tuttolibri n. 1735 (09-10-2010)

10
DA SPARTACO ALLA MAFIA Anticipiamo qui l’inizio della lectio magistralis «I buoni e i cattivi nella letteratura popolare» con cui Donald Sassoon («La cultura degli europei. Dal 18OO a oggi», Rizzoli) inaugurerà il 14 ottobre, a Torino, «Festivalstoria», giunto alla sesta edizione (presidente del comitato scientifico Angelo D’Orsi). La manifestazione proseguirà fino al 17 ottobre, tra Saluzzo, Savigliano e Monforte d’Alba. Tra buoni e cattivi, da Cleopatra a Spartaco, da Attila a Dolcino, da Napoleone al «feroce » Saladino, da Martin Lutero a Togliatti, da Garibaldi al pantheon della mafia. Una varietà di eroi e di anti-eroi raccontati, tra gli altri, da Andrea Giardina e Paolo Moreno, Luciano Canfora e Giorgio Ruffolo, Giancarlo Caselli e Aldo Agosti, David Riondino e Sergio Roda, Silvio Pons e Giuseppe Sergi, Giorgio Dell’Arti e Pilar Jiménez, Massimo Firpo e Ernesto Ferrero. www.festivalstoria.org I buoni han sempre bisogno dei cattivi DONALD SASSOON Intendo trattare, seppure genericamente, quat- tro stereotipi occidentali di «nemico». Comunisti e nazisti sonoassociatiasfidemilitarie ideologiche molto diverse tra di loro. Musulmani e orientali - la cui rappresentazione in Oc- cidente è molto più antica - so- noassociatiatipologiediverse di non-europei. Senza rivisitare lo stesso territorio mappato da Ed- ward Said nel suo ormai clas- sico Orientalismo, possiamo notare che Le guerre persiane diErodoto,unodeiprimitesti storici occidentali, già più di 25 secoli fa sottolineavano le differenze culturali tra i per- siani («gli asiatici») e i greci. I persiani, scriveva Erodoto, pensano che, sebbene rapire le donne non sia cosa da «uo- mo di buonsenso», «non ci si dovrebbe preoccupare per queste donne... dato che è ov- vio che senza il loro consenso non potrebbero mai essere ra- pite con la forza. Gli asiatici, quando i greci scappavano con le loro donne, non se ne crucciavano affatto; ma i gre- ci, per salvare un’unica spar- tana, (Elena, ndt), raccolsero un esercito immenso, invase- rol’Asiaedistrusseroilregno di Priamo». Più di un paio di millenni dopo, Montesquieu, nel suo Spirito delle leggi, divideva i governi in repubblicano, mo- narchico e dispotico e conclu- deva asserendo che è l’Asia la parte del mondo dove «il dispotismo è, per così dire, na- turalizzato». L’Asia, ovviamente, qual- che volta si può trovare in Eu- ropa. Dipende da dove si è. Il marchese de Custine fornì un famoso resoconto della sua vi- sita in Russia in La Russie en 1839, un best seller che ha rici- clato o coniato di zecca un buon numero di stereotipi sui russi, facendo contemporanea- mente alcune acute osserva- zioni sul regime autocratico dello zar Nicola I: gli stereoti- pi spesso usano la verità e su di essa fanno le loro costruzio- ni. Lo «scontro di civiltà» ha unalungastoria. Gli stessi russi concordava- no con de Custine su almeno un punto: usavano il termine «Europa» come sinonimo di progresso. Molti russi pensa- vano di acquisire credenziali di progresso e modernità adot- tando alcuni degli attributi della «europanità», compreso l’imperialismo. Dostoevskij, in un appunto sul suo diario scritto qualche giorno prima di morire (1881), celebrava l’as- sedio di Geok Tepe, nell’Asia centrale, dove i soldati russi sconfissero i turcomanni e massacrarono migliaia di civi- li in fuga descrivendo la «mis- sione civilizzatrice» della Rus- sia in questo modo: «...L’Asia, forse, ci promette ben più del- l’Europa. Nei nostri futuri de- stini l’Asia è, forse, il nostro sbocco principale!... Dobbia- mo bandire la servile paura che gli europei ci chiamino barbari asiatici... In Europa eravamo tirapiedi e schiavi, mentre andremo in Asia come padroni. In Europa eravamo asiatici mentre in Asia anche noi siamo europei». Di solito, ma non sempre, l’Altro appartiene a una spe- cie moralmente inferiore. La norma è rappresentare i «sot- tosviluppati» in modo spregia- tivo. Questo può avvenire an- che all’interno di uno stesso Paese. Così, ad esempio, in Ita- lia - alla fine del XIX secolo - il Suderavistocomeunluogodi analfabetismo, superstizioni, corruzione, pigrizia, brigan- taggio, cannibalismo, creden- ze orientali, primitività semi- africana, con una concezione dell’onore arcaica in mezzo a una violenza atavica e a una mentalità semi-feudale - quasi l’immagine contemporanea del medio orientale o, più di re- cente, del musulmano. Una de- scrizione simile si può leggere nell’opera L’Italia barbara con- temporanea (1898) di Alfredo Nicoforo, uno scrittore sicilia- no seguace della dottrina raz- ziale del conte Gobineau, dove le differenze tra gente del Nord e del Sud sono attribuite al fatto che quelli del Sud - a differenza di quelli del Nord - non erano ariani. Come ben sappiamo, queste idee sono ben lungi dall’essere morte. Per illustrare gli stereotipi occidentali non userò trattati o testi pseudo-scientifici, ma film e romanzi popolari, dato che è attraverso le storie che gli stereotipi si rafforzano. In particolare voglio trattare lo stereotipo del Farabutto, un Nemico la cui distruzione è lo scopo principale di una storia. Perciò tratterò soprattutto i Anteprima Donald Sassoon al «FestivalStoria» di Saluzzo che avrà per tema «Eroi o canaglie?»: come si fabbrica lo stereotipo del «nemico» nella cultura popolare, tra letteratura e cinema A cura di: LUCIANO GENTA con BRUNO QUARANTA [email protected] www.lastampa.it/tuttolibri/ Il governatoreNichi Vendolaha,forsesenza volerlo,risoltoinunsol colpodueproblemi. Dandodelle«anime morte»aBersanie D’Alemahacontribuito asollevareildibattito politicodalpantanodel turpiloquioenel contempohaindicato unaviaper incrementarelalettura, proprioquandole bibliotechepubbliche nonhannopiùfondiper comprarenuovilibri. Quellaparlamentare chesisentisse paragonareaOdettede CrécyoaLady Chatterleysi affretterebbealeggere ProustoD.H.Lawrence, senonaltropercapirese sitrattadiun’offesaodi uncomplimento. Costringerebbeancheil suostaffaleggerlie,hai vistomai,qualcuno potrebbepersino trovarlibelli.E’cosìche sidiffondelalettura,per contagio.Gliavversari hannodatodelPeer GyntaDiPietro?Evai conIbsen!Veltronicome ilsottotenenteGiovanni Drogo?Corria comprarmi«Ildeserto deitartari»!Ilgoverno come«casaUsher»? Vediamocosascrive E.A.Poe.Nessunopuò offendersiseviene paragonatoaun personaggioletterario, fosseancheilprofessor Unratcheperdelatesta perRosaFröhlich frequentando«L’angelo azzurro»oUlrich, l’uomosenzaqualità. Unverocolpaccio:dire all’avversariocheèun Finnegan, costringendoload affrontare l’indecifrabileJoyce. Buonalettura, onorevole! p Continuaapag.VI TUTTOLIBRI LA STAMPA NUMERO 1735 ANNO XXXIV SABATO 9 OTTOBRE 2010 BRUNO GAMBAROTTA S E BERSANI E’ ANIMA MORTA, CHI E’ ODETTE? tutto LIBRI BYATT Nel giardino dell’infanzia Il libro dei bambini dopo Possessione GRILLI P. II DIARIO DI LETTURA Il geografo delle idee Farinelli e le mappe del mondo globale CORTELLESSA P. XI FredricMarchnelfilmdiRoubenMamoulian«Dr.JekyllandMr.Hyde»,1932 DonaldSassoon «Sconfittouno,subito ne sbucherà un altro: nonc’èfine allastoria dellalotta tra Bene e Male» HOUELLEBECQ Suicidio d’autore Quando le vite diventano merce BOSCO P. III LIBRI D’ITALIA La mitezza di Bobbio Un elogio contro ogni intolleranza DE LUNA P. VIII I

Upload: oblomov64

Post on 24-Jun-2015

419 views

Category:

Documents


9 download

DESCRIPTION

Tuttolibri, italian review of books, from www.lastampa.it. Page 4 missed.

TRANSCRIPT

Page 1: Tuttolibri n. 1735 (09-10-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - I - 09/10/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/01 - Autore: MARVIN - Ora di stampa: 08/10/10 20.01

DA SPARTACO ALLA MAFIA

Anticipiamoqui l’iniziodellalectiomagistralis«Ibuonie icattivinella letteraturapopolare»concuiDonaldSassoon(«Laculturadeglieuropei.Dal18OOaoggi»,Rizzoli) inaugurerà il14ottobre,aTorino,«Festivalstoria»,giuntoallasestaedizione(presidentedelcomitatoscientificoAngeloD’Orsi).Lamanifestazioneproseguiràfinoal17ottobre,traSaluzzo,SaviglianoeMonforted’Alba.Trabuoniecattivi,daCleopatraaSpartaco,daAttilaaDolcino,daNapoleoneal«feroce»Saladino,daMartinLuteroaTogliatti,daGaribaldialpantheondellamafia.Unavarietàdieroiedianti-eroiraccontati, traglialtri,daAndreaGiardinaePaoloMoreno,LucianoCanforaeGiorgioRuffolo,GiancarloCasellieAldoAgosti,DavidRiondinoeSergioRoda,SilvioPonseGiuseppeSergi,GiorgioDell’ArtiePilarJiménez,MassimoFirpoeErnestoFerrero.www.festivalstoria.org

I buoni han semprebisogno dei cattivi

DONALDSASSOON

Intendo trattare,seppure genericamente, quat-tro stereotipi occidentali di«nemico». Comunisti e nazistisono associati a sfide militari eideologiche molto diverse tradi loro. Musulmani e orientali- la cui rappresentazione in Oc-cidente è molto più antica - so-no associati a tipologie diversedi non-europei.

Senza rivisitare lo stessoterritorio mappato da Ed-ward Said nel suo ormai clas-sico Orientalismo, possiamonotare che Le guerre persianedi Erodoto, uno dei primi testistorici occidentali, già più di25 secoli fa sottolineavano ledifferenze culturali tra i per-siani («gli asiatici») e i greci. Ipersiani, scriveva Erodoto,pensano che, sebbene rapirele donne non sia cosa da «uo-mo di buonsenso», «non ci sidovrebbe preoccupare perqueste donne... dato che è ov-vio che senza il loro consensonon potrebbero mai essere ra-

pite con la forza. Gli asiatici,quando i greci scappavanocon le loro donne, non se necrucciavano affatto; ma i gre-ci, per salvare un’unica spar-tana, (Elena, ndt), raccolseroun esercito immenso, invase-ro l’Asia e distrussero il regnodi Priamo».

Più di un paio di millennidopo, Montesquieu, nel suoSpirito delle leggi, divideva igoverni in repubblicano, mo-narchico e dispotico e conclu-deva asserendo che è l’Asia laparte del mondo dove «ildispotismo è, per così dire, na-turalizzato».

L’Asia, ovviamente, qual-che volta si può trovare in Eu-ropa. Dipende da dove si è. Ilmarchese de Custine fornì unfamoso resoconto della sua vi-sita in Russia in La Russie en1839, un best seller che ha rici-clato o coniato di zecca unbuon numero di stereotipi suirussi, facendo contemporanea-mente alcune acute osserva-zioni sul regime autocraticodello zar Nicola I: gli stereoti-pi spesso usano la verità e sudi essa fanno le loro costruzio-ni. Lo «scontro di civiltà» hauna lunga storia.

Gli stessi russi concordava-no con de Custine su almenoun punto: usavano il termine«Europa» come sinonimo diprogresso. Molti russi pensa-vano di acquisire credenzialidi progresso e modernità adot-tando alcuni degli attributi

della «europanità», compresol’imperialismo. Dostoevskij, inun appunto sul suo diarioscritto qualche giorno primadi morire (1881), celebrava l’as-sedio di Geok Tepe, nell’Asiacentrale, dove i soldati russisconfissero i turcomanni emassacrarono migliaia di civi-li in fuga descrivendo la «mis-sione civilizzatrice» della Rus-sia in questo modo: «...L’Asia,forse, ci promette ben più del-l’Europa. Nei nostri futuri de-stini l’Asia è, forse, il nostrosbocco principale!... Dobbia-mo bandire la servile paurache gli europei ci chiamino

barbari asiatici... In Europaeravamo tirapiedi e schiavi,mentre andremo in Asia comepadroni. In Europa eravamoasiatici mentre in Asia anchenoi siamo europei».

Di solito, ma non sempre,l’Altro appartiene a una spe-cie moralmente inferiore. Lanorma è rappresentare i «sot-tosviluppati» in modo spregia-tivo. Questo può avvenire an-che all’interno di uno stessoPaese. Così, ad esempio, in Ita-lia - alla fine del XIX secolo - ilSud era visto come un luogo dianalfabetismo, superstizioni,corruzione, pigrizia, brigan-

taggio, cannibalismo, creden-ze orientali, primitività semi-africana, con una concezionedell’onore arcaica in mezzo auna violenza atavica e a unamentalità semi-feudale - quasil’immagine contemporaneadel medio orientale o, più di re-cente, del musulmano. Una de-scrizione simile si può leggerenell’opera L’Italia barbara con-temporanea (1898) di AlfredoNicoforo, uno scrittore sicilia-no seguace della dottrina raz-ziale del conte Gobineau, dovele differenze tra gente delNord e del Sud sono attribuiteal fatto che quelli del Sud - a

differenza di quelli del Nord -non erano ariani. Come bensappiamo, queste idee sonoben lungi dall’essere morte.

