil-mente adeguate. Purtroppo laDichiarazione universale dei di-ritti dell’uomo è un bel documen-to, che esprime pii desideri di al-cuni uomini di buona volontà, mala realtà è che come esseri uma-ni, non abbiamo nessun diritto,perché nessuno ce li garantiscein quanto tali. I diritti che abbia-mo (o non abbiamo) sono quellidel cittadino e solo l’appartenen-za a una nazione li sancisce o ce linega. La «nuda vita» non è suffi-ciente a questo mondo.

Se la via di uscita al perpe-tuarsi di violenze e discriminazio-ni non può essere solo economi-ca e forse neppure esclusivamen-te politica, allora occorre, forseuna vera e propria rivoluzioneculturale. È questo che vuole di-re Glenn D. Paige, un politologoamericano che fece, come milita-

re, la guerra di Corea e che ora sibatte per una politica non violen-ta, fondata sul semplice (ma nontroppo) concetto di non-killing,nonuccidere.

La domanda che Paige si po-ne e ci pone è di un’ingenuità ap-parentemente scoraggiante: «Èpossibile una società nella qualenon avvengano uccisioni?». La ri-sposta è sì, ma occorre che an-che e soprattutto la scienza poli-

tica non consideri più l’opzionenon violenta solo come un’aspira-zione filosofica, ma come para-digma sociale, che si impegni nel-lo studio di una società in cui tut-ti gli sforzi vengano finalizzati al-l’abbattimentodelle barriere chegenerano violenza. Per fare que-sto occorrono una serie di rivolu-zioni teoriche nonindifferenti siasul piano teorico sia su quellopragmatico.

Il grande pregio di Paige èche si propone di spostare l’ideo-logia gandhiana della non violen-za da una dimensione puramen-te etica e morale a una politica eoperativa, dando il via a una nuo-va linea di pensieroscientifico.

gigante con i piedi d'argilla.Siamo la nazione dei parados-si - osserva Solimine -. Il feno-meno editoriale, per numerodi libri pubblicati e pure di li-bri letti, ha dimensioni rag-guardevoli. Ma si regge su ba-si molto fragili. Pochi editori- con il gruppo leader Monda-dori, seguito da Rcs, Longa-nesi e Feltrinelli - e pochi let-tori si danno da fare per co-prire gran parte del mercatoitaliano».

I lettori forti - quelli che di-vorano almeno un libro al me-se - oggi si stanno avvicinan-do al traguardo dei 4 milioni.Sono i pilastri di un Parteno-ne di cultura che poggia sulleloro sole spalle di consumato-ri della metà dei libri vendu-ti. Questi buongustai dellacarta stampata, altra singola-rità in un momento di fragili-

tà economica, sono in aumen-to: nel corso dell'ultimo annol'esercito dei «deboli» ha cono-sciuto una flessione e la pattu-glia dei «forti» o mangiatori aquattro ganasce, ha fatto unbalzo: dal 13,2 al 15,2 per cento.

Un colosso all'italiana, l'edi-

toria libraria, a cui basta pocoper fare un passo indietro. I to-mi attualmente in commerciosono 650 mila e le più attiveforchette al desco del libro, co-me da tempo è noto, sono ledonne (legge il 51,6 per centodi signore e signorine e solo il

38,2 per cento degli uomini).Ora registrano un altro prima-to: sono le più determinate esolo dopo i 60 anni diminuisco-no la loro quotidiana razione dilettura. Mentre per i fragili ma-schi il sorpasso dei non lettoriavviene prestissimo, prima dei20 anni.

Cosa influenza le scelte deiconsumatori? Per anni i criti-ci, gli specialisti, i cosiddettiaddetti ai lavori (o ai livori?)hanno sollevato dubbi sull'effi-cacia dei premi letterari. Ora ècerto: molti riconoscimenti, os-serva Solimine, non smuovonoil mercato, il Viareggio, peresempio, fa fare il salto dellaquaglia. Ma lo Strega, invece,trasforma autori e libri in giraf-fe nella savana: come Marga-ret Mazzantini che, con Non timuovere, dopo aver vinto la ga-ra, in un battibaleno è arrivata

a 400 mila copie. O come PaoloGiordano che, con La solitudi-ne dei numeri primi, dopo l'inco-ronazione, era approdato a600 mila, poi a un milione di co-pie (quelli che non hanno libriadatti a un ampio pubblico sidevono accontentare di un in-cremento di 20-30 mila copie).

Qual è la regione italianadove si legge di più? In Piemon-te c'è un piccolo-grande eserci-to di oltre 2 milioni che si divo-ra almeno un libro l'anno (52,3per cento nel 2009), i lettori so-no costituiti da 3 residenti su 4e rappresentano il 75,3 per cen-to di tutti coloro che hanno su-perato i 10 anni. I degustatoridi carta stampata che, nel1985, erano il 44 per cento, han-no avuto un tasso di crescitamaggiore della media naziona-le.

All'origine di tanta dedizio-

ne? L'attenzione - ecco un' al-tra sorpresa - viene stimolatada manifestazioni, meeting, ra-duni: dalla Fiera del libro di To-rino a Portici di Carta a incon-tri come quelli di Cuneo,Verba-nia, Asti, Biella. Questo avvie-ne anche in gran parte della pe-

nisola (soprattutto al centro-nord), che si connota come ilpaese che ha più appuntamen-ti culturali d'Europa.

L'identikit del lettore «for-te» italiano è assai speciale:legge più libri chi pratica una«dieta» ricca di alimenti, dove

proteine, carboidrati e vitami-ne sono costituiti da internet,film, dibattiti, conferenze, gior-nali. Quelli che, invece, sonoinappetenti in tutti questi set-tori del consumo culturale edell'informazione non si dedi-cano nemmeno alla paginascritta. Anche tra i più giovani,contro tutte le aspettative, leg-gono maggiormente quelli chesmanettano di più, sentonomusica o vedono la tivù (nonpiù di 3 ore al giorno, però).

Piatto ricco mi ci ficco: è illeit motiv del lettore nostranoe, in questo ipercalorico menù,arriva l'ebook, pronto ad af-fiancare, a collaborare ma nona soppiantare i volumi più tra-dizionali. Per il day after, perun universo di soli lettori digi-tali, con cimiteri di carta strap-pata, discariche di tomi defe-nestrati e stipati lacero-contu-si in fila e in pila per finire almacero, ci sarà ancora parec-chio da aspettare. Per il mo-mento carta resiste, conta ecanta.

LELIODEMICHELIS

Società della cono-scenza o dell’ignoranza?Condivisione e cooperazionelibera (Wikipedia) o incorpo-razione della vita intera nel-la produzione e nel consu-mo? Privatizzazione o difesadei beni comuni? E’ attornoa queste e ad altre opposizio-ni (su tutte: tra autonomia oeteronomia) che si muovel’agire sociale (anche) nellasocietà globale.

Michael Hardt e AntonioNegri, in questo Comune - ul-timo capitolo della trilogiainiziata con Impero e prose-guita con Moltitudine - cerca-no di uscire dall’opposizionetra privato e pubblico versol’alternativa del «comune»,mediante la quale la «molti-tudine» (questo nuovo «sog-getto» composto da infinitesingolarità) «apprende l’ar-te dell’autogoverno e creaforme durature di organizza-zione sociale». Un saggiodenso e complesso (e per chivolesse ripercorrere la sto-ria di quell’intellettuale con-troverso che è Negri eccoDentro/contro il diritto sovra-no, ottimamente curato daGiuseppe Allegri). Un libro,Comune, che tuttavia non ci

sembra essere (come inveceenfatizzato nella seconda dicopertina) «un modo rivolu-zionario di pensare la nostraepoca, completando un’ope-ra destinata ad essere per ilXXI secolo ciò che il Capitaleè stato per il XX». Perché al-la fine (pur condividendoquesta idea di «comune») illibro ci sembra non chiarireil rapporto (e i modi del pos-sibile conflitto) tra un capita-lismo sempre più biopoliticoche governa (comanda) la«vita» delle persone median-te conoscenza, immaginari,linguaggi, affetti, codici; e un«comune» che produrrebbeun altro lavoro biopolitico,diverso e «sempre più auto-nomo dal comando capitali-stico» grazie a «cooperazio-ne, autonomia e organizza-zione in rete».

