tuttolibri n. 1736 (16-10-2010)

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I Robinson del naufragio quotidiano Ostracismo Gli sconnessi dagli altri, esclusi, respinti, ignorati: una condizione consueta, sempre più diffusa, della nostra vita che segna i rapporti e il destino delle persone, vincenti o perdenti MARCO BELPOLITI Capita a molti di di- ventare di colpo, da un giorno all'altro, uomini o donne invisi- bili, persone che gli altri si ri- fiutano di vedere. Come rac- conta Ralph Ellison nel suo ro- manzo, L'uomo invisibile (1953), ristampato di recente da Einaudi, l'invisibilità dipen- de da uno stigma, un segno, che il protagonista ha su di sé: egli è un nero nella società nordamericana degli Anni Cinquanta. Ma non è necessa- rio essere marchiati da uno stigma così evidente, bastano piccole cose, eventi o aspetti minimi, perché scatti il mecca- nismo dell'esclusione, e si ven- ga respinti oppure ignorati. È capitato a tutti, e senza un'ap- parente ragione, di trovarsi da ragazzi al margine del gruppo di amici: una festa cui non si è invitati, il telefono che non squilla più, una frase sgra- devole detta durante l'inter- vallo a scuola, amici che non salutano. Adriano Zamperini, docen- te di psicologia sociale, ha de- scritto in un libro, intitolato L’ostracismo - in uscita da Ei- naudi (pp. 246, e 18) -, questa condizione consueta, se non proprio costante, della no- stra vita, quel modo di essere off-line, sconnessi rispetto agli altri, che segna i rapporti sociali, e a volte persino il de- stino delle persone: vincenti o perdenti. Zamperini parte da una constatazione: viviamo in una società schizofrenica; da un lato, incentiva fortemente l'indipendenza e l'autonomia degli individui («l'autosuffi- cienza dell'io»); dall'altro, se- gnala continuamente il ri- schio di restare tagliati fuori dagli altri, anche per un tem- po brevissimo. Tuttavia noi sappiamo be- ne che, per quanto sia innata in noi l'esigenza di essere ac- cettati, di non ricevere rifiuti, la vita è scandita naturalmen- te da piccole e grandi esclusio- ni. L'estensione delle relazioni intessute dall'esplosione del web (posta elettronica, Skype, social network, twit- ter, ecc.) però ci fa ora dipen- dere da una stretta relazione virtuale con il nostro prossi- mo, segno evidente di un biso- gno spasmodico di essere rico- nosciuti dagli altri. Eppure un fattore entropi- co s'impone: ciascuno di noi può sostenere solo un limitato numero di nicchie relazionali, e quando si decide di passare del tempo con qualcuno, si mi- na la possibilità di stare con qualcun altro, senza contare che molte relazioni - affettive, amicali, sentimentali - richie- dono impegno, e quelle che non ricevono le dovute atten- zioni diventano insostenibili. Questa semplice constata- zione, che molti tuttavia non fanno, spiega di per sé le ra- gioni dell'ostracismo che pro- vochiamo, o subiamo, nella cerchia più o meno stretta del- le relazioni umane. Capita spesso agli adolescenti, veri malati del cyberspazio, di agi- tarsi se non ricevono risposte immediate alle proprie e-mail, se all'improvviso il si- lenzio cala in una conversazio- ne in chat. Perché non rispon- de? Cosa mai è successo? Co- sa ho detto? A volte si tratta d'inconvenienti passeggeri, al- tre volte di veri e propri episo- di di cyberostracismo: ignora- re l'altro col silenzio in Inter- net, o non rispondendo agli smsealcellulare. La pressione culturale per l'affermazionediséèoggicosì forte che diventa difficile af- frontare il pericolo di essere ignorati nei rapporti in chat. Ma non c'è solo questo tipo di rifiuto. L'esperienza di essere respinti riguarda altri aspetti della nostra vita quotidiana; l'aggressività implicita o espli- cita, è ben presente soprattut- tonellescuole. Zamperini cita il caso di Poppy Bracey, una studentes- sa inglese di 13 anni, capelli biondi, grandi occhi, viso truc- cato. Ragazza bella, troppo bella, che per questa ragione viene discriminata dai compa- gni: pettegolezzi, silenzi, smor- fie, ghigni, sguardi che offen- dono. Ogni giorno a scuola di- venta per lei una tortura, e co- minciano anche telefonate con false richieste di posare per un servizio di moda. Alla fine Poppy s'impicca nella sua camera. Un episodio estremo, cer- to, ma che testimonia di una condizione traumatica molto diffusa. Nella parte finale del libro Zamperini si sofferma sul caso arcinoto di Columbi- ne, nel Colorado, dove nel 1999dueragazzidi18e17anni sparano sui loro compagni di scuolauccidendone13,perpoi suicidarsi. Un episodio che è A cura di: LUCIANO GENTA con BRUNO QUARANTA [email protected] www.lastampa.it/tuttolibri/ Su«laRepubblica»di mercoledìscorsoFabio Gambaroriferisceche Faulknerdicevamaledi Hemingway,Julien GreendellaYourcenar, LéonBloydRimbaud, FlaubertdiDante, MarkTwaindi Petrarca,Virginia WoolfdiJoyceecosì via.Nulladinuovo,mi pare.Etantomenodi illegittimo.Ricordouna letteradiPavesea Muscetta(24febbraio ‘41):«Dovehailettoche iotraduco,oabbia tradotto,l’Ulisse?Seti scrivevocheèunlibro chenonsonomai riuscitoafiniredi leggereecheincarna permelaquintessenza dell’insopportabile». Un’altradiCalvinodel medesimotenoreinuna letteraaFortunato Seminara(20gennaio ‘55):«Devodirtifinda principiocheiohouna prevenzionesiaper tuttelenarrazioniincui c’entranoipazzisiaper tutteleopereditipo “monologointeriore”: tantochenonsono riuscitoafinirel’Ulyses eancheFaulknermista piuttostosullo stomaco». Piùconsiderazionisi tengono:lagrande libertàdelgiudizio,che negliscrittoriveriha milleragionidipoetica edigustoallespalle;la libertàcheognilettore dovrebbeaverenei riguardideilibriche legge;lanatura pedagogicadelcanone sucuisipuòpursempre discutere. Infine,sequestoaccade aigiganti,perchéci facciamotantiscrupoli conitroppinani d’oggidì? Continuaapag.VII TUTTOLIBRI LA STAMPA NUMERO 1736 ANNO XXXIV SABATO 16 OTTOBRE 2010 GIOVANNI TESIO LIBERTÀ È STRONCARE I GIGANTI E PURE I NANI tutto LIBRI SHAKESPEARE La Bibbia del Bardo La sua cultura, la falsa commedia BERTINETTI-D’AMIC O P. IV DIARIO DI LETTURA I narratori di Celati Un nomade tra Basile e Vico TESIO P.XI Quandoiltelefono non squilla, alle feste non ti invitano, a scuola nonti vogliono: perchései«diverso» p L ’analisi diZamperini, psicologosociale: perché capita di divenire daun giornoall’altro invisibili,«sommersi» ANNIVERSARIO Michelstaedter amore infelice Un secolo fa moriva il filosofo MONDO-PIEMONTESE P. III FILOSOFIA Il pensiero vivente Da Giordano Bruno a Croce, a Pasolini VATTIMO P. VI I R

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Page 1: Tuttolibri n. 1736 (16-10-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - I - 16/10/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/01 - Autore: GIOVIA - Ora di stampa: 15/10/10 21.22

I Robinsondel naufragioquotidiano

Ostracismo Gli sconnessi dagli altri, esclusi, respinti, ignorati:una condizione consueta, sempre più diffusa, della nostra vitache segna i rapporti e il destino delle persone, vincenti o perdenti

MARCOBELPOLITI

Capita a molti di di-ventare di colpo, da un giornoall'altro, uomini o donne invisi-bili, persone che gli altri si ri-fiutano di vedere. Come rac-conta Ralph Ellison nel suo ro-manzo, L'uomo invisibile(1953), ristampato di recenteda Einaudi, l'invisibilità dipen-de da uno stigma, un segno,che il protagonista ha su di sé:egli è un nero nella societànordamericana degli AnniCinquanta. Ma non è necessa-rio essere marchiati da unostigma così evidente, bastanopiccole cose, eventi o aspettiminimi, perché scatti il mecca-nismo dell'esclusione, e si ven-ga respinti oppure ignorati. Ècapitato a tutti, e senza un'ap-parente ragione, di trovarsida ragazzi al margine delgruppo di amici: una festa cuinon si è invitati, il telefono chenon squilla più, una frase sgra-devole detta durante l'inter-vallo a scuola, amici che nonsalutano.

Adriano Zamperini, docen-te di psicologia sociale, ha de-scritto in un libro, intitolatoL’ostracismo - in uscita da Ei-naudi (pp. 246, € 18) -, questacondizione consueta, se nonproprio costante, della no-stra vita, quel modo di essereoff-line, sconnessi rispettoagli altri, che segna i rapportisociali, e a volte persino il de-stino delle persone: vincentio perdenti.

Zamperini parte da unaconstatazione: viviamo inuna società schizofrenica; daun lato, incentiva fortementel'indipendenza e l'autonomiadegli individui («l'autosuffi-cienza dell'io»); dall'altro, se-gnala continuamente il ri-schio di restare tagliati fuoridagli altri, anche per un tem-po brevissimo.

Tuttavia noi sappiamo be-ne che, per quanto sia innatain noi l'esigenza di essere ac-cettati, di non ricevere rifiuti,la vita è scandita naturalmen-te da piccole e grandi esclusio-ni. L'estensione delle relazioniintessute dall'esplosione delweb (posta elettronica,Skype, social network, twit-ter, ecc.) però ci fa ora dipen-dere da una stretta relazionevirtuale con il nostro prossi-mo, segno evidente di un biso-gno spasmodico di essere rico-nosciuti dagli altri.

Eppure un fattore entropi-co s'impone: ciascuno di noipuò sostenere solo un limitato

numero di nicchie relazionali,e quando si decide di passaredel tempo con qualcuno, si mi-na la possibilità di stare conqualcun altro, senza contareche molte relazioni - affettive,amicali, sentimentali - richie-dono impegno, e quelle chenon ricevono le dovute atten-zioni diventano insostenibili.

Questa semplice constata-zione, che molti tuttavia nonfanno, spiega di per sé le ra-gioni dell'ostracismo che pro-vochiamo, o subiamo, nellacerchia più o meno stretta del-le relazioni umane. Capitaspesso agli adolescenti, verimalati del cyberspazio, di agi-tarsi se non ricevono risposteimmediate alle propriee-mail, se all'improvviso il si-lenzio cala in una conversazio-ne in chat. Perché non rispon-de? Cosa mai è successo? Co-sa ho detto? A volte si trattad'inconvenienti passeggeri, al-tre volte di veri e propri episo-di di cyberostracismo: ignora-re l'altro col silenzio in Inter-net, o non rispondendo aglisms e al cellulare.

La pressione culturale perl'affermazione di sé è oggi cosìforte che diventa difficile af-frontare il pericolo di essereignorati nei rapporti in chat.Ma non c'è solo questo tipo dirifiuto. L'esperienza di essererespinti riguarda altri aspettidella nostra vita quotidiana;l'aggressività implicita o espli-cita, è ben presente soprattut-to nelle scuole.

Zamperini cita il caso diPoppy Bracey, una studentes-

sa inglese di 13 anni, capellibiondi, grandi occhi, viso truc-cato. Ragazza bella, troppobella, che per questa ragioneviene discriminata dai compa-gni: pettegolezzi, silenzi, smor-fie, ghigni, sguardi che offen-dono. Ogni giorno a scuola di-venta per lei una tortura, e co-minciano anche telefonatecon false richieste di posareper un servizio di moda. Allafine Poppy s'impicca nella suacamera.

Un episodio estremo, cer-to, ma che testimonia di unacondizione traumatica moltodiffusa. Nella parte finale dellibro Zamperini si soffermasul caso arcinoto di Columbi-ne, nel Colorado, dove nel1999 due ragazzi di 18 e 17 annisparano sui loro compagni discuola uccidendone 13, per poisuicidarsi. Un episodio che è

A cura di:LUCIANO GENTAcon BRUNO QUARANTA

[email protected]/tuttolibri/

Su «la Repubblica» dimercoledì scorso FabioGambaro riferisce che

Faulkner diceva male diHemingway, Julien

Green della Yourcenar,Léon Bloy d Rimbaud,

Flaubert di Dante,Mark Twain di

Petrarca, VirginiaWoolf di Joyce e così

via. Nulla di nuovo, mipare. E tanto meno di

illegittimo. Ricordo unalettera di Pavese a

Muscetta (24 febbraio‘41): «Dove hai letto che

io traduco, o abbiatradotto, l’Ulisse? Se tiscrivevo che è un libro

che non sono mairiuscito a finire di

leggere e che incarnaper me la quintessenza

dell’insopportabile».Un’altra di Calvino del

medesimo tenore in unalettera a Fortunato

Seminara (20 gennaio‘55): «Devo dirti fin da

principio che io ho unaprevenzione sia per

tutte le narrazioni in cuic’entrano i pazzi sia per

tutte le opere di tipo“monologo interiore”:

tanto che non sonoriuscito a finire l’Ulysese anche Faulkner mi sta

piuttosto sullostomaco».

Più considerazioni sitengono: la grande

libertà del giudizio, chenegli scrittori veri ha

mille ragioni di poeticae di gusto alle spalle; lalibertà che ogni lettore

dovrebbe avere neiriguardi dei libri che

legge; la naturapedagogica del canone

su cui si può pur semprediscutere.

Infine, se questo accadeai giganti, perché ci

facciamo tanti scrupolicon i troppi nani

d’oggidì?

Continua a pag. VII

TUTTOLIBRI

LASTAMPA

NUMERO 1736ANNO XXXIVSABATO 16 OTTOBRE 2010

GIOVANNI TESIO

LIBERTÀ ÈSTRONCARE

I GIGANTIE PURE I NANI

tuttoLIBRI

SHAKESPEARE

La Bibbiadel BardoLa sua cultura,la falsa commediaBERTINETTI-D’AMIC O P. IV

DIARIO DI LETTURA

I narratoridi CelatiUn nomadetra Basile e VicoTESIO P.XI

Quando il telefononon squilla, alle festenon ti invitano, a scuolanon ti vogliono:perché sei «diverso»

p

L’analisi di Zamperini,psicologo sociale:perché capita di divenireda un giorno all’altroinvisibili, «sommersi»

ANNIVERSARIO

Michelstaedteramore infeliceUn secolo famoriva il filosofoMONDO-PIEMONTESE P. III

FILOSOFIA

Il pensieroviventeDa Giordano Brunoa Croce, a PasoliniVATTIMO P. VI

I R

Page 2: Tuttolibri n. 1736 (16-10-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - II - 16/10/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/02 - Autore: DANCOM - Ora di stampa: 15/10/10 19.41

L’amore segreto Come un romanzo la sua relazionecon la giovane bionda russa Nadia B., anche lei suicida

FELICEPIEMONTESE

Il merito principalede La melodia del giovane divi-no - raccolta di scritti di CarloMichelstaedter curata da Ser-gio Campailla - è quello di averriproposto ancora una voltaall'attenzione il nome, ancoraper molti sconosciuto, delloscrittore goriziano, di cui ri-corre domani il centenario del-la morte, sobriamente cele-brato con una serie di manife-stazioni in programma nel ca-poluogo giuliano.

Nel volume adelphiano - co-sì come avveniva in Sfugge lavita, pubblicato da Aragno nel2004 e che aveva anche un ric-co corredo iconografico - sonoraccolti testi di vario genere edi diseguale interesse, talvoltapoco più che appunti, del gio-vanissimo scrittore, che si tol-se la vita il 17 ottobre del 1910.Aveva ventitré anni, e compì ilsuo gesto non appena comple-tata la tesi di laurea, quel Lapersuasione e la rettorica che,pubblicato postumo, assicure-rà a Michelstaedter - con ilDialogo della salute e un grup-petto di poesie - un posto diprimissimo piano nella storiafilosofico-letteraria del primoNovecento.

Suddiviso da Campailla intre parti (Pensieri - racconti -critiche) La melodia del giova-ne divino c’introduce nel «la-boratorio privato» di Mi-chelstaedter, aiutandoci a ri-costruirne la fiammeggiantefisionomia umana e intellet-tuale, i moltissimi riferimenticulturali, la giovanile capaci-tà di esaltazione accompa-gnata a un acuto senso criti-co. Del resto, quello del gori-ziano è uno dei pochi casi in

cui si può stabilire una totaleidentificazione tra l'opera e lavicenda biografica, essendoper certi versi quest’ultima ilpiù rigoroso ed estremo svi-luppo di una riflessione cheanticipa certo esistenziali-smo dei decenni successivi.

Erede di una tradizione dipensiero mitteleuropea cheha in Schopenhauer e in Nietz-sche le sue vette (Gorizia, neiprimi anni del Novecento, fa-ceva parte dell’Impero austro-ungarico), ma nello stessotempo fermamente deciso a ri-vendicare un’italianità ideale(via Leopardi soprattutto) econcreta (gli studi universita-ri a Firenze), Michelstaedter ètra i critici più lucidi di quellamodernità che si presentavacon aspetti esaltanti ma an-che con caratteristiche op-pressive e schiavizzanti.

Ci sono, in lui, accenni dianarchica rivolta («megliol’odio che l’affetto della fami-glia»), ma c'è soprattutto la di-sperata e irrimediabile consa-pevolezza che, in una societàin cui «la rettorica» è a tal pun-to organizzata da essersi fattaormai sistema, per l'intellet-tuale l'alternativa è: accettareil ruolo alienato e alienante di

servo-padrone che gli viene pro-posto, o negarsi, rifiutando la«inerte e ottusa vita, che è dataa chi ama piegarsi». Rifiuto che,nel suo caso, assumerà la formapiù estrema.

Se la persuasione «è il realepossesso di se medesimi nel pre-sente», in Michelstaedter è for-te la consapevolezza che le con-dizioni di vita imposte da una so-cietà immorale e alienata impe-discono tale possesso. Rimango-no dunque la rivolta o, appunto,il suicidio, presenza costantenella sua riflessione, ma anche,conviene ricordarlo, nella con-creta esperienza di vita, dal mo-mento che suicidi muoiono ilfratello Gino, nel 1909, e tre an-ni prima l'amica Nadia Bara-den che, si è scoperto poi, fumolto più che un’amica.

Di sicuro, Guy Debord, il teo-rico della società dello spettaco-lo, non ha mai sentito parlare diMichelstaedter. Ma sono sicuro

che se lo avesse conosciuto loavrebbe inserito nel suo perso-nalissimo Olimpo di precursori.E dico questo non per gustodella boutade, ma per sottoli-neare - e si pensa per forza dicose a certe analogie col «ca-so» Rimbaud - come in unaremota provincia dell’Impe-ro un ragazzo ventenne fossein grado di anticipare, nellasua riflessione sui meccani-smi segreti della società incui viviamo, teorie di moltidecenni successive. Avendoanche una capacità di irrisio-ne che proprio a Debord nonsarebbe certo dispiaciuta.Quando ad esempio sottoli-nea, di Croce, «la sciagurataabilità di eliminare sempreda ogni questione quello cheappunto è la questione». «Ildestino di Michelstaedter -scrive Campailla - è quello diessere un luminoso postumoche si scopre attuale nellasua inattualità».

Che la sua «riscoperta» pos-sa aprire anche orizzonti inatte-si è un segno ulteriore della per-sistente vitalità di una ricercacondotta in un numero straordi-nariamente breve di anni.

BRUNOQUARANTA

Questi padri torinesiche fanno romanzo. Dal pro-fessor Giuseppe Levi-«sbro-deghezzi» di Natalia Ginz-burg a Riccardo Chicco, ilpittore-professore che nasce-va cent’anni fa e a cui la figliaElisabetta rende omaggio inun lessico famigliare sapien-temente scanzonato - le ve-lette che si alzano e si abbas-sano mai slabbrandosi, cosìefferate, carezzevoli, misteri-che, capricciose.

Il più bel vizio è la vita è unulteriore lessico famigliarenella città del vizio assurdo,rappresentando così l’indige-na vocazione double face. Eli-sabetta Chicco, signora nellacommedia quotidiana e sullapagina del détail (il détail do-ve si nasconde la verità, co-

me era solito meditare FrancoLucentini fabbricando l’enne-sima sigaretta), regge una pre-giata bottega letteraria di re-stauro. Via via componendo,arredando (dalle Ali di Mercu-rio alla Quarantaduesima cartaa L’amore come sai), un mondosquisitamente teatrale, unistrionesco, ancorché dissimu-lato, elegantemente dissimula-to, girotondo intorno all’uo-

mo, all’umanità, in maschera.E’ come rappresa, armoni-

camente rappresa, la scrittu-ra di Elisabetta Chicco. Ad abi-tarla, a tornirla, a irrorarla, ilsenso del tempo che nulla creae nulla distrugge, ma tutto ma-cina: fogge e monocoli, pince-nez e galatei, parquet e calza-ture di lucidità gaddiana, mar-moree scale e swiftiane istru-zioni alla servitù...

Il padre è la figura cardina-le, epperò mai ossessiva, nelPiù bel vizio. Naturalmente, let-teralmente, un eccentrico, trale figure che signoreggianosparendo, attraversando, sinoa sfibrarle, le porte, facendorotolare sontuosamente - e se-guendone ogni orma - i dadidella «curiositas».

Riccardo Chicco, anomaloallievo di Casorati, anima tut-

t’altro che estatica e ferma, ac-ceso da una elevatissima feb-bre sperelliana, habere non ha-beri come divisa, la bohèmeborghese come destino: è ilprotocarattere di un’oliatissi-ma giostra di tipi, ciascunouna varietà di sfumature chestilisticamente svettano, risal-tano (come il vicino di casacon «i capelli lisci a disco digrammofono» o come zia Lu-da che «sembrava una sedia li-berty. Di quelle sedie allampa-nate, smunte, scivolate neibraccioli e nello schienale»).

Solo chi non lascia eredità dibizzarria poca gioia ha dell’ur-na, potrebbero esultare i perso-naggi di Elisabetta Chicco. Flâ-neur sulla lama dell’ironia, pro-digiosamente riappaiono. O,forse, mai hanno cessato di es-sere, di tessere. Come le statueche al crepuscolo scendono daipiedistalli torinesi raggiungen-do in corteo piazza Castello. Achi si manifestarono se non aun pittore, ancorché optimus,quale De Chirico?

Le pistolettatedi Michelstaedter

EMANUELETREVI

Nel 1997, appena varca-ta la linea d’ombra dei qua-rant’anni, Eraldo Affinati raccon-tò in un libro memorabile, intito-lato Campo del sangue, un pelle-grinaggio da Venezia ad Au-schwitz destinato a incidersi pro-fondamente nella memoria deilettori. Spirito inquieto e origina-le, ostinato nella ricerca di formeadatte all’ambizione e alla com-plessità dei suoi progetti, Affina-ti prendeva di petto una conven-zione letteraria sempre a rischiodi futilità, la «prosa di viaggio»,per caricarla di responsabilitàinaudite. L’esperienza dei luoghitransitava, per così dire, dallasfera delle possibilità a quella del-la necessità assoluta. Le catego-rie morali, le storie di famiglia, lamemoria letteraria, il mutevolegioco degli affetti e delle passio-ni: tutto ciò che, insomma, costi-

tuisce l’identità del narratore do-veva passare per quella portastretta, per quell’itinerario versoil cuore di tenebradell’Europa.

Oberato da tali pesi, il viaggiopuò davvero aspirare a trasfor-marsi, da innocuo passatempotardo-romantico, nel modo su-premo della conoscenza. Perchéciò che effettivamente sappiamodi noi e del mondo, secondo Affi-nati, equivale a ciò che letteral-mente siamo capaci di portarcisulle spalle. Quanto all’eventualetrasmissione di questo sapere,non è un caso che i libri di Affina-ti siano fitti di incontri e di dialo-ghi, come se, per questo lontanoepigono ed ammiratore di Le-skov e Conrad, le idee non fosse-ro più separabili dalle contingen-ze e dalle occasioni in cui concre-tamente vengono formulate ed

ascoltate. La pagina scritta dovràconservare quanto più possibile diquesto picaresco e labirintico pro-cessodi verifica.

Uomo di immensacultura, Affi-nati ha intuito, a un certo punto delsuo percorso, che nella bellezza enella ricchezza del linguaggio lette-rario è annidato il serpente del-l’astrazione, il rischio di un’esisten-za mancata: ciò che FlanneryO’Connor, con spietata esattezza,definì il peccato di vivere «in unmondo che Dio non ha mai crea-to». Di libro in libro, ha rinnovatola sua scommessa col possibile, in-teso come concretezza umana e

possibilitàdi scambio. E ha trasfor-mato se stesso in un efficacissimopersonaggio: un vagabondo ingua-ribilmente individualista,ma capa-ce di ascoltare; tenace nel cercare,ma disposto a perdere la via mae-stra. Lo avevamo lasciato per lestrade di Berlino, a fiutare le trac-ce di poeti e artisti fondamentalinella sua formazione, e lo ritrovia-mo sulla Piana delle Murgie, diret-to a Casteldel Monte, il più famosomaniero (ed enigma architettoni-co) di FedericoII.

E’ qui che inizia il viaggio di Pe-regrin d'amore, e questa volta lamèta è addirittura sbalorditiva.

Perché Affinati vuole sottoporrealla sua prova del nove addiritturaun immenso edificio concettuale eideologico, un’istituzione vetustama ancora influente, una secolareconvenzione: nientemeno che lastoriadella letteraturaitaliana,dalCantico di san Francesco a Gaddae Pasolini. Il proposito è talmentedonchisciottesco che all’inizio èl’autore stesso che sembra pren-dersi in giro assieme ai suoi lettori.Ma la battaglia all’astrazione, inquesto caso, è così ricca di conse-guenze morali, politiche, psicologi-che che non si può guardare all’im-presa con indifferenza. Che senso

ha essere eredi di una certa tradi-zione letteraria su base nazionale?E cosa significa crescere, come in-dividui ancora prima che comescrittori e lettori, in una certa lin-gua madre? L’automatismo produ-ce retorica e burocrazia, program-mi ministeriali e corsi di laurea.Nata nell’età del Romanticismo edel Risorgimento, la storia dellaletteratura italiana, così come l’ab-biamo conosciuta per più di un se-colo, possedeva finalità etiche e ci-vili che oggi sarebbero difficili an-che solo da formulare. Il sempliceperpetuarsi di un’istituzione, d’al-tra parte, non garantisce la sua vi-talità. E’ un automatismo, privo diogni tipo di conseguenza. Prima opoi, va a finire che chi dovrebbe in-segnarla la capisce altrettanto po-co di chi dovrebbe impararla.

Affinati ha bene in mente que-ste premesse, e la sua lunga espe-

rienza di insegnante di liceo nonpuò che averlo ulteriormente con-vinto della necessità di sottrarsi al-l’inerzia. Per definizione, una tradi-zione è qualcosa che noi ereditia-mo. Ma solo noi possiamo riempi-re di senso ciò che abbiamo ricevu-to, trattandolo alla stregua di unanostra invenzione. In Affinati, que-sto paradosso non produce una te-oria, ma uno spazio narrativo,un’immagine poliedrica dell’Italiadi oggi, e in fin dei conti un’avven-tura, intessuta di lontananze e ri-torni a casa, illuminazioni e fru-strazioni. Basterà leggere le partidel libro destinate a Campana, o aGadda, per arrendersi all’eviden-za: ci sarà una buona dose di follia,nel metodo di Affinati, ma certesue verifiche sul campo valgono in-terebibliotechespecialistiche.

Sarebbe bello, in conclusione,che qualcuno avesse il coraggio dipensarea un libro del genere comea uno strumento per insegnare, alposto di quegli orribili manuali chesi smerciano nelle scuole e nelleuniversità. Prima che sia troppotardiper tutto.