Per illustrare gli stereotipioccidentali non userò trattatio testi pseudo-scientifici, mafilm e romanzi popolari, datoche è attraverso le storie chegli stereotipi si rafforzano. Inparticolare voglio trattare lostereotipo del Farabutto, unNemico la cui distruzione è loscopo principale di una storia.Perciò tratterò soprattutto i

Anteprima Donald Sassoon al «FestivalStoria» di Saluzzoche avrà per tema «Eroi o canaglie?»: come si fabbrica lo stereotipodel «nemico» nella cultura popolare, tra letteratura e cinema

A cura di:LUCIANO GENTAcon BRUNO QUARANTA

[email protected]/tuttolibri/

Il governatore NichiVendola ha, forse senzavolerlo, risolto in un sol

colpo due problemi.Dando delle «anime

morte» a Bersani eD’Alema ha contribuito

a sollevare il dibattitopolitico dal pantano del

turpiloquio e nelcontempo ha indicato

una via perincrementare la lettura,

proprio quando lebiblioteche pubbliche

non hanno più fondi percomprare nuovi libri.Quella parlamentare

che si sentisseparagonare a Odette de

Crécy o a LadyChatterley si

affretterebbe a leggereProust o D.H. Lawrence,se non altro per capire sesi tratta di un’offesa o di

un complimento.Costringerebbe anche ilsuo staff a leggerli e, hai

visto mai, qualcunopotrebbe persino

trovarli belli. E’ così chesi diffonde la lettura, per

contagio. Gli avversarihanno dato del Peer

Gynt a Di Pietro? E vaicon Ibsen! Veltroni comeil sottotenente Giovanni

Drogo? Corri acomprarmi «Il desertodei tartari»! Il governo

come «casa Usher»?Vediamo cosa scrive

E.A. Poe. Nessuno puòoffendersi se viene

paragonato a unpersonaggio letterario,fosse anche il professor

Unrat che perde la testaper Rosa Fröhlich

frequentando «L’angeloazzurro» o Ulrich,

l’uomo senza qualità.Un vero colpaccio: direall’avversario che è un

Finnegan,costringendolo ad

affrontarel’indecifrabile Joyce.

Buona lettura,onorevole!

p Continua a pag. VI

TUTTOLIBRI

LASTAMPA

NUMERO 1735ANNO XXXIVSABATO 9 OTTOBRE 2010

BRUNO GAMBAROTTA

SE BERSANIE’ ANIMA

MORTA, CHI E’ODETTE?

tuttoLIBRI

BYATT

Nel giardinodell’infanziaIl libro dei bambinidopo PossessioneGRILLI P. II

DIARIO DI LETTURA

Il geografodelle ideeFarinelli e le mappedel mondo globaleCORTELLESSA P. XI

Fredric March nel film di Rouben Mamoulian «Dr. Jekyll and Mr. Hyde», 1932

Donald Sassoon

«Sconfitto uno, subitone sbucherà un altro:non c’è finealla storia della lottatra Bene e Male»

HOUELLEBECQ

Suicidiod’autoreQuando le vitediventano merceBOSCO P. III

LIBRI D’ITALIA

La mitezzadi BobbioUn elogio controogni intolleranzaDE LUNA P. VIII

I

Page 2: Tuttolibri n. 1735 (09-10-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - II - 09/10/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/02 - Autore: MARVIN - Ora di stampa: 08/10/10 20.01

Byatt Un assoluto capolavoro letterariodopo «Possessione»: l’immaginarioinglese a cavallo fra Otto e Novecento

GABRIELLABOSCO

Michel Houellebecqsi è ucciso. Ha fatto di se stes-so un personaggio, e lo ha uc-ciso nel suo ultimo romanzo.Si è tolto la soddisfazione didarsi la morte, sulla pagina,nel modo più cruento che po-tesse immaginare. Fatto apezzi in maniera chirurgica,in molti pezzi, e decapitato.La testa, staccata, l'ha lascia-ta intera. La stessa sorte è an-data al principale affetto cheegli abbia, nella vita e nella fin-zione letteraria, il suo cane.

Il romanzo, La carta e il ter-ritorio, è selezionato per il pre-mio Goncourt, e non stupiscevisto l'editore francese, Flam-marion, vale a dire TeresaCremisi, che ha costruito laprérentrée letteraria (articoliestivi, anticipazioni di fanta-sia) sul ritorno di Houellebe-cq. Una bomba annunciata in-somma, in cui lei, Teresa Cre-misi, figura a sua volta comepersonaggio nelle vesti appro-priate dell’editrice.

Il gioco è chiaro da questiprimi elementi: La carta e ilterritorio sfrutta le varie faccedelle identità e trasforma in

esseri di carta molte personeesistenti nel reale. C'è perfinoSilvio Berlusconi, in un ango-lo recondito del romanzo. Itermini della sua presenza lilascio scoprire al lettore, diròsolo - come indizio - che que-sto è un libro sulla desolazio-ne e che ogni elemento che vicompare in qualche modo sirapporta al tema centrale.

Quella di Berlusconi è unapiccola partecipazione, menodi una comparsa. Ma rientrain un progetto che prevedel'utilizzazione a fini romanze-schi di personalità note o mol-to note (giornalisti, scrittoricome Beigdeber o Sollers,quest'ultimo evocato comegià morto da tempo), e il lorolegittimo sfruttamento nelcontesto di una riflessione sultramonto di una società, quel-la di cui lo scrittore Houellebe-cq è lo voglia o no pedina, cheha equiparato l'arte e i suoimanufatti a ogni altra merce.

Nel ventaglio di soluzioniadottate dai narratori con-temporanei, coloro che -

spesso loro malgrado - rientra-no nell’ambito del postmoder-no letterario, quella cui ricor-re Houellebecq in quest'ulti-mo romanzo è basata insom-ma sulla copia dal vero e poi-ché si tratta di figure umanepossiamo dire che è un'elabo-razione del concetto di ritrat-to. E, quindi, di autoritratto.

C'è in effetti, propriamenteparlando, un ritratto pittorico

dell’autore al centro del ro-manzo. «Una vecchia tartaru-ga malata» è l'immagine chegli attribuisce il personaggiodell’artista, Jed Martin, inten-zionato a dipingere la tela inti-tolata Michel Houellebecq,scrittore. L'autore del roman-zo, attraverso il personaggiodell'artista (suo alter ego), di-pinge il proprio autoritratto,ovvero il ritratto dell’autoretrasformato in personaggio.L'effetto è quello vertiginosodella mise en abîme.

Tradotto in termini menodestabilizzanti, per chi non siaappassionato di questi meccani-smi (bassamente) narratologi-ci, La carta e il territorio è un ro-manzo che s'interroga su checosa significhi oggi essere scrit-tori avendo deciso di assumersila responsabilità di tale ruolonell’era del sospetto. Nell'eracioè in cui non si può più, è robadel passato, scrivere avendo fi-ducia in lettori che a loro voltasiano disposti ad affidarsi sen-za retropensieri alle pagine diun romanzo.

Ma torniamo al suicidio, omeglio - restando alla letteradel romanzo - al delitto, l'effe-rata uccisione di MichelHouellebecq che avviene ametà circa delle 360 pagine dicui esso è composto. Comeogni delitto che si rispetti,comporta un'indagine polizie-sca. E dunque il ricorso a per-sonaggi che incarnino il ruolodi chi indaga sul crimine.

Il poliziotto, scrive Houelle-becq, odia l'assassino, a furiadi vedere cadaveri massacrati,e fa della ricerca della verità lasua ossessione, la sua persona-le e specifica vertigine. Loscrittore, per contro, che inquanto tale nell’era del sospet-to per lo più è schizofrenico,odia se stesso, o meglio la pro-pria identità, odia riconoscer-si, e indulge quindi a meccani-smi vari di autodistruzione.Ciò che cerca - a differenza delpoliziotto che si illude di potergiungere a una qualche veritànell’ambito della sua indagine -è la distruzione di sé in quanto

identità. Il poliziotto è l'imma-gine riflessa dello scrittore, in-tendo dire capovolta. Così, nelromanzo, il personaggio che loincarna è l'altro che Houellebe-cq potrebbe essere se non aves-se deciso di sopprimersi attra-verso (nella) scrittura. Persinoil suo cane, il cane del poliziot-to, cui Houellebecq dà nomeMichel, finisce per essere unodei tanti alias dello scrittore.Fragile, per ragioni congenite,tanto quanto lui.

Non dico di più, toglierei gu-sto. Vale il Goncourt? Sicura-mente vale la pena, e vediamo-la pure come piacere, a trattiintenso, della lettura. Grazieanche al fatto che di turismosessuale o insulti all’islam, que-sta volta, Houellebecq ha fattosaggiamente a meno.

GLAUCOFELICI

Uno scrigno di teso-ri, la letteratura argentinadel Novecento. Qui un po’ no-ta e un po’ no: ma ogni tantoqualche grande libro superala barriera del silenzio e ina-spettatamente giunge sino anoi. E questa volta non par-liamo dei Borges o dei Cortá-zar, già apprezzati come me-ritano, né dei vari AdolfoBioy Casares, Leopoldo Lu-gones, Ricardo Güiraldes,Macedonio Fernández, JuanFilloy o Eduardo Mallea(molto meno conosciuti):questa volta gli onori vannoa Leopoldo Marechal, chenel 1948 - quasi cinquanten-ne - pubblicò a Buenos Airesil corposo, controverso, smi-surato Adán Buenosayres.

La gestazione del libro du-rò vent'anni: concepito a Pa-rigi dopo «una profonda cri-si spirituale», meditato e ri-scritto, approdò alla stesuraconclusiva dopo la morte del-la moglie. Divisa, iniziatica-mente, in sette libri, l'operaassume la forma di un viag-gio che dura poco più di duegiorni in una ristretta parte

della città, un po' come l'Ulis-se joyciano (cui Adán è statoinevitabilmente paragonato,ma altre influenze ben piùsostanziali potrebbero esse-re individuate in direzioni af-fatto diverse, per esempio inDante o in Rabelais). Gli ulti-mi due libri, che l'autore so-stiene essere stati scritti dalprotagonista Adán (Adamocome il primo uomo, e bueno-sayres come veniva chiama-to l'autore dai coetanei quan-do bambino andava in vacan-za a Maipú), sono, il primouna riflessione teorica,d'ispirazione neoplatonica einsieme vagamente autobio-grafica, sull'opera d'arte el'altro un'allegorica discesaagli inferi della vita quotidia-na, in una città-cloaca chegiace sotto l'altra e si chia-ma Cacodelphia.

Molti s'indignarono difronte a quella prosa creati-va, esplicita, irrispettosa esegnata di lunfardo (un argotlocale n.d.r.), rifiutando di ve-dere oltre l'aspetto esterio-re, nella densa e magmaticamateria filosofica che la sot-tende. Pochi apprezzaronoAdán: tra questi Julio Cortá-zar, che in un saggio entusia-stico (Realidad, marzo 1949)lo definì «un evento straordi-nario nelle lettere argenti-ne», concludendo: «La sua ri-sonanza sul futuro argentinom'interessa molto di più chela sua documentazione delpassato. […]Per Marechal èforse un punto d'arrivo e unaconclusione; a noi più giova-ni spetta di vedere se agiscecome forza viva, come ener-gico impulso verso ciò che èdavvero nostro. Sono tra co-loro che di questo sono con-vinti, e si sentono in doveredi non disconoscerlo». Alpunto che molti critici hannovisto in Adán il vero antece-dente ispiratore di Rayuela.

Il riconoscimento del suovalore verrà in Argentina sol-tanto negli Anni Sessanta: eprobabilmente l'indifferenza- o l'ostilità - fu determinataanche dalla traiettoria politi-ca dell'autore, prima sosteni-tore del radicale Hipólito Yri-

goyen, poi nazionalista cattoli-co, quindi militante peronista(nel 1948 è «enviado intelec-tual» in Italia; poi, quando Pe-rón divenne el presidente depue-sto, Marechal definì se stessoel poeta depuesto) e infine sim-patizzante della Cuba castri-sta (nel 1967 è giurato al pre-mio Casa de las Américas in-sieme a Mario Benedetti, Cor-tázar e Lezama Lima: quell'an-no il premio è assegnato a unaltro argentino da conoscere,David Viñas).

Coloro che giudicano consufficienza Adán Buenosayreslo considerano poco più che unriflesso di polemiche, esteti-che e personali, interne al mo-vimento d'avanguardia ultrai-sta legato alla rivista MartínFierro, di cui Marechal fu co-fondatore nel 1924. L'altro fon-datore, Borges, fu grande ami-co di Marechal fino alla metàdegli Anni Trenta, quando leloro strade si separarono perinsanabili divergenze. Il di-sprezzo che Borges da alloramanifestò nei confronti del

suo ex amico fu ben ricambia-to da Marechal (il personaggioLuis Pereda in Adán non è al-tri che JLB, al suo primo appa-rire definito «tozzo e dondolo-ne come un cinghiale cieco»).

Ma il libro presenta ben ra-dicato spessore: per la ricchez-za linguistica, su tutti i piani(colloquiale, dottrinale, de-scrittivo ecc.), per l'osservazio-ne caricaturale di tipi e di am-bienti, per la pluralità dei mon-di raffigurati si rivela come unculmine della letteratura ispa-noamericana.

Marechal, morto nel 1970,praticò con notevoli esiti la po-esia, e scrisse anche per il tea-tro: in prosa fu autore di alcu-ni racconti significativi e di al-tri due romanzi. Ma Adán Bue-nosayres è un romanzo-mon-stre, un libro-summa.