In realtà: quanto il «comu-ne» può essere davvero auto-nomo dal biocapitalismo se èquesto che produce la «nar-razione sociale» predomi-nante? Come sostenere pri-ma che «più il capitale devevalorizzarsi mediante la pro-

duzione di conoscenza e piùquesta conoscenza sfugge alsuo controllo»; e poi che «Ap-ple e Microsoft sopravvivonosucchiando le energie dei pro-duttori e degli operatori infor-matici integrati in una reteche si estende ben al di là dei li-miti dell’impresa»?

Ma cos’è il «comune»? E’«tutto ciò che si ricava dallaproduzione sociale, che è ne-cessario per l’interazione so-ciale e per la prosecuzionedella produzione». Nella suastoria il capitalismo ha sem-pre cercato di privatizzare/espropriare il «comune». Co-me opporsi a questa logicaproprietaria? Non ricorrendoalla proprietà pubblica ma a

ciò che è «comune» e diversoda privato e da pubblico. Pas-sando dalla «resistenza» aipoteri dominanti, alla «alter-nativa» ad essi. Uscendo daquesta modernità verso una«altermodernità» «capace digenerare nuovi valori, nuovisaperi, nuove pratiche», so-prattutto nuove soggettività.Ed è la metropoli, pur con lesue patologie, ad essere lanuova «fabbrica» del «comu-ne». Per una nuova rivoluzio-ne. Diversa dal passato.

Globalizzazione. Contropo-tere. E l'idea di cosmopoliti-smo cara a Ulrich Beck, anchein questo Potere e contropoterenell’età globale. Dove si imma-gina (il libro è del 2002) un «or-

dine alternativo», «al centrodel quale si collocano la liber-tà politica e la giustizia socialeed economica (e non le leggidel mercato)». Ma dov’è il con-tropotere alla globalizzazione«se non esiste un nemico chia-ramente individuato» e nonesiste un linguaggio unico delconflitto, ma una babele diconflitti? Può esserlo il contro-potere dei consumatori politi-ci, che come la globalizzazionenon conosce confini? Ma può ilconsumatore, che sempre piùè anche co-produttore dellemerci e dei servizi che consu-ma, essere contropotere delpotere di cui è parte? Meglioallora il contropotere dell’opi-nione pubblica? Diceva Beck,«il detto so di non sapere nonè mai stato così pertinente co-me oggi per tracciare una dia-gnosi dell’epoca».

Eppure qualcosa, anzi mol-to, si può sapere (basta voler-lo) della globalizzazione e del-le sue crisi. Come con il nuovolibro di Christian Marazzi, daltitolo intrigante di Il comuni-smo del capitale e dedicato a fi-nanziarizzazione, biopolitichedel lavoro, strategie produtti-ve del postfordismo. Perchél’ultima crisi non è finita e loscenario rimanda ad una sor-ta di comunismo del capitale,in cui lo stato, «assecondandoi bisogni dei “soviet finanzia-ri”, impone la dittatura delmercato sulla società». Produ-cendo appunto una bioecono-

mia, che tutti coinvolge e con-tamina e conforma.

Tutti gli autori citati hannofatto i conti con la modernità.E allora, last but non least eccoBauman con Modernità e ambi-valenza (mentre torna dal Mu-lino anche La società individua-lizzata). Perché la modernità -in tutte le sue forme fin quisperimentate - è stata domina-ta da un’idea, quella di ridurrealla ragione il caos del mondo,di ordinare, classificare, calco-lare soprattutto, togliere le zo-ne d'ombra, uniformare. Maquesto sogno è fallito, perchéè l’ambivalenza (e non l’unifor-mità) la condizione normale divita degli uomini. Ma l’ambiva-lenza ci fa paura.

La postmodernità risolvequesto dramma esistenzialedi noi moderni, accogliendo fi-nalmente l’ambivalenza? Op-pure, tornando a Negri e Har-dt, serve piuttosto una «alter-modernità»?

LEESON, ARRIGHI, INGHAM

Tra fascino e disordineRotta verso il profitto,ardimentosa, insofferente dilacci e lacciuoli, di regole econtrappesi. Passando daun’isola del tesoro all’altra. PeterT. Leeson racconta il fascinosegreto del capitalismo inL’economia secondo i pirati(Garzanti, pp. 300, € 21,60,traduzione di Roberto Merlini).Giulio Giorello non esita a«gemellare» i bucanieri di ieri egli uncini invisibili odierni: «Lesocietà aperte di cui oggil’occidente va tanto orgogliosonon hanno che imparare da quei“mostri”».Giovanni Arrighi, fra i maggioriesperti dell’economia mondiale,scomparso l’anno scorso, offreun’analisi oltre ogni malìa. Isaggi raccolti sotto il titoloCapitalismo e (dis)ordinemondiale per manifestolibri, acura di Giorgio Cesarale e MarioPianta (pp. 231, € 26), esploranouna varietà di temi: dal declinodell’egemonia statunitenseall’ascesa del mercato cinese easiatico in generale, dai rapportitra produzione e finanza alledinamiche dei movimentiglobali.Un’introduzione al Capitalismoè l’opera di Geoffrey Ingham,docente a Cambridge (Einaudi,traduzione di Vincenzo Crupi eRoberta Ghivarello, pp. 306,€ 23). Le teorie classiche (Smith,Marx, Weber, Schumpeter,Keynes), le istituzioni alla basedel capitalismo e le lororelazioni, la risposta alladomanda «che fare?».«L’esigenza più pressante èevitare la necessità di finanziarealtri salvataggi su larga scala...».

Nella Reteun passaggioper andare oltreil capitalismo

Non si diventa cittadinifinché si è prigionieridella miseriaed esclusi dalla societàdice l’indiana Khan

«Economia giusta»:quasi un testamento,un modello di sviluppoche coniughi mercato,persona e comunità

In troppi Paesi, la viaal potere è ancorala violenza, dice Colliere Paige invocauna politica gandhiana

La democrazianon è un rito vudu

Una terza viaper guardareoltre la crisi

MIRELLA SERRI

pp Michael Hardt-Antonio Negrip COMUNE. Oltre il privato

e il pubblicop a cura di Alessandro Pandolfip Rizzoli, pp. 430, € 21p Antonio Negrip DENTRO/CONTRO

IL DIRITTO SOVRANOp a cura di Giuseppe Allegrip Ombre Corte, pp. 237, € 20p Ulrich Beckp POTERE E CONTROPOTERE

NELL'ETÀ GLOBALEp trad.di Carlo Sandrellip Laterza, pp. 455, € 22p Christian Marazzip IL COMUNISMO DEL CAPITALEp Ombre Corte, pp. 254, € 23p Zygmunt. Baumanp MODERNITÀ E AMBIVALENZAp trad. di Caterina D'Amicop Bollati Boringhieri, pp. 347, € 25

pp Paul Collierp GUERRE, ARMI E DEMOCRAZIAp trad. di L. Cespap Laterza, pp. 248, € 18p I. Khanp PRIGIONIERI DELLA POVERTÀp trad. di L. Orlandop Bruno Mondadori,pp. 258, € 20p G. D. Paigep NON UCCIDERE. Una nuova

scienza politica globalep a cura di P. Giaierop Emi, pp 215, € 13

pp Edmondo Bersellip L'ECONOMIA GIUSTAp Einaudi, pp.100, € 10

Berselli Una voce libera, che hanarrato costumi e passioni d’Italia

Come «resistere»ai poteri dominantie quali «contropoteri»sono possibilirispetto al mercato?

.

Madre e figlioJumma,

minoranzaperseguitata

delBanghadesh:

una foto da«Siamo tutti

uno. Omaggioai popoli

indigeni dellaterra», a cura

di JoannaEeede, edito da

Logos incollaborazione

con Survival

Tra guerre e povertà Senza istruzione e reali dirittinon ci potrà essere sviluppo e giustizia per Africa e Asia

Altre analisidella globalizzazionee della modernitànei saggi di Beck,Marazzi e Bauman

La carta non è ancora stanca

In commercio vi sono650 mila volumi,le donne nella letturasorpassano di granlunga gli uomini

Segue da pag. I

La lettura soprattuttofiorisce nel Centro-Nord,la zona in Europapiù ricca di festivale incontri culturali

EdmondoBerselli,

giornalistae scrittore,

è scomparsonell’aprile

scorsoa Modena.

E’ stato a lungodirettore

editorialedel Mulino;

tra i suoi libri«Veneratimaestri»,

«Adulti conriserva»,

«Sinistrati».