LORENZOMONDO

A cent’anni dalla mor-te di Carlo Michelstaedter, unadelle più perturbate e soffertecoscienze del primo Novecento,esce un libro affascinante che il-lumina di riflesso la sua figura.Si intitola Il segreto di Nadia D. elo ha scritto Sergio Campailla, ilpiù accreditato studioso del filo-sofo e poeta goriziano. Ma chiera questa Nadia? Si chiamavaBaraden, dal nome di un maritopresto abbandonato, ed era arri-vata da Pietroburgo a Firenzedove studiava belle arti. Là co-nobbe Michelstaedter, che le die-de lezioni di italiano e fu colpitodalla sua avvenenza di bionda,giovane russa. Ma l’11 aprile1907 Nadia si toglie la vita, spa-randosi in bocca, nella piazzaVittorio Emanuele, il salotto del-la città dove sorgono celebri caf-fè letterari, il Paszkowski e leGiubbe Rosse. Carlo si trova aGorizia e chiede ansiosamentenotizie, con un telegramma, allapadronadi casa della donna.

Tutto qui? Potrebbe essereuna storia abbastanza trascura-bile, se Campailla non ci svelas-se un retroscena che, a lungo ta-ciuto per scrupoloso riserbo, co-stituisce l’innesco della sua at-tuale inchiesta.

Nel marzo del 1973 egli fucoinvolto nel trasferimento dellecarte di Michelstaedter alla Bi-bliotecacivica di Gorizia. L’esecu-tore testamentario, l’ingegnerCarlo Winteler, nipote dello scrit-tore, si risolse a distruggere inquella circostanza due lettere,scritte in tedesco da Nadia al gio-vane amico. Nella prima lo invita-va a «tenere le mani a posto», anon equivocare sul tipo di rappor-to che si aspettava da lui. Nella se-conda, gli annunciava di avere in-gerito del veleno e di apprestarsia farla finita, per maggior sicurez-za, con un colpo di rivoltella. Men-tre lo esortava ad affrontare concoraggio la vita, confessava chela sua esistenza si era svolta al-l’ombra della tragedia, dal giornoin cui, all’età di 11 anni, era stataviolée, cioè stuprata, da unozio.

Parte di qui, dalla scoperta diun legame così forte e insospetta-to tra i due ventenni, l’interessedi Campailla per il personaggiosfuggente di Nadia. La sua ricer-ca appassionata e puntuale siesercita in primo luogo sui gior-nali del tempo che, secondandola morbosa curiosità dei lettoriper la misteriosa straniera, ab-bondano di testimonianze e illa-zioni. Si tratta di verificarne l’at-tendibilità, di capire in particola-re perché Nadia chieda che la no-tizia del suo suicidio venga tele-grafata a uno zio, dal quale si at-tende, nel suo inesorabile sensodi giustizia, che vengano pagati,oltre alle esequie, i suoi piccoli de-biti: il conto della stiratrice, dellasarta, di un paio di scarpe. Que-sto zio, il facoltoso dottorFrejdenstejn, è probabilmente lostesso che le ha inflitto quella gra-ve offesa.

Campailla non sa resistere al-la fascinazione di questa figura didonna ed estende la sua indagineanche ai luoghi in cui visse e agliarchivi conservati in Russia. Ve-niamo così a sapere che Nadia, ri-bellandosi ai dettami della suaricca famiglia ebrea, era stata ar-restata come cospiratrice rivolu-zionaria e condannata alla Sibe-ria. Ma dopo alcuni mesi passatinella fortezza di San Pietro e Pao-lo, la sua pena era stata commu-tata nell’esilio. Aveva sposato unBaraden che, in un empito di sin-cerità, le confessò di essere un

doppiogiochista,di essersi congiun-to a lei per spiarla. Questi e altri in-ganni, forse la stessa Rivoluzionerivelatasiuna chimera, sono all’ori-gine del suo suicidio. La vicendacontiene tutti gli ingredienti di unromanzo ispirato da un Balzac oDostoevskij, a partire da quelle let-tere stracciate, memorizzate daCampailla,che, da narratore in pro-prio, sa approfittarnecon bravura.

E Michelstaedter? Scopre cheNadia, di cui ha dipinto tra l’altroun ritratto, gli è stata incredibil-mentevicina e lontana:ha ottenutola sua confidenza estrema ma nonsapeva quasi nulla di lei, compresele sue frequentazioni fiorentine.Nadia è «l’immagine di un amoreimpossibile, viene da lontano ed èandata lontano». Rappresenta for-se una delle tante frustrazioni, sedi-

mentate nell’animo di Carlo, chetre anni dopo, il 17 ottobre 1910, sispara alla tempia, macchiando disangue i fogli della tesi di laureache risulterà il suo capolavoro, Lapersuasione e la rettorica. Il quadroclinico compromesso e le contrad-dizioni di cui è prigioniero gli ne-gheranno di vincere la sfida, di la-sciarsi «persuadere» da una vita li-bera da vanità e menzogna.

Il filosofo di «La persuasione e la rettorica» Il pensiero e il privato, a un secolo dalla morte

Dall’Imperoall’italianità,via Leopardi

Il pittore guidala carovanadei bizzarri

Chicco «Il più bel vizio è la vita»:uno scanzonato lessico famigliare

UN CONVEGNO A GORIZIA PER IL CENTENARIO

Carlo Michelstaedter moriva un secolo fa, il 17 ottobre, aGorizia, dove sarà ricordato domani e lunedì nell’ambito delconvegno internazionale «Via della persuasione». Un’occasioneper metterlo a confronto con tredici «persuasi» a cui si ispirò(figure che seppero vivere pienamente ogni attimo dellapropria esistenza, indipendentemente dal precedente e dalsuccessivo): da Ibsen a Petrarca, da Aristotele a Beethoven.Interverranno, fra gli altri, Sergio Campailla, Antonio Russo,Joseph H.H. Weller, Cristina Benussi. Tra i libri in uscita, «CarloMichelstaedter, le confessioni e la turba goriziana», a cura diAlberto Cavaglione Angela Michelis (Aragno, pp. 90, € 10).

«NUOVIARGOMENTI»

L’umile Italia= Sei paesaggi di un mondoche potrebbe intonare (lo faAlbertoArbasino nel diariointroduttivo) «Disagiooo...OhOh!... Degrado... oh oh ohoh!...». Sei ritratti di Paese, sottoil titolo gramsciano «L’umileItalia», che innervano l’ultimonumero di «Nuovi argomenti»(Mondadori, pp. 215, € 12). Nesono autori Raffaele Manica,Vincenzo Pardini, Elisa Ruotolo,Marino Magliani, AngeloAustrali e Caterina Carone.

GIOVANNIRUSSO

I lacci bianchi= Un ulteriore «chicco»dell’editore Manni(www.mannieditori.it). Chicchiè la collana in cui appare ilracconto I lacci bianchi (pp.31, € 5). Ne è autore GiovanniRusso, fra i maggiori testimonidell’Italia che ruotava intornoal «Mondo» di Pannunzio.Un ritorno a casa dopo laseconda guerra mondiale. Unamadre che vuole conoscere lasorte toccata al figlio. Ungerarca delatore. Una storiadel Sud, il mondo testimoniatoda Russo in Baroni e contadini,ora da B.C. Dalai editore.

ALGERIA

Uomini di Dio= Anteprima a Torino,giovedì 21 al Massimo, di«Uomini di Dio» di XavierBeauvois, il film gran premiodella Giuria a Cannes, ispiratoal libro di Frère Christian deCerge (e gli altri monaci diTibhirine) Più forti dell’odio(Edizioni Qiqajon, pp. 292,€ 13, a cura di Guido Dotti).Vi si ricostruisce la vicenda deimonaci algerini rapiti eassassinati in Algeria. Laprefazione è di Enzo Bianchi,priore della Comunità di Bose,che interverrà dopo laproiezione del film.

A SARMEDE

Fiabe dal Brasile= «Le immagini dellafantasia». A Sàrmede, il paesedella fiaba in provinciadiTreviso, ventottesima mostrad’illustrazioneper l’infanzia, daoggi al 19 dicembre.La sezione monografica èdedicataal Brasile. L’affiancheràuna galleria con le più belleopere che hanno caratterizzatol’editoria dell’infanzia negliultimi tre anni (38 illustratori, 21Paesi). Catalogo a cura di Luigidal Cin, ed. Franco CosimoPanini. www.sarmedemostra.it

UN «SALONE» A ROMA

L’editoria sociale= Ritorna a Roma dal 22 al24 ottobre il Salonedell’editoria sociale»,promossa tra gli altri dalleEdizioni dell’Asino. Dibattiti sueducazione e scuola, welfare,immigrazione. Tra gli ospitiGoffredo Fofi, don Sciortino,Marco Rossi Doria. Programmain www.editoriasociale.info

Verifiche sul campoche valgono interebiblioteche, una letturaalternativa ai bruttimanuali scolastici

«Peregrin d’amore»:la sfida di un picaroche ridà la parolaagli autori della nostraidentità nazionale

Erede di Schopenhauere Nietzsche, criticodella modernità,sembra oggi anticiparele teorie di un Debord

LE «TECNICHE DI RESURREZIONE»DI MANFREDI

Un giallo con medici e mummie= Anche Dan Brown potrebbe trarre giovamento dallalettura degli ultimi due romanzi di Gianfranco Manfredi. Hofreddo, del 2008, e questo novello Tecniche di resurrezione(Gargoyle, pp. 489, € 18) ci mettono di fronte a un intrepidonarratore svincolato dai canoni e dagli obblighi del genere.Affabulatore vivace e ironico, grottesco e spumeggiante,Manfredi ha raggiunto, con questo dittico gotico-filosofico,l'apice delle sue capacità di intrattenitore colto e disinvolto,nobile, ricco di tutte le sfumature necessarie all'arte delromanzo. Qui ha tentato l'audace carta dell'operazionestorico-fantastica, infarcendo le sue narrazioni di personaggi

veri e fittizi, giocando sul campo della re-invenzione conl'arma del giudice postumo che, nei peccati sociali e politicidel passato, riesce a trovare sagaci spunti di confronto con lepenurie del disfacimento contemporaneo. Ma la vicenda cheil lettore amerà seguire è senz'altro quella - in direttaprosecuzione con il romanzo precedente - dei gemelli deValmont, Aline e Valcour, uniti dalla passione per la ricercamedica e da una formidabile capacità di giocare con leambiguità della propria epoca, nel 1803, di ritorno dallatragica odissea americana di Ho freddo. L'Inghilterra delrinnovamento e la Francia di Bonaparte fanno da sfondo aesperienze moderne ma ancora fragili, come le «tecniche diresurrezione» messe in atto da medici coraggiosi in uncontesto sociale post-rivoluzione ambiguo e conservatore.

Le vittime causate dalla mano del folle chirurgo che si fachiamare Doctor Ending e il caso di Salvy San Subra, la guidaegiziana di Napoleone mummificata da una sconosciutamalattia, si incrociano in un gioco di veleni politici e ricerchescientifiche azzardate, dissoluzioni nobiliari e vizietti privati, incui il tono di un'inchiesta gialla ben si coniuga alla strutturaampia e classicheggiante del romanzo. I giochi di corte e lemanovre segrete di una società percorsa dai primi «lumi dellaragione», costringono Aline e Valcour a cercare soluzioni nellaloro solida unione totale, per far fronte a un nemico invisibileche - al di là degli oscuri delitti - si chiama Storia. Manfredisigla un altro singolare, complesso romanzo, che attende laconsacrazione dei lettori giusti (Dan Brown compreso). Sergio Pent

Affinati Un viaggio nella storia e nei luoghi della nostraletteratura, dal Cantico di Francesco a Gadda e Pasolini

pp Elisabetta Chiccop IL PIÙ BEL VIZIOE È LA VITAp Instar Libri, pp. 146, € 13,50

pp Carlo Michelstaedterp LA MELODIA

DEL GIOVANE DIVINOp a cura di S. Campaillap Adelphi, pp. 242, € 14

pp Eraldo Affinatip PEREGRIN D'AMOREp Mondadori, pp.415, € 20

pp Sergio Campaillap IL SEGRETO DI NADIA B .p Marsilio, pp. 238, € 19,50

Nadia B. in un dipinto di Michelstaedter e un autoritratto dello scrittore filosofo

San Francesco e la predica agli uccelli in un affresco di Giotto

Un Don Chisciottetra le Belle Lettere

Bloc notes

Sergio Campaillanarra magistralmentela fascinosa donnache «venne da lontanoe andava lontano»

Un autoritratto del 1908

Scrittori e classici italianiIITuttolibri

SABATO 16 OTTOBRE 2010LA STAMPA III

Gianfranco Manfredi

Page 3: Tuttolibri n. 1736 (16-10-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - III - 16/10/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/02 - Autore: DANCOM - Ora di stampa: 15/10/10 19.41

L’amore segreto Come un romanzo la sua relazionecon la giovane bionda russa Nadia B., anche lei suicida

FELICEPIEMONTESE

Il merito principalede La melodia del giovane divi-no - raccolta di scritti di CarloMichelstaedter curata da Ser-gio Campailla - è quello di averriproposto ancora una voltaall'attenzione il nome, ancoraper molti sconosciuto, delloscrittore goriziano, di cui ri-corre domani il centenario del-la morte, sobriamente cele-brato con una serie di manife-stazioni in programma nel ca-poluogo giuliano.

Nel volume adelphiano - co-sì come avveniva in Sfugge lavita, pubblicato da Aragno nel2004 e che aveva anche un ric-co corredo iconografico - sonoraccolti testi di vario genere edi diseguale interesse, talvoltapoco più che appunti, del gio-vanissimo scrittore, che si tol-se la vita il 17 ottobre del 1910.Aveva ventitré anni, e compì ilsuo gesto non appena comple-tata la tesi di laurea, quel Lapersuasione e la rettorica che,pubblicato postumo, assicure-rà a Michelstaedter - con ilDialogo della salute e un grup-petto di poesie - un posto diprimissimo piano nella storiafilosofico-letteraria del primoNovecento.

Suddiviso da Campailla intre parti (Pensieri - racconti -critiche) La melodia del giova-ne divino c’introduce nel «la-boratorio privato» di Mi-chelstaedter, aiutandoci a ri-costruirne la fiammeggiantefisionomia umana e intellet-tuale, i moltissimi riferimenticulturali, la giovanile capaci-tà di esaltazione accompa-gnata a un acuto senso criti-co. Del resto, quello del gori-ziano è uno dei pochi casi in

cui si può stabilire una totaleidentificazione tra l'opera e lavicenda biografica, essendoper certi versi quest’ultima ilpiù rigoroso ed estremo svi-luppo di una riflessione cheanticipa certo esistenziali-smo dei decenni successivi.

Erede di una tradizione dipensiero mitteleuropea cheha in Schopenhauer e in Nietz-sche le sue vette (Gorizia, neiprimi anni del Novecento, fa-ceva parte dell’Impero austro-ungarico), ma nello stessotempo fermamente deciso a ri-vendicare un’italianità ideale(via Leopardi soprattutto) econcreta (gli studi universita-ri a Firenze), Michelstaedter ètra i critici più lucidi di quellamodernità che si presentavacon aspetti esaltanti ma an-che con caratteristiche op-pressive e schiavizzanti.

Ci sono, in lui, accenni dianarchica rivolta («megliol’odio che l’affetto della fami-glia»), ma c'è soprattutto la di-sperata e irrimediabile consa-pevolezza che, in una societàin cui «la rettorica» è a tal pun-to organizzata da essersi fattaormai sistema, per l'intellet-tuale l'alternativa è: accettareil ruolo alienato e alienante di

servo-padrone che gli viene pro-posto, o negarsi, rifiutando la«inerte e ottusa vita, che è dataa chi ama piegarsi». Rifiuto che,nel suo caso, assumerà la formapiù estrema.

Se la persuasione «è il realepossesso di se medesimi nel pre-sente», in Michelstaedter è for-te la consapevolezza che le con-dizioni di vita imposte da una so-cietà immorale e alienata impe-discono tale possesso. Rimango-no dunque la rivolta o, appunto,il suicidio, presenza costantenella sua riflessione, ma anche,conviene ricordarlo, nella con-creta esperienza di vita, dal mo-mento che suicidi muoiono ilfratello Gino, nel 1909, e tre an-ni prima l'amica Nadia Bara-den che, si è scoperto poi, fumolto più che un’amica.

Di sicuro, Guy Debord, il teo-rico della società dello spettaco-lo, non ha mai sentito parlare diMichelstaedter. Ma sono sicuro

che se lo avesse conosciuto loavrebbe inserito nel suo perso-nalissimo Olimpo di precursori.E dico questo non per gustodella boutade, ma per sottoli-neare - e si pensa per forza dicose a certe analogie col «ca-so» Rimbaud - come in unaremota provincia dell’Impe-ro un ragazzo ventenne fossein grado di anticipare, nellasua riflessione sui meccani-smi segreti della società incui viviamo, teorie di moltidecenni successive. Avendoanche una capacità di irrisio-ne che proprio a Debord nonsarebbe certo dispiaciuta.Quando ad esempio sottoli-nea, di Croce, «la sciagurataabilità di eliminare sempreda ogni questione quello cheappunto è la questione». «Ildestino di Michelstaedter -scrive Campailla - è quello diessere un luminoso postumoche si scopre attuale nellasua inattualità».

Che la sua «riscoperta» pos-sa aprire anche orizzonti inatte-si è un segno ulteriore della per-sistente vitalità di una ricercacondotta in un numero straordi-nariamente breve di anni.

BRUNOQUARANTA

Questi padri torinesiche fanno romanzo. Dal pro-fessor Giuseppe Levi-«sbro-deghezzi» di Natalia Ginz-burg a Riccardo Chicco, ilpittore-professore che nasce-va cent’anni fa e a cui la figliaElisabetta rende omaggio inun lessico famigliare sapien-temente scanzonato - le ve-lette che si alzano e si abbas-sano mai slabbrandosi, cosìefferate, carezzevoli, misteri-che, capricciose.

Il più bel vizio è la vita è unulteriore lessico famigliarenella città del vizio assurdo,rappresentando così l’indige-na vocazione double face. Eli-sabetta Chicco, signora nellacommedia quotidiana e sullapagina del détail (il détail do-ve si nasconde la verità, co-

me era solito meditare FrancoLucentini fabbricando l’enne-sima sigaretta), regge una pre-giata bottega letteraria di re-stauro. Via via componendo,arredando (dalle Ali di Mercu-rio alla Quarantaduesima cartaa L’amore come sai), un mondosquisitamente teatrale, unistrionesco, ancorché dissimu-lato, elegantemente dissimula-to, girotondo intorno all’uo-

mo, all’umanità, in maschera.E’ come rappresa, armoni-

camente rappresa, la scrittu-ra di Elisabetta Chicco. Ad abi-tarla, a tornirla, a irrorarla, ilsenso del tempo che nulla creae nulla distrugge, ma tutto ma-cina: fogge e monocoli, pince-nez e galatei, parquet e calza-ture di lucidità gaddiana, mar-moree scale e swiftiane istru-zioni alla servitù...

Il padre è la figura cardina-le, epperò mai ossessiva, nelPiù bel vizio. Naturalmente, let-teralmente, un eccentrico, trale figure che signoreggianosparendo, attraversando, sinoa sfibrarle, le porte, facendorotolare sontuosamente - e se-guendone ogni orma - i dadidella «curiositas».

Riccardo Chicco, anomaloallievo di Casorati, anima tut-

t’altro che estatica e ferma, ac-ceso da una elevatissima feb-bre sperelliana, habere non ha-beri come divisa, la bohèmeborghese come destino: è ilprotocarattere di un’oliatissi-ma giostra di tipi, ciascunouna varietà di sfumature chestilisticamente svettano, risal-tano (come il vicino di casacon «i capelli lisci a disco digrammofono» o come zia Lu-da che «sembrava una sedia li-berty. Di quelle sedie allampa-nate, smunte, scivolate neibraccioli e nello schienale»).

Solo chi non lascia eredità dibizzarria poca gioia ha dell’ur-na, potrebbero esultare i perso-naggi di Elisabetta Chicco. Flâ-neur sulla lama dell’ironia, pro-digiosamente riappaiono. O,forse, mai hanno cessato di es-sere, di tessere. Come le statueche al crepuscolo scendono daipiedistalli torinesi raggiungen-do in corteo piazza Castello. Achi si manifestarono se non aun pittore, ancorché optimus,quale De Chirico?

Le pistolettatedi Michelstaedter

EMANUELETREVI

Nel 1997, appena varca-ta la linea d’ombra dei qua-rant’anni, Eraldo Affinati raccon-tò in un libro memorabile, intito-lato Campo del sangue, un pelle-grinaggio da Venezia ad Au-schwitz destinato a incidersi pro-fondamente nella memoria deilettori. Spirito inquieto e origina-le, ostinato nella ricerca di formeadatte all’ambizione e alla com-plessità dei suoi progetti, Affina-ti prendeva di petto una conven-zione letteraria sempre a rischiodi futilità, la «prosa di viaggio»,per caricarla di responsabilitàinaudite. L’esperienza dei luoghitransitava, per così dire, dallasfera delle possibilità a quella del-la necessità assoluta. Le catego-rie morali, le storie di famiglia, lamemoria letteraria, il mutevolegioco degli affetti e delle passio-ni: tutto ciò che, insomma, costi-

tuisce l’identità del narratore do-veva passare per quella portastretta, per quell’itinerario versoil cuore di tenebradell’Europa.

Oberato da tali pesi, il viaggiopuò davvero aspirare a trasfor-marsi, da innocuo passatempotardo-romantico, nel modo su-premo della conoscenza. Perchéciò che effettivamente sappiamodi noi e del mondo, secondo Affi-nati, equivale a ciò che letteral-mente siamo capaci di portarcisulle spalle. Quanto all’eventualetrasmissione di questo sapere,non è un caso che i libri di Affina-ti siano fitti di incontri e di dialo-ghi, come se, per questo lontanoepigono ed ammiratore di Le-skov e Conrad, le idee non fosse-ro più separabili dalle contingen-ze e dalle occasioni in cui concre-tamente vengono formulate ed

ascoltate. La pagina scritta dovràconservare quanto più possibile diquesto picaresco e labirintico pro-cessodi verifica.

Uomo di immensacultura, Affi-nati ha intuito, a un certo punto delsuo percorso, che nella bellezza enella ricchezza del linguaggio lette-rario è annidato il serpente del-l’astrazione, il rischio di un’esisten-za mancata: ciò che FlanneryO’Connor, con spietata esattezza,definì il peccato di vivere «in unmondo che Dio non ha mai crea-to». Di libro in libro, ha rinnovatola sua scommessa col possibile, in-teso come concretezza umana e

possibilitàdi scambio. E ha trasfor-mato se stesso in un efficacissimopersonaggio: un vagabondo ingua-ribilmente individualista,ma capa-ce di ascoltare; tenace nel cercare,ma disposto a perdere la via mae-stra. Lo avevamo lasciato per lestrade di Berlino, a fiutare le trac-ce di poeti e artisti fondamentalinella sua formazione, e lo ritrovia-mo sulla Piana delle Murgie, diret-to a Casteldel Monte, il più famosomaniero (ed enigma architettoni-co) di FedericoII.

E’ qui che inizia il viaggio di Pe-regrin d'amore, e questa volta lamèta è addirittura sbalorditiva.

Perché Affinati vuole sottoporrealla sua prova del nove addiritturaun immenso edificio concettuale eideologico, un’istituzione vetustama ancora influente, una secolareconvenzione: nientemeno che lastoriadella letteraturaitaliana,dalCantico di san Francesco a Gaddae Pasolini. Il proposito è talmentedonchisciottesco che all’inizio èl’autore stesso che sembra pren-dersi in giro assieme ai suoi lettori.Ma la battaglia all’astrazione, inquesto caso, è così ricca di conse-guenze morali, politiche, psicologi-che che non si può guardare all’im-presa con indifferenza. Che senso

ha essere eredi di una certa tradi-zione letteraria su base nazionale?E cosa significa crescere, come in-dividui ancora prima che comescrittori e lettori, in una certa lin-gua madre? L’automatismo produ-ce retorica e burocrazia, program-mi ministeriali e corsi di laurea.Nata nell’età del Romanticismo edel Risorgimento, la storia dellaletteratura italiana, così come l’ab-biamo conosciuta per più di un se-colo, possedeva finalità etiche e ci-vili che oggi sarebbero difficili an-che solo da formulare. Il sempliceperpetuarsi di un’istituzione, d’al-tra parte, non garantisce la sua vi-talità. E’ un automatismo, privo diogni tipo di conseguenza. Prima opoi, va a finire che chi dovrebbe in-segnarla la capisce altrettanto po-co di chi dovrebbe impararla.

Affinati ha bene in mente que-ste premesse, e la sua lunga espe-

rienza di insegnante di liceo nonpuò che averlo ulteriormente con-vinto della necessità di sottrarsi al-l’inerzia. Per definizione, una tradi-zione è qualcosa che noi ereditia-mo. Ma solo noi possiamo riempi-re di senso ciò che abbiamo ricevu-to, trattandolo alla stregua di unanostra invenzione. In Affinati, que-sto paradosso non produce una te-oria, ma uno spazio narrativo,un’immagine poliedrica dell’Italiadi oggi, e in fin dei conti un’avven-tura, intessuta di lontananze e ri-torni a casa, illuminazioni e fru-strazioni. Basterà leggere le partidel libro destinate a Campana, o aGadda, per arrendersi all’eviden-za: ci sarà una buona dose di follia,nel metodo di Affinati, ma certesue verifiche sul campo valgono in-terebibliotechespecialistiche.

Sarebbe bello, in conclusione,che qualcuno avesse il coraggio dipensarea un libro del genere comea uno strumento per insegnare, alposto di quegli orribili manuali chesi smerciano nelle scuole e nelleuniversità. Prima che sia troppotardiper tutto.

LORENZOMONDO

A cent’anni dalla mor-te di Carlo Michelstaedter, unadelle più perturbate e soffertecoscienze del primo Novecento,esce un libro affascinante che il-lumina di riflesso la sua figura.Si intitola Il segreto di Nadia D. elo ha scritto Sergio Campailla, ilpiù accreditato studioso del filo-sofo e poeta goriziano. Ma chiera questa Nadia? Si chiamavaBaraden, dal nome di un maritopresto abbandonato, ed era arri-vata da Pietroburgo a Firenzedove studiava belle arti. Là co-nobbe Michelstaedter, che le die-de lezioni di italiano e fu colpitodalla sua avvenenza di bionda,giovane russa. Ma l’11 aprile1907 Nadia si toglie la vita, spa-randosi in bocca, nella piazzaVittorio Emanuele, il salotto del-la città dove sorgono celebri caf-fè letterari, il Paszkowski e leGiubbe Rosse. Carlo si trova aGorizia e chiede ansiosamentenotizie, con un telegramma, allapadronadi casa della donna.

Tutto qui? Potrebbe essereuna storia abbastanza trascura-bile, se Campailla non ci svelas-se un retroscena che, a lungo ta-ciuto per scrupoloso riserbo, co-stituisce l’innesco della sua at-tuale inchiesta.

Nel marzo del 1973 egli fucoinvolto nel trasferimento dellecarte di Michelstaedter alla Bi-bliotecacivica di Gorizia. L’esecu-tore testamentario, l’ingegnerCarlo Winteler, nipote dello scrit-tore, si risolse a distruggere inquella circostanza due lettere,scritte in tedesco da Nadia al gio-vane amico. Nella prima lo invita-va a «tenere le mani a posto», anon equivocare sul tipo di rappor-to che si aspettava da lui. Nella se-conda, gli annunciava di avere in-gerito del veleno e di apprestarsia farla finita, per maggior sicurez-za, con un colpo di rivoltella. Men-tre lo esortava ad affrontare concoraggio la vita, confessava chela sua esistenza si era svolta al-l’ombra della tragedia, dal giornoin cui, all’età di 11 anni, era stataviolée, cioè stuprata, da unozio.