GIORGIAGRILLI

Antonia Byatt si con-ferma, con Il libro dei bambini,una delle più grandi scrittricicontemporanee, e sicuramen-te la più complessa, sofisticatae originale. A vent'anni da Pos-sessione, che vinse il BookerPrize, arriva un altro assolutocapolavoro letterario, un'ope-ra di 700 pagine che è insiemeun saggio colto e illuminantesull’immaginario inglese diuna particolare epoca storica(gli ultimi anni dell'Ottocento ei primi del Novecento) e un ro-manzo dalla trama costante-mente sorprendente.

Gli anni in cui si concentra-no le vicende, che vedono pro-tagonisti, in modo corale, imembri di diverse famiglie va-riamente connesse tra loro, so-no gli anni in cui si incominciaa dare un'importanza tuttanuova all'infanzia, che vienepresa sul serio, ascoltata, ama-ta, idealizzata, ma anche - pro-prio perché vista come più pu-ra e diversa dal mondo deigrandi - lasciata libera di stareda sola, di correre nel verde,all'aria aperta, perché potessericordare agli adulti le origini

lontane in cui l'umanità era tut-t’uno con la natura. «Tom eraparte integrante dell'idea di fa-miglia inglese in cui Dorothyaveva creduto, bambini checorrono liberi in boschi sicuri,nella luce screziata, accolti dagenitori sorridenti quandorientrano graffiati e ansantidalla Casa Albero e dai suoi in-nocenti segreti».

Fuggivano dal progresso,dall’urbanizzazione, dall’indu-strializzazione, dalla fuliggine,dalle ciminiere, gli inglesi ric-chi, colti, raffinati, rifugiandosiin campagna, disturbati dallabruttezza della modernità ol-tre che dalle sue ingiustizie so-ciali, e creavano comunità diartisti, di socialisti, di bohé-miens, con tutte le contraddi-zioni che la loro classe socialecomportava, sforzandosi dicrescere i figli con mente aper-ta, di assecondarne i talenti, diopporre la creatività alla mec-canizzazione, l'artigianato, learti, le cose belle all'utilitari-smo imperante.

Sono gli anni delle «Arts

and Crafts», di William Morris,dei preraffaelliti e di altri artistireali che entrano nella storia co-me personaggi (una caratteri-stica tipica di tutta la scritturadella Byatt). Ci sono, tra i prota-gonisti, maestri vasai, scrittori,marionettisti, burattinai, tea-tranti, ricamatrici, curatori dimusei, tutti dediti in maniera to-talizzante al loro mestiere o allaloro vocazione. Tutti in qualchemodo critici nei confronti dellarealtà presente, e desiderosi ditornare indietro, a un passatopiù mitico che storico, un passa-to di cui l'infanzia era vista co-

me integralmente parte.E’ sull'idea dei bambini come

creature mitiche, non ancoraparte della corrotta realtà e per-ciò affascinanti, che si incentra ilpoderoso volume della Byatt,che riprendendo il sentire diun’epoca afferma che ciò che dimeglio ci han dato quegli anni èla letteratura per l'infanzia, dal-le opere di Carroll a quelle diKenneth Grahame, di Barrie, diBeatrix Potter, di Kipling, dellaBurnett, di E. Nesbit: «Voci auto-revoli sostenevano che la gran-de letteratura dell’epoca era laletteratura per bambini, che ve-

niva letta anche dagli adulti».E' così convinta di questo, la

Byatt, che per tutto il romanzonon fa che riflettere, parlare, ri-ferirsi, in molti modi, alla lette-ratura per l'infanzia, contenito-re sorprendente e inesauribiledi spunti, di metafore, di segniche possono essere usati, sem-pre, per spiegare il mondo, la vi-ta e le sue più diverse, comples-se, strane situazioni. «Questi ra-gazzini, pensò Julian, sono statiaffascinati e abbindolati comese un pifferaio magico li avesseindotti a seguirli docilmente sot-toterra»; «Per qualche motivo,ricordava con chiarezza il boscodi Alice attraverso lo specchio,dove le cose non hanno nome»;;«Olive si tormentava con l'inuti-le pensiero che avrebbe dovutoproteggere quei ragazzi, cheaveva distolto l'attenzione da lo-ro, e li aveva perduti» (è a causadella distrazione degli adultiche ci sono, in Peter Pan, i ragaz-zi perduti); «Con i pavimenti ine-vitabilmente coperti dalla polve-re e i telai che nascondevano levarie teche come drappi funebrisu una bara, pareva di entrarenel palazzo della bella addor-mentata e allo stesso tempo nel-la tomba di Biancaneve». O an-cora, in un dialogo tra amiche dicui una ha deciso di studiare se-riamente le fiabe, intraprenden-do la lunga carriera universita-ria: «Non credi che dopovent’anni passati a studiare Ce-nerentola potresti essere so-praffatta dall'idea dei figli chenon hai avuto? - Molto probabi-le - disse Griselda. - Ma dopovent'anni di gravidanze, di feb-bri e isolamento, sempre chiusain casa potrei essere sopraffattadall’idea di Cenerentola».

Poiché si parla di letteraturaper l'infanzia come di quella let-teratura «ricca di magia, storiedi esseri semiumani ancora incontatto con l'antica terra» e diun’infanzia così amata in sé, co-me idea, che viene spinta a rima-nere tale, l'epilogo del libro dellaByatt non poteva essere più sim-bolicamente coerente.

La generazione di bambini dicui lei parla, i bambini per i qualifurono scritti i grandi «classici»per l'infanzia, furono di fattobambini per eccellenza: non soloperché vennero idealizzati edunque in qualche modo cristal-lizzati, nell’immaginario, ma per-ché rimasero davvero, tragica-mente, per sempre bambini. Mo-rirono in massa, prima di potervivere una vita da adulti, nelletrincee e nel fango della Primaguerra mondiale, risucchiati daquella terra con cui li si volevamiticamente tutt’uno.

ONETTI E SEGUENTI

JuanCarlosOnettiè tra imaggioriscrittorisudamericani,natonel1909escomparsonel1994.Uruguagio,si stabilìaBuenosAiresnel1941(l’Argentinaè ilPaeseospitedellaFieradiFrancoforte, incorso).Einaudineriproponeil romanzo«Lavitabreve»(trad.diEnricoCicogna,pp.361,€ 22).Così lopresentaMarioVargasLlosa:«Pochiromanziriesconoamostrareconl’astuziadeLavitabreveilprocessodigestazionedellafinzione».BonaerenseèloscrittoreRobertoMariani(1893-1946)dicuiLeNubipubblica i racconti«Cuentosdelaoficina» ,settestoriedicittà,vistacongliocchidiunimpiegatopiccoloborghese(acuradiMarziaMascelli,pp.154,€ 13).Unacollanadedicataagliscrittori sudamericani lavareràMinimumfaxnellaprossimaprimavera.Tragliargentini:daimaestriOnettieSabatoaCésarAiura,RicardoPiglia,AlanPauls.IntermezzipubblicaLaprigionediOjeda (pp.110,€ 10)delgiovaneargentinoMartínMurphy,storiadiuninetto,unimpiegatosposato,senzafigli, chesiauto-recludeapocoapoco.Sarà in Italia (aTorinoil18/10Circolodei lettori) l’autorediIlviaggiatoredelsecolo,AndrésNeuman(NeriPozza).

Jo Nesbo ha una duplicequalità: racconta delittinorvegesi con il ritmo tipi-

co delle crime story america-ne, mescolando il fascino sottil-mente plumbeo e misterioso de-gli orizzonti nordici con la velo-cità violenta del noir a stelle estrisce. Persino nelle scelta delnome del suo investigatore,Harry Hole, si è concesso un ri-mando affatto boreale. In piùgli ha costruito intorno un pas-sato investigativo forgiato aQuantico, l’università del Fbi,in grado di fargli riconoscerela mano omicida di un serialkiller in una Oslo sì rapace e be-ona (e in una Bergen altrettan-to ubriaca) in cui però l’assassi-no seriale è un sommo scono-sciuto, forse per via di tuttoquel mare ghiacciato che le cir-conda e le isola dal resto delmondo davvero incivile.

Ne L’uomo di neve (trad.Giorgio Puleo, Piemme, pp. 531,€ 19,50) Nesbo inventa addirit-tura una sorta di alter ego adHarry Hole - il detective Gert

«Pugno di Ferro» Rafto - che, inun passato scandito da tre elezio-ni Usa (Reagan, Bush e Clinton),si nutre degli stessi comportamen-ti alcolici, impregnati di intensema depresse illuminazioni, finoperò a finir intrappolato dall’uo-mo su cui indaga. E che firma conun pupazzo di neve la sua sequeladi omicidi, rivolti quasi esclusiva-mente a madri con figli avuti inrelazioni clandestine. E’ propriola sparizione di Rafto - è morto, èsolo scappato per sempre? - a met-

tere in moto un meccanismo per-verso che si dipana lungo vent’an-ni per giungere, infine, a Hole nelmomento in cui si trova di frontealla scomparsa di Birte Becker ealla scoperta che il suo telefoninosta trasmettendo dal cuore del-l’omino di neve (con sciarpa ros-sa) che va mestamente scioglien-dosi accanto la porta di casa.

Harry, com’è nel suo caratterefrenetico e allucinato, intravedele orme di un serial killer e, nono-stante l’avversione dei suoi supe-riori per quella che ritengononient’altro che un’idea peregrinatesa a rinverdire il suo mito calan-te, gli concedono una minuscolatask force dove il ruolo preponde-rante (ed enigmatico) l’ha una«novizia», Katrine Bratt, in fugada Bergen. Ma c’è un’altra donnaa turbargli le notti: la sua ex,Rakel, in procinto di sposare unmedico ambiguo con conoscenzeambigue. Triplo finale all’ombradel trampolino da sci più famosodella terra: l’Holmenkollen chedall’alto domina Oslo e il suo fior-do misterioso.

Com’era liberae pura l’infanzianella Casa Albero

L’opera, divisa in settelibri, si concludecon un’allegoricadiscesa agli inferidella vita quotidiana

«La carta e il territorio»:una riflessione sullafine di una societàche ha equiparatol’arte alle altre merci

«Adán Buenosayres»:un viaggio in unaristretta parte dellacittà, con echidi Dante e Rabelais

Essere scrittorinell’era del sospetto,quando non si può piùscrivere avendofiducia nei lettori

Houellebecq: cosìmuore l’autore

La due giornidell’Ulisseargentino

IL GIALLONORDICO

PIERO SORIA

Jo Nesboe il killerdi madri

pp Antonia S. Byattp IL LIBRO DEI BAMBINIp trad. di A. Nadotti e F. Galuzzip Einaudi, pp. 699, € 25p La Byatt si affermò con Posses-

sione vincendo il Booker Prize.Altri suoi titoli: Angeli e insetti eLa vergine nel giardino

pp Michel Houellebecqp LA CARTA E IL TERRITORIOp trad. di F. Ascarip Bompiani, pp. 362, € 20

pp Leopoldo Marechalp ADÁN BUENOSAYRESp a cura di C. Ongaro Haeltermanp trad. a cura di Nicola Jacchiap Vallecchi, p. 732, € 21

Marechal Un capolavoro del ’48,corposo, controverso, smisurato

Antonia S. Byatt

Michel Houellebecq: il suo romanzo è in corsa per il Goncourt

Il romanzo autoritratto Il gioco di trasformare in esseridi carta molte persone esistenti nel reale, da Sollers a S. B.

L’ansia degli inglesiricchi, colti, di crescerei figli con mente aperta,opponendo la creativitàalla meccanizzazione

Scrittori stranieriIITuttolibri

SABATO 9 OTTOBRE 2010LA STAMPA III

Marie Stillman, «Il giardino incantato di Messer Ansaldo», 1889

Leopoldo Marechal (Buenos Aires, 1900 – 1970)

Page 3: Tuttolibri n. 1735 (09-10-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - III - 09/10/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/02 - Autore: MARVIN - Ora di stampa: 08/10/10 20.01

Byatt Un assoluto capolavoro letterariodopo «Possessione»: l’immaginarioinglese a cavallo fra Otto e Novecento

GABRIELLABOSCO

Michel Houellebecqsi è ucciso. Ha fatto di se stes-so un personaggio, e lo ha uc-ciso nel suo ultimo romanzo.Si è tolto la soddisfazione didarsi la morte, sulla pagina,nel modo più cruento che po-tesse immaginare. Fatto apezzi in maniera chirurgica,in molti pezzi, e decapitato.La testa, staccata, l'ha lascia-ta intera. La stessa sorte è an-data al principale affetto cheegli abbia, nella vita e nella fin-zione letteraria, il suo cane.

Il romanzo, La carta e il ter-ritorio, è selezionato per il pre-mio Goncourt, e non stupiscevisto l'editore francese, Flam-marion, vale a dire TeresaCremisi, che ha costruito laprérentrée letteraria (articoliestivi, anticipazioni di fanta-sia) sul ritorno di Houellebe-cq. Una bomba annunciata in-somma, in cui lei, Teresa Cre-misi, figura a sua volta comepersonaggio nelle vesti appro-priate dell’editrice.

Il gioco è chiaro da questiprimi elementi: La carta e ilterritorio sfrutta le varie faccedelle identità e trasforma in

esseri di carta molte personeesistenti nel reale. C'è perfinoSilvio Berlusconi, in un ango-lo recondito del romanzo. Itermini della sua presenza lilascio scoprire al lettore, diròsolo - come indizio - che que-sto è un libro sulla desolazio-ne e che ogni elemento che vicompare in qualche modo sirapporta al tema centrale.

Quella di Berlusconi è unapiccola partecipazione, menodi una comparsa. Ma rientrain un progetto che prevedel'utilizzazione a fini romanze-schi di personalità note o mol-to note (giornalisti, scrittoricome Beigdeber o Sollers,quest'ultimo evocato comegià morto da tempo), e il lorolegittimo sfruttamento nelcontesto di una riflessione sultramonto di una società, quel-la di cui lo scrittore Houellebe-cq è lo voglia o no pedina, cheha equiparato l'arte e i suoimanufatti a ogni altra merce.