Un manifesto del collettivo francese «Dernier Cri» dal libro «Popup.Arte contemporanea nello spazio urbano», ed. Franco Cosimo Panini

Idee e societàVIIITuttolibri

SABATO 23 OTTOBRE 2010LA STAMPA IX

p

Page 8: Tuttolibri n. 1737 (23-10-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - IX - 23/10/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/08 - Autore: FRABEL - Ora di stampa: 22/10/10 20.12

Hardt-Negri L’alternativa del «comune»,superando l’opposizione pubblico-privato

FRANCOGARELLI

Che cosa ha mai spin-to Edmondo Berselli a dedica-re gli ultimi travagliati giornidella sua vita ancora matura ascrivere un libro su un tema as-sai più serio di quelli trattatinei pamphlet che l’hanno con-sacrato come una delle figurepiù eclettiche dell’editoria e delgiornalismo italiano? Perchélui, che è stato il biografo di unPaese impazzito, l’intellettualeironico che ha narrato i nostricostumi e le nostre passioni(parlando di politica, tv, calcio,musica pop) ha voluto conse-gnarci alla fine un saggio densoe veloce sull’Economia giusta?

Certamente la malattia haavuto il suo peso, nell’indirizza-re «ciò che resta dei giorni» aduna sintesi più alta e impegnati-va, che però era già nell’ordinedelle cose per uno spirito liberoche non poteva non cogliere ildramma della situazione politi-ca ed economica che stiamo vi-vendo. E il libro postumo, a sei

mesi dalla sua scomparsa, si ri-collega alla vena politica e cul-turale che ha sempre distintol’impegno pubblico di Berselli,sia quando ha sposato e anima-to la «fabbrica» bolognese delMulino, sia nelle profezie scrit-te sulla nostra società, raccon-tando l’Italia più diversa.

L’incipit è un rosario deidubbi e delle lacerazioni cheabitano menti e cuori di quantinon si capacitano che il mondo(anche il nostro) si stia avvitan-do sempre più su se stesso. Co-me mai il vento è da tempo gira-to a favore dei partiti di destra?Come mai essi sono riusciti atenere le mani sul potere e ilconsenso, nonostante la gravi-tà di una crisi che hanno contri-buito a creare? Perché i granditemi del Novecento (lavoro, oc-cupazione, pensioni, investi-menti pubblici ecc.) sono sfiori-ti nella mentalità corrente?Perché la sinistra in Europasta vivendo un malinconico au-tunno, senza idee praticabili nériscatto possibile? Perché la no-stra gente è appagata dalla«politica di corte» (fatta di pet-tegolezzi e trovate televisive) oda misure di controllo pubblicospesso inefficaci e ridicole?

Tuttavia il saggio non è solo

una denuncia delle molte coseche non vanno, dalla crisi globaleinnescata dalla «superstizionemonetarista» alle malattie delnostro modello di sviluppo, dalsempre più folto esercito di pre-cari e disoccupati all’ampliarsidella disuguaglianza e dell’ingiu-stizia sociale; per non parlare deilimiti progettuali delle destreche sono perlopiù al governo edello spaesamento dei partiti co-siddetti progressisti.

L’intento coraggioso di Ber-selli è di guardare oltre la crisi,mutuando da Hirschman l’ideache «in ogni condizione c’è unariforma possibile». Così si inne-sca la sua ricerca delle buoneprassi del passato, dei contributiteorici e delle esperienze politi-che e di governo più significativeche hanno abitato l’Europa dal-l’800 ad oggi. Sino ad individua-

re nell’«economia sociale di mer-cato» quel modello di sviluppo(di matrice renana) che può tene-re insieme sia le istanze liberistesia i diritti della persona e il sen-so della comunità. Una sorta diterza via tra il laissez-faire e il so-cialismo, capace di armonizzareinteresse privato e benesserepubblico, dinamismo del merca-to e intervento dello Stato teso aevitare la rapacità del sistema.

Di qui le molte assonanze diquesto pensiero con la più recen-te dottrina sociale della chiesacattolica, che per bocca soprat-tutto di Karol Wojtyla ma anchedi Benedetto XVI ha più volte econ largo anticipo richiamatol’attenzione sui guasti sociali diun sistema economico non rego-lato e sull’imminenza della crisi.

Ecco dunque l’ultimo mes-saggio che Berselli ci ha lascia-to, letto da alcuni come il suo te-stamento «politico». Si trattacerto di uno spunto interessan-te, a cui dare gambe e profondi-tà, che invita quanti vogliono ilcambiamento a uscire dal diso-rientamento e a riprendere l’ini-ziativa. Con una riflessione fina-le, di sapore antropologico.L’uscita dalla crisi (se ci sarà)non ci riporterà ai precedenti li-velli di consumo e di benessere.Dovremmo abituarci tutti a es-sere più poveri o a vivere in mo-do più armonico ed essenziale.In sintesi, a ridare priorità allecose che contano.

MARCOAIME

«Nei Paesi piccoli e po-veri che occupano gli ultimi po-sti nella graduatoria mondiale,dove vive un miliardo di perso-ne, la principale via d’accessoal potere rimane la violenza».

Con queste amare e lucideparole Paul Collier inizia la suariflessione sulla violenza che, apartire dal termine della guer-ra fredda, sembra essersi tra-sferita nel cosiddetto Sud delmondo, sebbene in molti casicon il contributo delle grandipotenze internazionali. Il succe-dersi di colpi di stato e guerrelocali che ha caratterizzato lastoria dell’Africa post-indipen-denza è uno degli esempi lam-pantidi questonuovo scenario.

E non basta la finzione delleelezioni, spesso imposte dalFMI, dalla Banca Mondiale odalle grandi potenze per co-struire una democrazia. Senzala realizzazione di strutture edi servizi, senza la garanzia disicurezza e senza governi affi-dabili si passa, come per esem-pio nel caso della RepubblicaDemocratica del Congo, dalladittatura personale di Mobutua quella che l'autore definiscela «demopazzia». Una farsache il grande scrittore nigeria-no Wole Soyinka ha chiamato«democrazia vudu», dove l'exdittatore, per mantenere il po-tere e soddisfare gli osservato-ri internazionali, crea due o trepartiti finti, retti da suoi soste-nitori e indice false elezioni.

È un’illusione che basti por-tare la gente alle urne, perchéquesta abbandoni il kalash-nikov. Lo dimostrano peraltro

gli eventi più recenti in Afgha-nistan o in Iraq. La democrazianon è un semplice meccanismoelettorale, ma un insieme diconsapevolezza e di conoscen-za dei diritti e dei doveri e si fon-da sulla partecipazione attivadi cittadini in grado di giudica-re. L’analfabetismo dominanteè uno degli ostacoli più grandisul cammino democratico, co-me lo sono la fame, la miseria,la difficoltà di accesso a servizifondamentali.

Dello stesso parere è IreneKhan, nata nel Bangladesh edex segretaria generale di Am-

nesty International. Secondol'autrice di Prigionieri della pover-tà, non basta risolvere il proble-ma economico, per sconfiggeremiseria e povertà, ma occorre ga-rantire soprattutto i diritti civili.Ci sono paesi ricchi, dove però lagiustizia non è garantita a tutti edove si riscontrano fortissimesperequazioni a ogni livello: traclassi sociali, tra uomini e donne,ecc. Ecco allora che scatta quelleche viene definita la trappola del-la povertà: non avendo accesso

all’istruzione, all’assistenza sani-taria, alla politica e alle risorseeconomiche, i poveri non hannonessuna chance di emanciparsi,di uscire dalla loro condizione.

Ecco la trappola: se non si ri-modellano i rapporti di potere edi forza, non si possono nemme-no modificare quelli economici.La gerarchie delle caste nel sub-continente indiano, i pregiudizi ele discriminazioni razziali diffusein molti paesi non sono fenomenieconomici, ma influenzano l’eco-nomia. La povertà è anche esclu-sione, non solo carenza di risorsee le due cose sono indissolubil-mente adeguate. Purtroppo laDichiarazione universale dei di-ritti dell’uomo è un bel documen-to, che esprime pii desideri di al-cuni uomini di buona volontà, mala realtà è che come esseri uma-ni, non abbiamo nessun diritto,perché nessuno ce li garantiscein quanto tali. I diritti che abbia-mo (o non abbiamo) sono quellidel cittadino e solo l’appartenen-za a una nazione li sancisce o ce linega. La «nuda vita» non è suffi-ciente a questo mondo.