Parte di qui, dalla scoperta diun legame così forte e insospetta-to tra i due ventenni, l’interessedi Campailla per il personaggiosfuggente di Nadia. La sua ricer-ca appassionata e puntuale siesercita in primo luogo sui gior-nali del tempo che, secondandola morbosa curiosità dei lettoriper la misteriosa straniera, ab-bondano di testimonianze e illa-zioni. Si tratta di verificarne l’at-tendibilità, di capire in particola-re perché Nadia chieda che la no-tizia del suo suicidio venga tele-grafata a uno zio, dal quale si at-tende, nel suo inesorabile sensodi giustizia, che vengano pagati,oltre alle esequie, i suoi piccoli de-biti: il conto della stiratrice, dellasarta, di un paio di scarpe. Que-sto zio, il facoltoso dottorFrejdenstejn, è probabilmente lostesso che le ha inflitto quella gra-ve offesa.

Campailla non sa resistere al-la fascinazione di questa figura didonna ed estende la sua indagineanche ai luoghi in cui visse e agliarchivi conservati in Russia. Ve-niamo così a sapere che Nadia, ri-bellandosi ai dettami della suaricca famiglia ebrea, era stata ar-restata come cospiratrice rivolu-zionaria e condannata alla Sibe-ria. Ma dopo alcuni mesi passatinella fortezza di San Pietro e Pao-lo, la sua pena era stata commu-tata nell’esilio. Aveva sposato unBaraden che, in un empito di sin-cerità, le confessò di essere un

doppiogiochista,di essersi congiun-to a lei per spiarla. Questi e altri in-ganni, forse la stessa Rivoluzionerivelatasiuna chimera, sono all’ori-gine del suo suicidio. La vicendacontiene tutti gli ingredienti di unromanzo ispirato da un Balzac oDostoevskij, a partire da quelle let-tere stracciate, memorizzate daCampailla,che, da narratore in pro-prio, sa approfittarnecon bravura.

E Michelstaedter? Scopre cheNadia, di cui ha dipinto tra l’altroun ritratto, gli è stata incredibil-mentevicina e lontana:ha ottenutola sua confidenza estrema ma nonsapeva quasi nulla di lei, compresele sue frequentazioni fiorentine.Nadia è «l’immagine di un amoreimpossibile, viene da lontano ed èandata lontano». Rappresenta for-se una delle tante frustrazioni, sedi-

mentate nell’animo di Carlo, chetre anni dopo, il 17 ottobre 1910, sispara alla tempia, macchiando disangue i fogli della tesi di laureache risulterà il suo capolavoro, Lapersuasione e la rettorica. Il quadroclinico compromesso e le contrad-dizioni di cui è prigioniero gli ne-gheranno di vincere la sfida, di la-sciarsi «persuadere» da una vita li-bera da vanità e menzogna.

Il filosofo di «La persuasione e la rettorica» Il pensiero e il privato, a un secolo dalla morte

Dall’Imperoall’italianità,via Leopardi

Il pittore guidala carovanadei bizzarri

Chicco «Il più bel vizio è la vita»:uno scanzonato lessico famigliare

UN CONVEGNO A GORIZIA PER IL CENTENARIO

Carlo Michelstaedter moriva un secolo fa, il 17 ottobre, aGorizia, dove sarà ricordato domani e lunedì nell’ambito delconvegno internazionale «Via della persuasione». Un’occasioneper metterlo a confronto con tredici «persuasi» a cui si ispirò(figure che seppero vivere pienamente ogni attimo dellapropria esistenza, indipendentemente dal precedente e dalsuccessivo): da Ibsen a Petrarca, da Aristotele a Beethoven.Interverranno, fra gli altri, Sergio Campailla, Antonio Russo,Joseph H.H. Weller, Cristina Benussi. Tra i libri in uscita, «CarloMichelstaedter, le confessioni e la turba goriziana», a cura diAlberto Cavaglione Angela Michelis (Aragno, pp. 90, € 10).

«NUOVIARGOMENTI»

L’umile Italia= Sei paesaggi di un mondoche potrebbe intonare (lo faAlbertoArbasino nel diariointroduttivo) «Disagiooo...OhOh!... Degrado... oh oh ohoh!...». Sei ritratti di Paese, sottoil titolo gramsciano «L’umileItalia», che innervano l’ultimonumero di «Nuovi argomenti»(Mondadori, pp. 215, € 12). Nesono autori Raffaele Manica,Vincenzo Pardini, Elisa Ruotolo,Marino Magliani, AngeloAustrali e Caterina Carone.

GIOVANNIRUSSO

I lacci bianchi= Un ulteriore «chicco»dell’editore Manni(www.mannieditori.it). Chicchiè la collana in cui appare ilracconto I lacci bianchi (pp.31, € 5). Ne è autore GiovanniRusso, fra i maggiori testimonidell’Italia che ruotava intornoal «Mondo» di Pannunzio.Un ritorno a casa dopo laseconda guerra mondiale. Unamadre che vuole conoscere lasorte toccata al figlio. Ungerarca delatore. Una storiadel Sud, il mondo testimoniatoda Russo in Baroni e contadini,ora da B.C. Dalai editore.

ALGERIA

Uomini di Dio= Anteprima a Torino,giovedì 21 al Massimo, di«Uomini di Dio» di XavierBeauvois, il film gran premiodella Giuria a Cannes, ispiratoal libro di Frère Christian deCerge (e gli altri monaci diTibhirine) Più forti dell’odio(Edizioni Qiqajon, pp. 292,€ 13, a cura di Guido Dotti).Vi si ricostruisce la vicenda deimonaci algerini rapiti eassassinati in Algeria. Laprefazione è di Enzo Bianchi,priore della Comunità di Bose,che interverrà dopo laproiezione del film.

A SARMEDE

Fiabe dal Brasile= «Le immagini dellafantasia». A Sàrmede, il paesedella fiaba in provinciadiTreviso, ventottesima mostrad’illustrazioneper l’infanzia, daoggi al 19 dicembre.La sezione monografica èdedicataal Brasile. L’affiancheràuna galleria con le più belleopere che hanno caratterizzatol’editoria dell’infanzia negliultimi tre anni (38 illustratori, 21Paesi). Catalogo a cura di Luigidal Cin, ed. Franco CosimoPanini. www.sarmedemostra.it

UN «SALONE» A ROMA

L’editoria sociale= Ritorna a Roma dal 22 al24 ottobre il Salonedell’editoria sociale»,promossa tra gli altri dalleEdizioni dell’Asino. Dibattiti sueducazione e scuola, welfare,immigrazione. Tra gli ospitiGoffredo Fofi, don Sciortino,Marco Rossi Doria. Programmain www.editoriasociale.info

Verifiche sul campoche valgono interebiblioteche, una letturaalternativa ai bruttimanuali scolastici

«Peregrin d’amore»:la sfida di un picaroche ridà la parolaagli autori della nostraidentità nazionale

Erede di Schopenhauere Nietzsche, criticodella modernità,sembra oggi anticiparele teorie di un Debord

LE «TECNICHE DI RESURREZIONE»DI MANFREDI

Un giallo con medici e mummie= Anche Dan Brown potrebbe trarre giovamento dallalettura degli ultimi due romanzi di Gianfranco Manfredi. Hofreddo, del 2008, e questo novello Tecniche di resurrezione(Gargoyle, pp. 489, € 18) ci mettono di fronte a un intrepidonarratore svincolato dai canoni e dagli obblighi del genere.Affabulatore vivace e ironico, grottesco e spumeggiante,Manfredi ha raggiunto, con questo dittico gotico-filosofico,l'apice delle sue capacità di intrattenitore colto e disinvolto,nobile, ricco di tutte le sfumature necessarie all'arte delromanzo. Qui ha tentato l'audace carta dell'operazionestorico-fantastica, infarcendo le sue narrazioni di personaggi

veri e fittizi, giocando sul campo della re-invenzione conl'arma del giudice postumo che, nei peccati sociali e politicidel passato, riesce a trovare sagaci spunti di confronto con lepenurie del disfacimento contemporaneo. Ma la vicenda cheil lettore amerà seguire è senz'altro quella - in direttaprosecuzione con il romanzo precedente - dei gemelli deValmont, Aline e Valcour, uniti dalla passione per la ricercamedica e da una formidabile capacità di giocare con leambiguità della propria epoca, nel 1803, di ritorno dallatragica odissea americana di Ho freddo. L'Inghilterra delrinnovamento e la Francia di Bonaparte fanno da sfondo aesperienze moderne ma ancora fragili, come le «tecniche diresurrezione» messe in atto da medici coraggiosi in uncontesto sociale post-rivoluzione ambiguo e conservatore.

Le vittime causate dalla mano del folle chirurgo che si fachiamare Doctor Ending e il caso di Salvy San Subra, la guidaegiziana di Napoleone mummificata da una sconosciutamalattia, si incrociano in un gioco di veleni politici e ricerchescientifiche azzardate, dissoluzioni nobiliari e vizietti privati, incui il tono di un'inchiesta gialla ben si coniuga alla strutturaampia e classicheggiante del romanzo. I giochi di corte e lemanovre segrete di una società percorsa dai primi «lumi dellaragione», costringono Aline e Valcour a cercare soluzioni nellaloro solida unione totale, per far fronte a un nemico invisibileche - al di là degli oscuri delitti - si chiama Storia. Manfredisigla un altro singolare, complesso romanzo, che attende laconsacrazione dei lettori giusti (Dan Brown compreso). Sergio Pent

Affinati Un viaggio nella storia e nei luoghi della nostraletteratura, dal Cantico di Francesco a Gadda e Pasolini

pp Elisabetta Chiccop IL PIÙ BEL VIZIOE È LA VITAp Instar Libri, pp. 146, € 13,50

pp Carlo Michelstaedterp LA MELODIA

DEL GIOVANE DIVINOp a cura di S. Campaillap Adelphi, pp. 242, € 14

pp Eraldo Affinatip PEREGRIN D'AMOREp Mondadori, pp.415, € 20

pp Sergio Campaillap IL SEGRETO DI NADIA B .p Marsilio, pp. 238, € 19,50

Nadia B. in un dipinto di Michelstaedter e un autoritratto dello scrittore filosofo

San Francesco e la predica agli uccelli in un affresco di Giotto

Un Don Chisciottetra le Belle Lettere

Bloc notes

Sergio Campaillanarra magistralmentela fascinosa donnache «venne da lontanoe andava lontano»

Un autoritratto del 1908

Scrittori e classici italianiIITuttolibri

SABATO 16 OTTOBRE 2010LA STAMPA III

Gianfranco Manfredi

Page 4: Tuttolibri n. 1736 (16-10-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - IV - 16/10/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/04 - Autore: DANCOM - Ora di stampa: 15/10/10 19.41

PAOLOBERTINETTI

L’opera di Shakespea-re è la Bibbia di Nadia Fusini,saggista, scrittrice di romanzie anglista di fama. Lo confessalei stessa al lettore nelle primerighe del Prologo del suo ulti-mo saggio, Di vita si muore. Ecome i predicatori protestanti,profondi conoscitori delle Sa-cre Scritture, Fusini non soloconosce benissimo e cita pun-tualmente le sue (Sacre) Scrit-ture shakespeariane, ma met-te in collegamento, confronta,sostiene l’uno con l’altro i singo-li versi e momenti dei testi diShakespeare, per offrirne al let-tore la sua esegesi, per fareemergere, scrive nel Congedodel volume, «almeno un po’ del-l’immensa ricchezza sapienzia-le» che nel teatro di Shakespea-re abbonda.

Ogni tanto appaiono deisaggi contro la Bardolatria,contro una supposta soprav-valutazione dell’opera diShakespeare. Saggi che (for-se) servono per farsi notare: acosto di disconoscere il valoredel maggiore scrittore, insie-me a Dante, che la cultura oc-cidentale abbia prodotto. Fusi-ni scrive un saggio (che spessoassume il piglio del racconto,della narrazione, del discorsoaffabulatorio) che vuole inve-ce confermare tanta grandez-za. Tra i doni della vita, ci con-fida nel Prologo, «c’è senz’al-tro Shakespeare, e scoprirneil gusto accrescerà senz’altroil piacere di vivere».

Il volume ci parla del GiulioCesare e delle quattro granditragedie della maturità, Amle-to, Otello, Lear e Macbeth. Ognu-na di esse è vista come caratte-rizzata da una grande passio-

ne. Quando Shakespeare scrive,la filosofia morale francese ha ap-pena incominciato a delimitare ilsignificato che la parola avevaavuto per secoli (fino ancora aCartesio); e a conferire al termi-ne passione il significato di «affe-zione dominante», capace di in-vadere l’animo di chi la nutre.L’affezione di Bruto sarà la pas-sione della ragione; quella di Am-leto la passione del dolore, quelladi Otello non tanto la gelosia (co-me automaticamente ci verreb-be da dire), bensì la passione del-l’amore; quella di Lear la passio-ne dell’ira; quella di Macbeth, infi-ne, la passione della paura.

La riflessione sulle tragedie èaccompagnata da un vasto affre-sco sulla cultura dell’età diShakespeare, sui testi che avevaa disposizione lo scrittore elisa-bettiano per fecondare il suo la-voro creativo. Testi letterari, te-sti filosofici, trattati scientifici; e,naturalmente, la Bibbia (quelladi Ginevra, data alle stampe nel1560 e pubblicata in Inghilterranel 1576: la Bibbia di re Giacomo,oltre che monumento religiosofonte letteraria fondamentaleper tutta la cultura inglese eamericana, era ancora di là davenire). L’erudizione, quasi ma-scherata dalla scorrevolezza del-la scrittura, è il tutore dell’indagi-ne sui testi, il sostegno comple-mentare alla loro interpretazio-ne. Come quando (per citare ilcaso più illuminante) a propositodi Re Lear Fusini ci dice che latragedia andrebbe letta insiemealla Prima lettera ai Corinti, fontequasi diretta della morale chenel finale Edgar trae dalle pieto-se vicende appena concluse e dal-la difficoltà del presente.

Nel vasto scrigno dell’operadi Shakespeare troviamo unatale varietà di significati e disuggestioni da consentire lepiù diverse interpretazioni. InDi vita si muore Fusini ci rac-conta il suo Shakespeare. Ilsuo, magari diverso dal nostro,ma altrettanto persuasivo. Ilsuo, ma che appassionatamen-te vuole condividere con i letto-ri del suo appassionato saggio.

GIUSEPPECULICCHIA

Milledgeville, Geor-gia, Stati Uniti, una domenica didicembre, l'anno è il 1956: War-ren Spooner viene al mondo po-co prima del sorgere del sole epoco dopo suo fratello gemelloClifford, che essendo nato mor-to sarà per sempre il figlio predi-letto tra i quattro partoriti nelcorso della vita dalla madre Li-ly. E' quel che si dice un segnodel destino. Perché fin dal prin-cipio, la vita del protagonistadelnuovo romanzo di Pete Dexter -autore tra gli altri di Un affare difamiglia e di Il cuore nero di ParisTrout, con il quale nel 1988 havinto il National Book Award -appare contrassegnata dallasua innata capacità di calamita-re disastri. La madre, per dire, ègià passata in tenera età per larovina economica della famigliad'origine, avvenuta durante laGrande Depressione, e di conse-

guenza si ritrova a vivere con lacertezza assoluta che l'interaesistenza sia un'imboscata,«dal-la culla alla tomba». Sta di fattoche rimane presto vedova, dimodoche il piccolo Spooner nonfa nemmeno in tempo a conosce-re il padre naturale, poi sostitui-to da un ex ufficiale di marina ra-diato dalla corte marziale, taleCalmer Ottosson.

Per fortuna di Spooner, Cal-mer è davvero un tipo molto cal-mo, e paziente. Non solo. Schivoper natura, mite di carattere ededucato alla cortesia, si dimo-stra un genitore esemplare e rie-sce ad amare il figlio acquisitomalgrado questi non faccia lette-ralmente mai la cosa giusta. Inun modo o nell’altro, infatti, il ra-gazzino finisce sempre per com-binare guai, con esiti spesso ca-tastrofici e non di rado esilaran-ti, magari intrufolandosi nellecase del vicinato, oppure facen-do la pipì nelle scarpe altrui, oancora provocando ad arte inci-denti.Ma affezionarsi a lui non èdifficile, né per Calmer né per illettore. Spooner, al contrario ditanti suoi coetanei, ha il donoprezioso dell’ingenuità. E nono-stante tutto, nel suo procederequotidiano da una sciagura al-l’altra, riesce a guardare il mon-do con occhi innocenti, e a nonscoraggiarsi mai. Quanto alle ca-pacità, col passare degli annisembra possedere un altro gran-dissimo talento, oltre a quellodel criminale in erba sempre

pronto a provocare disastri. Si di-mostra un ottimo giocatore di ba-seball. Nessuno sa lanciare la pal-la meglio di lui. Ed è talmente bra-vo che presto i giornali di provin-cia cominciano a parlarne, seguitia ruota da quelli di città. Gli scoutdelle grandi squadre, sempre acaccia di giovani promesse, nonperdono tempo e si mettono sullesue tracce. Naturalmente però,forse in ossequio alla famosa leg-ge di Murphy ma più che altrotrattandosi di Spooner, anche inquesto caso qualcosa non va per ilverso giusto. Tra i nemici dei gio-vani talenti, del resto, ci sono in-nanzitutto i giovani talentistessi.

Se certi episodi anche tragici,come per esempio quello dellamorte della madre asmatica, gra-zie alla scrittura brillante e ironi-ca di Dexter assumono i toni del-la farsa, altre pagine rimangonoimpresse per la loro tenerezza.Vedi il rapporto davvero specia-le che nel corso del tempo viene

a crearsi tra Spooner e Calmer,destinato a durare fino al giornoin cui sarà il primo a doversi (evolersi) prendere cura del secon-do, e vero e proprio cuore del ro-manzo. L’ex ragazzo prodigiodel baseball, che passato perun’infanzia e un’adolescenza dif-ficili non ha trovato pace nemme-no da adulto e quasi senza voler-lo si è messo a fare il mestiere digiornalista intanto che si sposa-va e vedeva cambiare l’America,scoprirà così di avere altre quali-tà. E di portare con sé cose comela compassione e la pietà.

Come Warren Spooner, an-che Pete Dexter un giorno si è ri-trovato a fare il giornalista. E co-me il suo protagonista, proprio investe di giornalista è sopravvissu-to per miracolo a un pestaggio ri-cevuto in un quartiere di Filadel-fia: dopo aver scritto un articolosull’omicidio di uno spacciatore,aveva scoperto che non era piaciu-to alla famiglia di questi, e avevadeciso di andare di persona a spie-gare le proprie ragioni senza met-tere in conto che oltre ai congiuntiavrebbe trovato una trentina diamici del defunto. Una cosa in sti-le Spooner, insomma. O vicever-sa, volendo. La critica statuniten-se ha paragonato questoromanzonientemeno che a certe pagine diMark Twain.

Di certo Pete Dexter ha scrittoil più autobiografico tra i suoi li-bri, e dunque anche il più ambi-guo. Ma che importa sapere dov’èdi preciso il confine tra finzione erealtà, dove comincia Spooner edove finisce Dexter, quando ciòche conta è che la storia si è fattaleggerecon gran godimento?

MASOLINOD’AMICO

The History of Carde-nio, o più semplicemente Car-denio, è la più famosa dellecommedie perdute di Shake-speare, che l’avrebbe scrittain collaborazione con JohnFletcher. Rappresentata nel1612 (il Bardo morì quattro an-ni dopo), non fu pubblicata néallora né, in seguito, nel cele-bre in-folio del 1623 messo in-sieme per onorare la memo-ria dell’autore. Non fu nem-meno uno dei sette lavori ag-giunti in seguito all’in-folio,sei dei quali sono oggi unani-memente ritenuti apocrifi. Sen’era perso anche il ricordoquando nel 1727 lo studiosoLewis Theobald, curatore diuna ristampa organica delleopere di Shakespeare, dichia-rò di averne rintracciato il

manoscritto originale; ma in-vece di includerlo nella suaedizione, ne propose quelloche definì un proprio rimaneg-giamento, intitolato Doppiamenzogna. Questo lavoro an-dò in scena, incontrando unadiscreta fortuna. Neanche inseguito Theobald mostrò maiil presunto autografo shake-speariano, né questo vennefuori dopo la sua morte, ali-mentando i sospetti che sitrattasse di una invenzione, incarattere coi tempi poco rigi-di nel campo della filologia.

Avida di carburante concui continuare ad alimentarela moderna industria fioritaintorno a Shakespeare, l’acca-demia moderna, o almeno unasua parte discretamente auto-revole, ha tuttavia deciso oradi attribuire a Shakespeare,e, almeno sui frontespizi, solo

a lui, il sedicente rifacimentodi Theobald, anche a costo ditapparsi occhi e orecchie da-vanti alla sua flagrante inade-guatezza. Anche ammettendoche si basi su di un originalescomparso, Doppia menzognapresenta infatti tutti i trattiun tipico rifacimento sette-centesco, epoca in cui quandosi riesumava un testo elisabet-tiano si annacquava il linguag-gio, si rimpolpavano le partidelle donne, si ingentilivano lesituazioni, si calcava sul peda-le del patetico, e in caso di tra-gedie troppo cupe, come ReLear, si cambiava il finale.

La storia desunta dall’episo-dio di Cervantes, di cui non so-pravvive nemmeno il nome delprotagonista, è convenzionale,con un nobile dissoluto che do-po aver sedotto una fanciullane concupisce una seconda, sa-botandone cinicamente il fidan-zamento segreto con un pro-prio subordinato, e offre situa-zioni canoniche come la ragaz-za che si traveste da pastorello(Shakespeare le predilesse per-ché consentivano ai giovinettiche dovevano recitare le partifemminili di essere credibili ve-stiti da uomo, ma piacquero an-cora di più dopo, quando furo-no consentite le attrici, perchéconsentivano di mostrare, at-traverso brache aderenti, legambe di una donna).

Benché nel trattamentonon baleni la minima traccia diumorismo - sarebbe il solo casonel canone -, la vicenda sem-brerebbe poi più adatta allo

Shakespeare spensierato deglianni 1590 che a quello dellecomplesse e dolorose peripezienarrate verso la fine della car-riera. E non c’è traccia della lin-gua del tardo Shakespeare, stu-diata dal grande e recentemen-te scomparso Frank Kermode,che era diventata tortuosissi-ma, un barocco estremo al po-sto del quale qui abbiamo unaserie di innocui clichés da cuinon emerge una sola espressio-ne memorabile.

Nella piattezza di tale detta-to specialisti nel rintracciarecol computer chi ha scritto co-sa quando un testo sembra ave-re più autori hanno creduto diriconoscere spesso la mano delsolitamente sciolto e pedestreJohn Fletcher. Il resto lo hannoattribuito a un ignoto - un igno-to per dare al quale il nome diWilliam Shakespeare occorremolta disinvoltura.

CHRISTIANFRASCELLA

Il protagonista delromanzo di Percival Everett(quello vero, non l’attore diIndovina chi viene a cena?) vie-ne al mondo nel 1968. Suamadre, Portia Poitier (soloomonima del divo?), è unapersona un po’ stramba madi accortissime vedute finan-ziarie. Infatti ha investitotrentamila dollari nelle azio-ni di una emergente societàtelevisiva, la Turner Commu-nications Groups.

La gestazione del nascitu-ro non termina coi nove mesicanonici, ma dura due anni:questo gravidanza miracolo-sa è oggetto di studio da par-te di luminari, e casa Poitierdiventa la meta di pellegri-naggio preferita nel quartie-re. Quando finalmente il par-golo viene alla luce, lei deci-de di chiamarlo in modo par-ticolare. Immaginatevi unbambino di colore con un no-me del genere: Non Sono Sid-ney Poitier. La donna muorenel giro di poco, proprio men-tre la Turner si appresta a di-ventare il colosso televisivoamericano che conosciamo.

Non Sono Sidney è un ra-gazzino male in arnese, inca-pace di sopportare l’ambi-guo peso del suo nome non-nome, preda degli sfottò edelle botte dei suoi coetanei.Però è ricchissimo. E il suotutore è nientemeno che TedTurner in persona, che sipreoccupa assai poco dellasua educazione ma lo ospitain un’ala della sua villa. Lapadrona di casa è l’allora con-sorte di Turner, l’attrice Ja-ne Fonda.

Non Sono Sidney, oltre alnome nefasto, ha anche unascarsa comprensione di sé.La sua identità ondeggia tra ighetti nei quali è nato e l’up-per class in cui muove i suoiprimi passi d’adolescente.Tra i pestaggi a scuola e le

escursioni in yacht in compa-gnia del padrino multimiliona-rio e dell’attrice più sexyd’America. Tra la negritudinedel suo mondo originario e gliWasp. Tanto basta (e come po-trebbe essere altrimenti?) percreare un cortocircuito nellasua maturazione.

Va detto che, se almeno èpresente un tratto già formatonel suo carattere, quello è l'au-toironia, di cui il personaggioabbonda e che fa squillare lepagine narrate in prima perso-na di un umorismo travolgen-te. Per esempio, Non Sono Sid-ney si imbatte in un oscuro te-sto di uno psichiatra austria-co, tale Anton Franz Fesmer,padre del fesmerismo (da non

confondere col mesmerismo,anche se sono più o meno lastessa cosa), tecnica di mani-polazione telepatica attraver-so lo sguardo che indurrebbegli osservati a compiere tuttigli atti sani o insani ordinatidal possessore di tale potere:«Ho letto il libro due volte e unmercoledì sono andato al par-co giochi e ho cominciato a fa-re pratica con Raymond. “NonSono Sidney, perché mi fissi a

quel modo?” Si è imbambola-to. Quel giorno gliene ho datedi santa ragione e se n’è torna-to a casa dolorante senza ave-re la più pallida idea di comefosse successo».

Ma il fesmerismo è un pote-re destinato ad attecchire solocon i deboli, come si vedrà piùavanti nella lettura. Semprepiù somigliante all’attore, il no-stro abbandona Ted Turner ei suoi interrogativi senza co-strutto («Non sono mai statocolpito da un fulmine, tu?») eparte per Los Angeles con unachiassosa Toyota. Finisce pri-ma in galera, poi evade. Torna-to mestamente da Turner,Non Sono Sidney si compreràl’ammissione al college, avràancora problemi con la giusti-zia, vivrà amori contrastati esi guadagnerà, a suo modo, unpremio, esattamente come l'at-tore di cui porta/non porta ilme. Senza tralasciare un omi-cidio da risolvere, il proprio.

Percival Everett, che quicompare anche come perso-naggio, continua a non porsi li-miti nel raccontare la sua vi-sione del mondo, soprattuttograzie a una varietà di registriche mutano di romanzo in ro-manzo: e questo suo camaleon-tismo stilistico (si pensi al noirwestern crepuscolare Ferito oal postmodernismo spinto diGlifo) lo rende autore arguto,spiazzante, avanguardista diriferimento nella scena lettera-ria americana.