Nel ventaglio di soluzioniadottate dai narratori con-temporanei, coloro che -

spesso loro malgrado - rientra-no nell’ambito del postmoder-no letterario, quella cui ricor-re Houellebecq in quest'ulti-mo romanzo è basata insom-ma sulla copia dal vero e poi-ché si tratta di figure umanepossiamo dire che è un'elabo-razione del concetto di ritrat-to. E, quindi, di autoritratto.

C'è in effetti, propriamenteparlando, un ritratto pittorico

dell’autore al centro del ro-manzo. «Una vecchia tartaru-ga malata» è l'immagine chegli attribuisce il personaggiodell’artista, Jed Martin, inten-zionato a dipingere la tela inti-tolata Michel Houellebecq,scrittore. L'autore del roman-zo, attraverso il personaggiodell'artista (suo alter ego), di-pinge il proprio autoritratto,ovvero il ritratto dell’autoretrasformato in personaggio.L'effetto è quello vertiginosodella mise en abîme.

Tradotto in termini menodestabilizzanti, per chi non siaappassionato di questi meccani-smi (bassamente) narratologi-ci, La carta e il territorio è un ro-manzo che s'interroga su checosa significhi oggi essere scrit-tori avendo deciso di assumersila responsabilità di tale ruolonell’era del sospetto. Nell'eracioè in cui non si può più, è robadel passato, scrivere avendo fi-ducia in lettori che a loro voltasiano disposti ad affidarsi sen-za retropensieri alle pagine diun romanzo.

Ma torniamo al suicidio, omeglio - restando alla letteradel romanzo - al delitto, l'effe-rata uccisione di MichelHouellebecq che avviene ametà circa delle 360 pagine dicui esso è composto. Comeogni delitto che si rispetti,comporta un'indagine polizie-sca. E dunque il ricorso a per-sonaggi che incarnino il ruolodi chi indaga sul crimine.

Il poliziotto, scrive Houelle-becq, odia l'assassino, a furiadi vedere cadaveri massacrati,e fa della ricerca della verità lasua ossessione, la sua persona-le e specifica vertigine. Loscrittore, per contro, che inquanto tale nell’era del sospet-to per lo più è schizofrenico,odia se stesso, o meglio la pro-pria identità, odia riconoscer-si, e indulge quindi a meccani-smi vari di autodistruzione.Ciò che cerca - a differenza delpoliziotto che si illude di potergiungere a una qualche veritànell’ambito della sua indagine -è la distruzione di sé in quanto

identità. Il poliziotto è l'imma-gine riflessa dello scrittore, in-tendo dire capovolta. Così, nelromanzo, il personaggio che loincarna è l'altro che Houellebe-cq potrebbe essere se non aves-se deciso di sopprimersi attra-verso (nella) scrittura. Persinoil suo cane, il cane del poliziot-to, cui Houellebecq dà nomeMichel, finisce per essere unodei tanti alias dello scrittore.Fragile, per ragioni congenite,tanto quanto lui.

Non dico di più, toglierei gu-sto. Vale il Goncourt? Sicura-mente vale la pena, e vediamo-la pure come piacere, a trattiintenso, della lettura. Grazieanche al fatto che di turismosessuale o insulti all’islam, que-sta volta, Houellebecq ha fattosaggiamente a meno.

GLAUCOFELICI

Uno scrigno di teso-ri, la letteratura argentinadel Novecento. Qui un po’ no-ta e un po’ no: ma ogni tantoqualche grande libro superala barriera del silenzio e ina-spettatamente giunge sino anoi. E questa volta non par-liamo dei Borges o dei Cortá-zar, già apprezzati come me-ritano, né dei vari AdolfoBioy Casares, Leopoldo Lu-gones, Ricardo Güiraldes,Macedonio Fernández, JuanFilloy o Eduardo Mallea(molto meno conosciuti):questa volta gli onori vannoa Leopoldo Marechal, chenel 1948 - quasi cinquanten-ne - pubblicò a Buenos Airesil corposo, controverso, smi-surato Adán Buenosayres.

La gestazione del libro du-rò vent'anni: concepito a Pa-rigi dopo «una profonda cri-si spirituale», meditato e ri-scritto, approdò alla stesuraconclusiva dopo la morte del-la moglie. Divisa, iniziatica-mente, in sette libri, l'operaassume la forma di un viag-gio che dura poco più di duegiorni in una ristretta parte

della città, un po' come l'Ulis-se joyciano (cui Adán è statoinevitabilmente paragonato,ma altre influenze ben piùsostanziali potrebbero esse-re individuate in direzioni af-fatto diverse, per esempio inDante o in Rabelais). Gli ulti-mi due libri, che l'autore so-stiene essere stati scritti dalprotagonista Adán (Adamocome il primo uomo, e bueno-sayres come veniva chiama-to l'autore dai coetanei quan-do bambino andava in vacan-za a Maipú), sono, il primouna riflessione teorica,d'ispirazione neoplatonica einsieme vagamente autobio-grafica, sull'opera d'arte el'altro un'allegorica discesaagli inferi della vita quotidia-na, in una città-cloaca chegiace sotto l'altra e si chia-ma Cacodelphia.

Molti s'indignarono difronte a quella prosa creati-va, esplicita, irrispettosa esegnata di lunfardo (un argotlocale n.d.r.), rifiutando di ve-dere oltre l'aspetto esterio-re, nella densa e magmaticamateria filosofica che la sot-tende. Pochi apprezzaronoAdán: tra questi Julio Cortá-zar, che in un saggio entusia-stico (Realidad, marzo 1949)lo definì «un evento straordi-nario nelle lettere argenti-ne», concludendo: «La sua ri-sonanza sul futuro argentinom'interessa molto di più chela sua documentazione delpassato. […]Per Marechal èforse un punto d'arrivo e unaconclusione; a noi più giova-ni spetta di vedere se agiscecome forza viva, come ener-gico impulso verso ciò che èdavvero nostro. Sono tra co-loro che di questo sono con-vinti, e si sentono in doveredi non disconoscerlo». Alpunto che molti critici hannovisto in Adán il vero antece-dente ispiratore di Rayuela.

Il riconoscimento del suovalore verrà in Argentina sol-tanto negli Anni Sessanta: eprobabilmente l'indifferenza- o l'ostilità - fu determinataanche dalla traiettoria politi-ca dell'autore, prima sosteni-tore del radicale Hipólito Yri-

goyen, poi nazionalista cattoli-co, quindi militante peronista(nel 1948 è «enviado intelec-tual» in Italia; poi, quando Pe-rón divenne el presidente depue-sto, Marechal definì se stessoel poeta depuesto) e infine sim-patizzante della Cuba castri-sta (nel 1967 è giurato al pre-mio Casa de las Américas in-sieme a Mario Benedetti, Cor-tázar e Lezama Lima: quell'an-no il premio è assegnato a unaltro argentino da conoscere,David Viñas).

Coloro che giudicano consufficienza Adán Buenosayreslo considerano poco più che unriflesso di polemiche, esteti-che e personali, interne al mo-vimento d'avanguardia ultrai-sta legato alla rivista MartínFierro, di cui Marechal fu co-fondatore nel 1924. L'altro fon-datore, Borges, fu grande ami-co di Marechal fino alla metàdegli Anni Trenta, quando leloro strade si separarono perinsanabili divergenze. Il di-sprezzo che Borges da alloramanifestò nei confronti del

suo ex amico fu ben ricambia-to da Marechal (il personaggioLuis Pereda in Adán non è al-tri che JLB, al suo primo appa-rire definito «tozzo e dondolo-ne come un cinghiale cieco»).

Ma il libro presenta ben ra-dicato spessore: per la ricchez-za linguistica, su tutti i piani(colloquiale, dottrinale, de-scrittivo ecc.), per l'osservazio-ne caricaturale di tipi e di am-bienti, per la pluralità dei mon-di raffigurati si rivela come unculmine della letteratura ispa-noamericana.

Marechal, morto nel 1970,praticò con notevoli esiti la po-esia, e scrisse anche per il tea-tro: in prosa fu autore di alcu-ni racconti significativi e di al-tri due romanzi. Ma Adán Bue-nosayres è un romanzo-mon-stre, un libro-summa.

GIORGIAGRILLI

Antonia Byatt si con-ferma, con Il libro dei bambini,una delle più grandi scrittricicontemporanee, e sicuramen-te la più complessa, sofisticatae originale. A vent'anni da Pos-sessione, che vinse il BookerPrize, arriva un altro assolutocapolavoro letterario, un'ope-ra di 700 pagine che è insiemeun saggio colto e illuminantesull’immaginario inglese diuna particolare epoca storica(gli ultimi anni dell'Ottocento ei primi del Novecento) e un ro-manzo dalla trama costante-mente sorprendente.

Gli anni in cui si concentra-no le vicende, che vedono pro-tagonisti, in modo corale, imembri di diverse famiglie va-riamente connesse tra loro, so-no gli anni in cui si incominciaa dare un'importanza tuttanuova all'infanzia, che vienepresa sul serio, ascoltata, ama-ta, idealizzata, ma anche - pro-prio perché vista come più pu-ra e diversa dal mondo deigrandi - lasciata libera di stareda sola, di correre nel verde,all'aria aperta, perché potessericordare agli adulti le origini

lontane in cui l'umanità era tut-t’uno con la natura. «Tom eraparte integrante dell'idea di fa-miglia inglese in cui Dorothyaveva creduto, bambini checorrono liberi in boschi sicuri,nella luce screziata, accolti dagenitori sorridenti quandorientrano graffiati e ansantidalla Casa Albero e dai suoi in-nocenti segreti».

Fuggivano dal progresso,dall’urbanizzazione, dall’indu-strializzazione, dalla fuliggine,dalle ciminiere, gli inglesi ric-chi, colti, raffinati, rifugiandosiin campagna, disturbati dallabruttezza della modernità ol-tre che dalle sue ingiustizie so-ciali, e creavano comunità diartisti, di socialisti, di bohé-miens, con tutte le contraddi-zioni che la loro classe socialecomportava, sforzandosi dicrescere i figli con mente aper-ta, di assecondarne i talenti, diopporre la creatività alla mec-canizzazione, l'artigianato, learti, le cose belle all'utilitari-smo imperante.

Sono gli anni delle «Arts

and Crafts», di William Morris,dei preraffaelliti e di altri artistireali che entrano nella storia co-me personaggi (una caratteri-stica tipica di tutta la scritturadella Byatt). Ci sono, tra i prota-gonisti, maestri vasai, scrittori,marionettisti, burattinai, tea-tranti, ricamatrici, curatori dimusei, tutti dediti in maniera to-talizzante al loro mestiere o allaloro vocazione. Tutti in qualchemodo critici nei confronti dellarealtà presente, e desiderosi ditornare indietro, a un passatopiù mitico che storico, un passa-to di cui l'infanzia era vista co-

me integralmente parte.E’ sull'idea dei bambini come

creature mitiche, non ancoraparte della corrotta realtà e per-ciò affascinanti, che si incentra ilpoderoso volume della Byatt,che riprendendo il sentire diun’epoca afferma che ciò che dimeglio ci han dato quegli anni èla letteratura per l'infanzia, dal-le opere di Carroll a quelle diKenneth Grahame, di Barrie, diBeatrix Potter, di Kipling, dellaBurnett, di E. Nesbit: «Voci auto-revoli sostenevano che la gran-de letteratura dell’epoca era laletteratura per bambini, che ve-

niva letta anche dagli adulti».E' così convinta di questo, la

Byatt, che per tutto il romanzonon fa che riflettere, parlare, ri-ferirsi, in molti modi, alla lette-ratura per l'infanzia, contenito-re sorprendente e inesauribiledi spunti, di metafore, di segniche possono essere usati, sem-pre, per spiegare il mondo, la vi-ta e le sue più diverse, comples-se, strane situazioni. «Questi ra-gazzini, pensò Julian, sono statiaffascinati e abbindolati comese un pifferaio magico li avesseindotti a seguirli docilmente sot-toterra»; «Per qualche motivo,ricordava con chiarezza il boscodi Alice attraverso lo specchio,dove le cose non hanno nome»;;«Olive si tormentava con l'inuti-le pensiero che avrebbe dovutoproteggere quei ragazzi, cheaveva distolto l'attenzione da lo-ro, e li aveva perduti» (è a causadella distrazione degli adultiche ci sono, in Peter Pan, i ragaz-zi perduti); «Con i pavimenti ine-vitabilmente coperti dalla polve-re e i telai che nascondevano levarie teche come drappi funebrisu una bara, pareva di entrarenel palazzo della bella addor-mentata e allo stesso tempo nel-la tomba di Biancaneve». O an-cora, in un dialogo tra amiche dicui una ha deciso di studiare se-riamente le fiabe, intraprenden-do la lunga carriera universita-ria: «Non credi che dopovent’anni passati a studiare Ce-nerentola potresti essere so-praffatta dall'idea dei figli chenon hai avuto? - Molto probabi-le - disse Griselda. - Ma dopovent'anni di gravidanze, di feb-bri e isolamento, sempre chiusain casa potrei essere sopraffattadall’idea di Cenerentola».

Poiché si parla di letteraturaper l'infanzia come di quella let-teratura «ricca di magia, storiedi esseri semiumani ancora incontatto con l'antica terra» e diun’infanzia così amata in sé, co-me idea, che viene spinta a rima-nere tale, l'epilogo del libro dellaByatt non poteva essere più sim-bolicamente coerente.

La generazione di bambini dicui lei parla, i bambini per i qualifurono scritti i grandi «classici»per l'infanzia, furono di fattobambini per eccellenza: non soloperché vennero idealizzati edunque in qualche modo cristal-lizzati, nell’immaginario, ma per-ché rimasero davvero, tragica-mente, per sempre bambini. Mo-rirono in massa, prima di potervivere una vita da adulti, nelletrincee e nel fango della Primaguerra mondiale, risucchiati daquella terra con cui li si volevamiticamente tutt’uno.