Se la via di uscita al perpe-tuarsi di violenze e discriminazio-ni non può essere solo economi-ca e forse neppure esclusivamen-te politica, allora occorre, forseuna vera e propria rivoluzioneculturale. È questo che vuole di-re Glenn D. Paige, un politologoamericano che fece, come milita-

re, la guerra di Corea e che ora sibatte per una politica non violen-ta, fondata sul semplice (ma nontroppo) concetto di non-killing,nonuccidere.

La domanda che Paige si po-ne e ci pone è di un’ingenuità ap-parentemente scoraggiante: «Èpossibile una società nella qualenon avvengano uccisioni?». La ri-sposta è sì, ma occorre che an-che e soprattutto la scienza poli-

tica non consideri più l’opzionenon violenta solo come un’aspira-zione filosofica, ma come para-digma sociale, che si impegni nel-lo studio di una società in cui tut-ti gli sforzi vengano finalizzati al-l’abbattimentodelle barriere chegenerano violenza. Per fare que-sto occorrono una serie di rivolu-zioni teoriche nonindifferenti siasul piano teorico sia su quellopragmatico.

Il grande pregio di Paige èche si propone di spostare l’ideo-logia gandhiana della non violen-za da una dimensione puramen-te etica e morale a una politica eoperativa, dando il via a una nuo-va linea di pensieroscientifico.

gigante con i piedi d'argilla.Siamo la nazione dei parados-si - osserva Solimine -. Il feno-meno editoriale, per numerodi libri pubblicati e pure di li-bri letti, ha dimensioni rag-guardevoli. Ma si regge su ba-si molto fragili. Pochi editori- con il gruppo leader Monda-dori, seguito da Rcs, Longa-nesi e Feltrinelli - e pochi let-tori si danno da fare per co-prire gran parte del mercatoitaliano».

I lettori forti - quelli che di-vorano almeno un libro al me-se - oggi si stanno avvicinan-do al traguardo dei 4 milioni.Sono i pilastri di un Parteno-ne di cultura che poggia sulleloro sole spalle di consumato-ri della metà dei libri vendu-ti. Questi buongustai dellacarta stampata, altra singola-rità in un momento di fragili-

tà economica, sono in aumen-to: nel corso dell'ultimo annol'esercito dei «deboli» ha cono-sciuto una flessione e la pattu-glia dei «forti» o mangiatori aquattro ganasce, ha fatto unbalzo: dal 13,2 al 15,2 per cento.

Un colosso all'italiana, l'edi-

toria libraria, a cui basta pocoper fare un passo indietro. I to-mi attualmente in commerciosono 650 mila e le più attiveforchette al desco del libro, co-me da tempo è noto, sono ledonne (legge il 51,6 per centodi signore e signorine e solo il

38,2 per cento degli uomini).Ora registrano un altro prima-to: sono le più determinate esolo dopo i 60 anni diminuisco-no la loro quotidiana razione dilettura. Mentre per i fragili ma-schi il sorpasso dei non lettoriavviene prestissimo, prima dei20 anni.

Cosa influenza le scelte deiconsumatori? Per anni i criti-ci, gli specialisti, i cosiddettiaddetti ai lavori (o ai livori?)hanno sollevato dubbi sull'effi-cacia dei premi letterari. Ora ècerto: molti riconoscimenti, os-serva Solimine, non smuovonoil mercato, il Viareggio, peresempio, fa fare il salto dellaquaglia. Ma lo Strega, invece,trasforma autori e libri in giraf-fe nella savana: come Marga-ret Mazzantini che, con Non timuovere, dopo aver vinto la ga-ra, in un battibaleno è arrivata

a 400 mila copie. O come PaoloGiordano che, con La solitudi-ne dei numeri primi, dopo l'inco-ronazione, era approdato a600 mila, poi a un milione di co-pie (quelli che non hanno libriadatti a un ampio pubblico sidevono accontentare di un in-cremento di 20-30 mila copie).

Qual è la regione italianadove si legge di più? In Piemon-te c'è un piccolo-grande eserci-to di oltre 2 milioni che si divo-ra almeno un libro l'anno (52,3per cento nel 2009), i lettori so-no costituiti da 3 residenti su 4e rappresentano il 75,3 per cen-to di tutti coloro che hanno su-perato i 10 anni. I degustatoridi carta stampata che, nel1985, erano il 44 per cento, han-no avuto un tasso di crescitamaggiore della media naziona-le.

All'origine di tanta dedizio-

ne? L'attenzione - ecco un' al-tra sorpresa - viene stimolatada manifestazioni, meeting, ra-duni: dalla Fiera del libro di To-rino a Portici di Carta a incon-tri come quelli di Cuneo,Verba-nia, Asti, Biella. Questo avvie-ne anche in gran parte della pe-

nisola (soprattutto al centro-nord), che si connota come ilpaese che ha più appuntamen-ti culturali d'Europa.

L'identikit del lettore «for-te» italiano è assai speciale:legge più libri chi pratica una«dieta» ricca di alimenti, dove

proteine, carboidrati e vitami-ne sono costituiti da internet,film, dibattiti, conferenze, gior-nali. Quelli che, invece, sonoinappetenti in tutti questi set-tori del consumo culturale edell'informazione non si dedi-cano nemmeno alla paginascritta. Anche tra i più giovani,contro tutte le aspettative, leg-gono maggiormente quelli chesmanettano di più, sentonomusica o vedono la tivù (nonpiù di 3 ore al giorno, però).

Piatto ricco mi ci ficco: è illeit motiv del lettore nostranoe, in questo ipercalorico menù,arriva l'ebook, pronto ad af-fiancare, a collaborare ma nona soppiantare i volumi più tra-dizionali. Per il day after, perun universo di soli lettori digi-tali, con cimiteri di carta strap-pata, discariche di tomi defe-nestrati e stipati lacero-contu-si in fila e in pila per finire almacero, ci sarà ancora parec-chio da aspettare. Per il mo-mento carta resiste, conta ecanta.

LELIODEMICHELIS

Società della cono-scenza o dell’ignoranza?Condivisione e cooperazionelibera (Wikipedia) o incorpo-razione della vita intera nel-la produzione e nel consu-mo? Privatizzazione o difesadei beni comuni? E’ attornoa queste e ad altre opposizio-ni (su tutte: tra autonomia oeteronomia) che si muovel’agire sociale (anche) nellasocietà globale.

Michael Hardt e AntonioNegri, in questo Comune - ul-timo capitolo della trilogiainiziata con Impero e prose-guita con Moltitudine - cerca-no di uscire dall’opposizionetra privato e pubblico versol’alternativa del «comune»,mediante la quale la «molti-tudine» (questo nuovo «sog-getto» composto da infinitesingolarità) «apprende l’ar-te dell’autogoverno e creaforme durature di organizza-zione sociale». Un saggiodenso e complesso (e per chivolesse ripercorrere la sto-ria di quell’intellettuale con-troverso che è Negri eccoDentro/contro il diritto sovra-no, ottimamente curato daGiuseppe Allegri). Un libro,Comune, che tuttavia non ci

sembra essere (come inveceenfatizzato nella seconda dicopertina) «un modo rivolu-zionario di pensare la nostraepoca, completando un’ope-ra destinata ad essere per ilXXI secolo ciò che il Capitaleè stato per il XX». Perché al-la fine (pur condividendoquesta idea di «comune») illibro ci sembra non chiarireil rapporto (e i modi del pos-sibile conflitto) tra un capita-lismo sempre più biopoliticoche governa (comanda) la«vita» delle persone median-te conoscenza, immaginari,linguaggi, affetti, codici; e un«comune» che produrrebbeun altro lavoro biopolitico,diverso e «sempre più auto-nomo dal comando capitali-stico» grazie a «cooperazio-ne, autonomia e organizza-zione in rete».

In realtà: quanto il «comu-ne» può essere davvero auto-nomo dal biocapitalismo se èquesto che produce la «nar-razione sociale» predomi-nante? Come sostenere pri-ma che «più il capitale devevalorizzarsi mediante la pro-

duzione di conoscenza e piùquesta conoscenza sfugge alsuo controllo»; e poi che «Ap-ple e Microsoft sopravvivonosucchiando le energie dei pro-duttori e degli operatori infor-matici integrati in una reteche si estende ben al di là dei li-miti dell’impresa»?