IL THRILLER«LA VENDETTA» : ANNE HOLT SI RIPETE

Sangue e dubbi a fiotti= Succede a tutti, anche ai mostri come Anne Holt, diapparire svogliati, di non essere in sintonia con il sacrofuoco. Il romanzo La vendetta, (trad. di Maria TeresaCattaneo, Einaudi Stile Libero, pp. 248, € 18, uscito nel1994, ma pubblicato da noi solo ora) sembra infattisoltanto una scadenza da versare all’editore. E’ una sortadi novella breve dilatata a dismisura, densa di chiacchiereed elucubrazioni inutili. Tese esclusivamenteal fatidiconumero di pagine da onorare nel contratto. Una palude diinconcludenti vicende parallele, spesso fin troppopersonali che arrivano persino a trasformare la dura

ispettrice Hanne Wilhemsen in una sorta di casalingalesbica piuttosto frustrata. Perché allora parlarne? Perché -ammesso che rimanga una caduta isolata - è interessanteper una volta leggere una storia non tanto per arrivare adun assassino, ma per indagare sull’autore. Per scoprirnedebolezze, crisi, carattere. Per capire se l’abbandono diJohanne Vik e Yngvar Stubo (la coppia protagonista ditante vicende precedenti) e la loro sostituzione con laWilhemsen,non fosse già un chiaro segnale di stanchezza:la noia del ripetersi, l’assuefazione, il consapevoletentativo di dover ricuperare freschezza inventiva.Incunearsi tra le pagine de La vendetta è in sostanza unoscreening cerebrale della Holt, l’intrusione curiosa nellostato di salute di una beniamina che tante soddisfazioni

ha offerto in passato. La vicenda stessa incomincia inmodo caotico: la scoperta, ogni sabato, di un localediverso imbrattato da quantità oceaniche di sangue - inparte umano - senza la presenza di alcun cadavere. Perinciso: a caso risolto nessuno spiegherà - e questo è unulteriore brutto segno - dove e come l’assassino sia riuscitoa procurarsi all’ingrosso tutti quei globuli rossi.A lato di questo filone, la vicenda di un brutto stuproche, vista la nebbia in cui brancola la polizia, costringeràla vittima e suo padre (all’insaputa l’una dall’altro) acercare vendetta. Con una Anne quasi annichilita sullosfondo che, pur arrivando sempre in ritardo, vieneincredibilmente promossa. Piero Soria

Una doppiamenzognasu Cardenio

Tappandosi occhie orecchie, l’Accademiamoderna ha deciso condisinvoltura di attribuirlaall’autore elisabettiano

«Di vita si muore»:un vasto affrescodi Nadia Fusini,l’immensa ricchezzasapienziale del teatro

Per favorenon chiedetemichi viene a cena

Una scrittura brillantee ironica, i tonidella farsa si alternanocon la tenerezza,con echi di Mark Twain

Spooner, la vitaè un’imboscata

Naufragarnella Bibbiadel Bardo

«Non sono SidneyPoitier»: un’identitàche ondeggia tra ghettie upper class, avendoper tutore Ted Turner

pp William Shakespearep DOPPIA MENZOGNA

ovvero gli amanti afflittip trad. T. Fazi e E. Bistazzonip Fazi, pp.200, € 17,50

Everett Un bambino di coloree un nome difficile da indossare

pp Pete Dexterp SPOONERp trad. di Norman Gobettip Einaudi, pp. 503, € 21

pp Percival Everettp NON SONO SIDNEY POITIERp trad. M . Rossarip Nutrimenti, pp. 251, € 16,50

pp Nadia Fusinip DI VITA SI MUOREp Mondadori, pp. 495, € 22

Commedia La più famosa tra quelleandate perdute, «ritrovata» nel 1727

Saggio Lo scrigno di Shakespearee la cultura che informò il suo tempo

Lo scrittore Pete Dexter, autore di «Spooner»

Dexter Un ragazzino che finisce sempre per combinareguai, con esiti spesso catastrofici e non di rado esilaranti

.

Un ritratto di Sidney Poitier, interprete di «Indovina chi viene a cena?»

Una messa in scena teatrale del «Cardenio», la commedia ora attribuita a Shakespeare

Percival Everett

Anne Holt

Classici e scrittori stranieriIVTuttolibri

SABATO 16 OTTOBRE 2010LA STAMPA V

Nadia Fusini

Page 5: Tuttolibri n. 1736 (16-10-2010)

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PAOLOBERTINETTI

L’opera di Shakespea-re è la Bibbia di Nadia Fusini,saggista, scrittrice di romanzie anglista di fama. Lo confessalei stessa al lettore nelle primerighe del Prologo del suo ulti-mo saggio, Di vita si muore. Ecome i predicatori protestanti,profondi conoscitori delle Sa-cre Scritture, Fusini non soloconosce benissimo e cita pun-tualmente le sue (Sacre) Scrit-ture shakespeariane, ma met-te in collegamento, confronta,sostiene l’uno con l’altro i singo-li versi e momenti dei testi diShakespeare, per offrirne al let-tore la sua esegesi, per fareemergere, scrive nel Congedodel volume, «almeno un po’ del-l’immensa ricchezza sapienzia-le» che nel teatro di Shakespea-re abbonda.

Ogni tanto appaiono deisaggi contro la Bardolatria,contro una supposta soprav-valutazione dell’opera diShakespeare. Saggi che (for-se) servono per farsi notare: acosto di disconoscere il valoredel maggiore scrittore, insie-me a Dante, che la cultura oc-cidentale abbia prodotto. Fusi-ni scrive un saggio (che spessoassume il piglio del racconto,della narrazione, del discorsoaffabulatorio) che vuole inve-ce confermare tanta grandez-za. Tra i doni della vita, ci con-fida nel Prologo, «c’è senz’al-tro Shakespeare, e scoprirneil gusto accrescerà senz’altroil piacere di vivere».

Il volume ci parla del GiulioCesare e delle quattro granditragedie della maturità, Amle-to, Otello, Lear e Macbeth. Ognu-na di esse è vista come caratte-rizzata da una grande passio-

ne. Quando Shakespeare scrive,la filosofia morale francese ha ap-pena incominciato a delimitare ilsignificato che la parola avevaavuto per secoli (fino ancora aCartesio); e a conferire al termi-ne passione il significato di «affe-zione dominante», capace di in-vadere l’animo di chi la nutre.L’affezione di Bruto sarà la pas-sione della ragione; quella di Am-leto la passione del dolore, quelladi Otello non tanto la gelosia (co-me automaticamente ci verreb-be da dire), bensì la passione del-l’amore; quella di Lear la passio-ne dell’ira; quella di Macbeth, infi-ne, la passione della paura.

La riflessione sulle tragedie èaccompagnata da un vasto affre-sco sulla cultura dell’età diShakespeare, sui testi che avevaa disposizione lo scrittore elisa-bettiano per fecondare il suo la-voro creativo. Testi letterari, te-sti filosofici, trattati scientifici; e,naturalmente, la Bibbia (quelladi Ginevra, data alle stampe nel1560 e pubblicata in Inghilterranel 1576: la Bibbia di re Giacomo,oltre che monumento religiosofonte letteraria fondamentaleper tutta la cultura inglese eamericana, era ancora di là davenire). L’erudizione, quasi ma-scherata dalla scorrevolezza del-la scrittura, è il tutore dell’indagi-ne sui testi, il sostegno comple-mentare alla loro interpretazio-ne. Come quando (per citare ilcaso più illuminante) a propositodi Re Lear Fusini ci dice che latragedia andrebbe letta insiemealla Prima lettera ai Corinti, fontequasi diretta della morale chenel finale Edgar trae dalle pieto-se vicende appena concluse e dal-la difficoltà del presente.

Nel vasto scrigno dell’operadi Shakespeare troviamo unatale varietà di significati e disuggestioni da consentire lepiù diverse interpretazioni. InDi vita si muore Fusini ci rac-conta il suo Shakespeare. Ilsuo, magari diverso dal nostro,ma altrettanto persuasivo. Ilsuo, ma che appassionatamen-te vuole condividere con i letto-ri del suo appassionato saggio.

GIUSEPPECULICCHIA

Milledgeville, Geor-gia, Stati Uniti, una domenica didicembre, l'anno è il 1956: War-ren Spooner viene al mondo po-co prima del sorgere del sole epoco dopo suo fratello gemelloClifford, che essendo nato mor-to sarà per sempre il figlio predi-letto tra i quattro partoriti nelcorso della vita dalla madre Li-ly. E' quel che si dice un segnodel destino. Perché fin dal prin-cipio, la vita del protagonistadelnuovo romanzo di Pete Dexter -autore tra gli altri di Un affare difamiglia e di Il cuore nero di ParisTrout, con il quale nel 1988 havinto il National Book Award -appare contrassegnata dallasua innata capacità di calamita-re disastri. La madre, per dire, ègià passata in tenera età per larovina economica della famigliad'origine, avvenuta durante laGrande Depressione, e di conse-

guenza si ritrova a vivere con lacertezza assoluta che l'interaesistenza sia un'imboscata,«dal-la culla alla tomba». Sta di fattoche rimane presto vedova, dimodoche il piccolo Spooner nonfa nemmeno in tempo a conosce-re il padre naturale, poi sostitui-to da un ex ufficiale di marina ra-diato dalla corte marziale, taleCalmer Ottosson.

Per fortuna di Spooner, Cal-mer è davvero un tipo molto cal-mo, e paziente. Non solo. Schivoper natura, mite di carattere ededucato alla cortesia, si dimo-stra un genitore esemplare e rie-sce ad amare il figlio acquisitomalgrado questi non faccia lette-ralmente mai la cosa giusta. Inun modo o nell’altro, infatti, il ra-gazzino finisce sempre per com-binare guai, con esiti spesso ca-tastrofici e non di rado esilaran-ti, magari intrufolandosi nellecase del vicinato, oppure facen-do la pipì nelle scarpe altrui, oancora provocando ad arte inci-denti.Ma affezionarsi a lui non èdifficile, né per Calmer né per illettore. Spooner, al contrario ditanti suoi coetanei, ha il donoprezioso dell’ingenuità. E nono-stante tutto, nel suo procederequotidiano da una sciagura al-l’altra, riesce a guardare il mon-do con occhi innocenti, e a nonscoraggiarsi mai. Quanto alle ca-pacità, col passare degli annisembra possedere un altro gran-dissimo talento, oltre a quellodel criminale in erba sempre

pronto a provocare disastri. Si di-mostra un ottimo giocatore di ba-seball. Nessuno sa lanciare la pal-la meglio di lui. Ed è talmente bra-vo che presto i giornali di provin-cia cominciano a parlarne, seguitia ruota da quelli di città. Gli scoutdelle grandi squadre, sempre acaccia di giovani promesse, nonperdono tempo e si mettono sullesue tracce. Naturalmente però,forse in ossequio alla famosa leg-ge di Murphy ma più che altrotrattandosi di Spooner, anche inquesto caso qualcosa non va per ilverso giusto. Tra i nemici dei gio-vani talenti, del resto, ci sono in-nanzitutto i giovani talentistessi.

Se certi episodi anche tragici,come per esempio quello dellamorte della madre asmatica, gra-zie alla scrittura brillante e ironi-ca di Dexter assumono i toni del-la farsa, altre pagine rimangonoimpresse per la loro tenerezza.Vedi il rapporto davvero specia-le che nel corso del tempo viene

a crearsi tra Spooner e Calmer,destinato a durare fino al giornoin cui sarà il primo a doversi (evolersi) prendere cura del secon-do, e vero e proprio cuore del ro-manzo. L’ex ragazzo prodigiodel baseball, che passato perun’infanzia e un’adolescenza dif-ficili non ha trovato pace nemme-no da adulto e quasi senza voler-lo si è messo a fare il mestiere digiornalista intanto che si sposa-va e vedeva cambiare l’America,scoprirà così di avere altre quali-tà. E di portare con sé cose comela compassione e la pietà.

Come Warren Spooner, an-che Pete Dexter un giorno si è ri-trovato a fare il giornalista. E co-me il suo protagonista, proprio investe di giornalista è sopravvissu-to per miracolo a un pestaggio ri-cevuto in un quartiere di Filadel-fia: dopo aver scritto un articolosull’omicidio di uno spacciatore,aveva scoperto che non era piaciu-to alla famiglia di questi, e avevadeciso di andare di persona a spie-gare le proprie ragioni senza met-tere in conto che oltre ai congiuntiavrebbe trovato una trentina diamici del defunto. Una cosa in sti-le Spooner, insomma. O vicever-sa, volendo. La critica statuniten-se ha paragonato questoromanzonientemeno che a certe pagine diMark Twain.

Di certo Pete Dexter ha scrittoil più autobiografico tra i suoi li-bri, e dunque anche il più ambi-guo. Ma che importa sapere dov’èdi preciso il confine tra finzione erealtà, dove comincia Spooner edove finisce Dexter, quando ciòche conta è che la storia si è fattaleggerecon gran godimento?

MASOLINOD’AMICO

The History of Carde-nio, o più semplicemente Car-denio, è la più famosa dellecommedie perdute di Shake-speare, che l’avrebbe scrittain collaborazione con JohnFletcher. Rappresentata nel1612 (il Bardo morì quattro an-ni dopo), non fu pubblicata néallora né, in seguito, nel cele-bre in-folio del 1623 messo in-sieme per onorare la memo-ria dell’autore. Non fu nem-meno uno dei sette lavori ag-giunti in seguito all’in-folio,sei dei quali sono oggi unani-memente ritenuti apocrifi. Sen’era perso anche il ricordoquando nel 1727 lo studiosoLewis Theobald, curatore diuna ristampa organica delleopere di Shakespeare, dichia-rò di averne rintracciato il

manoscritto originale; ma in-vece di includerlo nella suaedizione, ne propose quelloche definì un proprio rimaneg-giamento, intitolato Doppiamenzogna. Questo lavoro an-dò in scena, incontrando unadiscreta fortuna. Neanche inseguito Theobald mostrò maiil presunto autografo shake-speariano, né questo vennefuori dopo la sua morte, ali-mentando i sospetti che sitrattasse di una invenzione, incarattere coi tempi poco rigi-di nel campo della filologia.

Avida di carburante concui continuare ad alimentarela moderna industria fioritaintorno a Shakespeare, l’acca-demia moderna, o almeno unasua parte discretamente auto-revole, ha tuttavia deciso oradi attribuire a Shakespeare,e, almeno sui frontespizi, solo

a lui, il sedicente rifacimentodi Theobald, anche a costo ditapparsi occhi e orecchie da-vanti alla sua flagrante inade-guatezza. Anche ammettendoche si basi su di un originalescomparso, Doppia menzognapresenta infatti tutti i trattiun tipico rifacimento sette-centesco, epoca in cui quandosi riesumava un testo elisabet-tiano si annacquava il linguag-gio, si rimpolpavano le partidelle donne, si ingentilivano lesituazioni, si calcava sul peda-le del patetico, e in caso di tra-gedie troppo cupe, come ReLear, si cambiava il finale.

La storia desunta dall’episo-dio di Cervantes, di cui non so-pravvive nemmeno il nome delprotagonista, è convenzionale,con un nobile dissoluto che do-po aver sedotto una fanciullane concupisce una seconda, sa-botandone cinicamente il fidan-zamento segreto con un pro-prio subordinato, e offre situa-zioni canoniche come la ragaz-za che si traveste da pastorello(Shakespeare le predilesse per-ché consentivano ai giovinettiche dovevano recitare le partifemminili di essere credibili ve-stiti da uomo, ma piacquero an-cora di più dopo, quando furo-no consentite le attrici, perchéconsentivano di mostrare, at-traverso brache aderenti, legambe di una donna).

Benché nel trattamentonon baleni la minima traccia diumorismo - sarebbe il solo casonel canone -, la vicenda sem-brerebbe poi più adatta allo

Shakespeare spensierato deglianni 1590 che a quello dellecomplesse e dolorose peripezienarrate verso la fine della car-riera. E non c’è traccia della lin-gua del tardo Shakespeare, stu-diata dal grande e recentemen-te scomparso Frank Kermode,che era diventata tortuosissi-ma, un barocco estremo al po-sto del quale qui abbiamo unaserie di innocui clichés da cuinon emerge una sola espressio-ne memorabile.

Nella piattezza di tale detta-to specialisti nel rintracciarecol computer chi ha scritto co-sa quando un testo sembra ave-re più autori hanno creduto diriconoscere spesso la mano delsolitamente sciolto e pedestreJohn Fletcher. Il resto lo hannoattribuito a un ignoto - un igno-to per dare al quale il nome diWilliam Shakespeare occorremolta disinvoltura.

CHRISTIANFRASCELLA

Il protagonista delromanzo di Percival Everett(quello vero, non l’attore diIndovina chi viene a cena?) vie-ne al mondo nel 1968. Suamadre, Portia Poitier (soloomonima del divo?), è unapersona un po’ stramba madi accortissime vedute finan-ziarie. Infatti ha investitotrentamila dollari nelle azio-ni di una emergente societàtelevisiva, la Turner Commu-nications Groups.

La gestazione del nascitu-ro non termina coi nove mesicanonici, ma dura due anni:questo gravidanza miracolo-sa è oggetto di studio da par-te di luminari, e casa Poitierdiventa la meta di pellegri-naggio preferita nel quartie-re. Quando finalmente il par-golo viene alla luce, lei deci-de di chiamarlo in modo par-ticolare. Immaginatevi unbambino di colore con un no-me del genere: Non Sono Sid-ney Poitier. La donna muorenel giro di poco, proprio men-tre la Turner si appresta a di-ventare il colosso televisivoamericano che conosciamo.

Non Sono Sidney è un ra-gazzino male in arnese, inca-pace di sopportare l’ambi-guo peso del suo nome non-nome, preda degli sfottò edelle botte dei suoi coetanei.Però è ricchissimo. E il suotutore è nientemeno che TedTurner in persona, che sipreoccupa assai poco dellasua educazione ma lo ospitain un’ala della sua villa. Lapadrona di casa è l’allora con-sorte di Turner, l’attrice Ja-ne Fonda.

Non Sono Sidney, oltre alnome nefasto, ha anche unascarsa comprensione di sé.La sua identità ondeggia tra ighetti nei quali è nato e l’up-per class in cui muove i suoiprimi passi d’adolescente.Tra i pestaggi a scuola e le

escursioni in yacht in compa-gnia del padrino multimiliona-rio e dell’attrice più sexyd’America. Tra la negritudinedel suo mondo originario e gliWasp. Tanto basta (e come po-trebbe essere altrimenti?) percreare un cortocircuito nellasua maturazione.

Va detto che, se almeno èpresente un tratto già formatonel suo carattere, quello è l'au-toironia, di cui il personaggioabbonda e che fa squillare lepagine narrate in prima perso-na di un umorismo travolgen-te. Per esempio, Non Sono Sid-ney si imbatte in un oscuro te-sto di uno psichiatra austria-co, tale Anton Franz Fesmer,padre del fesmerismo (da non

confondere col mesmerismo,anche se sono più o meno lastessa cosa), tecnica di mani-polazione telepatica attraver-so lo sguardo che indurrebbegli osservati a compiere tuttigli atti sani o insani ordinatidal possessore di tale potere:«Ho letto il libro due volte e unmercoledì sono andato al par-co giochi e ho cominciato a fa-re pratica con Raymond. “NonSono Sidney, perché mi fissi a

quel modo?” Si è imbambola-to. Quel giorno gliene ho datedi santa ragione e se n’è torna-to a casa dolorante senza ave-re la più pallida idea di comefosse successo».

Ma il fesmerismo è un pote-re destinato ad attecchire solocon i deboli, come si vedrà piùavanti nella lettura. Semprepiù somigliante all’attore, il no-stro abbandona Ted Turner ei suoi interrogativi senza co-strutto («Non sono mai statocolpito da un fulmine, tu?») eparte per Los Angeles con unachiassosa Toyota. Finisce pri-ma in galera, poi evade. Torna-to mestamente da Turner,Non Sono Sidney si compreràl’ammissione al college, avràancora problemi con la giusti-zia, vivrà amori contrastati esi guadagnerà, a suo modo, unpremio, esattamente come l'at-tore di cui porta/non porta ilme. Senza tralasciare un omi-cidio da risolvere, il proprio.

Percival Everett, che quicompare anche come perso-naggio, continua a non porsi li-miti nel raccontare la sua vi-sione del mondo, soprattuttograzie a una varietà di registriche mutano di romanzo in ro-manzo: e questo suo camaleon-tismo stilistico (si pensi al noirwestern crepuscolare Ferito oal postmodernismo spinto diGlifo) lo rende autore arguto,spiazzante, avanguardista diriferimento nella scena lettera-ria americana.

IL THRILLER«LA VENDETTA» : ANNE HOLT SI RIPETE

Sangue e dubbi a fiotti= Succede a tutti, anche ai mostri come Anne Holt, diapparire svogliati, di non essere in sintonia con il sacrofuoco. Il romanzo La vendetta, (trad. di Maria TeresaCattaneo, Einaudi Stile Libero, pp. 248, € 18, uscito nel1994, ma pubblicato da noi solo ora) sembra infattisoltanto una scadenza da versare all’editore. E’ una sortadi novella breve dilatata a dismisura, densa di chiacchiereed elucubrazioni inutili. Tese esclusivamenteal fatidiconumero di pagine da onorare nel contratto. Una palude diinconcludenti vicende parallele, spesso fin troppopersonali che arrivano persino a trasformare la dura

ispettrice Hanne Wilhemsen in una sorta di casalingalesbica piuttosto frustrata. Perché allora parlarne? Perché -ammesso che rimanga una caduta isolata - è interessanteper una volta leggere una storia non tanto per arrivare adun assassino, ma per indagare sull’autore. Per scoprirnedebolezze, crisi, carattere. Per capire se l’abbandono diJohanne Vik e Yngvar Stubo (la coppia protagonista ditante vicende precedenti) e la loro sostituzione con laWilhemsen,non fosse già un chiaro segnale di stanchezza:la noia del ripetersi, l’assuefazione, il consapevoletentativo di dover ricuperare freschezza inventiva.Incunearsi tra le pagine de La vendetta è in sostanza unoscreening cerebrale della Holt, l’intrusione curiosa nellostato di salute di una beniamina che tante soddisfazioni

ha offerto in passato. La vicenda stessa incomincia inmodo caotico: la scoperta, ogni sabato, di un localediverso imbrattato da quantità oceaniche di sangue - inparte umano - senza la presenza di alcun cadavere. Perinciso: a caso risolto nessuno spiegherà - e questo è unulteriore brutto segno - dove e come l’assassino sia riuscitoa procurarsi all’ingrosso tutti quei globuli rossi.A lato di questo filone, la vicenda di un brutto stuproche, vista la nebbia in cui brancola la polizia, costringeràla vittima e suo padre (all’insaputa l’una dall’altro) acercare vendetta. Con una Anne quasi annichilita sullosfondo che, pur arrivando sempre in ritardo, vieneincredibilmente promossa. Piero Soria

Una doppiamenzognasu Cardenio

Tappandosi occhie orecchie, l’Accademiamoderna ha deciso condisinvoltura di attribuirlaall’autore elisabettiano

«Di vita si muore»:un vasto affrescodi Nadia Fusini,l’immensa ricchezzasapienziale del teatro

Per favorenon chiedetemichi viene a cena

Una scrittura brillantee ironica, i tonidella farsa si alternanocon la tenerezza,con echi di Mark Twain

Spooner, la vitaè un’imboscata

Naufragarnella Bibbiadel Bardo

«Non sono SidneyPoitier»: un’identitàche ondeggia tra ghettie upper class, avendoper tutore Ted Turner

pp William Shakespearep DOPPIA MENZOGNA

ovvero gli amanti afflittip trad. T. Fazi e E. Bistazzonip Fazi, pp.200, € 17,50

Everett Un bambino di coloree un nome difficile da indossare

pp Pete Dexterp SPOONERp trad. di Norman Gobettip Einaudi, pp. 503, € 21

pp Percival Everettp NON SONO SIDNEY POITIERp trad. M . Rossarip Nutrimenti, pp. 251, € 16,50

pp Nadia Fusinip DI VITA SI MUOREp Mondadori, pp. 495, € 22

Commedia La più famosa tra quelleandate perdute, «ritrovata» nel 1727

Saggio Lo scrigno di Shakespearee la cultura che informò il suo tempo

Lo scrittore Pete Dexter, autore di «Spooner»

Dexter Un ragazzino che finisce sempre per combinareguai, con esiti spesso catastrofici e non di rado esilaranti

.

Un ritratto di Sidney Poitier, interprete di «Indovina chi viene a cena?»

Una messa in scena teatrale del «Cardenio», la commedia ora attribuita a Shakespeare

Percival Everett

Anne Holt

Classici e scrittori stranieriIVTuttolibri

SABATO 16 OTTOBRE 2010LA STAMPA V

Nadia Fusini

Page 6: Tuttolibri n. 1736 (16-10-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - VI - 16/10/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/06 - Autore: DANCOM - Ora di stampa: 15/10/10 19.41

GIANFRANCOMARRONE

C’era una volta la cul-tura di massa, figlia di queimezzi di comunicazione che aun pubblico indistinto appun-to si rivolgevano. Era l’epocadei media, i cui effetti economi-ci, sociali, politici sono statiprorompenti nel Novecento. Edunque caparbiamente studia-ti da ricercatori e filosofi.L’idea di fondo era semplice:ogni medium (giornale, radio,cinema, tv) esprime contenutidiversi a partire da propriespecifiche capacità espressive(parole, immagini, suoni) rivol-gendosi a persone con saperidissimili. I media sono più omeno popolari a seconda dellinguaggio che usano; la socie-tà s’articola sulla base del me-dium che ciascun suo gruppopredilige.

Ebbene, tutto questo nonc’è più, o quantomeno non c’èpiù allo stesso modo. Comespiega un intellettuale d’ecce-zione come Lev Manovich, l’af-fermarsi del computer hascompaginato l’assetto cultu-rale delle nostre società: rom-pendo gli argini fra i mezzi dicomunicazione, elaborandonuovi strumenti di gestionedelle informazioni, nuove pos-

sibilità artistiche. I cosiddettinew media (Internet, cd rom,dvd...), leggevamo dieci anni fanel suo Il linguaggio dei nuovi me-dia (Olivares), non sono altretecnologie che s’aggiungono alparco macchine dei media dimassa. Se sono nuovi non è peretà ma per altre ragioni: legatiall’informatica, possiedono lacapacità di reinventarsi di conti-nuo, producendo non contenutiinnovati ma forme per trasmet-terli. Mettere in discussione gliassetti culturali non è più il ge-sto dell’artista d’avanguardiama la missione costitutiva delcomputer o, meglio, della suaanima segreta: il software.

Oggi, scrive Manovich in Sof-tware culture, tempestivamentetradotto dalla medesima casa

editrice, la cultura, le arti, la mu-sica, la comunicazione indivi-duale e collettiva non sono piùlegate all’hardware ma ai sof-tware. Grazie ai suoi «applicati-vi», perennemente aggiornatidalle aziende produttrici e modi-

ficabili dagli utenti, il computernon è un medium ma un meta-medium. Esso simula tutti i pre-cedenti mezzi di comunicazio-ne, ne aumenta le capacità, tra-sformandoli in qualcosa di assai

diverso. Esistono software perfare fotografia, musica, cinema,televisione, informazione, grafi-ca, giochi interattivi e quant’al-tro. Anzi, senza di essi nessunadi queste operazioni è più pensa-bile: ne sono diventate dipen-denti, e sono cambiate.

Scrivere al computer non ètanto simulare l’operazione discrivere a macchina quanto po-ter fare molte più cose con undocumento testuale: visualizzar-lo con strutture diverse, scor-rerlo avanti e indietro, aggiun-gere e togliere pezzi, ricercareparole o frasi in un batter d’oc-chio ecc. Stessa cosa per la mac-china fotografica digitale, chenon è la riproduzione informati-ca di quella meccanica ma unaggeggio con il quale, per esem-

pio, possiamo ricevere subitodopo lo scatto l’approvazionedegli astanti o modificare le im-magini. Per non parlare di ma-novre molto più complesse co-me la grafica animata, la compo-sizione musicale, le interazionipostali o il disegno d’architettu-ra. Tutte queste azioni, fra l’al-tro, si intrecciano fra loro. Seprima agivamo in domini sepa-rati (scrivere o fotografare ocomporre...), oggi tutto ricade

nello stesso file, che può esserein ogni momento cambiato damolteplici utenti a partire dalsoftware che lo ha prodotto.L’interattività non è fra personema fra tecnologie, le quali pen-sano con noi, per noi, più di noi.

Occorre rendersi conto, sot-tolinea Manovich, che non vivia-mo più in un universo mediati-co ma in una cultura del softwa-re, nel bene come nel male. So-no i software a predisporre e

imporre i modelli della comuni-cazione e dell’espressione arti-stica. Modelli a partire da cui,poi, ognuno di noi genera i con-tenuti che vuole, credendo d’es-sere originale. Se così non fos-se, non accadrebbe che daquando esiste Power point tuttele comunicazioni ai convegniabbiano la stessa struttura; cheda quando s’è diffuso Autocadtutti gli edifici ricorrano allemedesime soluzioni progettua-li; o che da quando esiste iPhototutti gli album di fotografie se-guano la stessa sequenza. Cosache vale anche per i cartoni ani-mati, gli effetti speciali nei film,le melodie musicali, i giochi elet-tronici, i social network. Il pro-blema è che, di questi softwareche ci dominano e forse ci co-struiscono, sappiamo molto po-co (chi è l’autore di Office, diPhotoshop, di Acrobat?).

Nessuno se ne occupa in ter-mini antropologici, lasciandoagli informatici uno spaziod’azione che non appartiene lo-ro, e che essi gestiscono, contro-voglia, con estrema difficoltà.Come dire: lasciamo perdere al-meno una volta la televisione e isuoi pasticci d’interesse, e occu-piamoci di capire perché, scri-vendo con Word, finiamo tuttiper dire le stesse cose.