ONETTI E SEGUENTI

JuanCarlosOnettiè tra imaggioriscrittorisudamericani,natonel1909escomparsonel1994.Uruguagio,si stabilìaBuenosAiresnel1941(l’Argentinaè ilPaeseospitedellaFieradiFrancoforte, incorso).Einaudineriproponeil romanzo«Lavitabreve»(trad.diEnricoCicogna,pp.361,€ 22).Così lopresentaMarioVargasLlosa:«Pochiromanziriesconoamostrareconl’astuziadeLavitabreveilprocessodigestazionedellafinzione».BonaerenseèloscrittoreRobertoMariani(1893-1946)dicuiLeNubipubblica i racconti«Cuentosdelaoficina» ,settestoriedicittà,vistacongliocchidiunimpiegatopiccoloborghese(acuradiMarziaMascelli,pp.154,€ 13).Unacollanadedicataagliscrittori sudamericani lavareràMinimumfaxnellaprossimaprimavera.Tragliargentini:daimaestriOnettieSabatoaCésarAiura,RicardoPiglia,AlanPauls.IntermezzipubblicaLaprigionediOjeda (pp.110,€ 10)delgiovaneargentinoMartínMurphy,storiadiuninetto,unimpiegatosposato,senzafigli, chesiauto-recludeapocoapoco.Sarà in Italia (aTorinoil18/10Circolodei lettori) l’autorediIlviaggiatoredelsecolo,AndrésNeuman(NeriPozza).

Jo Nesbo ha una duplicequalità: racconta delittinorvegesi con il ritmo tipi-

co delle crime story america-ne, mescolando il fascino sottil-mente plumbeo e misterioso de-gli orizzonti nordici con la velo-cità violenta del noir a stelle estrisce. Persino nelle scelta delnome del suo investigatore,Harry Hole, si è concesso un ri-mando affatto boreale. In piùgli ha costruito intorno un pas-sato investigativo forgiato aQuantico, l’università del Fbi,in grado di fargli riconoscerela mano omicida di un serialkiller in una Oslo sì rapace e be-ona (e in una Bergen altrettan-to ubriaca) in cui però l’assassi-no seriale è un sommo scono-sciuto, forse per via di tuttoquel mare ghiacciato che le cir-conda e le isola dal resto delmondo davvero incivile.

Ne L’uomo di neve (trad.Giorgio Puleo, Piemme, pp. 531,€ 19,50) Nesbo inventa addirit-tura una sorta di alter ego adHarry Hole - il detective Gert

«Pugno di Ferro» Rafto - che, inun passato scandito da tre elezio-ni Usa (Reagan, Bush e Clinton),si nutre degli stessi comportamen-ti alcolici, impregnati di intensema depresse illuminazioni, finoperò a finir intrappolato dall’uo-mo su cui indaga. E che firma conun pupazzo di neve la sua sequeladi omicidi, rivolti quasi esclusiva-mente a madri con figli avuti inrelazioni clandestine. E’ propriola sparizione di Rafto - è morto, èsolo scappato per sempre? - a met-

tere in moto un meccanismo per-verso che si dipana lungo vent’an-ni per giungere, infine, a Hole nelmomento in cui si trova di frontealla scomparsa di Birte Becker ealla scoperta che il suo telefoninosta trasmettendo dal cuore del-l’omino di neve (con sciarpa ros-sa) che va mestamente scioglien-dosi accanto la porta di casa.

Harry, com’è nel suo caratterefrenetico e allucinato, intravedele orme di un serial killer e, nono-stante l’avversione dei suoi supe-riori per quella che ritengononient’altro che un’idea peregrinatesa a rinverdire il suo mito calan-te, gli concedono una minuscolatask force dove il ruolo preponde-rante (ed enigmatico) l’ha una«novizia», Katrine Bratt, in fugada Bergen. Ma c’è un’altra donnaa turbargli le notti: la sua ex,Rakel, in procinto di sposare unmedico ambiguo con conoscenzeambigue. Triplo finale all’ombradel trampolino da sci più famosodella terra: l’Holmenkollen chedall’alto domina Oslo e il suo fior-do misterioso.

Com’era liberae pura l’infanzianella Casa Albero

L’opera, divisa in settelibri, si concludecon un’allegoricadiscesa agli inferidella vita quotidiana

«La carta e il territorio»:una riflessione sullafine di una societàche ha equiparatol’arte alle altre merci

«Adán Buenosayres»:un viaggio in unaristretta parte dellacittà, con echidi Dante e Rabelais

Essere scrittorinell’era del sospetto,quando non si può piùscrivere avendofiducia nei lettori

Houellebecq: cosìmuore l’autore

La due giornidell’Ulisseargentino

IL GIALLONORDICO

PIERO SORIA

Jo Nesboe il killerdi madri

pp Antonia S. Byattp IL LIBRO DEI BAMBINIp trad. di A. Nadotti e F. Galuzzip Einaudi, pp. 699, € 25p La Byatt si affermò con Posses-

sione vincendo il Booker Prize.Altri suoi titoli: Angeli e insetti eLa vergine nel giardino

pp Michel Houellebecqp LA CARTA E IL TERRITORIOp trad. di F. Ascarip Bompiani, pp. 362, € 20

pp Leopoldo Marechalp ADÁN BUENOSAYRESp a cura di C. Ongaro Haeltermanp trad. a cura di Nicola Jacchiap Vallecchi, p. 732, € 21

Marechal Un capolavoro del ’48,corposo, controverso, smisurato

Antonia S. Byatt

Michel Houellebecq: il suo romanzo è in corsa per il Goncourt

Il romanzo autoritratto Il gioco di trasformare in esseridi carta molte persone esistenti nel reale, da Sollers a S. B.

L’ansia degli inglesiricchi, colti, di crescerei figli con mente aperta,opponendo la creativitàalla meccanizzazione

Scrittori stranieriIITuttolibri

SABATO 9 OTTOBRE 2010LA STAMPA III

Marie Stillman, «Il giardino incantato di Messer Ansaldo», 1889

Leopoldo Marechal (Buenos Aires, 1900 – 1970)

Page 4: Tuttolibri n. 1735 (09-10-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - V - 09/10/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/05 - Autore: MARVIN - Ora di stampa: 08/10/10 20.01

PIERSANDROPALLAVICINI

Kaha Mohamed Adenè la figlia di Mohamed AdenSheikh, ministro somalo sottoSiad Barre. Destituito e impri-gionato dallo stesso Barre sen-za alcun barlume di ragione egiustizia, Mohamed AdenSheikh rimase poi in carcereper oltre sette anni (la sua vi-cenda, intrecciata a quella delsuo Paese, si legge nell'illumi-nante La Somalia non è un'isoladei Caraibi, da poco uscito perDiabasis).

Si scrive questo non perchéFra-intendimenti, raccolta diracconti ed esordio di KahaAden, contenga l'esplicita sto-ria di quegli accadimenti. Lo siscrive per capire che genere dicatastrofe abbia sconvolto lavita dell'autrice. Ma «le condo-glianze si fanno entro tre gior-ni dal fatto, se no è troppo cru-dele toccare le ferite quandouno, forse, sta cominciando aleccarsele», scrive Kaha Adennel racconto Il dizionario, la-

sciando uno dei tanti, discreticenni alla tradizione, a un anticocodice etico. Benché il trauma cisia stato, la catastrofe sia acca-duta, occorre porre distanza, la-sciar cadere. Occorre elaborarecon dignità, mantenere un atteg-giamento nobile, fermo. Occorrenon scomporsi, non urlare, nonfarsi avvelenare dal rancore oanche semplicemente dalla di-sperazione. Un miracolo, uno

sforzo sovrumano? Forse, ma inquesta manciata di preziosi rac-conti succede.

Nel 1986, mentre il padre eraancora in carcere, poco primache le lotte claniche frantumas-sero definitivamente la Somalia,Kaha Aden riparò in Italia. Quisi è laureata e qui vive nella cal-ma della provincia, qui scrive equi lavora nella mediazione cul-turale. L'immigrazione in Italia

può essere meno che traumati-ca per un esule? Specie se avve-nuta negli anni delle code bibli-che davanti alle questure? Altrocenno d'autore a un sottintesocodice etico: nel racconto Xu-seyn, Suleyman e Loro tre giovanifreschi d'immigrazione, sconcer-tati dal fatto che le anziane si-gnore italiane scappino anzichéfermarsi a parlare con loro, nedomandano conto a un'immigra-

ta somala di lungo corso. Lei di-ce: «Scappano perché hanno pa-ura». «Di che cosa?» «Della mor-te!». Il punto? L'immigrata nonrisponde «hanno paura di noi»,come probabilmente ci aspette-remmo. E il codice etico? Ecco-lo: perseguire lo smantellamen-to dei luoghi comuni, utilizzaresempre uno sguardo affilato,porgere battute a mezza voceper svelare che il re è nudo (e

quanta distanza, qui, rispetto auna narrativa migrante italianatroppo spesso avvelenata da ran-core e cliché).

Codice, tradizioni, autoriali-tà: una miscela che produce rac-conti confezionati in un involu-cro di rassicurante quotidianità,che parlano di amiche, di tazzedi tè ben preparate, di fiori bencurati, di collegi universitari, ce-ne con ricette etniche, bar, pani-ni nell'intervallo pranzo. Ma que-sto non significa né dimenticarené ignorare. I due fuochi cupi deldramma somalo e del disagiodell'africano rifugiato in Italia cisono e rosseggiano da lontanosu questi Fra-intendimenti, la-sciando in primo piano i colori vi-vidi di una ben praticata ironia,di una grazia, di una moderazio-ne femminili e primaverili. Cosìmentre lo si legge nemmeno cene si accorge, ma dopo, chiuso illibro, sì: ci si è portati dietro cosefondamentali sulla storia recen-te della Somalia e sul destino diun migrante nero in Italia. Insie-me a una bella lezione di stile.

PAROLE IN CORSOGIAN LUIGI BECCARIA

Non vogliamoimpadanirci

Da Carlo Levi a Luigi Einaudi,lingua e letteratura «salvano» l’Italia

Una tazza di tènon cancella

il mal di Somalia

MARGHERITAOGGERO

L'avvocato VincenzoMalinconico - creatura di Die-go De Silva - torna da prota-gonista in una nuova storia. Ecome tutte le persone nella vi-ta reale e i personaggi dei(buoni) libri, torna un po’ mu-tato, perché l'avanzare deltempo, il grigiore della quoti-dianità o l'incalzare di eventiimprevisti smussano certeasperità di carattere, ne esa-sperano altre, ci trasformanoin eredi più o meno lontanidella nostra passata identità.

Vincenzo Malinconico èpiù malinconico di prima, piùrimuginante, più ammaccatonegli affetti, più imbranatonelle minute faccende dellavita, più intenerito di frontealle fragilità altrui, forse per-ché con l'avvicinarsi dellamezza età è lui stesso più fra-gile, sebbene poi dimostri al-l’occorrenza impreviste ca-pacità di riscossa.

L’ex moglie si è fatta ran-corosa e tardivamente gelo-

sa, la nuova compagna di-stratta e ondivaga, i due figli,alla fine dell’adolescenza e al-l’imbocco della giovinezza,non gliene perdonano una.Solo con l'ex suocera Assun-ta (chiamata Ass, senza pru-riginosa ironia) ha un rappor-to di brusca franchezza, maAss deve elaborare a suo mo-do lo choc della scoperta diavere un cancro.

Il lavoro va maluccio, gliintroiti sono così miserellida impedirgli di pagare l'as-segno di mantenimento peri figli, insomma il destino staaccidentando la vita al pove-ro Vincenzo, che da partesua collabora allo sfasciocon l’irresolutezza, la ten-denza al rinvio, la distrazio-ne, la divagazione, l'alter-

nanza di reazioni rabbiose esubitanee capitolazioni inogni tipo di rapporto.

In questo groviglio di incer-tezze, ci sono però alcune opi-nioni solidamente ancorate, re-lativamente alla sua professio-ne («siamo tutti rassegnati al-l’idea?…? che fare causa sia il si-stema brevettato perché unaquestione s'ingrippi e rimangavergognosamente insoluta»)ma soprattutto riguardo a sestesso («Gongolo quando lagente non si comporta come do-vrebbe, perché così mi dà mo-do di dirglielo, di manifestarela mia riprovazione tombale»)e a certi dettagli del presente odel passato non rilevantissimi(la dittatura del Pare Brutto,gli attori dei vecchi telefilm).

Ma è proprio l’ingarbuglia-

mento gerarchico tra incertez-ze e convinzioni, è la goffaggineriscattata dall’autoironia a ren-dere credibile, accattivante einfine amabile il personaggio.Che qui si trova coinvolto cometestimone in un sequestro dipersona trasmesso in direttadal sistema di videosorveglian-za di un supermercato.

Il sequestratore è l’ingegne-re informatico autore del siste-ma stesso, esacerbato dal dolo-re per la morte accidentale delfiglio in un maldestro omicidiodi camorra, il sequestrato ilprobabile mandante dell’omi-cidio stesso e la messa in ondain diretta nelle varie reti televi-sive vuole essere il processo-verità in sostituzione del pro-cesso istituzionale mai avvenu-to. Ma Vincenzo Malinconico,arruolato controvoglia in ve-ste di teste e avvocato, nono-stante tutte le sue incertezze,non ci sta, e difende come me-glio gli riesce la dignità dellasua professione e della Giusti-zia nella sede appropriata.

A capitoli alterni si snoda-no la vicenda del sequestro, leosservazioni sul comune sen-so dell’estetica, un breve corsodi scrittura non troppo creati-va, battibecchi e incompren-sioni familiari, una disquisizio-ne sulla produzione discografi-ca dell'Equipe 84 ecc. in unracconto che, tra la descrizio-ne delle assurdità (spessooscenità) del presente e la rie-vocazione del passato prossi-mo trae forza e fascino dalleaccelerazioni incalzanti e dairallentamenti improvvisi.