Ma cos’è il «comune»? E’«tutto ciò che si ricava dallaproduzione sociale, che è ne-cessario per l’interazione so-ciale e per la prosecuzionedella produzione». Nella suastoria il capitalismo ha sem-pre cercato di privatizzare/espropriare il «comune». Co-me opporsi a questa logicaproprietaria? Non ricorrendoalla proprietà pubblica ma a

ciò che è «comune» e diversoda privato e da pubblico. Pas-sando dalla «resistenza» aipoteri dominanti, alla «alter-nativa» ad essi. Uscendo daquesta modernità verso una«altermodernità» «capace digenerare nuovi valori, nuovisaperi, nuove pratiche», so-prattutto nuove soggettività.Ed è la metropoli, pur con lesue patologie, ad essere lanuova «fabbrica» del «comu-ne». Per una nuova rivoluzio-ne. Diversa dal passato.

Globalizzazione. Contropo-tere. E l'idea di cosmopoliti-smo cara a Ulrich Beck, anchein questo Potere e contropoterenell’età globale. Dove si imma-gina (il libro è del 2002) un «or-

dine alternativo», «al centrodel quale si collocano la liber-tà politica e la giustizia socialeed economica (e non le leggidel mercato)». Ma dov’è il con-tropotere alla globalizzazione«se non esiste un nemico chia-ramente individuato» e nonesiste un linguaggio unico delconflitto, ma una babele diconflitti? Può esserlo il contro-potere dei consumatori politi-ci, che come la globalizzazionenon conosce confini? Ma può ilconsumatore, che sempre piùè anche co-produttore dellemerci e dei servizi che consu-ma, essere contropotere delpotere di cui è parte? Meglioallora il contropotere dell’opi-nione pubblica? Diceva Beck,«il detto so di non sapere nonè mai stato così pertinente co-me oggi per tracciare una dia-gnosi dell’epoca».

Eppure qualcosa, anzi mol-to, si può sapere (basta voler-lo) della globalizzazione e del-le sue crisi. Come con il nuovolibro di Christian Marazzi, daltitolo intrigante di Il comuni-smo del capitale e dedicato a fi-nanziarizzazione, biopolitichedel lavoro, strategie produtti-ve del postfordismo. Perchél’ultima crisi non è finita e loscenario rimanda ad una sor-ta di comunismo del capitale,in cui lo stato, «assecondandoi bisogni dei “soviet finanzia-ri”, impone la dittatura delmercato sulla società». Produ-cendo appunto una bioecono-

mia, che tutti coinvolge e con-tamina e conforma.

Tutti gli autori citati hannofatto i conti con la modernità.E allora, last but non least eccoBauman con Modernità e ambi-valenza (mentre torna dal Mu-lino anche La società individua-lizzata). Perché la modernità -in tutte le sue forme fin quisperimentate - è stata domina-ta da un’idea, quella di ridurrealla ragione il caos del mondo,di ordinare, classificare, calco-lare soprattutto, togliere le zo-ne d'ombra, uniformare. Maquesto sogno è fallito, perchéè l’ambivalenza (e non l’unifor-mità) la condizione normale divita degli uomini. Ma l’ambiva-lenza ci fa paura.

La postmodernità risolvequesto dramma esistenzialedi noi moderni, accogliendo fi-nalmente l’ambivalenza? Op-pure, tornando a Negri e Har-dt, serve piuttosto una «alter-modernità»?

LEESON, ARRIGHI, INGHAM

Tra fascino e disordineRotta verso il profitto,ardimentosa, insofferente dilacci e lacciuoli, di regole econtrappesi. Passando daun’isola del tesoro all’altra. PeterT. Leeson racconta il fascinosegreto del capitalismo inL’economia secondo i pirati(Garzanti, pp. 300, € 21,60,traduzione di Roberto Merlini).Giulio Giorello non esita a«gemellare» i bucanieri di ieri egli uncini invisibili odierni: «Lesocietà aperte di cui oggil’occidente va tanto orgogliosonon hanno che imparare da quei“mostri”».Giovanni Arrighi, fra i maggioriesperti dell’economia mondiale,scomparso l’anno scorso, offreun’analisi oltre ogni malìa. Isaggi raccolti sotto il titoloCapitalismo e (dis)ordinemondiale per manifestolibri, acura di Giorgio Cesarale e MarioPianta (pp. 231, € 26), esploranouna varietà di temi: dal declinodell’egemonia statunitenseall’ascesa del mercato cinese easiatico in generale, dai rapportitra produzione e finanza alledinamiche dei movimentiglobali.Un’introduzione al Capitalismoè l’opera di Geoffrey Ingham,docente a Cambridge (Einaudi,traduzione di Vincenzo Crupi eRoberta Ghivarello, pp. 306,€ 23). Le teorie classiche (Smith,Marx, Weber, Schumpeter,Keynes), le istituzioni alla basedel capitalismo e le lororelazioni, la risposta alladomanda «che fare?».«L’esigenza più pressante èevitare la necessità di finanziarealtri salvataggi su larga scala...».

Nella Reteun passaggioper andare oltreil capitalismo

Non si diventa cittadinifinché si è prigionieridella miseriaed esclusi dalla societàdice l’indiana Khan

«Economia giusta»:quasi un testamento,un modello di sviluppoche coniughi mercato,persona e comunità

In troppi Paesi, la viaal potere è ancorala violenza, dice Colliere Paige invocauna politica gandhiana

La democrazianon è un rito vudu

Una terza viaper guardareoltre la crisi

MIRELLA SERRI

pp Michael Hardt-Antonio Negrip COMUNE. Oltre il privato

e il pubblicop a cura di Alessandro Pandolfip Rizzoli, pp. 430, € 21p Antonio Negrip DENTRO/CONTRO

IL DIRITTO SOVRANOp a cura di Giuseppe Allegrip Ombre Corte, pp. 237, € 20p Ulrich Beckp POTERE E CONTROPOTERE

NELL'ETÀ GLOBALEp trad.di Carlo Sandrellip Laterza, pp. 455, € 22p Christian Marazzip IL COMUNISMO DEL CAPITALEp Ombre Corte, pp. 254, € 23p Zygmunt. Baumanp MODERNITÀ E AMBIVALENZAp trad. di Caterina D'Amicop Bollati Boringhieri, pp. 347, € 25

pp Paul Collierp GUERRE, ARMI E DEMOCRAZIAp trad. di L. Cespap Laterza, pp. 248, € 18p I. Khanp PRIGIONIERI DELLA POVERTÀp trad. di L. Orlandop Bruno Mondadori,pp. 258, € 20p G. D. Paigep NON UCCIDERE. Una nuova

scienza politica globalep a cura di P. Giaierop Emi, pp 215, € 13

pp Edmondo Bersellip L'ECONOMIA GIUSTAp Einaudi, pp.100, € 10

Berselli Una voce libera, che hanarrato costumi e passioni d’Italia

Come «resistere»ai poteri dominantie quali «contropoteri»sono possibilirispetto al mercato?

.

Madre e figlioJumma,

minoranzaperseguitata

delBanghadesh:

una foto da«Siamo tutti

uno. Omaggioai popoli

indigeni dellaterra», a cura

di JoannaEeede, edito da

Logos incollaborazione

con Survival

Tra guerre e povertà Senza istruzione e reali dirittinon ci potrà essere sviluppo e giustizia per Africa e Asia

Altre analisidella globalizzazionee della modernitànei saggi di Beck,Marazzi e Bauman

La carta non è ancora stanca

In commercio vi sono650 mila volumi,le donne nella letturasorpassano di granlunga gli uomini

Segue da pag. I

La lettura soprattuttofiorisce nel Centro-Nord,la zona in Europapiù ricca di festivale incontri culturali

EdmondoBerselli,

giornalistae scrittore,

è scomparsonell’aprile

scorsoa Modena.

E’ stato a lungodirettore

editorialedel Mulino;

tra i suoi libri«Veneratimaestri»,

«Adulti conriserva»,

«Sinistrati».