MAURIZIOCUCCHI

Un libro sul pane. Sul-la sua storia, sulle sue varie-tà, sul suo significato simboli-co, sul suo rapporto con il cor-po e con la terra, sulle suepresenze nell’arte. Un’idea si-curamente interessante e ori-ginale, che Predrag Ma-tvejevic ha svolto in un libropresentato come il frutto diun lungo, ventennale lavorodi accanita ricerca. In effettiPane nostro è opera ricchissi-ma di riferimenti storici e let-terari, di citazioni dalle qualila vicenda del nostro primoalimento emerge in una sor-prendente, poetica, moltepli-cità di prospettive.

Matvejevic, di cui ricordia-mo il precedente Breviario me-diterraneo, nonché L’altra Ve-nezia, che nel 2003 gli valse ilPremio Strega Europeo, èuno scrittore di settantottoanni, nato in Bosnia-Erzegovi-na da padre russo e madrecroata. Ha insegnato a Zaga-bria, Parigi, Roma, dove è sta-to professore ordinario di sla-vistica. Un autore dunque co-smopolita, apertissimo, chestudia il pane con ossessivo,religioso amore, che anchenella realtà lo vive con parti-colarissima attenzione, tantoche Enzo Bianchi, nella sua in-troduzione al libro, ci diceche «condividere un pastocon Predrag Matvejevic […]si-gnifica anche entrare in pos-sesso della chiave di letturadel pane, ma ancor più in pro-fondità di cosa rappresentaper l’essere umano: Predragnon ne spreca una sola bricio-la: […]lo riscopre a ogni boc-cone come cibo inaudito, co-me essenza stessa del nutri-

mento e della condivisione».Pane nostro, arricchito tra

l’altro da una bella serie di illu-strazioni che ce ne mostrano lapresenza vivissima nell’arte, ciporta nella sua esplorazione at-traverso i popoli e i secoli. Ciparla dei pani egiziani e delle lo-ro forme, a volte somiglianti al-le piramidi. Ci racconta delle di-verse forme del pane arabo: ilpane cotto sotto la cenere, il pa-ne bianco di midollo di frumen-to, il pane di farina fine. Ricor-da la sua presenza «nella fede enella preghiera», nella liturgia,«consacrato dal Talmud e dalla

Bibbia […]menzionato nel Cora-no e negli hadith islamici». E,naturalmente, si sofferma sulsuo valore centrale nel cristia-nesimo, nell’eucaristia, sul sen-so «del pane spezzato - fractiopanis in latino, krásis artous ingreco». Cita le parole di Cristo:«Io sono il pane della vita […]questo è il pane che scende dalcielo. […]Io sono il pane vivo»,cita Agostino: «Cristo nel panescende dal cielo […]. Cristo, pa-ne eterno e quotidiano […]Quando spieghiamo la SacraScrittura, noi per così direspezziamo il pane».

Molti, comunque, sono i per-corsi interni a cui Matvejevic ciintroduce, mentre Erri De Lu-ca, nella sua postfazione, sotto-linea come tra le prime, primis-sime impressioni che uno stra-niero riceve da un paese scono-sciuto c’è proprio quella del sa-pore del suo pane, tanto che«dove la lingua ci è più affine,anche il pane sembra essercimeno estraneo». Ed è allora fintroppo facile ricordare le paro-

le di Dante e quel pane altruiche «sa di sale».

Pane nostro è un’opera inso-lita che rivela il desiderio fortedi riassaporare anche moral-mente la quieta umiltà di un ali-mento che ci collega diretta-mente con la terra e con l’elabo-razione elementare e necessa-ria del suo frutto. Un libro chesuggerisce, sottostante ma benviva, la necessità di ritrovareun rapporto autentico con la re-altà più semplice ed essenziale,in un tempo che sembra muo-versi sempre più verso il super-fluo e lo spreco.

Filosofia Il «bios», la nostra appartenenza alla natura,come centro e peculiarità della ricerca teoretica italiana

La Vita pensapiù della Storia

GIANNIVATTIMO

Non sapremmo direse sia (ancora) solo un wishfulthinking; ma da vari segni -numero di traduzioni, discus-sioni sempre più frequenti invarie università, inviti a singo-li autori - si direbbe che dav-vero la filosofia italiana di og-gi stia sbarcando negli StatiUniti, affiancando o persinominacciando di scalzare lapredominante popolarità deifrancesi cominciata negli An-ni Settanta.

Non è inverosimile pensa-re che finita, o almeno abba-stanza ridotta l’egemoniafrancofona, si apra una sta-gione, se non di egemonia, al-meno di più franco riconosci-

mento della produzione filo-sofica italiana. L'egemoniafrancofona va qui richiamataanche perché, almeno a sta-re a quanto leggiamo nel sag-gio di Roberto Esposito Pen-siero vivente, l’arrivo degli ita-liani più recenti sulla scenafilosofica statunitense è se-gnato per molti aspetti an-che dall’eredità di quella pre-cedente egemonia.

Il temine «biopolitica»,che è al centro del lavoro diRoberto Esposito (del suo la-voro filosofico più in genera-le, non solo di questo ultimo li-bro) è una «invenzione» di Mi-chel Foucault. E molti stilemie, talvolta, civetterie linguisti-

che che non sempre ci piaccio-no nel libro (fatto di cinque ca-pitoli e quattro «varchi») sonola traccia di una certa egemo-nia francese nella nostra cultu-ra filosofica. Viene talvolta latentazione di ripetere a Esposi-to, in tutta amicizia, il consiglioche si dice abbia dato una voltaBenedetto Croce a un noto filo-sofo meridionale in procinto ditrasferirsi in una università delNord: «professo’, imparatevi unapuletano».

Del resto, non suoni comeuna osservazione leghista, mol-to marcata dal pensiero napole-tano è la ricostruzione cheEsposito offre della tradizionefilosofica italiana che fa da sfon-do legittimante alla nostra filo-sofia recente centrata intornoalla biopolitica: non solo Vico eDe Sanctis, ma prima di tuttoGiordano Bruno, e poi Vincen-zo Cuoco, Gentile e Croce (e ilsardo Gramsci non sarà anchelui assimilabile?).

Ma a parte ogni specificitàregionale, quello che caratteriz-za la filosofia italiana e la rendedegna di essere riconosciutaoggi come una voce originale ericca di suggerimenti per tuttoil pensiero contemporaneo nonè tanto, come spesso ci era sem-brato di riconoscere, la sua pe-culiare costante connessione

con la vita sociale e politica delpaese, mentre altre tradizionierano state sempre più attenteal rapporto con le scienze o conla letteratura.

Per Esposito - che certo nonlo ignora - questo legame vamesso sotto la categoria più ge-nerale e per lui più fondamenta-le del rapporto con la vita, con ilbios, una categoria che copreben più che la storia e la vita so-ciale, e che anzi ha una sorta diportata esplosiva proprio neiconfronti dello storicismo cheha sempre dominato il pensieroitaliano. Non «tutto è storia»,dovremmo dire come pensavaCroce, ma «tutto è vita, ossiabios» e dunque anche corporei-

tà, appartenenza elementare al-la natura (molte pagine sono de-dicate agli animali, nel libro).Anzi, se tutto è, fondamental-mente, bios, non possiamo dav-vero parlare di «tutto». Ci sonocome due sensi non perfetta-mente riducibili l'uno all'altronel discorso di Esposito: la cen-tralità della biopolitica è anchela riscoperta del conflitto.

Il libro non parla principal-mente della filosofia contempo-ranea - il capitolo sulla sua pre-senza nel panorama mondialedi oggi è solo l'ultimo - ma è unarivisitazione di tutta la storiadel pensiero italiano «sub speciebios». Che conduce a vederlacome una sorta di alternativaalla modernità almeno nella mi-sura in cui questa è stata segna-ta dalla progressiva razionaliz-zazione, che Esposito chiamaanche progressiva «immuniz-zazione», difesa da, esorcizza-zione di, ciò che persiste comeoriginario, appunto come vitanon ridotta a schemi e a catego-rie stabili.

E' questa vita che la nostratradizione - Machiavelli, Bru-no, Vico, Vincenzo Cuoco, Leo-pardi, De Sanctis, fino a Croce,Gentile e Gramsci - ha conti-nuamente mantenuto al centrodella propria attenzione, facen-done «il perno di rotazione del-

l’intera filosofia italiana».Una sorta di vera e propria

esplosione della vita in tutta lasua problematicità è, da ulti-mo, il lavoro di Pier Paolo Pa-solini, a cui Esposito dedica unappassionato e appassionantepenultimo capitolo del libro. Inomi di Gramsci e di Pasolini

ancor più che quelli «storici»dicono anche in che sensoEsposito parli di biopolitica.Che oggi gli sia possibile rico-struire dal punto di vista delbios l'intera storia della filoso-fia italiana non è un caso o ef-fetto di un colpo d'ingegno. Difatto, come ha insegnato Fou-

cault, il potere è diventato sem-pre più bio-potere, capace difoggiare le nostre vite anche intermini emozionali e corporei.Fin dalle sue origini la raziona-lizzazione industriale ha deter-minato l'organizzazione deltempo di vita delle masse, del-la loro sessualità attraverso lepolitiche della famiglia, e oggine manipola i desideri e gli ide-ali di consumo. Il bio-potere èin effetti il luogo del conflittoprincipale; e il bios, la vita(quella che, con Agamben, sichiamerebbe la «nuda vita») èanche il movente originariodella ribellione, quello che larazionalizzazione moderna hatroppo a lungo dimenticato.

Si capisce perché Espositoattribuisca tanta portata a que-

sto discorso, che gli permettedi mettere insieme, in un pro-cesso unitario e ricco di senso,molti più elementi di quelli chesi possano enumerare in unarecensione. Insieme alle picco-le civetterie stilistiche già se-gnalate, ciò che limita (di poco,confessiamolo) l'ammirazioneper il libro è, alla fin fine, unacerta genericità della catego-ria del bios, che proprio perquesto si presta a inclusioniecumeniche e rischia di vanifi-carsi. Il bios è certamente ciòche la filosofia moderna ha di-menticato, e in nome di cui ègiusto ribellarsi, anche sul pia-no teorico. Ma forse, per la bio-politica e per la politica toutcourt, va citato qui un altrogrande poeta italiano, Monta-le: «codesto solo oggi possiamodirti: ciò che non siamo, ciò chenon vogliamo».

Sono i software a farela rivoluzione culturale

L’essere umano entra mol-to presto nella «età deiperché» e non ne esce più.

Se, bambino, deve a volte taceredi fronte a non-risposte catego-riche - «perché sì! perché no!» -che mortificano la sua curiosità,viene presto la stagione in cuiogni domanda cela in realtàuna richiesta di senso, un biso-gno di motivare le scelte, di in-terpretare gli eventi, di capire lepersone che si intrecciano nel-l’esistenza di ciascuno. E quan-to più l’articolarsi di domande erisposte pare esauriente, tantopiù la sete di conoscere resta in-

soddisfatta.Si poteva immaginare, per

esempio, un corpus di domandee risposte più completo in ambi-to cristiano di quel catechismodi Pio X sul quale ancora la miagenerazione si è formata? Eppu-re, e già da tempo, una sola,grande domanda ne ha svelatola caducità: perché questo mododi trasmettere la dottrina cri-

stiana non ha più presa alcuna?Sì, l’essere umano «domanda

per sapere» e «chiede per ave-re», ma in realtà la duplice va-lenza della congiunzione cheesprime la domanda - «perché» -è rivelatrice di una potenzialitàinsita in ogni interrogativo: conil nostro perché possiamo infattichiedere la «causa» di una deter-minata realtà, ma anche il «fi-ne», la finalità, lo scopo del-l’evento o del comportamentoche ha suscitato il quesito.

Ecco, nel recente libro dimons. Ravasi Questioni di fede,(Mondadori, pp. 270, € 19) le «150risposte ai perché di chi crede e dichi non crede» (come recita il sot-

totitolo) spaziano dalla spiegazio-ne delle cause all'indicazione deipossibili effetti, suscitano altre epiù fondamentali domande, nonsi accontentano di repliche tassa-tive, immutabili in ogni luogo e inogni tempo, fanno intuire finalitàe prospettive inattese.

Sono risposte che nascono dadomande poste al presidente delPontificio Consiglio della culturada interlocutori di ogni tipo: per-sone che riconoscono a mons. Ra-vasi una rara capacità di ascoltoe di dialogo, di sintesi e di apertu-ra di senso. Anche il tenore delledomande è molto diverso, daquelle giustamente definite «pri-me» o «ultime» per la loro atti-

nenza con l’origine o con la finedella vicenda umana e creaziona-le, fino a quelle più leggere, susci-tate dalla curiosità del bambinoche non cessa mai di sonnecchia-re in ciascuno di noi.

Ma ci sono anche domande«laiche» che non sono per nullaestranee a quelle «cristiane» e al-le loro progenitrici «ebraiche»: lasete di sapere e di capire che abital'uomo non si accontenta di rispo-ste confessionali. E in questo spie-gare la Scrittura con la Scrittura,in questo allargare l'orizzonte al-la sapienza umana espressa in se-coli, mondi e culture tanto diver-se, il vescovo Ravasi è un maestroraffinato e semplice al tempo stes-so. Le sue risposte sovente non so-no definitive e non suonano maiperentorie ed escludenti: sonopiuttosto, e volutamente, risposteaperte che mostrano consapevo-lezza e convinzione della propriafede e, al contempo, rispetto e con-siderazione per l’opinione, il dub-bio, la perplessità dell’interlocuto-re. In queste pagine il teologo usatutta la sua sapienza non persfoggiare erudizione, ma per farnascere nella mente e nel cuoredel lettore quella conoscenza checiascuno possiede in sé come ad-dormentata e che, destata da uninterrogativo lancinante, può farritrovare cammini ricchi di senso.

New media L’analisi di Lev Manovich:perché il computer è un meta-medium

MARCO BELPOLITI

VICINO & LONTANOENZO BIANCHI

La fede oltreil catechismo

Le risposte di mons. Ravasiai perché di chi crede e di chi non crede

Un cibo che contrastail superfluo e lo spreco:dagli arabi al Talmud,al valore centraleche ha nel cristianesimo

Pane nostroche lievitinel mondo

NEI TASCABILI, UNA «TRENTENNE»... RIFATTA

L’infedele donna di Balzac= Torna in Oscar, una nuova edizione de La femme detrente ans, romanzo tra i più singolari, e significativi, dellaCommedia umana. Sfatando il pregiudizio che a quell’etàiniziasse il declino della seduzione femminile, Balzacall’ingenuo candore dell’eroina romantica opponeva ilfascino, la determinazione e la sensualità di una donnache, disillusa dal matrimonio e inappagata dallamaternità, ritrovava la gioia di vivere grazie alla «vocepotente dell’amore». Era il 1842, il romanzo fece scalporee il successo internazionale fu così clamoroso da ribaltareil significato dell’espressione donna di trent’anni. Non a

caso, ancora oggi balzaquiana e gentshinabalzakovskogo vozrasta (donna in età balzachiana) inportoghese e in russo indicano una donna fra i trenta e iquaranta, all’apice della sua avvenenza perché libera erealizzata. Ma Balzac, mentre nella ricerca diindipendenza e felicità della protagonista trovava spuntoper affrontare il matrimonio e l’adulterio, la maternità e lagelosia tra fratelli, rielaborava i suoi fantasmi infantili e ilrapporto con il «seno amaro», o «avaro» per dirla con laKlein, della propria madre. Un ulteriore motivo d'interesseper un romanzo il cui titolo nelle varie lingue hamantenuto opportunamente il termine «donna».Nella nuova edizione, La donna di trent’anni diventainvece La trentenne (Mondadori, pp. XLII - 228, € 8,50) e

la nuova traduzione fa rimpiangere quella di GiannaTornabuoni (Oscar 1986). Che dire di una «carrozza chesboccò» invece di «sbucare» da dietro l'angolo; di unamadre che «era gettata» e invece «giaceva» in fondo allacarrozza; di un paese «sterile» anziché «arido» o di uncuore «stuprato» anziché «avvizzito»? Quanto latraduzione penalizza il testo, il titolo disinvolto lo svilisce.Ma Mondadori ha preferito ristampare un titolo dellacollana Frassinelli acquisita in blocco, perché costa moltomeno che digitalizzare e ripagare i diritti di unatraduzione. A dispetto di Balzac e della sottoscritta checon sofferta scelta ha deciso di non ripubblicare la suaintroduzione, già rivista. Per non tradire Balzac, e i lettori. Paola Dècina Lombardi

Segue da pag. I

pp Lev Manovichp SOFTWARE CULTUREp Olivares, pp. 239, € 30p Lev Manovich, russo d'origine, è

docente di New Media Art e Sto-ria della cultura digitale a SanDiego in California. In Softwareculture espone le sue idee sullamodificazione antropologica le-gata ai programmi di computer.

GLI INEDITI QUADERNI «NEI BOSCHI DEL MAINE»

In montagna con Thoreau= Continua il lavoro dell’editore La Vita Felice dedicatoal grande maestro del Rinascimento americano H.D.Thoreau, considerato tra i padri dell’ambientalismomoderno e soprattutto uomo di rara sensibilità capace difondere il racconto del movimento dell’Uomo nellaNatura con cronache precise e asciutte, sempre in gradodi sfociare in riflessioni ancora oggi spesso attuali. Vieneora pubblicata la prima parte dei suoi quaderni giovanili,finora inediti in Italia, usciti postumi nel 1864, con il titoloI Boschi del Maine. Ktaadn, in una versione elegante diKevin Pendergast e Angela Raguso, con testo originale a

fronte, a cura di Franco Venturi (pp. 206, € 11,50).Thoreau racconta una «spedizione» esattamente comepotrebbe fare un esploratore - ne cita più d'uno neltesto, incluso il nostro Caboto - ma con la vena poeticae una capacità di osservazione che lo distinguono.Ktaadn è la storia di un viaggio-escursione al MonteKatahdin, nel selvaggio stato del Maine (per chiunquefrequenti boschi e montagne in viaggi di più giorni èassai discutibile la scelta dei traduttori di rendere«journey» con «gita»). Camminare, risalire in bateautorrenti e rapide, attraversare laghi, arrampicarsi inmaniera ruvida e selvaggia tra rocce miste a rami e poi,la montagna per giungere in luoghi dove la scopertadel mondo naturale è sempre un modo di provare a

comprendere il ruolo dell’uomo nella Natura in luoghidove «si sentiva la presenza di una forza non orientataa essere gentile con gli uomini».Tuttavia Thoreau in questi suoi appunti non è inclineall'invettiva preferendo piuttosto offrire brevi riflessioniconclusive in quasi ogni capitoletto, e lasciare a uneventuale lettore la voglia di addentrarsi nel mistero delrapporto tra Uomo e Natura, di cui l'Uomo fa parte. Ecosì si giunge alla profondità: «Forse realizzaipienamente che questa era la primitiva, nonaddomesticata e mai addomesticabile Natura, o inqualsiasi altro modo gli uomini la chiamino, mentrescendevo questo tratto della montagna». Davide Sapienza

pp Roberto Espositop PENSIERO VIVENTE. Origine

e attualità della filosofia italianap Einaudi, pp. 265, € 20

pp Predrag Matvejevicp PANE NOSTROp trad. di S. Ferrarip Garzanti, p. 240, € 18,60

L’originale excursusdi Esposito, rivisitandola tradizione napoletanada Giordano BrunoaVico, Croce e Gentile

Ostracismo:i Robinsondel naufragioquotidiano

PredragMatvejevic;

a sinistraparticolaredal dipinto

di PietroLonghi

«La polenta»,(Venezia,

1740 ca)

Il nostro pc simula,trasforma e modellascrittura e fotografia,musica e cinema,televisione e giochi

La Scrittura spiegatacon la Scrittura,l’orizzonte allargatoalla sapienza umanaespressa nei secoli

Matvejevic Attraverso i popolie i secoli: una saporosa esplorazione

H.D. ThoreauBalzac

Una scena dal «Salò» di Pasolini, cui Esposito dedica un capitolo di «Pensiero vivente»

p

Idee e cultureVITuttolibri

SABATO 16 OTTOBRE 2010LA STAMPA VII

collegato, scrive lo psicolo-go, ai rituali di esclusione,all'ostracismo, alle rabbie ealle follie, che le relazioni tracoetanei, unite e stati altera-ti della psiche, possono an-che produrre.

Non sempre tuttavial'esperienza del rifiuto gene-rano reazioni sconsiderate,e questo perché ci siamo alle-nati durante l'adolescenza aricevere piccole o grandi re-pulse amorose; ed è beneche da ragazzi si debba fareuna sorta di apprendistatoscandito da rifiuti, respingi-menti più o meno dolorosi,per poter in seguito perveni-re «a una più accurata valu-tazione del proprio valore re-lazionale».

Alla fine della lettura diquesto testo torna in mentel'analisi che Primo Levi inSe questo è un uomo dedica aisommersi e ai salvati nel La-ger. Egli nota che nella vitacomune non accade spessoche un uomo si perda, poi-ché normalmente non si èsoli, e nel suo scendereognuno di noi risulta salda-mente legato al destino deipropri vicini.

Dopo aver letto L'ostraci-smo ci si può chiedere se nel-la società individualista enarcisista attuale questo siaancora vero, se cioè siamodavvero così legati gli uniagli altri, da non dover farsubire a nessuno il destinodel «sommerso». L'illusionedell'autonomia del singolo,insieme alla necessità di es-sere on line, è andata cosìavanti che l'esclusione appa-re una delle fonti maggiori disofferenza dei singoli. Colpi-sce i più deboli: bambini, gio-vani, portatori di handicap,«diversi»; e l'ostracismo èuna pratica così diffusa dacostringere molti a un lavo-ro aggiuntivo nel tentativodi stare in equilibrio.

Quello che abbiamo per-so in termini di coesione, perquanto costrittiva e autorita-ria, non ci è stato, alla fin fi-ne restituito sul piano dellaliberazione del proprio self.A tutti potrebbe capitare didiventare di colpo dei Fan-tozzi, a cui lo psicoanalistadella mutua, storpiandone ilnome, può dire: «RagionierFantocci, lei non ha nessuncomplesso d'inferiorità! Leiè inferiore!». Sovente l'alter-nativa è tra diventare dei ca-maleonti sociali, Zelig dell'in-terattività umana e confor-misti perfetti, o svilupparela psicologia del RobinsonCrusoe per sopravvivere alnaufragio quotidiano nellerelazioni sociali. Un magrorisultato di tanto progressotecnologico ed economico.

Significativo il capitolodedicato a Pasolini,la «nuda presenza»,il corpo nel conflittocon il potere e la politica

Page 7: Tuttolibri n. 1736 (16-10-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - VII - 16/10/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/06 - Autore: DANCOM - Ora di stampa: 15/10/10 19.41

GIANFRANCOMARRONE

C’era una volta la cul-tura di massa, figlia di queimezzi di comunicazione che aun pubblico indistinto appun-to si rivolgevano. Era l’epocadei media, i cui effetti economi-ci, sociali, politici sono statiprorompenti nel Novecento. Edunque caparbiamente studia-ti da ricercatori e filosofi.L’idea di fondo era semplice:ogni medium (giornale, radio,cinema, tv) esprime contenutidiversi a partire da propriespecifiche capacità espressive(parole, immagini, suoni) rivol-gendosi a persone con saperidissimili. I media sono più omeno popolari a seconda dellinguaggio che usano; la socie-tà s’articola sulla base del me-dium che ciascun suo gruppopredilige.

Ebbene, tutto questo nonc’è più, o quantomeno non c’èpiù allo stesso modo. Comespiega un intellettuale d’ecce-zione come Lev Manovich, l’af-fermarsi del computer hascompaginato l’assetto cultu-rale delle nostre società: rom-pendo gli argini fra i mezzi dicomunicazione, elaborandonuovi strumenti di gestionedelle informazioni, nuove pos-

sibilità artistiche. I cosiddettinew media (Internet, cd rom,dvd...), leggevamo dieci anni fanel suo Il linguaggio dei nuovi me-dia (Olivares), non sono altretecnologie che s’aggiungono alparco macchine dei media dimassa. Se sono nuovi non è peretà ma per altre ragioni: legatiall’informatica, possiedono lacapacità di reinventarsi di conti-nuo, producendo non contenutiinnovati ma forme per trasmet-terli. Mettere in discussione gliassetti culturali non è più il ge-sto dell’artista d’avanguardiama la missione costitutiva delcomputer o, meglio, della suaanima segreta: il software.

Oggi, scrive Manovich in Sof-tware culture, tempestivamentetradotto dalla medesima casa

editrice, la cultura, le arti, la mu-sica, la comunicazione indivi-duale e collettiva non sono piùlegate all’hardware ma ai sof-tware. Grazie ai suoi «applicati-vi», perennemente aggiornatidalle aziende produttrici e modi-

ficabili dagli utenti, il computernon è un medium ma un meta-medium. Esso simula tutti i pre-cedenti mezzi di comunicazio-ne, ne aumenta le capacità, tra-sformandoli in qualcosa di assai

diverso. Esistono software perfare fotografia, musica, cinema,televisione, informazione, grafi-ca, giochi interattivi e quant’al-tro. Anzi, senza di essi nessunadi queste operazioni è più pensa-bile: ne sono diventate dipen-denti, e sono cambiate.

Scrivere al computer non ètanto simulare l’operazione discrivere a macchina quanto po-ter fare molte più cose con undocumento testuale: visualizzar-lo con strutture diverse, scor-rerlo avanti e indietro, aggiun-gere e togliere pezzi, ricercareparole o frasi in un batter d’oc-chio ecc. Stessa cosa per la mac-china fotografica digitale, chenon è la riproduzione informati-ca di quella meccanica ma unaggeggio con il quale, per esem-

pio, possiamo ricevere subitodopo lo scatto l’approvazionedegli astanti o modificare le im-magini. Per non parlare di ma-novre molto più complesse co-me la grafica animata, la compo-sizione musicale, le interazionipostali o il disegno d’architettu-ra. Tutte queste azioni, fra l’al-tro, si intrecciano fra loro. Seprima agivamo in domini sepa-rati (scrivere o fotografare ocomporre...), oggi tutto ricade

nello stesso file, che può esserein ogni momento cambiato damolteplici utenti a partire dalsoftware che lo ha prodotto.L’interattività non è fra personema fra tecnologie, le quali pen-sano con noi, per noi, più di noi.

Occorre rendersi conto, sot-tolinea Manovich, che non vivia-mo più in un universo mediati-co ma in una cultura del softwa-re, nel bene come nel male. So-no i software a predisporre e

imporre i modelli della comuni-cazione e dell’espressione arti-stica. Modelli a partire da cui,poi, ognuno di noi genera i con-tenuti che vuole, credendo d’es-sere originale. Se così non fos-se, non accadrebbe che daquando esiste Power point tuttele comunicazioni ai convegniabbiano la stessa struttura; cheda quando s’è diffuso Autocadtutti gli edifici ricorrano allemedesime soluzioni progettua-li; o che da quando esiste iPhototutti gli album di fotografie se-guano la stessa sequenza. Cosache vale anche per i cartoni ani-mati, gli effetti speciali nei film,le melodie musicali, i giochi elet-tronici, i social network. Il pro-blema è che, di questi softwareche ci dominano e forse ci co-struiscono, sappiamo molto po-co (chi è l’autore di Office, diPhotoshop, di Acrobat?).

Nessuno se ne occupa in ter-mini antropologici, lasciandoagli informatici uno spaziod’azione che non appartiene lo-ro, e che essi gestiscono, contro-voglia, con estrema difficoltà.Come dire: lasciamo perdere al-meno una volta la televisione e isuoi pasticci d’interesse, e occu-piamoci di capire perché, scri-vendo con Word, finiamo tuttiper dire le stesse cose.