Kaha Aden La figlia-scrittricedi un ministro perseguitato

Carlo Levi, in una paginadel libro Le mille patrie(Donzelli, 2000) che rac-

coglie articoli suoi sparsi scrive:«L'Italia è un paese misterioso.Aperta agli sguardi e alle inva-sioni, i secoli e le genti sono pas-sati su di lei; civiltà, pensieri, re-ligioni antiche l'hanno ispiratae commossa, e hanno lasciatosuccessive stratificazioni, comei sedimenti che portano i grandifiumi nel corso dei tempi. Oggi,ogni suo aspetto è composito,ogni sua pietra è piena di molte-plici sensi, ogni parola del suolinguaggio è intrisa di religionispente; e un intreccio indistrica-bile di storia fa vivi i gesti piùmeccanicamente quotidiani».

L'Unità d'Italia finalmentee faticosamente raggiunta nonha cancellato questa molteplici-tà, l'ha rinsaldata in un vividomosaico e ne ha esaltato i colo-ri. Siamo diventati italiani sen-za rinnegare il nostro passato,le nostre tradizioni, le nostre di-versità. La diversità e la pocarilevanza di ciascuna parte sa-rebbero rimaste tali se non cifossimo confrontati e uniti.

Ancora Carlo Levi nel librocitato ricorda uno splendidosaggio di Luigi Einaudi, là do-ve l'illustre statista si chiedevache cosa fosse il Piemonte: era,come dice la parola stessa,«una striscia irregolare di terre-no, situata a piè dei monti»,«un paese così mal congegnato,da non avere neppure un titolodi quelli consueti dalle nostre

parti», non ducato, marchesato,contea, signoria, mai esistito unregno «piemontese»; il Piemonte- postilla Carlo Levi - «non diven-tò, secondo Einaudi, veramentetale se non fondendosi con l'Ita-lia». L'unità è appunto «collo-quio», partecipazione, continui-tà, tempi e paesi che si fondono inun tutto nel quale ognuno dàqualcosa, per costruire un tessutoche alla fine risulta «civile».

Gli ambiti in cui si è realizza-to un valore in grado di unirepiù di ogni cosa l'Italia non sonostati tanto le conquiste tecniche,il mercato, la politica ideale del-la democrazia moderna, il princi-pio della tolleranza, entità im-portanti, ma moderne. È inveceun valore culturale, la lingua ela letteratura, che più di tutti glialtri hanno unito, e hanno fattol'Italia. È risaputo.

Ma cosa conta tutto questo,quando apro i giornali, ascoltola Tv! Come potrò, cittadino diuna nazione che ha i maggioripregi (e i maggiori difetti) dellaterra, impadanirmi in una Pa-dania inesistente, impantanar-mi tra le stupidaggini di Bossi &C., monumenti all'ignoranza, ac-cettazione e esaltazione dell'ignoranza (SPQR, gesti osceni,barbarie celtiche e ampolle).

Per colpa loro, già sto odian-do il verde, il colore preferito, imiei prati e le mie colline. Nonsopporterò più, tra un po', la ca-denza veneta, che amavo così tan-to, Goldoni o la telefonata musi-cale del mio amico Zanzotto?

pp Kaha Mohamed Adenp FRA-INTENDIMENTIp Nottetempop pp. 136, € 13

PER I RAGAZZI (E NON SOLO): IGIABA SCEGO SI RACCONTA

«Negra», romana e romanista= Sheeko sheeko sheeko xariir… Storia storia oh storia diseta. Iniziano così tutte le fiabe somale e inizia così anchequesta storia, una storia lunga vent’anni raccontata di panciae di cuore per dare una rispondere ad una domanda: «Tu chisei?». La mia casa è dove sono (Rizzoli, pp. 166, € 16,50) èun tentativo, riuscito, di usare l'autobiografia per disegnarela mappa di una vita sballottata e travolta dal caos, dagliideali, dai drammi di una guerra lontana ma vicina, dallafatica di sentirsi straniera a casa propria, dal disordine diessere, ed essere in tutto per tutto, italiana e anche somala.Igiaba Scego, romana e romanista, giornalista e scrittrice, è

nata per caso nella capitale nel 1974, figlia di madre nomadee di un padre impegnato in politica per dare un futurodemocratico alla Somalia, è una delle voci più lucide edisincantate della seconda generazione. E ha scelto dimettersi in gioco in prima persona con questo libro che saessere duro e poetico, ironico e cattivo, attuale e nostalgico.Non un libro di storia, ma il libro di «una» storia: di unabambina che si trova «sporca negra» in una classe di bianchi,che si sente osservata per strada come se fosse un animale dazoo, che cerca la sua Mogadiscio tra le vie e le piazze di Roma,che rintraccia nella famiglia e nelle favole segni di un passatoe di radici che sente crescere sempre più forte dentro sestessa. Un bambina che diventa un’adolescente, tra i primibaci, gli amici, la scuola, le corse in curva Sud, nascondendo

nello studio e nella bulimia il dramma e la sofferenza per unaguerra inutile e tragica in Somalia, che tiene lontana da Romala madre per due anni, che porta lutti e disperazione,annientando giorno dopo giorno ogni speranza per unfuturo diverso per il Paese africano. La mia casa è dove sono èun inno alla vita e alla contaminazione, all’incontro, allaricerca di se stessi e degli altri, all’uso della parola percostruire e difendere la propria identità. Una letturatrasversale, da diffondere a scuola, tra gli adolescenti: Igiabasa parlare ai più giovani. Arriva diretta. Senza edulcorare. Sadare un nome alle emozioni e ai turbamenti interiori. Perché,come dice lei, è «figlia del casino». E, nel cercare di dare unarisposta al «Tu chi sei?», aiuta a capire meglio chi siamo noi. Federico Taddia

«Mia suocera beve»:tra le assurdità(spesso le oscenità)del presentee le ombre del passato

De Silva Il ritorno di Vincenzo Malinconico,sospeso tra la famiglia a rotoli e un sequestro

pp Diego De Silvap MIA SUOCERA BEVEp Einaudi, pp. 338, € 18p Diego De Silva è nato a Napoli

nel 1964. Presso Einaudi ha esor-dito con il romanzo «Certi bambi-ni», premio selezione Campiello,da cui è stato tratto il film omoni-mo diretto dai fratelli Frazzi.E’ stato finalista allo Stregacon «Non avevo capito niente».

Scrittori italiani TuttolibriSABATO 9 OTTOBRE 2010

LA STAMPA V

Se l’Equipe 84consola l’avvocato

Diego De Silvaè nato a Napoli

nel 1964.Ha esordito

nel 2001con «Certibambini»;

nel 2007le prime

avventuredel suo

avvocatoMalinconico

in «Non avevocapito niente»

Kaha Mohamed Aden

Igiaba Scego

Page 5: Tuttolibri n. 1735 (09-10-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - VI - 09/10/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/06 - Autore: MARVIN - Ora di stampa: 08/10/10 20.01

NADIACAPRIOGLIO

«Che cosa mi ha datoVišera? Tre anni di disillusioniquanto agli amici e di speran-ze giovanili infrante. Un’insoli-ta fiducia nella mia forza vita-le. Provato da quella difficileesperienza, solo, sopravvissi aquella prova fisica e morale.Avevo capito che la vita è unacosa seria, ma non bisogna te-merla. Ero pronto a vivere».

Siamo nel 1931: tre anni pri-ma Varlam Šalamov, studen-te moscovita contestatore,era stato arrestato dal Kgbper aver aderito all’opposizio-ne trozkista ed era stato invia-to in un gulag negli Urali, là do-ve scorre il fiume Višera.Višera, pubblicato da Adelphinell’ottima traduzione di Clau-dia Zonghetti, preceduta dauna toccante introduzione diRoberto Saviano, è la primadetenzione di Šalamov: nonha ancora capito tutto e il la-ger non si è ancora manifesta-to in tutta la sua forza; Koly-ma sarà la seconda detenzio-ne di Šalamov che durerà duedecenni, farà di lui uno zek intutto il suo essere e ci darà ilsuo capolavoro, I racconti diKolyma, uno dei più importan-ti libri in lingua russa sull’uo-mo di fronte all’estremo.

Višera è il prologo di Koly-ma, l’antefatto di una storia

che si accinge a erigere a siste-ma l’«eliminazione dopo l’uso»dell’uomo. Nel 2000 il registaIosif Pasternak ha realizzatoun film sul gulag in due parti:l’era dell’acqua e l’era della ter-ra. Tra i luoghi dell’era dell’ac-qua c’è il bacino della Višera,che a partire dal primo pianoquinquennale, nel 1929, diven-ta una delle vie della nuova co-lonizzazione e con i suoi cantie-ri permette al potere sovieticodi realizzare il sogno di Pietroil Grande: il passaggio da unprogetto penitenziario a unprogetto economico, al tempostesso sociale e repressivo, uti-lizzando la manodopera gra-tuita dei campi.

Šalamov si presenta comeosservatore privilegiato diquesta trasformazione. Arri-va in una zona lager nuova «dizecca», in cui «ogni metro di fi-lo spinato splende al sole», unnon-spazio dove non si puòcondividere né la gioia, né il do-lore: la gioia perché è pericolo-so, il dolore perché è inutile. Ilprossimo non può confortarti,ti consegnerà ai capi, piutto-sto, per un mozzicone di siga-retta, o per svolgere il propriodovere di informatore.

Il giovane Šalamov è anco-ra un ingenuo, ostinato soste-nitore della rivoluzione, non sirende conto che è finita, che ilpotere tirannico di Stalin l’haspenta per sempre. Nessunoall’epoca credeva che le re-

pressioni colpissero persone in-nocenti e dietro agli arresti dimassa si continuava a vedereuna Russia vitale, con forze gio-vani che si risvegliavano alla lot-ta. Anche le autorità del campofavoriscono il giovane entusia-sta che collabora con loro pererigere un complesso chimiconel grande Nord, apprezzando-ne il coraggio nel rifiuto di testi-moniare contro la propria co-

scienza quando la Ceka montaun «affare» a danno dell’inge-gnere-capo. Višera offre moltiritratti: dapprima i compagnisembrano avere tutti «la stessafaccia», ma presto ciascuno diloro si guadagna un posto nellavita e nella memoria dell’auto-re, per sempre. Come, ad esem-pio, la rusalka, una detenuta dipassaggio che interpreta sulpalcoscenico del lager La mortedel cigno: fra le ovazioni del pub-blico, Šalamov, seduto nelle pri-me file, nota l’immensa stan-chezza di quel cigno morente,stremato dalla galera.

Tuttavia, non sono tanto iprotagonisti, né la visione chia-ra di una società e della sua mar-cia suicida, a rendere indimenti-cabili le pagine di Šalamov,quanto la sua attitudine etica, lasua accettazione, la sua sospen-sione di giudizio. Nel lager nes-suno è colpevole, nessuno pre-tende espiazione, perché a giudi-care sono i detenuti di ieri, o didomani, e chiunque, scontatauna condanna, acquisirà il dirit-to a giudicare gli altri.

Šalamov scrisse che la me-moria è come un tubetto di col-la indurita, non ne esce più nul-la; ma quando al suo ritorno ri-troverà il silenzio, la neve tiepi-da e lieve di Mosca, la città tan-to amata dove tutto era acca-duto, inizierà a scrivere, nonper denunciare il campo, maper studiarlo e per comprende-re se stesso.

MARCOBELPOLITI

Nell’aprile del 1975 Pe-ter ha tre anni; si trova dentroun passeggino che i suoi genito-ri spingono durante una manife-stazione di solidarietà con laCambogia. Gli sembra che i pre-senti gridino: «Kiss», pipì. In re-altà, urlano uno slogan: «Kissin-ger, Kissinger! Assassino!», di-retto contro il segretario di Sta-to americano che ha ordinato dinascosto, insieme a Nixon, mas-sicci bombardamenti sul territo-rio cambogiano. Trent’anni do-po Peter Fröberg Idling scriveun libro dedicato al Paese asiati-co: Il sorriso di Pol Pot, dove rac-conta la storia della martoriataKampuchea Democratica, no-me assunto dalla Cambogia do-po la sua liberazione, e quella diuna delegazione di militanti poli-tici della sinistra svedese in visi-ta nell’agosto 1978 nella repub-blica istituita dai Khmer rossi,senza vedere cosa sta realmen-te accadendo in quel paese.

Ma Il sorriso di Pol Pot è an-che la storia di Peter stesso, delsuo rapporto con una vicendadegna dei campi di sterminio na-zisti, avvenuta in nome dei valo-ri di una «futura umanità».

Nel 1975, in una situazionecomplessa, segnata dalla guer-ra del Vietnam vinta dal Nord,dai bombardamenti americani,dalla propensionedei vietnamiti

a trasformare la Cambogia inun loro protettorato, dalle ten-sioni tra Cina e Urss, tra Cina eUsa, i Khmer rossi prendono ilpotere in Cambogia usando co-me scudo internazionale l’ex reSihanouk. Nel corso di quattroanni impongono misure terribi-li: deportazione forzata della po-polazione delle città, campi di la-voro, riduzione delle necessitàalimentari individuali, torture,esecuzioni, centri di eliminazio-ne. Non si sa bene quanti cambo-giani siano periti; l’ultimo censi-mento è del 1962, poi la guerri-glia, i bombardamenti, il colpodi stato militare, le intrusionivietnamite, la guerra intestinahanno causato oltre 2 milioni dimorti, di cui una buona parte ef-fetto della dittatura del partitocomunista cambogiano capita-nato da Pol Pot.

Fröberg Idling racconta tut-to questo, alternandolo con unviaggio nel paese asiatico di cuiconosce la lingua, e alle storiedei visitatori svedesi (tra cui ilcelebre Jan Myrdal), ma anchealle vicende dei dirigenti dei Kh-mer, di Pol Pot stesso, prima aParigi e poi Phnom Penh. Nondimentica nulla, visita i luoghi didetenzione, cerca i sopravvissu-ti, racconta i suoi sogni. Ne sca-turisce un libro in bilico tra sag-gio e romanzo, tra autobiografiae storia politica.