Un manifesto del collettivo francese «Dernier Cri» dal libro «Popup.Arte contemporanea nello spazio urbano», ed. Franco Cosimo Panini

Idee e societàVIIITuttolibri

SABATO 23 OTTOBRE 2010LA STAMPA IX

p

Page 9: Tuttolibri n. 1737 (23-10-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - X - 23/10/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/10 - Autore: FRABEL - Ora di stampa: 22/10/10 20.13

732 60 534 53I vinti nondimenticano

PANSARIZZOLI

51

100

Leopardi

CITATIMONDADORI

9Accabadora

MURGIAEINAUDI

48

LEIELUI

DECARLOBOMPIANI

La solitudinedeinumeri primiGIORDANOMONDADORI

La cadutadeigigantiFOLLETTMONDADORI

36

I traditori

DE CATALDOEINAUDI

36

62

Le ricettedi CasaClericiCLERICIRIZZOLI

34

Le valchirie

COELHOBOMPIANI

MangiapregaamaGILBERTRIZZOLI

Narrativaitaliana

7

Saggistica Tascabili Ragazzi

6

1

8

VariaNarrativastraniera

LA CLASSIFICA DI TUTTOLIBRI È REALIZZATA DALLA SOCIETÀ NIELSEN BOOKSCAN, ANALIZZANDO I DATI DELLE COPIE VENDUTE OGNI SETTIMANA, RACCOLTI IN UN CAMPIONE DI 900 LIBRERIE.SI ASSEGNANO I 100 PUNTI AL TITOLO PIÙ VENDUTO TRA LE NOVITÀ. TUTTI GLI ALTRI SONO CALCOLATI IN PROPORZIONE. LA RILEVAZIONE SI RIFERISCE AI GIORNI DAL 10 AL 16 OTTOBRE.

10

1. Lasolitudine deinumeriprimi 51GIORDANO 13,00 MONDADORI

2. Il piccolo principe 21SAINT-EXUPERY 7,50 BOMPIANI

3. È una vita che ti aspetto 17VOLO 9,00 MONDADORI

4. Maigret a Vichy 16SIMENON 9,00 ADELPHI

5. Il giorno in più 13VOLO 12,00 MONDADORI

6. Un posto nel mondo 13VOLO 12,00 MONDADORI

7. L’ombra del vento 12RUIZ ZAFÓN 13,00 MONDADORI

8. I pilastri della terra 11FOLLETT 14,00 MONDADORI

9. Esco a fare due passi 11VOLO 9,00 MONDADORI

10. Non avevo capito niente 9DE SILVA 11,00 EINAUDI

1. Sesto viaggio nel regno... 17STILTON 23,50 PIEMME

2. Il mio primo dizionario. Nuovo MIOT 14- 9,90 GIUNTI JUNIOR

3. La storia dei promessi sposi 13ECO 12,90 L’ESPRESSO

4. Caccia al libro d’oro 13STILTON 14,50 PIEMME

5. Il mio primo dizionario. Nuovo MIOT 10- 12,50 GIUNTI JUNIOR

6. Il piccolo principe 9SAINT-EXUPERY 30,00 BOMPIANI

7. La storia di Don Giovanni 7BARICCO 12,90 L’ESPRESSO

8. Il diario segreto di Antonella 6- 16,50 SPERLING & KUPFER

9. Toy story 6- 34,90 WALT DISNEY

10. Unika 5ALLIBIS 18,90 DE AGOSTINI

1. La caduta dei giganti 100FOLLETT 25,00 MONDADORI

2. Le valchirie 36COELHO 18,00 BOMPIANI

3. Mangia prega ama 34GILBERT 18,50 RIZZOLI

4. La psichiatra 20DORN 18,60 CORBACCIO

5. Hunted. La casa della notte 20CAST & CAST 16,50 NORD

6. Un viaggio chiamato vita 18YOSHIMOTO 13,00 FELTRINELLI

7. Imperial bedrooms 18ELLIS 18,00 EINAUDI

8. Il malinteso 18NEMIROVSKY 12,00 ADELPHI

9. Un giorno 17NICHOLLS 18,00 NERI POZZA

10. La controvita 14ROTH 21,00 EINAUDI

1. Le ricette di Casa Clerici 48CLERICI 15,90 RIZZOLI

2. Cotto e mangiato 27PARODI 14,90 VALLARDI

3. Instant English 16SLOAN 16,90 GRIBAUDO

4. È facile smettere di fumare... 12CARR 10,00 EWI

5. The secret 9BYRNE 18,60 MACRO EDIZIONI

6. Ma come ti vesti? 8GOZZI 17,50 RIZZOLI

7. I segreti del linguaggio... 7PACORI 17,00 SPERLING & KUPFER

8. I ristoranti d’Italia 2011 6- 22,00 L’ESPRESSO

9. Guinness World Records 2011 5- 28,00 MONDADORI

10. Ristoranti d’Italia... 5- 22,00 GAMBERO ROSSO

I PRIMI DIECI INDAGINE NIELSEN BOOKSCAN

Leggo perché una vita solanon mi basta. Leggo peressere altrove. Per diven-

tare te. Perché è l'unica attivitàche mi permette di essere altempo stesso solo e accompa-gnato. Leggo per non invecchia-re. Leggo per essere libero. Leg-go per leggere.

Ma che pizza! La premessaè questa: Charles Dantzig, edi-tore e scrittore, pubblica un li-briccino intitolato Pourquoi li-re?, perché leggere?, ottima-mente accolto. Anni fa avevapubblicato A quoi servent lesavions?, A che servono gli aero-plani, ma quella era una raccol-ta di poesie. Questo è un saggio,e la sua risposta alla domandaè: leggere non serve a niente,per questo è una gran cosa. Leg-giamo perché non serve a nien-te. La critica loda («Dantzig èquello delle domande alle qualinessun aveva pensato prima»),e i lettori aggiungono le loro, dirisposte. Per esempio quelle, mi-ca brutte, dello scrittore

Frédéric Beigbeder, citate all'ini-zio. Ma: che pizza!

E se smettessimo di giustifi-carci? E se chi legge deponessequel suo complesso di inferiorità-superiorità? Mica dobbiamo, névogliamo, spiegare perché ascol-tiamo una canzone, o vediamoun film. Davvero leggere è così in-naturale da pretendere una sfil-

za di spiegazioni, per lo più reto-riche e autoincensanti?

Anche perché la lettura piùentusiasmante, nelle pagine cul-turali di questi giorni, non è me-taletteraria, bensì giudiziaria.Processo breve alla francese: nel-l’autunno del 2009 è uscito unnoiretto titolato Aux Malheursdes dames, che comincia con lasparizione della cassiera di un ne-gozio di tessuti. Ora, appena unanno dopo, si è celebrato il pro-cesso: i proprietari del marchéSaint-Pierre, popolare negozio ditessuti sotto Montmartre, hannoriconosciuto se stessi e la loro bot-tega nel romanzo, e querelato perdanni (2 milioni di euro) l’autriceLalie Walker. Nell’aula del tribu-nale c’erano parecchi scrittori, aquanto pare preoccupati. Tocche-rà emendare libri dall’ambienta-zione riconoscibile, come Assassi-nio sull’Orient Express, o Il fan-tasma dell’Opera, o magari an-che il Codice da Vinci querelabi-le dal Louvre? La sentenza è atte-sa per metà novembre.

Signori, si scende. Certo si rimpinguano i punteggi,ma solo perché cala il valore in copie vendute dei100 punti di Follett, che ora si assesta poco sopra

quota 10 mila: insomma, i Giganti cominciano a cadere an-che qui e probabilmente già nella prossima settimana do-vranno vedersela con il nuovo Montalbano di Camilleri, Ilsorriso di Angelica, da giovedì in libreria. Intanto appaio-no tra i primi 10 il Leopardi di Citati (a pag. 5 la recensio-ne di Giorgio Ficara) e il «romanzo criminale» del Risorgi-mento in cui Giancarlo De Cataldo incrocia Salgari e IlGattopardo come ha scritto qui sabato scorso GiorgioBoatti, un avventuroso film in cui rivoluzionari e reaziona-

ri, padri della Patria e popolani, agenti dei servizi segreti emafiosi o camorristi si incontrano, si mescolano e si scon-trano come cowboys e pellerossa. Un’epopea senza retori-ca né «santini», gli eroi che si confondono con i (o si trasfor-mano in) Traditori, il trionfo della Realpolitik più disin-canta, per non dire cinica. Nella tabella della narrativaitaliana entrano poi il fantafuturo prossimo di Mauro Co-rona, un mondo senza «petrolio, né gas né carbone né cor-rente elettrica» e un condominio di famiglie dolenti, le Ca-se degli altri (che poi son le nostre) di Chiara Gamberale.In quella straniera mantengono bene le posizioni, anche senon «esplodono», Banana Yoshimoto e Brett Ellis, la Né-

mirovsky Anni 20 e un Philip Roth Anni 80. Altro titolo alvertice è il ritorno ai fornelli di sciura Antonella Clerici.Servirebbero buone ricette anche e soprattutto in politica,per rispondere all’appello di Paul Ginsborg, Salviamol’Italia, 9˚ in saggistica. Più sotto, fuori tabella, ci sono unfiducioso Bill Emmott, Forza, Italia - potenza di una vir-gola - ovvero «come ripartire dopo Berlusconi» (19˚), e unFloris preoccupato di finire in Zona retrocessione (23˚),ovvero «perché l’Italia rischia di finire in serie B». Mentreson tutti lì a cercare un «cuoco straniero», qui canticchia-mo malinconici Prévert con Montand: «Il pleuvait sanscesse sur Brest... Rappelle toi Barbara».