MAURIZIOCUCCHI

Un libro sul pane. Sul-la sua storia, sulle sue varie-tà, sul suo significato simboli-co, sul suo rapporto con il cor-po e con la terra, sulle suepresenze nell’arte. Un’idea si-curamente interessante e ori-ginale, che Predrag Ma-tvejevic ha svolto in un libropresentato come il frutto diun lungo, ventennale lavorodi accanita ricerca. In effettiPane nostro è opera ricchissi-ma di riferimenti storici e let-terari, di citazioni dalle qualila vicenda del nostro primoalimento emerge in una sor-prendente, poetica, moltepli-cità di prospettive.

Matvejevic, di cui ricordia-mo il precedente Breviario me-diterraneo, nonché L’altra Ve-nezia, che nel 2003 gli valse ilPremio Strega Europeo, èuno scrittore di settantottoanni, nato in Bosnia-Erzegovi-na da padre russo e madrecroata. Ha insegnato a Zaga-bria, Parigi, Roma, dove è sta-to professore ordinario di sla-vistica. Un autore dunque co-smopolita, apertissimo, chestudia il pane con ossessivo,religioso amore, che anchenella realtà lo vive con parti-colarissima attenzione, tantoche Enzo Bianchi, nella sua in-troduzione al libro, ci diceche «condividere un pastocon Predrag Matvejevic […]si-gnifica anche entrare in pos-sesso della chiave di letturadel pane, ma ancor più in pro-fondità di cosa rappresentaper l’essere umano: Predragnon ne spreca una sola bricio-la: […]lo riscopre a ogni boc-cone come cibo inaudito, co-me essenza stessa del nutri-

mento e della condivisione».Pane nostro, arricchito tra

l’altro da una bella serie di illu-strazioni che ce ne mostrano lapresenza vivissima nell’arte, ciporta nella sua esplorazione at-traverso i popoli e i secoli. Ciparla dei pani egiziani e delle lo-ro forme, a volte somiglianti al-le piramidi. Ci racconta delle di-verse forme del pane arabo: ilpane cotto sotto la cenere, il pa-ne bianco di midollo di frumen-to, il pane di farina fine. Ricor-da la sua presenza «nella fede enella preghiera», nella liturgia,«consacrato dal Talmud e dalla

Bibbia […]menzionato nel Cora-no e negli hadith islamici». E,naturalmente, si sofferma sulsuo valore centrale nel cristia-nesimo, nell’eucaristia, sul sen-so «del pane spezzato - fractiopanis in latino, krásis artous ingreco». Cita le parole di Cristo:«Io sono il pane della vita […]questo è il pane che scende dalcielo. […]Io sono il pane vivo»,cita Agostino: «Cristo nel panescende dal cielo […]. Cristo, pa-ne eterno e quotidiano […]Quando spieghiamo la SacraScrittura, noi per così direspezziamo il pane».

Molti, comunque, sono i per-corsi interni a cui Matvejevic ciintroduce, mentre Erri De Lu-ca, nella sua postfazione, sotto-linea come tra le prime, primis-sime impressioni che uno stra-niero riceve da un paese scono-sciuto c’è proprio quella del sa-pore del suo pane, tanto che«dove la lingua ci è più affine,anche il pane sembra essercimeno estraneo». Ed è allora fintroppo facile ricordare le paro-

le di Dante e quel pane altruiche «sa di sale».

Pane nostro è un’opera inso-lita che rivela il desiderio fortedi riassaporare anche moral-mente la quieta umiltà di un ali-mento che ci collega diretta-mente con la terra e con l’elabo-razione elementare e necessa-ria del suo frutto. Un libro chesuggerisce, sottostante ma benviva, la necessità di ritrovareun rapporto autentico con la re-altà più semplice ed essenziale,in un tempo che sembra muo-versi sempre più verso il super-fluo e lo spreco.

Filosofia Il «bios», la nostra appartenenza alla natura,come centro e peculiarità della ricerca teoretica italiana

La Vita pensapiù della Storia

GIANNIVATTIMO

Non sapremmo direse sia (ancora) solo un wishfulthinking; ma da vari segni -numero di traduzioni, discus-sioni sempre più frequenti invarie università, inviti a singo-li autori - si direbbe che dav-vero la filosofia italiana di og-gi stia sbarcando negli StatiUniti, affiancando o persinominacciando di scalzare lapredominante popolarità deifrancesi cominciata negli An-ni Settanta.

Non è inverosimile pensa-re che finita, o almeno abba-stanza ridotta l’egemoniafrancofona, si apra una sta-gione, se non di egemonia, al-meno di più franco riconosci-

mento della produzione filo-sofica italiana. L'egemoniafrancofona va qui richiamataanche perché, almeno a sta-re a quanto leggiamo nel sag-gio di Roberto Esposito Pen-siero vivente, l’arrivo degli ita-liani più recenti sulla scenafilosofica statunitense è se-gnato per molti aspetti an-che dall’eredità di quella pre-cedente egemonia.

Il temine «biopolitica»,che è al centro del lavoro diRoberto Esposito (del suo la-voro filosofico più in genera-le, non solo di questo ultimo li-bro) è una «invenzione» di Mi-chel Foucault. E molti stilemie, talvolta, civetterie linguisti-

che che non sempre ci piaccio-no nel libro (fatto di cinque ca-pitoli e quattro «varchi») sonola traccia di una certa egemo-nia francese nella nostra cultu-ra filosofica. Viene talvolta latentazione di ripetere a Esposi-to, in tutta amicizia, il consiglioche si dice abbia dato una voltaBenedetto Croce a un noto filo-sofo meridionale in procinto ditrasferirsi in una università delNord: «professo’, imparatevi unapuletano».

Del resto, non suoni comeuna osservazione leghista, mol-to marcata dal pensiero napole-tano è la ricostruzione cheEsposito offre della tradizionefilosofica italiana che fa da sfon-do legittimante alla nostra filo-sofia recente centrata intornoalla biopolitica: non solo Vico eDe Sanctis, ma prima di tuttoGiordano Bruno, e poi Vincen-zo Cuoco, Gentile e Croce (e ilsardo Gramsci non sarà anchelui assimilabile?).

Ma a parte ogni specificitàregionale, quello che caratteriz-za la filosofia italiana e la rendedegna di essere riconosciutaoggi come una voce originale ericca di suggerimenti per tuttoil pensiero contemporaneo nonè tanto, come spesso ci era sem-brato di riconoscere, la sua pe-culiare costante connessione

con la vita sociale e politica delpaese, mentre altre tradizionierano state sempre più attenteal rapporto con le scienze o conla letteratura.

Per Esposito - che certo nonlo ignora - questo legame vamesso sotto la categoria più ge-nerale e per lui più fondamenta-le del rapporto con la vita, con ilbios, una categoria che copreben più che la storia e la vita so-ciale, e che anzi ha una sorta diportata esplosiva proprio neiconfronti dello storicismo cheha sempre dominato il pensieroitaliano. Non «tutto è storia»,dovremmo dire come pensavaCroce, ma «tutto è vita, ossiabios» e dunque anche corporei-

tà, appartenenza elementare al-la natura (molte pagine sono de-dicate agli animali, nel libro).Anzi, se tutto è, fondamental-mente, bios, non possiamo dav-vero parlare di «tutto». Ci sonocome due sensi non perfetta-mente riducibili l'uno all'altronel discorso di Esposito: la cen-tralità della biopolitica è anchela riscoperta del conflitto.

Il libro non parla principal-mente della filosofia contempo-ranea - il capitolo sulla sua pre-senza nel panorama mondialedi oggi è solo l'ultimo - ma è unarivisitazione di tutta la storiadel pensiero italiano «sub speciebios». Che conduce a vederlacome una sorta di alternativaalla modernità almeno nella mi-sura in cui questa è stata segna-ta dalla progressiva razionaliz-zazione, che Esposito chiamaanche progressiva «immuniz-zazione», difesa da, esorcizza-zione di, ciò che persiste comeoriginario, appunto come vitanon ridotta a schemi e a catego-rie stabili.

E' questa vita che la nostratradizione - Machiavelli, Bru-no, Vico, Vincenzo Cuoco, Leo-pardi, De Sanctis, fino a Croce,Gentile e Gramsci - ha conti-nuamente mantenuto al centrodella propria attenzione, facen-done «il perno di rotazione del-

l’intera filosofia italiana».Una sorta di vera e propria

esplosione della vita in tutta lasua problematicità è, da ulti-mo, il lavoro di Pier Paolo Pa-solini, a cui Esposito dedica unappassionato e appassionantepenultimo capitolo del libro. Inomi di Gramsci e di Pasolini

ancor più che quelli «storici»dicono anche in che sensoEsposito parli di biopolitica.Che oggi gli sia possibile rico-struire dal punto di vista delbios l'intera storia della filoso-fia italiana non è un caso o ef-fetto di un colpo d'ingegno. Difatto, come ha insegnato Fou-

cault, il potere è diventato sem-pre più bio-potere, capace difoggiare le nostre vite anche intermini emozionali e corporei.Fin dalle sue origini la raziona-lizzazione industriale ha deter-minato l'organizzazione deltempo di vita delle masse, del-la loro sessualità attraverso lepolitiche della famiglia, e oggine manipola i desideri e gli ide-ali di consumo. Il bio-potere èin effetti il luogo del conflittoprincipale; e il bios, la vita(quella che, con Agamben, sichiamerebbe la «nuda vita») èanche il movente originariodella ribellione, quello che larazionalizzazione moderna hatroppo a lungo dimenticato.

Si capisce perché Espositoattribuisca tanta portata a que-

sto discorso, che gli permettedi mettere insieme, in un pro-cesso unitario e ricco di senso,molti più elementi di quelli chesi possano enumerare in unarecensione. Insieme alle picco-le civetterie stilistiche già se-gnalate, ciò che limita (di poco,confessiamolo) l'ammirazioneper il libro è, alla fin fine, unacerta genericità della catego-ria del bios, che proprio perquesto si presta a inclusioniecumeniche e rischia di vanifi-carsi. Il bios è certamente ciòche la filosofia moderna ha di-menticato, e in nome di cui ègiusto ribellarsi, anche sul pia-no teorico. Ma forse, per la bio-politica e per la politica toutcourt, va citato qui un altrogrande poeta italiano, Monta-le: «codesto solo oggi possiamodirti: ciò che non siamo, ciò chenon vogliamo».

Sono i software a farela rivoluzione culturale

L’essere umano entra mol-to presto nella «età deiperché» e non ne esce più.

Se, bambino, deve a volte taceredi fronte a non-risposte catego-riche - «perché sì! perché no!» -che mortificano la sua curiosità,viene presto la stagione in cuiogni domanda cela in realtàuna richiesta di senso, un biso-gno di motivare le scelte, di in-terpretare gli eventi, di capire lepersone che si intrecciano nel-l’esistenza di ciascuno. E quan-to più l’articolarsi di domande erisposte pare esauriente, tantopiù la sete di conoscere resta in-

soddisfatta.Si poteva immaginare, per

esempio, un corpus di domandee risposte più completo in ambi-to cristiano di quel catechismodi Pio X sul quale ancora la miagenerazione si è formata? Eppu-re, e già da tempo, una sola,grande domanda ne ha svelatola caducità: perché questo mododi trasmettere la dottrina cri-

stiana non ha più presa alcuna?Sì, l’essere umano «domanda

per sapere» e «chiede per ave-re», ma in realtà la duplice va-lenza della congiunzione cheesprime la domanda - «perché» -è rivelatrice di una potenzialitàinsita in ogni interrogativo: conil nostro perché possiamo infattichiedere la «causa» di una deter-minata realtà, ma anche il «fi-ne», la finalità, lo scopo del-l’evento o del comportamentoche ha suscitato il quesito.

Ecco, nel recente libro dimons. Ravasi Questioni di fede,(Mondadori, pp. 270, € 19) le «150risposte ai perché di chi crede e dichi non crede» (come recita il sot-

totitolo) spaziano dalla spiegazio-ne delle cause all'indicazione deipossibili effetti, suscitano altre epiù fondamentali domande, nonsi accontentano di repliche tassa-tive, immutabili in ogni luogo e inogni tempo, fanno intuire finalitàe prospettive inattese.

Sono risposte che nascono dadomande poste al presidente delPontificio Consiglio della culturada interlocutori di ogni tipo: per-sone che riconoscono a mons. Ra-vasi una rara capacità di ascoltoe di dialogo, di sintesi e di apertu-ra di senso. Anche il tenore delledomande è molto diverso, daquelle giustamente definite «pri-me» o «ultime» per la loro atti-

nenza con l’origine o con la finedella vicenda umana e creaziona-le, fino a quelle più leggere, susci-tate dalla curiosità del bambinoche non cessa mai di sonnecchia-re in ciascuno di noi.

Ma ci sono anche domande«laiche» che non sono per nullaestranee a quelle «cristiane» e al-le loro progenitrici «ebraiche»: lasete di sapere e di capire che abital'uomo non si accontenta di rispo-ste confessionali. E in questo spie-gare la Scrittura con la Scrittura,in questo allargare l'orizzonte al-la sapienza umana espressa in se-coli, mondi e culture tanto diver-se, il vescovo Ravasi è un maestroraffinato e semplice al tempo stes-so. Le sue risposte sovente non so-no definitive e non suonano maiperentorie ed escludenti: sonopiuttosto, e volutamente, risposteaperte che mostrano consapevo-lezza e convinzione della propriafede e, al contempo, rispetto e con-siderazione per l’opinione, il dub-bio, la perplessità dell’interlocuto-re. In queste pagine il teologo usatutta la sua sapienza non persfoggiare erudizione, ma per farnascere nella mente e nel cuoredel lettore quella conoscenza checiascuno possiede in sé come ad-dormentata e che, destata da uninterrogativo lancinante, può farritrovare cammini ricchi di senso.

New media L’analisi di Lev Manovich:perché il computer è un meta-medium

MARCO BELPOLITI

VICINO & LONTANOENZO BIANCHI

La fede oltreil catechismo

Le risposte di mons. Ravasiai perché di chi crede e di chi non crede

Un cibo che contrastail superfluo e lo spreco:dagli arabi al Talmud,al valore centraleche ha nel cristianesimo

Pane nostroche lievitinel mondo

NEI TASCABILI, UNA «TRENTENNE»... RIFATTA

L’infedele donna di Balzac= Torna in Oscar, una nuova edizione de La femme detrente ans, romanzo tra i più singolari, e significativi, dellaCommedia umana. Sfatando il pregiudizio che a quell’etàiniziasse il declino della seduzione femminile, Balzacall’ingenuo candore dell’eroina romantica opponeva ilfascino, la determinazione e la sensualità di una donnache, disillusa dal matrimonio e inappagata dallamaternità, ritrovava la gioia di vivere grazie alla «vocepotente dell’amore». Era il 1842, il romanzo fece scalporee il successo internazionale fu così clamoroso da ribaltareil significato dell’espressione donna di trent’anni. Non a

caso, ancora oggi balzaquiana e gentshinabalzakovskogo vozrasta (donna in età balzachiana) inportoghese e in russo indicano una donna fra i trenta e iquaranta, all’apice della sua avvenenza perché libera erealizzata. Ma Balzac, mentre nella ricerca diindipendenza e felicità della protagonista trovava spuntoper affrontare il matrimonio e l’adulterio, la maternità e lagelosia tra fratelli, rielaborava i suoi fantasmi infantili e ilrapporto con il «seno amaro», o «avaro» per dirla con laKlein, della propria madre. Un ulteriore motivo d'interesseper un romanzo il cui titolo nelle varie lingue hamantenuto opportunamente il termine «donna».Nella nuova edizione, La donna di trent’anni diventainvece La trentenne (Mondadori, pp. XLII - 228, € 8,50) e

la nuova traduzione fa rimpiangere quella di GiannaTornabuoni (Oscar 1986). Che dire di una «carrozza chesboccò» invece di «sbucare» da dietro l'angolo; di unamadre che «era gettata» e invece «giaceva» in fondo allacarrozza; di un paese «sterile» anziché «arido» o di uncuore «stuprato» anziché «avvizzito»? Quanto latraduzione penalizza il testo, il titolo disinvolto lo svilisce.Ma Mondadori ha preferito ristampare un titolo dellacollana Frassinelli acquisita in blocco, perché costa moltomeno che digitalizzare e ripagare i diritti di unatraduzione. A dispetto di Balzac e della sottoscritta checon sofferta scelta ha deciso di non ripubblicare la suaintroduzione, già rivista. Per non tradire Balzac, e i lettori. Paola Dècina Lombardi

Segue da pag. I

pp Lev Manovichp SOFTWARE CULTUREp Olivares, pp. 239, € 30p Lev Manovich, russo d'origine, è

docente di New Media Art e Sto-ria della cultura digitale a SanDiego in California. In Softwareculture espone le sue idee sullamodificazione antropologica le-gata ai programmi di computer.

GLI INEDITI QUADERNI «NEI BOSCHI DEL MAINE»

In montagna con Thoreau= Continua il lavoro dell’editore La Vita Felice dedicatoal grande maestro del Rinascimento americano H.D.Thoreau, considerato tra i padri dell’ambientalismomoderno e soprattutto uomo di rara sensibilità capace difondere il racconto del movimento dell’Uomo nellaNatura con cronache precise e asciutte, sempre in gradodi sfociare in riflessioni ancora oggi spesso attuali. Vieneora pubblicata la prima parte dei suoi quaderni giovanili,finora inediti in Italia, usciti postumi nel 1864, con il titoloI Boschi del Maine. Ktaadn, in una versione elegante diKevin Pendergast e Angela Raguso, con testo originale a

fronte, a cura di Franco Venturi (pp. 206, € 11,50).Thoreau racconta una «spedizione» esattamente comepotrebbe fare un esploratore - ne cita più d'uno neltesto, incluso il nostro Caboto - ma con la vena poeticae una capacità di osservazione che lo distinguono.Ktaadn è la storia di un viaggio-escursione al MonteKatahdin, nel selvaggio stato del Maine (per chiunquefrequenti boschi e montagne in viaggi di più giorni èassai discutibile la scelta dei traduttori di rendere«journey» con «gita»). Camminare, risalire in bateautorrenti e rapide, attraversare laghi, arrampicarsi inmaniera ruvida e selvaggia tra rocce miste a rami e poi,la montagna per giungere in luoghi dove la scopertadel mondo naturale è sempre un modo di provare a

comprendere il ruolo dell’uomo nella Natura in luoghidove «si sentiva la presenza di una forza non orientataa essere gentile con gli uomini».Tuttavia Thoreau in questi suoi appunti non è inclineall'invettiva preferendo piuttosto offrire brevi riflessioniconclusive in quasi ogni capitoletto, e lasciare a uneventuale lettore la voglia di addentrarsi nel mistero delrapporto tra Uomo e Natura, di cui l'Uomo fa parte. Ecosì si giunge alla profondità: «Forse realizzaipienamente che questa era la primitiva, nonaddomesticata e mai addomesticabile Natura, o inqualsiasi altro modo gli uomini la chiamino, mentrescendevo questo tratto della montagna». Davide Sapienza

pp Roberto Espositop PENSIERO VIVENTE. Origine

e attualità della filosofia italianap Einaudi, pp. 265, € 20

pp Predrag Matvejevicp PANE NOSTROp trad. di S. Ferrarip Garzanti, p. 240, € 18,60

L’originale excursusdi Esposito, rivisitandola tradizione napoletanada Giordano BrunoaVico, Croce e Gentile

Ostracismo:i Robinsondel naufragioquotidiano

PredragMatvejevic;

a sinistraparticolaredal dipinto

di PietroLonghi

«La polenta»,(Venezia,

1740 ca)

Il nostro pc simula,trasforma e modellascrittura e fotografia,musica e cinema,televisione e giochi

La Scrittura spiegatacon la Scrittura,l’orizzonte allargatoalla sapienza umanaespressa nei secoli

Matvejevic Attraverso i popolie i secoli: una saporosa esplorazione

H.D. ThoreauBalzac

Una scena dal «Salò» di Pasolini, cui Esposito dedica un capitolo di «Pensiero vivente»

p

Idee e cultureVITuttolibri

SABATO 16 OTTOBRE 2010LA STAMPA VII

collegato, scrive lo psicolo-go, ai rituali di esclusione,all'ostracismo, alle rabbie ealle follie, che le relazioni tracoetanei, unite e stati altera-ti della psiche, possono an-che produrre.

Non sempre tuttavial'esperienza del rifiuto gene-rano reazioni sconsiderate,e questo perché ci siamo alle-nati durante l'adolescenza aricevere piccole o grandi re-pulse amorose; ed è beneche da ragazzi si debba fareuna sorta di apprendistatoscandito da rifiuti, respingi-menti più o meno dolorosi,per poter in seguito perveni-re «a una più accurata valu-tazione del proprio valore re-lazionale».

Alla fine della lettura diquesto testo torna in mentel'analisi che Primo Levi inSe questo è un uomo dedica aisommersi e ai salvati nel La-ger. Egli nota che nella vitacomune non accade spessoche un uomo si perda, poi-ché normalmente non si èsoli, e nel suo scendereognuno di noi risulta salda-mente legato al destino deipropri vicini.

Dopo aver letto L'ostraci-smo ci si può chiedere se nel-la società individualista enarcisista attuale questo siaancora vero, se cioè siamodavvero così legati gli uniagli altri, da non dover farsubire a nessuno il destinodel «sommerso». L'illusionedell'autonomia del singolo,insieme alla necessità di es-sere on line, è andata cosìavanti che l'esclusione appa-re una delle fonti maggiori disofferenza dei singoli. Colpi-sce i più deboli: bambini, gio-vani, portatori di handicap,«diversi»; e l'ostracismo èuna pratica così diffusa dacostringere molti a un lavo-ro aggiuntivo nel tentativodi stare in equilibrio.

Quello che abbiamo per-so in termini di coesione, perquanto costrittiva e autorita-ria, non ci è stato, alla fin fi-ne restituito sul piano dellaliberazione del proprio self.A tutti potrebbe capitare didiventare di colpo dei Fan-tozzi, a cui lo psicoanalistadella mutua, storpiandone ilnome, può dire: «RagionierFantocci, lei non ha nessuncomplesso d'inferiorità! Leiè inferiore!». Sovente l'alter-nativa è tra diventare dei ca-maleonti sociali, Zelig dell'in-terattività umana e confor-misti perfetti, o svilupparela psicologia del RobinsonCrusoe per sopravvivere alnaufragio quotidiano nellerelazioni sociali. Un magrorisultato di tanto progressotecnologico ed economico.

Significativo il capitolodedicato a Pasolini,la «nuda presenza»,il corpo nel conflittocon il potere e la politica

Page 8: Tuttolibri n. 1736 (16-10-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - VIII - 16/10/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/08 - Autore: DANCOM - Ora di stampa: 15/10/10 19.41

RUGGEROBIANCHI

Un chilo di carta (no-vecentocinquanta grammi,per l’esattezza) spalmato sumille pagine: il peso della Sto-ria si fa sentire in La cadutadei giganti, primo volume del-la «Trilogia del secolo» firma-ta da Ken Follett, che peral-tro «romanzo storico» è solonei fondamentali: il regno diGiorgio V e la presidenza diWoodrow Wilson, lo Zar e ilKaiser, Lloyd George e Win-ston Churchill, Lenin eTrockij. E naturalmente laGrande Guerra, la Rivoluzio-ne Russa, la Società delle Na-zioni e l’affacciarsi di Hitlersulla scena tedesca, l’assassi-nio di Sarajevo e le battagliedella Marna e delle Somme;con, sullo sfondo, le protestesociali, gli scioperi e le serra-te, l’antisemitismo diffuso e il

femminismo emergente, ilproibizionismo e il voto alledonne, le lotte di classe e il dif-fondersi del socialismo. Unacornice policroma che è poil'Europa (Impero Russo e Sta-ti Baltici compresi) e l'Ameri-ca (Stati Uniti ma anche Mes-sico) tra il gennaio 1914 e ilgennaio 1924, dieci anni chesconvolsero il mondo.

Tranne casi sporadici, laGrande Storia resta infatti insordina e i Grandi della Storiaentrano in gioco unicamentequando gli accadimenti della

vita, per vie misteriose pur senarrativamente assai smalizia-te, li fanno incontrare con gliumili e più o meno anonimi pro-tagonisti della saga. Quando,ad esempio,un ex-minatore rus-so alquanto puritano si ritrovaa lavorare con Lenin e Trockijo una modesta seppur svegliaservetta gallese cava d'impic-cio addirittura il Sovrano d’In-ghilterra. Nulla di simile, in-somma, alla grande tradizionedel romanzo storico (o storico/politico, o storico/sociale) an-gloamericano alla Dos Passos oanche solo alla Norman Mailero alla Gore Vidal.

Proprio queste peraltro so-no le regole del gioco di KenFollett, che solo in teoria vor-rebbe offrire un afflato epico al-la narrazione, come ai tempi diI pilastri della terra, a tutt’oggi ilsuo capolavoro. Di fatto, il ro-manzo sembra in primo luogocostruito per riscuotere il suc-cesso che infatti sta ottenendo:diligentemente informato e pre-ciso su eventi e figure reali, po-co incline ai movimenti di mas-sa ma tutto preso dalle avventu-re dei propri personaggi, atten-to sempre a usare un linguag-gio descrittivo e piano, rigoro-samente fattuale e quasi privodi subordinate (anche nei noninfrequenti ma rapidi incisi a lu-ci rosse), restio a ogni svolazzo

lirico o fantasioso o comunquetroppo impegnativo, addirittu-ra ossessivo nell’introdurre emiscelare tutti i possibili ingre-dienti che il lettore medio con-temporaneo si attende da unbestseller: sesso e sentimento,passione e dovere, privato e po-litico, ricchezza e povertà, ari-stocrazia e plebe, nightclubs ebordelli, slums e palazzi reali,miniere e tenute, prostitute ecortigiane, omosessuali e pedo-fili, stupratori e contrabbandie-ri, conservatori e progressisti eavanti così fino a esaurimento

del catalogo delle antinomie.Proprio in virtù di questo

amalgama vorticoso La cadu-ta dei giganti può legittima-mente aspirare a conquistarele classifiche. In giorni come inostri, nei quali la cultura èguardata con sospetto e domi-na in ogni campo l’urgenza divisibilità e l’ansia di evasione,qual lettura migliore di un pro-dotto dall’intreccio avvincen-te, nel quale la giovane guarda-robiera fa perdere la testa al-l’aristocratico conte, lo chauf-feur impalma l’unica erede del

boss e ne gestisce le fortune,la figlia del minatore vieneeletta nel primo parlamento aguida laburista o il giovaneproletario gallese manda ascatafascio gli intrighi dei ser-vizi segreti britannici nelle re-mote steppe della Russia?

Una storia dove tutti s'in-contrano con tutti in ogni ango-lo del globo e, se sono di sessodiverso, si sposano o copulanoe comunque fanno figli, non im-porta se legittimi o bastardi,perché tanto i loro eterogeneirampolli sono destinati a incro-

ciarsi nel sequel già annuncia-to per il prossimo anno. E do-ve, con minime eccezioni, tuttii personaggi principali sonogiovani e belli, intelligenti eiperdotati, capaci di andar ol-tre ogni ostacolo e affermarsicontro ogni difficoltà, accioc-ché alla fin fine a trionfare sia-no pur sempre i buoni senti-menti e con essi l'amore, anchequando a privilegiare le ragio-ni del cuore sono eroi o eroineche la razza, la classe, la religio-ne, la nazionalità o la guerraschiera su fronti opposti.

GIORGIOBOATTI

Con l'ultimo libro diGiancarlo De Cataldo I tradi-tori, appena pubblicato da Ei-naudi Stile Libero, il vertigi-noso farsi del Regno d'Italia,nel corso di quel quarto di se-colo zeppo di colpi di scenache approda all'unificazione,approda a un nuovo generenarrativo.

Epiche ed esplicitamentepopolari, capaci di correrecon la sprezzante velocità diun cartoon e l'impaziente sin-tesi di uno script cinemato-grafico, le quasi seicento pa-gine di De Cataldo fanno dabattistrada a un italianissi-mo stile «Southern» che simuove tra gli opposti arginidi un'irruenza sbrigativa al-la Salgari, da «Tigri di Mom-pracem», e un disincanto inperfetta sintonia con quello

de Il Gattopardo, ma ancorapiù impietoso e corrosivo. Eanche ne I traditori, propriocome nel romanzo del princi-pe di Lampedusa, non man-ca lo scenografico matrimo-nio finale. Anzi, tanto per ri-lanciare con qualche ironiala scommessa, il matrimoniomesso in scena da De Catal-do è addirittura doppio.