Fröberg Idling è senza dub-bio un uomo di sinistra, e le suedomande sul fallimento del co-

munismo radicale dei Khmer so-no impietose: perché quegli intel-lettuali,quei militanti politicidelladelegazione svedese, non hannovisto nulla? Sono stati ingannatidai loro ospiti orientali o piuttostonon volevano vedere? O entram-be le cose? Cerca di incontrarli: al-cuni sono disponibili, altri si sot-traggono. Possibile che alla finedegli Anni Settanta ci fosse anco-ra chi si chiedeva se mettere, o no,

a nudo le efferatezze del regimecambogiano, come trent’anni pri-ma quelle dello stalinismo?

Il sorriso di Pol Pot è un libroimpietoso che si legge, non soloper conoscere la storia di quel Pa-ese e del suo Illuminato Leader(Philip Short lo ha fatto benissimoin Pol Pot, Rizzoli), ma per spiega-re letteralmente una piega nasco-sta della storia svedese ed euro-pea della sinistra, e questo senzacadere in un anticomunismo dimaniera. Per questo il libro hauna tonalità malinconica che atratti, ma solo a tratti, si trasfor-ma in pietà e dolore. Si mantienesobrio, trattiene le lacrime, salvoin un passaggio: la visita al famige-rato Lager S-21.

Fröberg Idling cerca di sfata-re i luoghi comuni sul massacro -prima ignorato in Europa, poi esa-gerato sino al parossismo. Mostrai limiti di intellettuali notevoli, co-me lo stesso Myrdal, ma ancheChomsky; mostra soprattutto lacomplessità di una rivoluzione co-munista in un Paese asiatico agitada un gruppo di ex studenti di eco-nomia a Parigi negli Anni ‘60, de-voti di Robespierre.Utopia e folliasi mescolano in modo indissolubi-le, e solo la chiave letteraria, la for-za del racconto quale esplorazio-ne di un territorio anche interio-re, è in grado di restituirci il passa-to. Un libro da leggere nelle scuo-le per vaccinarsi contro ogni pre-tesa di verità assoluta che è l’origi-ne di ogni dittatura politica, maanche post-politica.

racconti manichei, le batta-glie tra Buoni e Cattivi. Que-sto genere di Nemico è privodi caratteristiche umane.Può essere, come nella fanta-scienza, un mostro provenien-te dallo spazio o il risultato diprocessi umani, come una ra-diazione nucleare (Godzilla ogli zombies in La notte dei mor-ti viventi o i dinosauri in Juras-sic Park) oppure il prodottodell’esperimento mal riuscitodi uno «scienziato pazzo» (lacreatura di Frankenstein o drJeckyll-Mr Hyde). È il maleassoluto, come gli orchi nel Si-gnore degli anelli, che il pubbli-co è invitato a non compiange-

re se muoiono in quantità, men-tre le stragi di umani e di elfiispirano pietà e solidarietà.

Nemici di questo generenon hanno un motivo per esse-re tali. Fanno ciò che fanno, co-me distruggere l’umanità, suc-chiare il nostro sangue o man-giare la nostra carne, solo per-ché sono il Male. O loro o noi, di-rebbe George Bush.

Non ragioni con un serialkiller o con Dracula. Con il pri-mo non puoi farci nulla, il se-condo ha bisogno del nostrosangue. Non c’è dimensioneetica. La loro distruzione èl’unica soluzione. Le ragionidel Farabutto non devono esse-

re comprese. Capire può gene-rare empatia e l’empatia com-plica le cose. Per tutto il film Mdi Fritz Lang (1931) noi speria-mo che Peter Lorre venga pre-so perché le sue vittime sonodelle ragazzine deliziose. Ilfilm appare come un «norma-le» film manicheo, come lamaggior parte dei film che di-pingono serial killer. Alla fine,però, quando i vigilantes - sem-pre più visti in una luce negati-va - lo catturano, il personag-gio di Peter Lorre dà conto delsuo terribile comportamento.Spiega che non può farci nulla,che non ha il controllo su sestesso - e questo è sufficiente

perché cambi la dimensionemorale del film e il pubblico sialasciato meno sicuro di sé.

È perciò molto meglio, e piùsemplice, quando il Male è as-soluto, quando è l’incarnazio-ne di Satana - una parola ebrai-ca, ha-satan, l’avversario -agente e spia di Dio, che racco-glie informazioni segrete sugliesseri umani. Come molte spiee agenti del contro-terrori-smo, ha bisogno di provocare otentare la gente o sedurla peravere peccatori da riportare aDio. Demoni e diavoli si trova-no in tutto il mondo con carat-teristiche piuttosto simili.

Questo spiega la facilità in-

terculturale con cui possiamocapire il Male: non è una speci-ficità culturale. L’induismo hagli asura (descritti nella Bha-gavad Gita) che lavorano con-tro Dio. I greci avevano i dai-mon, i demoni che eseguivanole punizioni per conto deglidei. Il cristianesimo ha l’Ange-lo Caduto, Lucifero (il portato-re di luce) e Belzebù (il signo-re delle mosche). L’Islam haIbis, scacciato da Dio per es-sersi rifiutato di adorare Ada-mo, il primo uomo.

Sconfiggere il Male può es-sere lo scopo di una storia, mala sua sopravvivenza è neces-saria per la continuazione del

genere. Tutte le sue sconfittesono temporanee. La sua re-surrezione è tanto prevedibilequanto necessaria. Sconfittoun nemico, ne sbucherà un al-tro. Non c’è fine, proprio comenon c’è fine alla storia della lot-ta tra Bene e Male.

Lo stesso accade nella co-siddetta vita «reale». Non c’èfine alla storia. Continua ad an-dare avanti. Appena vinta laguerra contro il comunismo,viene dichiarata guerra alladroga (non un buon sostituto,quando si tratta di Male, manon si può essere troppo pi-gnoli) e poi al terrorismo. Scel-ta, quest’ultima, particolar-mente buona perché, non es-sendo legato a una nazione o auna causa specifica, va beneper tutti.

(traduzione di Marina Verna)

Hašek Il capolavoro dello scrittore ceco: un eroe immortale, l’icona dell’attendente babbeoche usa la sua apparente idiozia per sopravvivere all’apocalisse della Grande Guerra

LUIGIFORTE

La vita di JaroslavHašek appartiene all’imma-ginario filmico, ricalca foto-grammi del muto come sug-gerì, a suo tempo, AngeloMaria Ripellino in uno splen-dido ritratto dello scrittorececo incastonato nella fanta-smagoria di Praga magica.Fu apprendista droghiere,mercante di cani e redattoredi rivista zoofila, leader poli-tico, soldato zelante, com-missario bolscevico e bozzet-tista umoristico, marito bi-gamo, bevitore incallito eclown di bettola. Una biogra-fia scandita in sequenze im-probabili: come in una comi-ca, basta cambiar abito ed èsubito un’altra storia. Unapasserella di gesta buffone-sche, di straripanti bouta-des, di improvvisazioni sur-reali dove la finzione fa sber-leffi alla vita.

Dopo aver dispensato ailettori schizzi e storielled'ogni sorta dando la sturaal suo irrefrenabile umori-

smo, nel 1921, due anni pri-ma della morte non ancoraquarantenne, Hašek s’infilanei panni di Švejk e crea uneroe immortale, l’icona del-l’attendente babbeo che usala sua apparente idiozia pergabellare i superiori e so-pravvivere all’apocalissi del-la prima guerra mondiale.Un lontano parente di queiservi scaltri della commediadell’arte che minchionano iloro padroni; e tuttavia piùambiguo e sornione perchépiù esposto alle intemperiedella storia.

Ora Le vicende del bravosoldato Švejk, questo spasso-sissimo libro pubblicato a fa-scicoletti mensili e diventa-to col tempo un classico del-la letteratura mitteleuro-

pea, ritorna grazie all’ Einau-di in una pregevole edizione acura di Giuseppe Dierna, chelo ha tradotto con originalitàe inventiva e prefato in modoeccellente, con l’aggiunta del-le illustrazioni originarie delpittore idillico e naïf Josef La-da, compagno di bisbocce diHašek. Lui, il più grande umo-rista praghese, aveva dentrodi sé da sempre quel perso-naggio. Guitto logorroico, im-provvisatore geniale come unmoderno estatico Villon, natu-ra plebea e randagia, Hašektrasformò le bettole di Pragae provincia (ne frequentò piùdi cento!) nel baricentro dellapropria esistenza. Erano perlui uno spazio di creativa li-bertà come il manicomio in

cui finì per breve tempo dopoaver finto di buttarsi nellaMoldava; un luogo quasi meta-forico in cui si dispiega il rac-conto sul mondo, dove lo scrit-tore, alticcio e instabile, anno-ta su fogli volanti o detta, daultimo in una taverna di Lipni-ce, a un giovane scrivano le di-savventure di Švejk sulle in-fuocate pianure galiziane.

Dal suo osservatorio dissa-crante Hašek ha sferrato unattacco senza precedenti almito asburgico, nel suo modoverboso e popolare, ma con lastessa grottesca radicalitàdel connazionale Kafka. Nullasi salva, tutto viene smasche-rato, soprattutto la retoricatriade di dinastia, religione epatriottismo. Quel pierrot in-crudito che si mescola al tene-ro barbaro, come lo definì ilgrande Hrabal, scrive con loŠvejk l’epica della follia euro-pea alle prese con il massacrodella guerra, svelando l’ipocri-sia e il vuoto dietro il pathos ela retorica dei valori; e al tem-po stesso viviseziona le strut-ture e le gerarchie di un’Au-stria felix ormai scivolata nel-l’abisso. Francesco Giuseppe,l’imperatore «dalle labbrapendule», appare un rimbam-bito sul cui ritratto nell’oste-ria Al Calice cacano le mo-sche, la burocrazia e la giusti-zia sono centrali di sadismo edi idiozia e le gerarchie milita-ri degenerano in un’accozza-glia di deliranti aguzzini checon ordini e contrordini ali-mentano l’idea di un mondo inpreda al caos come nellasplendida clownerie del telefo-no nel finale della secondaparte del romanzo.

Per non parlare della reli-gione messa in scena dai vari

cappellani militari, beoni e la-scivi, attori citrulli di ritualiche seminano ovunque ilari-tà. Come Otto Katz che fre-quenta osterie e bordelli e far-netica dal pulpito, o Lacinache ha un debole per il rum.

L’epica di Švejk che con ilsuo faccione da luna piena, lasua flemma, la sua sornionaobbedienza disarma la folliadi ogni autorità, è un dramma-tico documento antimilitari-sta, che ricorda tra facezie elazzi l'orrore che pervade eannichilisce l’Europa. Unaterra maleodorante, dove laguerra è una sorta di fecalepoltiglia su cui il plebeoHašek insiste con voluttà. E afar dimenticare tale infernonon basta la galleria di figuri-ne immortali come il bulimicosoldato gigante Baloun che sidivorerebbe il mondo o il ca-detto Biegler che sogna di vo-lare in cielo come generale escopre che Domineddio ènient’altro che il suo capitanopronto a sbatterlo in gattabu-ia. Non c’è speranza per glisconfitti.

Anche Švejk, l’inossidabileSancho Panza asburgico cheporta alla disperazione il suosuperiore, il tenente Lukáš, èun eterno colpevole come le fi-gure di Kafka contro cui si ac-canisce il mondo. Ma a lui, ico-na della resistenza, Hašek hafatto dono di quell’ingenuitàche è perfetta innocenza attor-no alla quale in un assordantesabba danzano gli aguzzini:sbirri, commissari, burocrati,cappellani che il regista Pisca-tor trasformò nella sua mes-sinscena del romanzo in grifa-gne marionette e Brecht nellacommedia Schweyk nella secon-da guerra mondiale in SS.

Nulla di più astuto di quel-l’idiozia per dare scacco al po-tere, nulla di più ingenuo checrederci veramente.

Salamovla prima voltanel gulag

L’Occidenteabbagliatoda Pol Pot

DONALD SASSOON

Višera La detenzione dello scrittorefra il 1928 e il 1931: poi sarà Kolyma

J’accuse La martoriata Cambogiascambiata per un paradiso asiatico

IN VIAGGIO, FRA LETTERATURAE STORIA

Con Serena Vitale in Urss= Fra le nostra maggiori slaviste (Il bottone di Puskin,Adelphi), Serena Vitale conosce uno speciale omaggio, acura di Antonio Motta, sulla rivista Il Giannone, semestraledi cultura e letteratura (www.ilgiannone.it). Viaggi, saggi,il titolo del nuovo numero, scritti di Serena Vitale introdottida una conversazione fra l’autrice e lo stesso Motta, «DallaPuglia alla Russia» («Amo tutti gli eroi dell’andare, delviaggiare. Credo che non sia un sogno soltanto mio: esserepiù persone in una sola vita»). In novembre, da Mondadori,Serena Vitale pubblicherà C’era una volta l’Urss, unviaggio attraverso la cultura e la vita della grande Russia.

ELISABETH VAN GOGH

Vincent, mio fratello= «Alla fine, come un fiume supera tutti gli ostacoliscavando un letto nella sua corsa verso l’oceano, così ilgenio di Van Gogh sfociò nella pittura»: Elisabeth vanGogh, di ricordo in ricordo, ritrae Vincent, mio fratello(Skira, pp. 91, € 15, traduzione di Luca Lamberti). Inparticolare soffermandosi sull’adolescenza e la primagiovinezza del futuro Maestro. Il memoriale, finorainedito in Italia, esce in occasione della mostra «VanGogh, campagna senza tempo città moderna», a Romanel Complesso del Vittoriano (aperta ieri, proseguiràfino al 6 febbraio prossimo).

pp Varlam Šalamovp VIŠERAp trad. di Claudia Zonghettip Adelphi, pp. 234, € 18

BALZACNELLAFRANCIADEGLI CHOUANS

Una passione repubblicana= Il primo romanzo di Balzac, il primo «capitolo»della Comédie Humaine, è Les chouans. Lopropone, con il sottotitolo «Una passionerepubblicana», Beppe Grandi editore (traduzione diGiuseppe Grande, pp. 380, € 14). E’ un capitolodella reazione alla Rivoluzione francese. I Chouanssono gli insorti nella Mayenne e nella FranciaSud-occidentale tutta. Amore e storia politica siintrecciano nell’officina balzachiana. Il ministrodella Polizia Fouché confeziona una trappolaamorosa per catturare il Gars, il capo dei ribelli.