AI PUNTILUCIANO GENTA

Risorgimentocome un film

di cowboys

Uno scrittore (di tempera-mento molto robusto, trai più originali) incammi-

nato su una via quasi solitaria...»:così, nel 2005 Massimo Onofri«vedeva» Filippo Tuena che si eraappena imposto all’attenzione delmondo letterario italiano con leVariazioni Reinbach, grande ro-manzo dentro la Shoah. Onofri siè rivelato ottimo diagnosta.

Perché, se Tuena ha condotto,nel frattempo, molte altre sue par-ticolarissime indagini, attorno apersonaggi dell’arte, della musi-ca, del rischio estremo, i suoi«viaggi» lo stanno portando sem-pre più lontano dal palcoscenico,dentro a sperimentazioni («stoscrivendo piccole biografie, anchein versi, che forse non uscirannomai»). Da «uccel di bosco» comesi definisce, al momento sembrapreferire ai libri propri, i libri al-trui, così ha accettato di dirigere,per Nutrimenti, la nuova collanaTusitala («colui che racconta sto-rie», ovvero Stevenson, per gli in-digeni delle Samoa) rivolta alla

letteratura d’avventura «nel sensopiù ampio del termine».

Primo titolo in libreria, Il giardi-no dei versi, è il ritorno poetico del-l’autore dell’Isola del tesoro allapropria infanzia, un piccolo gioiel-lo. Sono però quelle dei Diari antar-tici dei tre famosi inglesi Scott,Shackleton, Wilson, protagonistitra il 1902 e il 1912 di quattro, teme-

rarie e tragiche, marce di avvicina-mento al Polo Sud, le pagine davve-ro da leggere per il loro condurcidentro al cuore non solo di una sfi-da alla morte ma soprattutto a quelsenso di «infinita solitudine» che èla condizione di tutti gli uomini.Non sorprende siano state adottateda Nutrimenti, la casa editrice na-ta quasi 10 anni fa «con il mare»,da due accaniti velisti, a modo loroesploratori, Andrea Palombi e suamoglie Ada.

Il tema del viaggio, dalla fiction,la cui «bandiera» è il rocambolescoPercival Everett (Non sono Sid-ney Poitier) a una saggistica in mo-vimento tra politica e sottopolitica(in uscita Minzulpop, pamphletispirato al direttore del TG 1, firma-to da un collettivo) finisce per essere«il fil rouge di tutta la nostra produ-zione» dice Palombi. In testa, comeovvio, Tusitala che a novembre ciporterà, grazie a Jonathan Mills,sulla Zattera della Medusa, l’in-quietante capolavoro di Géricaultdietro al quale «si intravedono mol-te cose della nostra epoca».

1. I vinti non dimenticano 73PANSA 19,50 RIZZOLI

2. Leopardi 60CITATI 22,00 MONDADORI

3. L’albero dei mille anni 33CALABRESE 17,50 RIZZOLI

4. Terroni 30APRILE 17,50 PIEMME

5. I segreti del Vaticano 24AUGIAS 19,50 MONDADORI

6. Dell’amore e del dolore... 18VERONESI 18,00 EINAUDI

7. Un mondo che non esiste più 17TERZANI 22,00 LONGANESI

8. L’economia giusta 13BERSELLI 10,00 EINAUDI

9. Salviamo l’Italia 10GINSBORG 10,00 EINAUDI

10. Senza Dio. Del buon... 10GIORELLO 15,00 LONGANESI

CHE LIBRO FA...IN FRANCIA

GIOVANNA ZUCCONI

Non citatela bottega

Montmartre

Classifica TuttolibriSABATO 23 OTTOBRE 2010

LA STAMPAX

PROSSIMAMENTE

MIRELLA APPIOTTI

Nutrimentiverso le isole

del tesoro

1. Leielui 62DE CARLO 18,50 BOMPIANI

2. I traditori 53DE CATALDO 21,00 EINAUDI

3. Accabadora 36MURGIA 18,00 EINAUDI

4. La fine del mondo storto 30CORONA 18,00 MONDADORI

5. Canale Mussolini 30PENNACCHI 20,00 MONDADORI

6. L’intermittenza 29CAMILLERI 18,00 MONDADORI

7. La monaca 27AGNELLO HORNBY 17,00 FELTRINELLI

8. Mia suocera beve 25DE SILVA 18,00 EINAUDI

9. Le luci nelle case degli altri 24GAMBERALE 20,00 MONDADORI

10. Acciaio 21AVALLONE 18,00 RIZZOLI

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Page 10: Tuttolibri n. 1737 (23-10-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - XI - 23/10/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/11 - Autore: FRABEL - Ora di stampa: 22/10/10 20.13

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GEORGES SIMENON

L’uomo che guardavapassare i treniAdelphi, pp. 211, € 10

«E’ l’altro libro che vorreimettere in valigia se micapitasse di fare un viaggiodi lavoro in una landadeserta»

ANTONIO GRAMSCI

Quaderni del carcereEinaudi, 4 voll., LXXII-3370, € 60

«Nell’immediatodopoguerra, un autorefondamentale per la miaformazione. Oltre aiQuaderni, cruciali anche leLettere»

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ERNEST HEMINGWAY

I quarantanoveraccontiMondadori, pp. 532, € 9,50

«Sub ito dopo la guerrascoprii anche la letteraturaamericana, da Hemingwaya Faulkner, da Steinbeck aDos Passos»

I PREFERITI Gli ottant’anni di un Maestro dello scatto,oltre duecento testimonianze, tra opere di cultoe di denuncia sociale, come «Morire di classe»

MAUROVALLINOTTO

Il Maestro ha compiu-to ottant'anni, celebrati come inuno di quegli interminabili ma-trimoni indiani che ha fotografa-to nella sua carriera: prima la fe-sta in famiglia, poi quella con gliamici di sempre, infine l'assaltoalla torta di panna e fragole nel-lo Spazio Forma di Milano attor-niato dagli altri grandi vecchi, omeglio, diversamente giovani,della fotografia italiana, da Ma-rio De Biasi a Mimmo Jodice, daGiorgio Lotti a FerdinandoScianna. Poi, finalmente, nel si-lenzio della sua mansarda-stu-dio, che si affaccia sul carcere diSan Vittore e sullo studio dell'amico Vittorio Gregotti, mirabi-le sintesi dei temi più frequenta-ti nella sua vita professionale,l'architettura e il mondo dei di-sperati, Gianni Berengo Gardinriprende fiato e colore. MentreNina, la bassotta di casa, si ac-coccola in grembo in attesa dicarezze, il suo sguardo corre al-le capriate e alle travi a vista deltetto che danno la sensazione ditrovarsi nella stiva di un brigan-tino in viaggio verso mari e av-venture lontani. Idea rafforzatadalle centinaia di modellini nava-li sparsi in ogni canto dello stu-dio in aperto contrasto con iclassificatori che, in un ordinesvizzero com'era sua madre, so-no conservati il milione e trecen-

tomila negativi che testimonia-no la sua straordinaria carriera.E poi i libri: quelli pubblicati incinquant'anni di lavoro, i tremi-lacinquecento a soggetto foto-grafico, infine tutti gli altri, dallacollezione completa degli Struz-zi a Simenon, da Steinbeck allaStoria del Partito Comunista diSpriano, accatastati con fintacasualità su vecchie panche dilegno o sui tavoli Leonardo dise-gnatida AchilleCastiglioni.

Gianni Berengo Gardin, enon Gardèn come ancorasi ostina a chiamarlo qual-che parvenu della fotogra-fia, ignaro delle suo origi-ni veneziane, quanto del-la sua giornata dedica allalettura?

«Oggi leggo molto meno, il tem-po è poco. Viaggiando spesso intreno mi limito a letture leggere,come i libri gialli. Mi piace peròriprendere in mano quei libriche lessi quando avevo vent'an-ni: sia perché oggi ricordo solo ilsettanta per cento di quelle let-ture, sia perché attraverso queititoli, ritorno giovane».