Dunque siamo a un girodi boa. Se gli americani han-no avuto il «Western», rac-conto della corsa all'Ovest,della spietata distruzione dei

nativi indiani e della travolgen-te corsa all'oro, ora anche noiabbiamo, con il «Southern»,un popolare affresco di un'uni-ficazione nazionale rivisitata ecorretta. Presentata comecruenta e forzata annessionedel Sud da parte di una con-traddittoria ma fortunata éli-te che dal Nord sa cavalcaregli eventi e strumentalizzarebuoni e cattivi (cattivi, soprat-tutto, che abbondano ovunqueDe Cataldo diriga lo sguardo).

Quella che ne esce - tra ri-voluzionari che tradiscono e

spie che vengono «rivoltate»da ogni potenza di passaggiocosì da non capire più chi stan-no davvero servendo - è unastoria patria sottoposta adogni capitolo a movimenti sus-sultori e ondulatori. Consolida-ti stereotipi ne escono terre-motati e venerate icone di pa-dri della patria sono messe agambe all'insù.

De Cataldo legge il caoticoe fortunato agglutinarsi dieventi che nel corso di unquarto di secolo unificanol'Italia come un «work in pro-

gress» dove un gruppetto diuomini spregiudicati - sui qua-li vola alta l'insuperabile intel-ligenza strategica di Cavourche gioca a rimpiattino con ilmisterioso carisma di Mazzini- dispiega la propria vertigino-sa partita. Questi uomini,spesso fieramente opposti gliuni agli altri, mirano alla po-sta più alta: far di tutta la Pe-nisola un solo regno su cuistendere le mani. Pur di rag-giungere questo obiettivo so-no disposti a ogni scorciatoia,compromesso, crimine. Non

esclusa l'alleanza con la ca-morra e con quell'onorata so-cietà che in quel periodo co-mincia a essere designata conun nome, «maffia», con la dop-pia effe, che diventerà benpresto noto a tutti.

L'autore prende l'avvio dal-lo sbarco di patrioti, nel 1844,in un lembo di Calabria: la sto-ria ci dice che è il tragico mas-sacro dei fratelli Bandiera, fi-gli di un ammiraglio venezia-no. Ne I traditori è anche l'ini-zio della lunga carriera di Lo-renzo di Vallelaura, veneziano

anche lui ma destinato a calca-re nei decenni successivi lescene di ogni complotto. Saràlo strumento di un bieco mae-stro spione sabaudo cresciutoalla scuola di Cavour ma diven-terà, anche, l'ombra di Mazzi-ni, seguendolo da una Londra,resa a pennellate veloci ma ef-ficaci, sino alla desolata finenella casa pisana dei Nathan.

Le donne - dalla fascinosaStriga alle varie passionarieche attorniano Mazzini e i co-spiratori - ogni volta che entra-no in scena dettano un ritmopiù vero, meno sbrigativo. Tut-to corre inarrestabile verso unfinale obbligato: dietro alla pol-vere dei campi di battaglia, al-le rivolte accese e spente alla

bisogna, alle spedizioni dei ga-ribaldini attivate a comando,cala l'annessione del Sud e l'as-soggettamento delle sue gential regno sabaudo.

Un copione scritto, passodopo passo, secondo le regoleimplacabili dettate da quellaristretta cerchia di potenti chesi muove tra Torino, Parigi eLondra e che ha ben chiaro do-ve e come si conduca il grandegioco della destabilizzazione.Ovvero come si possano piega-re le fiamme rivoluzionarie -quelle che lo storico (allora)«militante» Renzo del Carriaandò minuziosamente a censi-re nei suoi due volumi di Prole-tari senza rivoluzione, brevia-rio storico di tanti sessantotti-ni - in funzione della costruzio-ne di nuovi e più solidi baluar-di di un potere che vuole soloperpetuare se stesso.

([email protected])

MASSIMORAFFAELI

E’ così inveterato illuogo comune di un Pirandellometafisico e filosofante da im-prigionarlo nel «pirandelli-smo», come fosse uno scritto-re incapace di un romanzo co-me il faut e, meno che mai, diun grande romanzo storico-po-litico. Infatti a scuola I vecchi e igiovani (1913) non lo si legge ochi lo legge non sa se valutarloun passo indietro rispetto al Ilfu Mattia Pascal, modernissi-mo anti-romanzo di nove anniprima, ovvero un ritorno al ve-rismo dei padri (Verga, De Ro-berto) e insieme un omaggioaddolorato a quella che Leo-nardo Sciascia avrebbe poichiamata «sicilianitudine».

Invece si tratta del roman-zo più suo, sia pure scandito dauna cronologia lineare e profi-

lato in terza dimensione percui gli stessi personaggi cheprima camminavano ognunosulla propria testa, appunto al-la maniera di Mattia Pascal,ora stanno in piedi sulla nudaterra ritrovando uno status eun carattere preciso: ciò che litravolge tutti quanti non è ilvuoto di una alienazione pri-mordiale ma il meccanismo diuna storia collettiva tanto rovi-nosa e implacabile da sembra-re fatale. E’ il passo d’addio al-l’epopea di Garibaldi, un con-gedo dal Risorgimento e dai so-gni della giovinezza che LuigiPirandello, mantenendo la suavoce rigorosamente fuori cam-po, consegna a una struttura

drammaturgica di quasi cinque-cento pagine, senza un vuoto néun momento di sollievo, chemantiene il ritmo e gli accenti diuna durissima requisitoria. Duesono i fondali: la natìa Girgenti,patria di un ritardatario Medioe-vo, e Roma, capitale di una pre-sunta Terza Italia che già muorenegli intrighi dell’opportunismopolitico e nei maneggi del tra-sformismo parlamentare dovesi distinguono vecchie camicierosse, massoni e radicali passatidallo scranno alla greppia o am-biguamente convertiti, come og-gi si direbbe, al credo esclusivodella «governabilità».

Poli cronologici della vicendasono il 1892, l’anno dei Fasci sici-

liani (sollevazione di una plebearcaica e derelitta) e il ‘94, quan-do il premier Francesco Crispi,l’ex garibaldino che ora veste ladivisa di Bismarck, li reprimenel sangue e decreta nell’isola lostato d’assedio: ovvio ricordareche nell’anno intermedio, il ‘93, èscoppiato lo scandalo della Ban-ca Romana vale a dire il collasso,per diffusa corruzione e dilagan-te malversazione, della primamonarchia risorgimentale:«Nessuno aveva fiducia nelle isti-tuzioni, né mai l’aveva avuta. Lacorruzione era sopportata comeun male cronico, irrimediabile, econsiderato ingenuo o matto, im-postore o ambizioso, chiunque silevasse a gridarle contro»: infat-

ti tra la folla che gremisce I vec-chi e i giovani non c’è neanche unpersonaggio in grado di sottrar-si alla dinamica del fallimentoesistenziale e/o del tradimentoetico-politico, né l’aristocraziadei Laurentano (nella cui fami-glia c’è di tutto, dal legittimistaal socialista umanitario) né lagrossa borghesia dei Salvo (igno-rante, predatrice, che ha la solareligione della «roba») né il cetomedio della famiglia Arditi (poli-ticanti che hanno fatto mercatodella Rivoluzione), né un cleronostalgico del sanfedismo e deiBorboni. L’immenso popolo deicampi e delle zolfare, intanto, tu-multua da lontano e nel roman-zo non si vede mai. Fa eccezione

la figura del vecchio e burberoMauro Mortara, il quale ha com-battuto a Calatafimi ma il mitodei Mille che lo fa sopravvivereva in pezzi, tuttavia, nel corsodel suo primo viaggio a Roma: ilpoveruomo morirà con le meda-glie al petto, ignaro del propriodestino, sotto il piombo dei sol-dati di Crispi.

Qui è agevole affiliare Piran-dello alla grande sequenza chelegge la «sicilianitudine» comeuna metafora o anzi una sined-doche della italianità, tra la pe-renne aspettativa di un cambia-mento dal basso e la sua indero-gabile frustrazione dall’alto, dun-que dai Viceré (1894) al Gatto-pardo (‘58), da Il consiglio d'Egit-

to (‘63) di Sciascia a Il sorriso del-l’ignoto marinaio ('76) di Vincen-zo Consolo; molto più difficile èdefinirne la postura ideologicache non sia soltanto la costerna-zione disgustata o il senso di gla-ciale estraneità su cui hannoscommesso, peraltro, i maggioristudiosi del romanzo (da ultimoNino Borsellino e Massimo Ono-fri, nell’edizione Garzanti «Gran-di Libri» 1993, come Elio Provi-denti nell’utilissimo Pirandelloimpolitico. Dal radicalismo al fa-scismo, Salerno editrice 2000).In ogni caso, i discendenti e i de-

generi di Mattia Pascal prestotorneranno a camminare sullatesta o a uscirsene regolarmen-te fuori dalla stessa: quanto a lui,Pirandello, non smetterà di dete-stare la democrazia, Giolitti e ilparlamento, quindi chiederà latessera del Fascio, appena dopoil delitto Matteotti.

Come tutti i fautori dell’anti-politica, finirà con l’invocarel’Uomo Forte, lo avrà, ne rimar-rà deluso e persino disgustato,però sarà costretto a tenerseloper almeno quindici anni. A unpersonaggio de I vecchi e i giova-ni aveva suggerito a suo tempola dichiarazione che avrebbe vo-lentieri sottoscritta: «Ora la poli-tica, sa? Bisogna viverci un po’in mezzo; la politica, signor mio,che cos’è in gran parte? Un gio-co di promesse, via!». Perché ècosì che va a finire normalmen-te, in Italia, e ciò spiega il para-dosso per cui un romanzo che haquasi cento anni possa leggersioggi nel segno della più stringen-te, desolante, attualità.

«I traditori» Un popolare affresco di un’unificazione nazionale rivisitatae corretta, presentata come cruenta e forzata annessione del Sud

Follett 1914-1924, dieci anni che sconvolsero il mondo:una saga di umili dove i Grandi restano in sordina

Negli intrighi muoionole speranze d’Italia

Il romanzo di Pirandello «Ivecchi e i giovani» èdisponibile, fra l’altro, neiGrandi Libri Garzanti, a curadi M. Onofri (pp. LXXX-473,€ 11). Uscì nel 1913. Policronologici della vicendasono il 1892, l’anno deiFasci siciliani (sollevazionedi una plebe arcaica ederelitta) e il ‘94, quando ilpremier Francesco Crispi,l’ex garibaldino che oraveste la divisa di Bismarck, lireprime nel sangue.

I padri dellapatria finisconogambe all’insù

«I vecchi e i giovani» Addio Risorgimento, travolto dauna storia così rovinosa e implacabile da sembrare fatale

pp Giancarlo De Cataldop I TRADITORIp Einaudi, pp. 584, € 21p Il nostro Risorgimento racconta-

to come un «romanzo criminale»

150O

Libri d’ItaliaVerso il 2011

pp Ken Follettp LA CADUTA DEI GIGANTIp Trad. di Adriana Colombo,

Paola Frezza Pavese, NicolettaLamberti e Roberta Scarabellip Mondadori, pp. 999, € 25p Primo volume della «Trilogia del

secolo», 1914- 1924, dieci anni chesconvolsero il mondo.

«La caduta deigiganti», il primovolume della trilogiadel secolo: vincerannoi buoni sentimenti

Muoiono i Re,avanti il popolo

De Cataldo mettein scena un gruppettodi spregiudicatidisposti a ogniscorciatoia e crimine

Uno stile «Southern»tra cartoon e scriptcinematografico,tra i «Pirati» di Salgarie i «Gattopardi»

Carlo Stragliati, «Episodio delle Cinque Giornate in Piazza Sant’Alessandro», 1898,da «Ottocento. Catalogo dell’arte italiana n. 39», a cura di G. Rizzoni e L. LualdiL’attentato di Sarajevo, 1914, in una tavola di Beltrame per «La Domenica del Corriere»

«Ora la politica, sa?Bisogna viverci un po’in mezzo; che cos’èin gran parte? Un giocodi promesse, via!»

Pirandello raccontauna grande delusione,un congedo dai sogni:un duro j’accuse senzaun momento di sollievo

Ken Follett Giancarlo De Cataldo

Gerolamo Induno,«La battaglia della

Cernaia»,1857: un’altra

immaginedal Catalogo

«Ottocento» editoda Metamorfosi,

con una sezionededicata ai 150

anni dell’Italia incollaborazione con

i musei di Torino,Milano, Roma,

Genova

La storia fa romanziVIIITuttolibri

SABATO 16 OTTOBRE 2010LA STAMPA IX

Page 9: Tuttolibri n. 1736 (16-10-2010)

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RUGGEROBIANCHI

Un chilo di carta (no-vecentocinquanta grammi,per l’esattezza) spalmato sumille pagine: il peso della Sto-ria si fa sentire in La cadutadei giganti, primo volume del-la «Trilogia del secolo» firma-ta da Ken Follett, che peral-tro «romanzo storico» è solonei fondamentali: il regno diGiorgio V e la presidenza diWoodrow Wilson, lo Zar e ilKaiser, Lloyd George e Win-ston Churchill, Lenin eTrockij. E naturalmente laGrande Guerra, la Rivoluzio-ne Russa, la Società delle Na-zioni e l’affacciarsi di Hitlersulla scena tedesca, l’assassi-nio di Sarajevo e le battagliedella Marna e delle Somme;con, sullo sfondo, le protestesociali, gli scioperi e le serra-te, l’antisemitismo diffuso e il

femminismo emergente, ilproibizionismo e il voto alledonne, le lotte di classe e il dif-fondersi del socialismo. Unacornice policroma che è poil'Europa (Impero Russo e Sta-ti Baltici compresi) e l'Ameri-ca (Stati Uniti ma anche Mes-sico) tra il gennaio 1914 e ilgennaio 1924, dieci anni chesconvolsero il mondo.

Tranne casi sporadici, laGrande Storia resta infatti insordina e i Grandi della Storiaentrano in gioco unicamentequando gli accadimenti della

vita, per vie misteriose pur senarrativamente assai smalizia-te, li fanno incontrare con gliumili e più o meno anonimi pro-tagonisti della saga. Quando,ad esempio,un ex-minatore rus-so alquanto puritano si ritrovaa lavorare con Lenin e Trockijo una modesta seppur svegliaservetta gallese cava d'impic-cio addirittura il Sovrano d’In-ghilterra. Nulla di simile, in-somma, alla grande tradizionedel romanzo storico (o storico/politico, o storico/sociale) an-gloamericano alla Dos Passos oanche solo alla Norman Mailero alla Gore Vidal.

Proprio queste peraltro so-no le regole del gioco di KenFollett, che solo in teoria vor-rebbe offrire un afflato epico al-la narrazione, come ai tempi diI pilastri della terra, a tutt’oggi ilsuo capolavoro. Di fatto, il ro-manzo sembra in primo luogocostruito per riscuotere il suc-cesso che infatti sta ottenendo:diligentemente informato e pre-ciso su eventi e figure reali, po-co incline ai movimenti di mas-sa ma tutto preso dalle avventu-re dei propri personaggi, atten-to sempre a usare un linguag-gio descrittivo e piano, rigoro-samente fattuale e quasi privodi subordinate (anche nei noninfrequenti ma rapidi incisi a lu-ci rosse), restio a ogni svolazzo

lirico o fantasioso o comunquetroppo impegnativo, addirittu-ra ossessivo nell’introdurre emiscelare tutti i possibili ingre-dienti che il lettore medio con-temporaneo si attende da unbestseller: sesso e sentimento,passione e dovere, privato e po-litico, ricchezza e povertà, ari-stocrazia e plebe, nightclubs ebordelli, slums e palazzi reali,miniere e tenute, prostitute ecortigiane, omosessuali e pedo-fili, stupratori e contrabbandie-ri, conservatori e progressisti eavanti così fino a esaurimento

del catalogo delle antinomie.Proprio in virtù di questo

amalgama vorticoso La cadu-ta dei giganti può legittima-mente aspirare a conquistarele classifiche. In giorni come inostri, nei quali la cultura èguardata con sospetto e domi-na in ogni campo l’urgenza divisibilità e l’ansia di evasione,qual lettura migliore di un pro-dotto dall’intreccio avvincen-te, nel quale la giovane guarda-robiera fa perdere la testa al-l’aristocratico conte, lo chauf-feur impalma l’unica erede del

boss e ne gestisce le fortune,la figlia del minatore vieneeletta nel primo parlamento aguida laburista o il giovaneproletario gallese manda ascatafascio gli intrighi dei ser-vizi segreti britannici nelle re-mote steppe della Russia?

Una storia dove tutti s'in-contrano con tutti in ogni ango-lo del globo e, se sono di sessodiverso, si sposano o copulanoe comunque fanno figli, non im-porta se legittimi o bastardi,perché tanto i loro eterogeneirampolli sono destinati a incro-

ciarsi nel sequel già annuncia-to per il prossimo anno. E do-ve, con minime eccezioni, tuttii personaggi principali sonogiovani e belli, intelligenti eiperdotati, capaci di andar ol-tre ogni ostacolo e affermarsicontro ogni difficoltà, accioc-ché alla fin fine a trionfare sia-no pur sempre i buoni senti-menti e con essi l'amore, anchequando a privilegiare le ragio-ni del cuore sono eroi o eroineche la razza, la classe, la religio-ne, la nazionalità o la guerraschiera su fronti opposti.

GIORGIOBOATTI

Con l'ultimo libro diGiancarlo De Cataldo I tradi-tori, appena pubblicato da Ei-naudi Stile Libero, il vertigi-noso farsi del Regno d'Italia,nel corso di quel quarto di se-colo zeppo di colpi di scenache approda all'unificazione,approda a un nuovo generenarrativo.

Epiche ed esplicitamentepopolari, capaci di correrecon la sprezzante velocità diun cartoon e l'impaziente sin-tesi di uno script cinemato-grafico, le quasi seicento pa-gine di De Cataldo fanno dabattistrada a un italianissi-mo stile «Southern» che simuove tra gli opposti arginidi un'irruenza sbrigativa al-la Salgari, da «Tigri di Mom-pracem», e un disincanto inperfetta sintonia con quello

de Il Gattopardo, ma ancorapiù impietoso e corrosivo. Eanche ne I traditori, propriocome nel romanzo del princi-pe di Lampedusa, non man-ca lo scenografico matrimo-nio finale. Anzi, tanto per ri-lanciare con qualche ironiala scommessa, il matrimoniomesso in scena da De Catal-do è addirittura doppio.

Dunque siamo a un girodi boa. Se gli americani han-no avuto il «Western», rac-conto della corsa all'Ovest,della spietata distruzione dei

nativi indiani e della travolgen-te corsa all'oro, ora anche noiabbiamo, con il «Southern»,un popolare affresco di un'uni-ficazione nazionale rivisitata ecorretta. Presentata comecruenta e forzata annessionedel Sud da parte di una con-traddittoria ma fortunata éli-te che dal Nord sa cavalcaregli eventi e strumentalizzarebuoni e cattivi (cattivi, soprat-tutto, che abbondano ovunqueDe Cataldo diriga lo sguardo).

Quella che ne esce - tra ri-voluzionari che tradiscono e

spie che vengono «rivoltate»da ogni potenza di passaggiocosì da non capire più chi stan-no davvero servendo - è unastoria patria sottoposta adogni capitolo a movimenti sus-sultori e ondulatori. Consolida-ti stereotipi ne escono terre-motati e venerate icone di pa-dri della patria sono messe agambe all'insù.

De Cataldo legge il caoticoe fortunato agglutinarsi dieventi che nel corso di unquarto di secolo unificanol'Italia come un «work in pro-

gress» dove un gruppetto diuomini spregiudicati - sui qua-li vola alta l'insuperabile intel-ligenza strategica di Cavourche gioca a rimpiattino con ilmisterioso carisma di Mazzini- dispiega la propria vertigino-sa partita. Questi uomini,spesso fieramente opposti gliuni agli altri, mirano alla po-sta più alta: far di tutta la Pe-nisola un solo regno su cuistendere le mani. Pur di rag-giungere questo obiettivo so-no disposti a ogni scorciatoia,compromesso, crimine. Non

esclusa l'alleanza con la ca-morra e con quell'onorata so-cietà che in quel periodo co-mincia a essere designata conun nome, «maffia», con la dop-pia effe, che diventerà benpresto noto a tutti.

L'autore prende l'avvio dal-lo sbarco di patrioti, nel 1844,in un lembo di Calabria: la sto-ria ci dice che è il tragico mas-sacro dei fratelli Bandiera, fi-gli di un ammiraglio venezia-no. Ne I traditori è anche l'ini-zio della lunga carriera di Lo-renzo di Vallelaura, veneziano

anche lui ma destinato a calca-re nei decenni successivi lescene di ogni complotto. Saràlo strumento di un bieco mae-stro spione sabaudo cresciutoalla scuola di Cavour ma diven-terà, anche, l'ombra di Mazzi-ni, seguendolo da una Londra,resa a pennellate veloci ma ef-ficaci, sino alla desolata finenella casa pisana dei Nathan.

Le donne - dalla fascinosaStriga alle varie passionarieche attorniano Mazzini e i co-spiratori - ogni volta che entra-no in scena dettano un ritmopiù vero, meno sbrigativo. Tut-to corre inarrestabile verso unfinale obbligato: dietro alla pol-vere dei campi di battaglia, al-le rivolte accese e spente alla

bisogna, alle spedizioni dei ga-ribaldini attivate a comando,cala l'annessione del Sud e l'as-soggettamento delle sue gential regno sabaudo.

Un copione scritto, passodopo passo, secondo le regoleimplacabili dettate da quellaristretta cerchia di potenti chesi muove tra Torino, Parigi eLondra e che ha ben chiaro do-ve e come si conduca il grandegioco della destabilizzazione.Ovvero come si possano piega-re le fiamme rivoluzionarie -quelle che lo storico (allora)«militante» Renzo del Carriaandò minuziosamente a censi-re nei suoi due volumi di Prole-tari senza rivoluzione, brevia-rio storico di tanti sessantotti-ni - in funzione della costruzio-ne di nuovi e più solidi baluar-di di un potere che vuole soloperpetuare se stesso.

([email protected])

MASSIMORAFFAELI

E’ così inveterato illuogo comune di un Pirandellometafisico e filosofante da im-prigionarlo nel «pirandelli-smo», come fosse uno scritto-re incapace di un romanzo co-me il faut e, meno che mai, diun grande romanzo storico-po-litico. Infatti a scuola I vecchi e igiovani (1913) non lo si legge ochi lo legge non sa se valutarloun passo indietro rispetto al Ilfu Mattia Pascal, modernissi-mo anti-romanzo di nove anniprima, ovvero un ritorno al ve-rismo dei padri (Verga, De Ro-berto) e insieme un omaggioaddolorato a quella che Leo-nardo Sciascia avrebbe poichiamata «sicilianitudine».

Invece si tratta del roman-zo più suo, sia pure scandito dauna cronologia lineare e profi-

lato in terza dimensione percui gli stessi personaggi cheprima camminavano ognunosulla propria testa, appunto al-la maniera di Mattia Pascal,ora stanno in piedi sulla nudaterra ritrovando uno status eun carattere preciso: ciò che litravolge tutti quanti non è ilvuoto di una alienazione pri-mordiale ma il meccanismo diuna storia collettiva tanto rovi-nosa e implacabile da sembra-re fatale. E’ il passo d’addio al-l’epopea di Garibaldi, un con-gedo dal Risorgimento e dai so-gni della giovinezza che LuigiPirandello, mantenendo la suavoce rigorosamente fuori cam-po, consegna a una struttura

drammaturgica di quasi cinque-cento pagine, senza un vuoto néun momento di sollievo, chemantiene il ritmo e gli accenti diuna durissima requisitoria. Duesono i fondali: la natìa Girgenti,patria di un ritardatario Medioe-vo, e Roma, capitale di una pre-sunta Terza Italia che già muorenegli intrighi dell’opportunismopolitico e nei maneggi del tra-sformismo parlamentare dovesi distinguono vecchie camicierosse, massoni e radicali passatidallo scranno alla greppia o am-biguamente convertiti, come og-gi si direbbe, al credo esclusivodella «governabilità».

Poli cronologici della vicendasono il 1892, l’anno dei Fasci sici-

liani (sollevazione di una plebearcaica e derelitta) e il ‘94, quan-do il premier Francesco Crispi,l’ex garibaldino che ora veste ladivisa di Bismarck, li reprimenel sangue e decreta nell’isola lostato d’assedio: ovvio ricordareche nell’anno intermedio, il ‘93, èscoppiato lo scandalo della Ban-ca Romana vale a dire il collasso,per diffusa corruzione e dilagan-te malversazione, della primamonarchia risorgimentale:«Nessuno aveva fiducia nelle isti-tuzioni, né mai l’aveva avuta. Lacorruzione era sopportata comeun male cronico, irrimediabile, econsiderato ingenuo o matto, im-postore o ambizioso, chiunque silevasse a gridarle contro»: infat-

ti tra la folla che gremisce I vec-chi e i giovani non c’è neanche unpersonaggio in grado di sottrar-si alla dinamica del fallimentoesistenziale e/o del tradimentoetico-politico, né l’aristocraziadei Laurentano (nella cui fami-glia c’è di tutto, dal legittimistaal socialista umanitario) né lagrossa borghesia dei Salvo (igno-rante, predatrice, che ha la solareligione della «roba») né il cetomedio della famiglia Arditi (poli-ticanti che hanno fatto mercatodella Rivoluzione), né un cleronostalgico del sanfedismo e deiBorboni. L’immenso popolo deicampi e delle zolfare, intanto, tu-multua da lontano e nel roman-zo non si vede mai. Fa eccezione

la figura del vecchio e burberoMauro Mortara, il quale ha com-battuto a Calatafimi ma il mitodei Mille che lo fa sopravvivereva in pezzi, tuttavia, nel corsodel suo primo viaggio a Roma: ilpoveruomo morirà con le meda-glie al petto, ignaro del propriodestino, sotto il piombo dei sol-dati di Crispi.

Qui è agevole affiliare Piran-dello alla grande sequenza chelegge la «sicilianitudine» comeuna metafora o anzi una sined-doche della italianità, tra la pe-renne aspettativa di un cambia-mento dal basso e la sua indero-gabile frustrazione dall’alto, dun-que dai Viceré (1894) al Gatto-pardo (‘58), da Il consiglio d'Egit-

to (‘63) di Sciascia a Il sorriso del-l’ignoto marinaio ('76) di Vincen-zo Consolo; molto più difficile èdefinirne la postura ideologicache non sia soltanto la costerna-zione disgustata o il senso di gla-ciale estraneità su cui hannoscommesso, peraltro, i maggioristudiosi del romanzo (da ultimoNino Borsellino e Massimo Ono-fri, nell’edizione Garzanti «Gran-di Libri» 1993, come Elio Provi-denti nell’utilissimo Pirandelloimpolitico. Dal radicalismo al fa-scismo, Salerno editrice 2000).In ogni caso, i discendenti e i de-

generi di Mattia Pascal prestotorneranno a camminare sullatesta o a uscirsene regolarmen-te fuori dalla stessa: quanto a lui,Pirandello, non smetterà di dete-stare la democrazia, Giolitti e ilparlamento, quindi chiederà latessera del Fascio, appena dopoil delitto Matteotti.

Come tutti i fautori dell’anti-politica, finirà con l’invocarel’Uomo Forte, lo avrà, ne rimar-rà deluso e persino disgustato,però sarà costretto a tenerseloper almeno quindici anni. A unpersonaggio de I vecchi e i giova-ni aveva suggerito a suo tempola dichiarazione che avrebbe vo-lentieri sottoscritta: «Ora la poli-tica, sa? Bisogna viverci un po’in mezzo; la politica, signor mio,che cos’è in gran parte? Un gio-co di promesse, via!». Perché ècosì che va a finire normalmen-te, in Italia, e ciò spiega il para-dosso per cui un romanzo che haquasi cento anni possa leggersioggi nel segno della più stringen-te, desolante, attualità.

«I traditori» Un popolare affresco di un’unificazione nazionale rivisitatae corretta, presentata come cruenta e forzata annessione del Sud

Follett 1914-1924, dieci anni che sconvolsero il mondo:una saga di umili dove i Grandi restano in sordina

Negli intrighi muoionole speranze d’Italia

Il romanzo di Pirandello «Ivecchi e i giovani» èdisponibile, fra l’altro, neiGrandi Libri Garzanti, a curadi M. Onofri (pp. LXXX-473,€ 11). Uscì nel 1913. Policronologici della vicendasono il 1892, l’anno deiFasci siciliani (sollevazionedi una plebe arcaica ederelitta) e il ‘94, quando ilpremier Francesco Crispi,l’ex garibaldino che oraveste la divisa di Bismarck, lireprime nel sangue.

I padri dellapatria finisconogambe all’insù

«I vecchi e i giovani» Addio Risorgimento, travolto dauna storia così rovinosa e implacabile da sembrare fatale

pp Giancarlo De Cataldop I TRADITORIp Einaudi, pp. 584, € 21p Il nostro Risorgimento racconta-

to come un «romanzo criminale»

150O

Libri d’ItaliaVerso il 2011

pp Ken Follettp LA CADUTA DEI GIGANTIp Trad. di Adriana Colombo,

Paola Frezza Pavese, NicolettaLamberti e Roberta Scarabellip Mondadori, pp. 999, € 25p Primo volume della «Trilogia del

secolo», 1914- 1924, dieci anni chesconvolsero il mondo.

«La caduta deigiganti», il primovolume della trilogiadel secolo: vincerannoi buoni sentimenti

Muoiono i Re,avanti il popolo

De Cataldo mettein scena un gruppettodi spregiudicatidisposti a ogniscorciatoia e crimine

Uno stile «Southern»tra cartoon e scriptcinematografico,tra i «Pirati» di Salgarie i «Gattopardi»

Carlo Stragliati, «Episodio delle Cinque Giornate in Piazza Sant’Alessandro», 1898,da «Ottocento. Catalogo dell’arte italiana n. 39», a cura di G. Rizzoni e L. LualdiL’attentato di Sarajevo, 1914, in una tavola di Beltrame per «La Domenica del Corriere»

«Ora la politica, sa?Bisogna viverci un po’in mezzo; che cos’èin gran parte? Un giocodi promesse, via!»

Pirandello raccontauna grande delusione,un congedo dai sogni:un duro j’accuse senzaun momento di sollievo

Ken Follett Giancarlo De Cataldo

Gerolamo Induno,«La battaglia della

Cernaia»,1857: un’altra

immaginedal Catalogo

«Ottocento» editoda Metamorfosi,

con una sezionededicata ai 150

anni dell’Italia incollaborazione con

i musei di Torino,Milano, Roma,

Genova

La storia fa romanziVIIITuttolibri

SABATO 16 OTTOBRE 2010LA STAMPA IX

Page 10: Tuttolibri n. 1736 (16-10-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - X - 16/10/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/10 - Autore: DANCOM - Ora di stampa: 15/10/10 19.42

333

2324 97 8

43100

Dell’amoree del doloredelle donneVERONESIEINAUDI

Accabadora

MURGIAEINAUDI

23

LEIELUI

DECARLOBOMPIANI

I vinti nondimenticano

PANSARIZZOLI

La solitudinedeinumeri primiGIORDANOMONDADORI

31

L’intermittenza

CAMILLERIMONDADORI

6

La cadutadeigigantiFOLLETTMONDADORI

29 24

CanaleMussolini

PENNACCHIMONDADORI

33

Le valchirie

COELHOBOMPIANI

MangiapregaamaGILBERTRIZZOLI

10

Saggistica TascabiliNarrativaitaliana

Narrativastraniera Varia

5

Ragazzi

21

LA CLASSIFICA DI TUTTOLIBRI È REALIZZATA DALLA SOCIETÀ NIELSEN BOOKSCAN, ANALIZZANDO I DATI DELLE COPIE VENDUTE OGNI SETTIMANA, RACCOLTI IN UN CAMPIONE DI 900 LIBRERIE.SI ASSEGNANO I 100 PUNTI AL TITOLO PIÙ VENDUTO TRA LE NOVITÀ. TUTTI GLI ALTRI SONO CALCOLATI IN PROPORZIONE. LA RILEVAZIONE SI RIFERISCE AI GIORNI DAL 3 AL 9 OTTOBRE.

4

1. Lasolitudine deinumeriprimi 43GIORDANO 13,00 MONDADORI

2. Il piccolo principe 14SAINT-EXUPERY 7,50 BOMPIANI

3. Maigret a Vichy 13SIMENON 9,00 ADELPHI

4. È una vita che ti aspetto 12VOLO 9,00 MONDADORI

5. Il giorno in più 10VOLO 12,00 MONDADORI

6. L’ombra del vento 8RUIZ ZAFÓN 13,00 MONDADORI

7. Un posto nel mondo 8VOLO 12,00 MONDADORI

8. I pilastri della terra 8FOLLETT 14,00 MONDADORI

9. Non avevo capito niente 8DE SILVA 11,00 EINAUDI

10. Esco a fare due passi 8VOLO 9,00 MONDADORI

1. La caduta dei giganti 100FOLLETT 25,00 MONDADORI

2. Mangia prega ama 33GILBERT 18,50 RIZZOLI

3. Le valchirie 29COELHO 18,00 BOMPIANI

4. La psichiatra 16DORN 18,60 CORBACCIO

5. Hunted. La casa della notte 14CAST & CAST 16,50 NORD

6. Un viaggio chiamato vita 14YOSHIMOTO 13,00 FELTRINELLI

7. I love mini shopping 12KINSELLA 19,50 MONDADORI

8. La controvita 12ROTH 21,00 EINAUDI

9. Il malinteso 11NEMIROVSKY 12,00 ADELPHI

10. Povera piccina 11DENNIS 22,00 ADELPHI

Questa è una dichiarazioned’amore. Lui è Alex Ross,newyorchese, quaranten-

ne, pelatino, jeans e maglietta,non bello (sarebbe banale), gay. Èl’autore di Il resto è silenzio, stre-pitosa cavalcata attraverso la sto-ria della musica del Novecento,un grande successo, l’ha tradottoBompiani. È suo anche il blog, im-perdibile, egualmente intitolatoThe Rest is Noise.

Il blog, appunto. Alex Ross haappena pubblicato negli StatiUniti un altro libro, titolo Listento this, che è poi una raccolta di 19saggi, tutti tranne uno già uscitisul New Yorker, la rivista dovescrive. Libro? In un libro, l’autorenon si disporrebbe al centro di unpiccolo palcoscenico, con un piani-sta, un mezzosoprano e un bassi-sta a semicerchio alle sue spalle, enon ti guarderebbe negli occhi perspiegare, con sobria e civile gesti-colazione da americano colto (ecult), che esiste una linea di basso,una sequenza di note discendenti,la quale attraversa «come un fila-

mento di Dna» la storia della musi-ca dal Barocco fino a Bob Dylan; e,se fosse un libro, l’autore non am-morbidirebbe lo sguardo e non sorri-derebbe appena, facendo eseguiredai suoi musicisti quello stesso pat-tern di note in Flow my Tears diDowland («da cui il romanzo diPhilip Dick»), e poi attraverso Mon-teverdi, Purcell, Bach, Beethoven,

Ciaikovskij, fino a Michelle dei Be-atles, Hotel California degli Eaglese Simple Twist of Fate di Bob Dy-lan. E, se fosse un libro, tu lettore,scorrendo l’indice (Radiohead, Esa-Pekka Salonen, Schubert, Björk, Si-natra, Brahms, Led Zeppelin, Mit-suko Uchida...), non potresti schiac-ciare la pagina e ascoltare: OttoKlemperer che dirige la Philharmo-nia Orchestra nell’Eroica, BrunoMaderna, Cecil Taylor, Sonic You-th, Mozart, Duke Ellington, e que-sto solo (e non solo questo) nel pri-mo capitolo. Né potresti schiacciareun po’ più in là e farti arrivare a ca-sa proprio quel disco di Klemperer,Maderna, Ellington eccetera.

Certo, con la musica è più facilemescolare pagina stampata e web,irradiare la divulgazione shuffle,alternando generi musicali e generimediatici (libro, video, file audio, se-rate nei teatri, iPad, iPod, iTunes).Forse altrettanto si potrebbe farecon la storia dell’arte, o del cinema,purché con pari erudizione e con pa-ri vivacità. Lui però, Alex Ross, l’hagià fatto.

1. Cotto e mangiato 21PARODI 14,90 VALLARDI

2. Instant English 11SLOAN 16,90 GRIBAUDO

3. È facile smettere di fumare... 10CARR 10,00 EWI

4. The secret 6BYRNE 18,60 MACRO EDIZIONI

5. Manuale del guerriero... 4COELHO 10,00 BOMPIANI

6. Peccati di gola 4MONTERSINO 19,90 SITCOM

7. Il vocabolario della lingua latina 4CASTIGLIONI & MARIOTTI 92,50 LOESCHER

8. Guinness World Records 2011 4- 28,00 MONDADORI

9. Gli uomini vengonoda Marte... 4GRAY 15,00 RIZZOLI

10. Torte salate, pizze e focacce 3- 5,90 GIUNTI

1. Sesto viaggio nel regno... 12STILTON 23,50 PIEMME

2. La storia dei promessi sposi 12ECO 12,90 L’ESPRESSO

3. Il mio primo dizionario. Nuovo MIOT 12- 9,90 GIUNTI JUNIOR

4. La storia di Don Giovanni 8BARICCO 12,90 L’ESPRESSO

5. Il mio primo dizionario. Nuovo MIOT 6- 12,50 GIUNTI JUNIOR

6. Il piccolo principe 6SAINT-EXUPERY 30,00 BOMPIANI

7. Caccia al libro d’oro 5STILTON 14,50 PIEMME

8. Il diario segreto di Antonella 5- 16,50 SPERLING & KUPFER

9. Toy story 5- 34,90 WALT DISNEY

10. La casa diTopolino 4- 12,90 WALT DISNEY

I PRIMI DIECI INDAGINE NIELSEN BOOKSCAN

Il placido Follett rallenta la corsa, il valore dei suoi 100punti scende a circa 16 mila copie, ma è sempre primo,con netto distacco: Giordano vende meno della sua me-

tà e gli altri si allineano da quota 5000 in giù. Come confer-mano i dati esposti dalla nostra Associazione Editori allaFiera di Francoforte la congiuntura è critica, nel 2009 il gi-ro d’affari è sceso del 4,3% e nel primo semestre 2010 c’è sta-to solo un parziale recupero del 2,2% dovuto soprattutto al-le librerie on line e di catena, mentre han continuato a sof-frire le librerie familiari, quelle in cui ancora resiste, si spe-ra, chi legge e consiglia prima di vendere, senza subordi-narsi agli spot del marketing. Resiste di certo, e ancor più

insiste, Giampaolo Pansa, terzo nella tabella dei primi 10,continuando a denunciare i crimini della nostra Resisten-za: storie di «persone sequestrate, torturate, violentate, vili-pese, ammazzate...», le vittime dei partigiani comunisti ter-roristi, progenitori dei brigatisti rossi negli anni di piombo.Come sempre l’autore è ostinato, coriaceo, sferzante. Con ilmestieraccio di cui è maestro indiscusso, anche per chi nonne condivide la veemenza iconoclasta, cucina un sequel delSangue dei vinti in forma narrativa, dialogando con un al-ter ego - ogni don Chisciotte ha un Sancho - la ritrovata bi-bliotecaria Livia, cinquantenne ancora seducente, «ciccio-sa», con cui si diverte a gigioneggiare. Ma è solo la cornice

di una requisitoria che poco concede alla commedia, in uncrescendo tragico per cui la Liberazione si riduce a una car-neficina staliniana. Tutt’altra aria si respira con Leieluiche a capitoli alterni si raccontano nel (foto)romanzo benimpaginato da Andrea De Carlo, secondo ingresso dellasettimana al vertice, dove salgono anche i ricordi di Vero-nesi, l’amore e il dolore delle donne che hanno attraversatola sua vita. Prima fra tutte mamma Erminia, esempio ditolleranza, solidarietà, giustizia, con un eterno sorriso:«L’ho vista sorridere persino ai tedeschi». Anche questo èstato Resistenza. Chissà se Pansa ha letto Meccanica cele-ste di Maggiani e visto L’uomo che verrà di Diritti.

AI PUNTILUCIANO GENTA

Pansa sferzai terroristi

del 25 Aprile

Cinquanta minuti di libri,il che vuol dire scrittori,incontri, confinamenti

nell’arte, confronti tra «senato-ri» della narrativa e della saggi-stica italiani e stranieri, e moltoaltro. E’ Bookstore, parte sta-mattina e continuerà ogni saba-to per tutta la stagione, alle 9,55su La7, deus ex machina e con-duttore Alain Elkann, che sottoli-nea subito come «ad ogni punta-ta l’invito è esteso anche ai“giovani”». L’ospite princeps dioggi è Arbasino (con RaffaeleManica, curatore del MeridianoMondadori-opera omnia dell’au-tore di Fratelli d’Italia) nonché ilre inglese del thriller FrederickForsyth, che nel recente Cobraradiografa la sporca politicaUsa. Dissonanze quanto asso-nanze tra i due big. Poi, presenzadelicata, Antonio Socci, che haraccontato in Caterina (Rizzoli)la malattia della figlia. «Nelleprossime settimane - confidaElkann - cercherò di avere daEco a Citati a Camilleri ma, a di-

scutere dei loro nuovi romanzi, an-che Veronesi, Cordelli, Piperno, DeCarlo, per dire solo qualche nome».

Così Bookstore, «fortementevoluto da Mentana che gli ha sceltoanche il nome e che crede nel pro-getto», potrebbe diventare unanuova oasi, tra le poche, nel deser-to della cultura in tv. Certo libricompaiono qua e là nelle ormai in-

numerevoli reti. Ma, se si eccettua-no: Fazio e Che tempo che fa ca-pace di far lievitare all’istante ilbotteghino dei suoi invitati, le inter-viste «barbariche» della Bignardi,la bella rubrica di Augias su Rai-tre, quasi sempre questi «oggettimisteriosi» passano senza lasciaretraccia: basti citare il Tg1 con Wil-ly, parente poverissimo del fuBenjamin di Riotta e, con nostal-gia, i tempi della Babele di Au-gias, del Pickwick di Baricco-Zuc-coni, delle perfomances di Frutte-ro& Lucentini.

«Noi puntiamo sullo zoccolo du-ro dei 4 milioni di lettori forti, sta-remo sull’attualità che non si esau-risce nella tanto annunciata palin-genesi degli eBook» aggiungeElkann rispondendo anche all’uni-ca (per ora) osservazione: perchéBookstore il sabato mattina? «Unorario di riferimento, che abbiamosempre tenuto». Non sono affarinostri, ma da spettatori, per unatrasmissione così impegnativa, anoi piacerebbe una bella, secondaserata...

1. Accabadora 31MURGIA 18,00 EINAUDI

2. L’intermittenza 24CAMILLERI 18,00 MONDADORI

3. Leielui 24DE CARLO 18,50 BOMPIANI

4. Canale Mussolini 23PENNACCHI 20,00 MONDADORI

5. La monaca 22AGNELLO HORNBY 17,00 FELTRINELLI

6. Mia suocera beve 22DE SILVA 18,00 EINAUDI

7. Acciaio 18AVALLONE 18,00 RIZZOLI

8. L’ultima riga delle favole 14GRAMELLINI 16,60 LONGANESI

9. Bianca come il latte... 11D’AVENIA 19,00 MONDADORI

10. Il tempo che vorrei 9VOLO 18,00 MONDADORI

CHE LIBRO FA...NEGLI USA

GIOVANNA ZUCCONI

Dal Baroccoa Dylan:

ecco la lista

1. I vinti non dimenticano 33PANSA 19,50 RIZZOLI

2. Dell’amore e del dolore... 23VERONESI 18,00 EINAUDI

3. I segreti del Vaticano 20AUGIAS 19,50 MONDADORI

4. L’albero dei mille anni 18CALABRESE 17,50 RIZZOLI

5. Un mondo che non esiste più 13TERZANI 22,00 LONGANESI

6. Terroni 13APRILE 17,50 PIEMME

7. Leopardi 10CITATI 22,00 MONDADORI

8. L’economia giusta 8BERSELLI 10,00 EINAUDI

9. Questioni di fede 7RAVASI 19,00 MONDADORI

10. Parli sempre di corsa 6LINUS 15,50 MONDADORI

Classifiche TuttolibriSABATO 16 OTTOBRE 2010

LA STAMPAX

PROSSIMAMENTE

MIRELLA APPIOTTI

Arbasinobattezza

Bookstore

Page 11: Tuttolibri n. 1736 (16-10-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - XI - 16/10/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/11 - Autore: DANCOM - Ora di stampa: 15/10/10 19.42

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GIACOMO LEOPARDI

Le operette moraliGarzanti, pp. XLVIII-421, € 9

«Alla morte delle illusioniaggiunge l'elemento stranodel fantasma dell'amore,unica nostra salvezza»

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CERVANTES

Don ChisciotteEinaudi, pp. LXIII-1212, € 24

«Perché Cervantes hacreduto più alle suefantasie che alle formedella critica»

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GIORGIO MANGANELLI

Pinocchio:un libro paralleloAdelphi, pp. 204, € 19

«Scrivere è affrontare cosescabrose ma anche avereil coraggio di farle»

I PREFERITI Un’esistenza all’insegna del nomadismo, che muovedalle nuvole e dalle cose della Bassa: ora porta al Festivaldi Roma un film sulle scuole coraniche in Senegal

GIOVANNITESIO

Dai grotteschi di Comi-che (1971) ai fiabeschi di Narrato-ri delle pianure (1982). Dai saggidi Finzioni occidentali (1975) aiviaggi di Verso la foce (1989). Au-tore plurimo, poliedrico, inquie-to, nascosto, anticonformista,curioso, Gianni Celati è passatoda quello che lui ha chiamato«l’istante comico» a quello cheio chiamerei «l’istante cosmi-co», la fratellanza universaleche va al di là di tutto. Nato aSondrio, ma per caso, la sua av-ventura intellettuale è comincia-ta a Bologna, ma è approdata aBrighton, dove abita da vent’an-ni. Nomade di natura e vocazio-ne, Celati ha imparato a piegarela sua intelligenza alle lezioni delcuore, dividendosi tra le nuvolee le cose della Bassa, che haguardato con Luigi Ghirri, e lesabbie di un villaggio senegale-se, dove ha scoperto la tenerez-za e l’affettuosità delle scuole co-raniche di derivazione sufi, dacui ha tratto un film che presen-terà al prossimo Festival di Ro-ma. Sostituire al bazar delle in-numerevoli letture le pulsazionidell’essere, all’«intellettualismoagonistico» dei primi tempi lalimpidezza e la semplicità deitempi successivi, è diventatoper Celati il cinema più natura-le: un vero e proprio libro dellavita che oggi traspare dallosguardomite e gentile.

Un’esistenza all’insegna delnomadismo, la sua.

«Direi di sì. Credo di essere sta-to inseguito dal nomadismo edall’ira di mio padre. Appena hopotuto sono partito per la Ger-mania, poi sono stato più voltein Francia, in Normandia e a Pa-rigi, dove incontravo abitual-mente Calvino. In Inghilterraho fatto il lavapiatti e i mestieripiù orrendi per seguire tutti ipossibili corsi di letteratura mo-derna mentre lavoravo con Car-lo Izzo alla mia tesi su Joyce. InTunisia mi sono sposato dopo ilservizio militare. In America so-no andato a insegnare alla Cor-nell University di Ithaca, nelloStato di New York, e non solo.In Italia sono stato chiamato alDams di Bologna, un episodiosu cui corre una leggenda abba-stanza plausibile. Il posto erastato offerto a Giorgio Manga-nelli, ma a Manganelli non era-no piaciute le trattorie bologne-si e si era congedato dicendo:“Celati!”. Dal Dams mi sono poidimesso dopo uno sgarbo delpreside di allora, e così - chiusal’esperienza universitaria in Ita-lia - sono ripartito prima per laFrancia e poi di nuovo perl'America».

Venendo alla libido legendi,alla voracità di lettore di tut-to, lei una volta ha ancheraccontato di essere statoun buon ladro di libri...

«Vero. Stavo chiuso ore e orenella biblioteca del British Mu-seum e poi, uscendo di lì, anda-vo nella libreria Foyles, in Tot-tenham Court Road, che avevaal secondo piano una sala inte-ramente dedicata ai libri di an-tropologia, che mi appassiona-vano molto e qualcuno me lomettevo in tasca. Ho rubato co-sì Anthropologie structurale diLévi-Strauss, che possiedo an-cora, tutto sfasciato. Per me èstato una manna, specialmenteil saggio che parla di un tribù pa-namense presso cui i bambininascevano aiutati dal canto. Manello stesso modo ho anche ru-bato - questa volta a Parigi - la

Phénoménologie de la perception diMerleau-Ponty, altro libro perme fondamentale».

Parigi uguale Calvino?«Calvino è stato un grande amicoe gli devo molto perché mi ha inse-gnato a essere più pragmatico. Ioero troppo svagato, troppo entu-siasta di tutto, accumulavo fino al-la sazietà. Lui mi riconduceva a ra-gione e nonostante che le mie ideea volte potessero dargli fastidiocon me non si arrabbiavamai».

Qual è il libro di Calvinoche di tutta la sua operalei sceglierebbe?

«Il cavaliere inesistente, sicura-mente il più bello. Gli altri conce-dono un po’ troppo al lettore. Madirei anche Palomar, il vero testa-mento finale, perché lì Calvino ri-nuncia a un’idea di scienza classi-ca, newtoniana. Palomar è il mo-mento in cui tutto si rimescola».

Lettore onnivoro significa an-che precoce?

«No, ho cominciato a leggeresui diciassette anni e da quelmomento è stato un turbine.Prima non pensavo ad altro chealla pallacanestro, che per me èstata una grande palestra di li-

bertà. Poi è stato Carlo Izzo a ti-rarmi dentro. Lui era amico diEzra Pound e mi faceva leggerele lettere che Pound gli scrive-va. In quello stesso tempo ho let-to e poi anche tradotto La Certo-sa di Parma, scoprendo il para-diso del comportamento amoro-so che condivido con Stendhal.Subito dopo in Inghilterra hoscoperto Swift, di cui mi sono

sforzato di tradurre La favoladella botte. Non dimentico tutta-via Pinocchio, a cui mi avevanoportato Calvino e Manganelli».

Mi pare che nella sua forma-zione anche Enzo Melandri ab-bia fatto la sua parte, no?

«Melandri l’ho conosciuto cheero già laureato. Avevo in menteMorfologia della fiaba di Propp evolevo trasformarne le funzioniin equazioni logiche, così sono an-

dato da lui a studiare logica mate-matica. È stato Melandri a farmilasciare Propp e a darmi da legge-re in greco opere di Platone e diAristotele. Giunti a Kant, avreb-be voluto farmi leggere la Criticadella ragion pura in tedesco e incaratteri gotici, mettendomi inmano un libro che possiedo anco-ra. Avevo già seguito Anceschiper un corso su Husserl, ma Enzomi ha messo in mente che la filo-sofiaè una cosa epica».

A proposito di epica. E l’epica-epica? Quella che l’ha condot-ta a tradurre il Boiardo in pro-sa moderna?

«A casa mia avevo un padre cheaveva fatto la quarta elementa-re, ma che recitava intere ottavedi Ariosto e lunghe filze di terzi-ne dantesche. Allora mi sembra-va strano, ma quelle ottave equelle terzine non mi hanno piùmollato. È poi stato Calvino, an-cora lui, a spingermi verso la tra-duzione in prosa dell’Orlando in-namorato. Mi sono messo ancheal Baldus di Folengo, ma facevoun italiano che maccheroneggia-va un po’ troppo e ho abbandona-to dopo il primo canto».

Il monumento è stato però ilDon Chisciotte.

«Più che un monumento, uncompagno. Per tutti i due annidel primo periodo londinese melo sono portato in tasca. Poiquando ho fatto con Cavazzonila rivista Il semplice, Ermannome l’ha perso».

Vogliamo parlare delle tradu-zioni? Un altro gran bel mododi incorporare libri?

«Sì, ho tradotto tanto, tren-taquattro libri, che sarebbetroppo lungo elencare. Sten-dhal è stato la rivelazione. Céli-ne mi è costato dieci anni di vi-ta. Michaux lo leggeva Calvino emi ci ha portato lui. Potrei ag-giungere Linea d'ombra di Con-rad e l’Hölderlin delle Poesie del-la Torre che ho tradotto mentre

facevo i viaggi da cui è natoVerso la foce. Ci metterei anchele traduzioni non pubblicate:All'estremo limite di Conrad,che doveva pubblicare Monda-dori, e tutti i pamphlet di Bec-kett sull’arte, che doveva fareEinaudi».

La traduzione che le è più ca-ra, se c’è?

«Bartleby di Melville».Perché?

«Perché è l’abbandono di tutto. Inun mondo di assordimentie di spin-toni, mi è sempre sembrata la figu-ra che interpreta lo stato inerziale,unaforma di fratellanza».

Un libro che non c’è e che vor-rebbe fare lei?

«Un libro che mi porto dentro eche non sono mai riuscito a fareè una raccolta di poeti provenza-li, perché lì è la vera nascita del-la poesia moderna. Jaufré Ru-del, Arnaut Daniel, poeti più vi-cini a noi che mai. Ma poi mi pia-cerebbe anche scrivere un com-mento un po’ da ridere su Pro-meteo e Afrodite. Perché pensoche questa nostra società abbiaun grosso problema con l’eros.In questo senso il Simposio plato-nico diventa un vero trionfo:una lezione di grande saggezza,che antepongo alla pur alta filo-sofia (ma lontana da noi) delTao, del Tao Te Ching...».

Lei è stato sempre e sempredi più tentato dall’oralità, dal-la gestualità, dal teatro.

«A me sembra che nello scrive-re tutto sia teatro, ma da adessoin poi credo che scriverò soloper il teatro. Dopo aver pubbli-cato la Recita dell’attore Vec-

chiatto nel teatro di Rio Saliceto,conto di mettere in scena Bollet-tino del diluvio e Ristorante dellapazienza al festival di Santar-cangelo del prossimo anno».

Letture di attualità? Autorid’oggi?

«Sono cresciuto all’idea che nonci debba mai essere il libro prontoper il lettore, mentre penso cheora ci sia sempre il libro prontoper il lettore. Ecco perché non leg-go più libri di scrittori attuali daquando sono in Inghilterra. Leg-go piuttosto autori italiani del pas-sato. Giordano Bruno, che vuol di-re Spinoza e tutta la filosofia idea-lista tedesca. Giambattista Vico,il De antiquissima italorum sapien-tia, un capolavoro di contestazio-ne a Cartesio. E poi uno dei piùgrandi autori italiani, il Basile,con il Cunto de li cunti che rilegge-rei continuamente».

«Calvino è statoun grande amicoe gli devo molto: mi hainsegnato a esserepiù pragmatico»

“Leggo Basilee Vico, altro chei contemporanei”

Diario di letture TuttolibriSABATO 16 OTTOBRE 2010

LA STAMPA XI

«Vorrei curareun’antologia di poetiprovenzali, perché lì èla vera nascitadella poesia moderna»

«Condivido il paradisodel comportamentoamoroso con Stendhal:me lo ha rivelatoLa Certosa di Parma»

«La traduzioneche mi è più cara?Bartleby di Melville,perché è veramentel’abbandono di tutto»

La vita. Gianni Celati è nato a Sondrio nel 1937. Scrittore, traduttore, critico letterario. Si è laureato in letteraturainglese all’Università di Bologna con una tesi su Joyce. Da vent’anni vive a Brighton. Ha insegnato a lungo negliStati Uniti, tra l’altro alla Cornell University di Ithaca.

Le opere. Da Feltrinelli ha pubblicato: «Fata Morgana», «Cinema naturale», «Narratori delle pianure», «Verso lafoce». Al prossimo Festival di Roma sarà presentato un suo film sulle scuole coraniche di derivazione sufi.

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