Oltre duecentoventi volu-mi pubblicati. Alcuni og-getto di culto come «Ve-nise des saisons», altri diprofonda denuncia so-ciale come «Morire diclasse». Qual è il rappor-to con gli altri autori di li-bri fotografici?

«Io guadagno soldi con i libriper comprare quelli degli altri.Non so rinunciare al piacere disentire la trama della carta sot-to le mie dita, l'odore della tipo-grafia che si sprigiona dalle pagi-ne. Sono un feticista dei libri equelli che oggi pretendono dileggere i libri su una lastra di ve-tro mi fanno ridere, è tutto sem-plicementeallucinante».

E' sempre stato così?«Ricordo che da ragazzino, nel-la Roma fascista dove con miopadre c'eravamo trasferiti dallaLiguria dove sono nato, correvoal pomeriggio nelle librerie delcentro, a piedi per risparmiareanche i soldi del tram. Acquista-vo i romanzi di Verne e soprat-

tutto di Salgari, la Serie d'Oro equelli stampati da Sonzogno, cheuscivano dalla tipografia con i se-dicesimi intonsi. E una volta a ca-sa, l'attesa era premiata non tan-to dalla lettura in sé, ma dal lavo-ro del tagliacarte che svelava il te-sto del racconto, pagina dopo pa-gina. Un piacere fisico che pochiricordano».

E nell'immediato dopo-guerra?

«La mia famiglia aveva deciso diritornare a Venezia, negozio di ve-tri artistici. Non mi interessavanomolto, anche perché in quegli an-ni per la mia formazione fu fonda-mentale, da un lato, leggere le Let-tere dal carcere di Gramsci, dall'al-tro scoprire quella letteraturaamericana, dai Quarantanove rac-conti di Hemingway a Faulkner,da Steinbeck a Dos Passos, unodegli autori che più ho amato».

Inizio degli Anni 50. La foto-grafia…

«Scrivevo e fotografavo alloraper Ali, una rivista illustrata diaviazione, come Eugene Smith aisuoi esordi. Poi, sotto l'influenzadi Paolo Monti e del circolo foto-grafico La Gondola, fu la volta diimmagini di nebbie, lagune vuote,case abbandonate. Tutte immagi-ni superficiali. Per mia fortuna,uno zio che viveva negli Stati Uni-ti era amico di Cornell Capa, il fra-tello di Bob, e iniziò a mandarmi i

libri, che in Italia sarebbero arri-vati solo molti anni dopo, dei gran-di fotografi americani come Do-rothea Lange e Davis DouglasDuncan. Il lavoro per la Farm Se-curity Administration e i grandi

reportage di Life mi fecero capirein un istante che la fotografia nonera quella delle albe e dei tramon-ti, ma uno straordinario e rivolu-zionario mezzo per raccontare lanostrasocietà».

Parigi val bene una foto…«Venezia mi stava stretta e nel1954 decisi di andare, con la miaLeica, a Parigi dove rimasi un pa-io d'anni. Lavoravo come camerie-re, ma ebbi la fortuna di frequen-tare Henri Cartier-Bresson,Eduard Boubat, Robert Doisne-au. Erano gli anni dei flâneurs aitavolini dei caffè, gli anni di Ca-mus e Sartre, che non ho più lettoda allora. Di Parigi mi è rimastaappiccicata un'etichetta, quelladel Doisneau italiano che non miappartiene. Se proprio mi si vuoleclassificare, allora si dica che so-no il Willy Ronis italiano. Lui sì miha veramente influenzato».

Il ritorno in laguna…«Conobbi Bruno Zevi, che inse-gnava alla facoltà di Architetturae insieme pubblicammo, nel 1960,il mio primo libro, Biagio Rossettiarchitetto. Allora misi in una car-tella le immagini che racconta-vano una Venezia in bianco enero, volti scavati dal temponel tempo, matrimoni e funera-li, nessuna concessione ai cano-ni oleografici dell'epoca e bus-sai alla porta dei principali edi-tori italiani. All'ottavo rifiuto,

sempre con la motivazione cheun libro del genere non avrebbemai avuto mercato, decisi di la-sciar stare e mandai le foto auna piccola galleria londinese.Qui, per caso, le vide AlbertMermoud, editore della svizze-ra Guide du Livre. Mi convocò aLosanna e in soli ventidue giorni,comprese le traduzioni dei testi diBassani e Soldati, uscì Venise dessaisons».

Da allora centinaia di repor-tage in giro per il mondointervallati da brevi pausea Milano, dove nel frat-tempo si era stabilito. Unlibro dopo l'altro. Quali ipreferiti?

«Certamente Morire di classe,sull'istituzione manicomiale, che

uscì nel 1969 con Franco Basagliae Carla Cerati, poi i molti di archi-tettura che mi hanno permesso diinstaurare un rapporto profondocon grandi professionisti comeRenzo Piano, Vittorio Gregotti,Federico Zeri. Penso poi al librosulla Gran Bretagna, uno delle de-cine realizzati per il Touring Clubo l'Istituto Geografico De Agosti-ni. Ma quelli che più amo restano ivolumi sul mondo contadino, su-gli zingari, sulla vita quotidiananei Paesi della Bassa come Un pae-se 20 anni dopo, con i testi di Cesa-re Zavattini».

L'occhio sempre attento acogliere il tempo dello scat-to, in aperto contrasto conil mondo del presente tra-volto da un'informazionefotogiornalistica digitaleche tutto divora nello spa-zio di pochi istanti...

«E' un mondo che non ignoro, madal quale, proprio per questo, pre-ferisco non farmi contaminare. Ionon lavoro in digitale, e le stampeche produco portano un timbroche le garantisce esenti da ognimanipolazione digitale, come deiprodottiOgm free».

Contiguità intellettuale conCarlo Petrini?

«Non so, però il mese scorso, con al-tri colleghi, giornalisti e critici dellafotografia,abbiamo fondato un nuo-vo movimento che si propone "unrallentamento riflessivo dell'iter fo-tografico", quasi alla ricerca dellafoto perduta:Slow Photo».

C'è un rapporto definito trale letture fatte e le immagi-ni create?

«In molte delle mie fotogra-fie ritrovo dei punti di contat-

to, magari non immediata-mente definiti o definibili,con i volumi che ho letto piut-tosto che con le idee dellepersone che ho avuto la for-tuna di frequentare, negli an-ni e non per l'attimo fuggen-te di uno scatto. Dai registicome Fellini e Olmi agli scrit-tori come Buzzati e Calvino,da Soldati a Bocca, in assolu-to il più grande di tutti, unmito per me».

Un viaggio di lavoro inuna landa desolata.Quale libro porterebbecon sé?

«Intanto, avendo due mani, neporterei due: L'uomo che guarda-va passare i treni di Simenon e Iquaderni del carcere di Gramsci».

E la Nikon?Quella naturalmente sarebbeappesa al collo.

GENTE DI MILANO

Dagli Anni Cinquanta a oggi,la capitale morale raccontatada Gianni Berengo Gardin.«Gente di Milano» esce da 24Ore cultura (pp. 240, 160fotografie in bianco e nero,€ 5), con i testi di CorradoStajano. Dal centro alleperiferie, dagli operai aiborghesi, dal sacro allapolitica.

«Da ragazzino,nella Roma fascista,acquistavo i romanzidi Verne e di Salgari,la Serie Oro...»

“Com’è slowfotografarela mia Venise”

La vita. Giovanni Berengo Gardin, famiglia veneta, è nato a Santa Margherita Ligure il 10 ottobre 1930. Vive aMilano. Negli Anni 50 si formò a Parigi accanto a Henri Cartier-Bresson e Robert Doisneau. Ha collaborato conle maggiori testate, da «Il Mondo» a «Time». Nel 2008 gli è stato assegnato il premio «Lucie Award» alla carriera.

Le opere. Oltre 200 i volumi pubblicati. Da «Venise des saisons» a «Morire di classe», da «Leopardi . La biblioteca,la casa, l’infinito» (Pazzini) a «Giorgio Morandi» (Charta), a «Nei luoghi di Piero della Francesca» (Silvana)

Diario di lettura TuttolibriSABATO 23 OTTOBRE 2010

LA STAMPA XI

«Con la mia Leicatra i flâneur di Parigi,mi chiamanoil Doisneau italiano, maprediligo Willy Ronis»

«Conobbi in LagunaBruno Zevi, insiemenel ’60 pubblicammoil mio primo libro,«Rossetti architetto»

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Gianni Berengo Gardin

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