AVVENTURE DI MIGRANTI ITALIANI

Il trombettiere di Custer & C.= I migranti italiani che stupirono la «Merica». Acominciare dal Trombettiere di Custer, l’eroe che dà iltitolo alla galleria di Angelo Mastrandrea per Ediesse(pp. 156, € 10, postfazione di Tiziana Rinaldi Castro).John Martin, alias Giovanni Martino da Sala Consilina,già tamburino al seguito di Giuseppe Garibaldi, coluiche «aveva battuto il tempo» alla battaglia di Custoza.«Giuanìn» e altri migranti, come l’anarchico che fecesaltare Wall Street, come il mafioso che leggeva Camus,come il padre calabrese di Bob Dylan, come il libertarioche incendiò Berkeley...

FERNANDO SAVATER

Tutti i miei pirati= «Tanto per cominciare, chiamo storia quei temi chepiacciono ai bambini: il mare, le peripezie della caccia, ilcoraggio fisico, la lealtà verso gli amici...». Un inventariodi storie, le migliori ascoltate da Savater e da lui a suavolta raccontate in Pirati e altri avventurieri (Passigli,pp. 219, € 18, traduzione di Paolo Collo). Da John Silverai tigrotti di Sandokan-Salgàri, da Robinson Crusoe aWalter Scott. Dagli eroi al «tramonto degli eroi», i nostrieroi cinematografici, in primis Humphrey Bogart.«Perché lui? Perché lui più di Gary Cooper o di JamesCagney?». Già: perché?

Segue da pag. I

pp Peter Fröberg Idlingp IL SORRISO DI POL POTp trad. di Laura Cangemip Iperborea, pp. 335, € 17

VERSO IL 2011, DA DANTE AI MANAGER

Agende letterarie= E’ ormai un classico tra i vademecum annuali. Già inlibreria è l’Agenda letteraria 2011, a cura di Gianni Rizzoni(Metamorfosi editore, www.metamorfosieditore.com, pp.160, € 14). Ogni giorno scandito da un anniversario,riguardante questo e quello scrittore (si cominciaricordando che il 1 gennaio 1919 nasceva a New YorkSalinger). Due i temi di fondo: il Premio Strega raccontatonei particolari e l’Unità d’Italia. Ritorna anche l’agendaDante Alighieri (a cura di Gianni Rizzoni, con lacollaborazione di Alessandro Masi, € 18). La novità èl’Agenda dei manager, a cura di Francesco Bogliari (€ 15).

pp Jaroslav Hašekp LE VICENDE DEL BRAVO

SOLDATO ŠVEJKp a cura di Giuseppe Diernap illustrazioni di Josef Ladap Einaudi, pp. XCV-1002, € 85

E il buon soldato Svejksbaragliò l’Austria felix

In alto Jaroslav Hašek disegnato da Josef Lada

Un lontano parentedei servi che popolanola commedia dell’arte,Harbal lo definì«un tenero barbaro»

Tornato a Moscaracconterà il camponon per denunciarlo,ma per studiarloe comprendere se stesso

I buoni che fabbricano i cattivi

Dante AlighieriSerena Vitale

Una delegazionedella sinistra svedesenel ’78 tra i Khmerrossi: non vollevedere l’inferno

Varlam Šalamov

Qui e a sin. altre due illustrazioni di Lada per l’edizione originaria del 1921

p

Un attacco senzaprecedenti al mitoasburgico, con la stessagrottesca radicalitàdel connazionale Kafka

Peter Fröberg Idling

«Sulla purga», copertina della rivista «Krokodil», n. 8, 1929(dal saggio di Gian Piero Piretto «Il radioso avvenire», Einaudi, 2001)

Pol Potdittatore

del partitocomunista

cambogianoe capo

dei Khmerrossi:

la loro guerracostò al Paeseoltre 2 milioni

di morti;il loro regime

imposedeportazioneforzata dellapopolazione

delle città,campi

di lavoro,torture,

esecuzioni,centri

di eliminazione

Personaggi e storieVITuttolibri

SABATO 9 OTTOBRE 2010LA STAMPA VII

Page 6: Tuttolibri n. 1735 (09-10-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - VII - 09/10/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/06 - Autore: MARVIN - Ora di stampa: 08/10/10 20.02

NADIACAPRIOGLIO

«Che cosa mi ha datoVišera? Tre anni di disillusioniquanto agli amici e di speran-ze giovanili infrante. Un’insoli-ta fiducia nella mia forza vita-le. Provato da quella difficileesperienza, solo, sopravvissi aquella prova fisica e morale.Avevo capito che la vita è unacosa seria, ma non bisogna te-merla. Ero pronto a vivere».

Siamo nel 1931: tre anni pri-ma Varlam Šalamov, studen-te moscovita contestatore,era stato arrestato dal Kgbper aver aderito all’opposizio-ne trozkista ed era stato invia-to in un gulag negli Urali, là do-ve scorre il fiume Višera.Višera, pubblicato da Adelphinell’ottima traduzione di Clau-dia Zonghetti, preceduta dauna toccante introduzione diRoberto Saviano, è la primadetenzione di Šalamov: nonha ancora capito tutto e il la-ger non si è ancora manifesta-to in tutta la sua forza; Koly-ma sarà la seconda detenzio-ne di Šalamov che durerà duedecenni, farà di lui uno zek intutto il suo essere e ci darà ilsuo capolavoro, I racconti diKolyma, uno dei più importan-ti libri in lingua russa sull’uo-mo di fronte all’estremo.

Višera è il prologo di Koly-ma, l’antefatto di una storia

che si accinge a erigere a siste-ma l’«eliminazione dopo l’uso»dell’uomo. Nel 2000 il registaIosif Pasternak ha realizzatoun film sul gulag in due parti:l’era dell’acqua e l’era della ter-ra. Tra i luoghi dell’era dell’ac-qua c’è il bacino della Višera,che a partire dal primo pianoquinquennale, nel 1929, diven-ta una delle vie della nuova co-lonizzazione e con i suoi cantie-ri permette al potere sovieticodi realizzare il sogno di Pietroil Grande: il passaggio da unprogetto penitenziario a unprogetto economico, al tempostesso sociale e repressivo, uti-lizzando la manodopera gra-tuita dei campi.

Šalamov si presenta comeosservatore privilegiato diquesta trasformazione. Arri-va in una zona lager nuova «dizecca», in cui «ogni metro di fi-lo spinato splende al sole», unnon-spazio dove non si puòcondividere né la gioia, né il do-lore: la gioia perché è pericolo-so, il dolore perché è inutile. Ilprossimo non può confortarti,ti consegnerà ai capi, piutto-sto, per un mozzicone di siga-retta, o per svolgere il propriodovere di informatore.

Il giovane Šalamov è anco-ra un ingenuo, ostinato soste-nitore della rivoluzione, non sirende conto che è finita, che ilpotere tirannico di Stalin l’haspenta per sempre. Nessunoall’epoca credeva che le re-

pressioni colpissero persone in-nocenti e dietro agli arresti dimassa si continuava a vedereuna Russia vitale, con forze gio-vani che si risvegliavano alla lot-ta. Anche le autorità del campofavoriscono il giovane entusia-sta che collabora con loro pererigere un complesso chimiconel grande Nord, apprezzando-ne il coraggio nel rifiuto di testi-moniare contro la propria co-

scienza quando la Ceka montaun «affare» a danno dell’inge-gnere-capo. Višera offre moltiritratti: dapprima i compagnisembrano avere tutti «la stessafaccia», ma presto ciascuno diloro si guadagna un posto nellavita e nella memoria dell’auto-re, per sempre. Come, ad esem-pio, la rusalka, una detenuta dipassaggio che interpreta sulpalcoscenico del lager La mortedel cigno: fra le ovazioni del pub-blico, Šalamov, seduto nelle pri-me file, nota l’immensa stan-chezza di quel cigno morente,stremato dalla galera.

Tuttavia, non sono tanto iprotagonisti, né la visione chia-ra di una società e della sua mar-cia suicida, a rendere indimenti-cabili le pagine di Šalamov,quanto la sua attitudine etica, lasua accettazione, la sua sospen-sione di giudizio. Nel lager nes-suno è colpevole, nessuno pre-tende espiazione, perché a giudi-care sono i detenuti di ieri, o didomani, e chiunque, scontatauna condanna, acquisirà il dirit-to a giudicare gli altri.

Šalamov scrisse che la me-moria è come un tubetto di col-la indurita, non ne esce più nul-la; ma quando al suo ritorno ri-troverà il silenzio, la neve tiepi-da e lieve di Mosca, la città tan-to amata dove tutto era acca-duto, inizierà a scrivere, nonper denunciare il campo, maper studiarlo e per comprende-re se stesso.

MARCOBELPOLITI

Nell’aprile del 1975 Pe-ter ha tre anni; si trova dentroun passeggino che i suoi genito-ri spingono durante una manife-stazione di solidarietà con laCambogia. Gli sembra che i pre-senti gridino: «Kiss», pipì. In re-altà, urlano uno slogan: «Kissin-ger, Kissinger! Assassino!», di-retto contro il segretario di Sta-to americano che ha ordinato dinascosto, insieme a Nixon, mas-sicci bombardamenti sul territo-rio cambogiano. Trent’anni do-po Peter Fröberg Idling scriveun libro dedicato al Paese asiati-co: Il sorriso di Pol Pot, dove rac-conta la storia della martoriataKampuchea Democratica, no-me assunto dalla Cambogia do-po la sua liberazione, e quella diuna delegazione di militanti poli-tici della sinistra svedese in visi-ta nell’agosto 1978 nella repub-blica istituita dai Khmer rossi,senza vedere cosa sta realmen-te accadendo in quel paese.

Ma Il sorriso di Pol Pot è an-che la storia di Peter stesso, delsuo rapporto con una vicendadegna dei campi di sterminio na-zisti, avvenuta in nome dei valo-ri di una «futura umanità».

Nel 1975, in una situazionecomplessa, segnata dalla guer-ra del Vietnam vinta dal Nord,dai bombardamenti americani,dalla propensionedei vietnamiti

a trasformare la Cambogia inun loro protettorato, dalle ten-sioni tra Cina e Urss, tra Cina eUsa, i Khmer rossi prendono ilpotere in Cambogia usando co-me scudo internazionale l’ex reSihanouk. Nel corso di quattroanni impongono misure terribi-li: deportazione forzata della po-polazione delle città, campi di la-voro, riduzione delle necessitàalimentari individuali, torture,esecuzioni, centri di eliminazio-ne. Non si sa bene quanti cambo-giani siano periti; l’ultimo censi-mento è del 1962, poi la guerri-glia, i bombardamenti, il colpodi stato militare, le intrusionivietnamite, la guerra intestinahanno causato oltre 2 milioni dimorti, di cui una buona parte ef-fetto della dittatura del partitocomunista cambogiano capita-nato da Pol Pot.

Fröberg Idling racconta tut-to questo, alternandolo con unviaggio nel paese asiatico di cuiconosce la lingua, e alle storiedei visitatori svedesi (tra cui ilcelebre Jan Myrdal), ma anchealle vicende dei dirigenti dei Kh-mer, di Pol Pot stesso, prima aParigi e poi Phnom Penh. Nondimentica nulla, visita i luoghi didetenzione, cerca i sopravvissu-ti, racconta i suoi sogni. Ne sca-turisce un libro in bilico tra sag-gio e romanzo, tra autobiografiae storia politica.

Fröberg Idling è senza dub-bio un uomo di sinistra, e le suedomande sul fallimento del co-

munismo radicale dei Khmer so-no impietose: perché quegli intel-lettuali,quei militanti politicidelladelegazione svedese, non hannovisto nulla? Sono stati ingannatidai loro ospiti orientali o piuttostonon volevano vedere? O entram-be le cose? Cerca di incontrarli: al-cuni sono disponibili, altri si sot-traggono. Possibile che alla finedegli Anni Settanta ci fosse anco-ra chi si chiedeva se mettere, o no,

a nudo le efferatezze del regimecambogiano, come trent’anni pri-ma quelle dello stalinismo?

Il sorriso di Pol Pot è un libroimpietoso che si legge, non soloper conoscere la storia di quel Pa-ese e del suo Illuminato Leader(Philip Short lo ha fatto benissimoin Pol Pot, Rizzoli), ma per spiega-re letteralmente una piega nasco-sta della storia svedese ed euro-pea della sinistra, e questo senzacadere in un anticomunismo dimaniera. Per questo il libro hauna tonalità malinconica che atratti, ma solo a tratti, si trasfor-ma in pietà e dolore. Si mantienesobrio, trattiene le lacrime, salvoin un passaggio: la visita al famige-rato Lager S-21.

Fröberg Idling cerca di sfata-re i luoghi comuni sul massacro -prima ignorato in Europa, poi esa-gerato sino al parossismo. Mostrai limiti di intellettuali notevoli, co-me lo stesso Myrdal, ma ancheChomsky; mostra soprattutto lacomplessità di una rivoluzione co-munista in un Paese asiatico agitada un gruppo di ex studenti di eco-nomia a Parigi negli Anni ‘60, de-voti di Robespierre.Utopia e folliasi mescolano in modo indissolubi-le, e solo la chiave letteraria, la for-za del racconto quale esplorazio-ne di un territorio anche interio-re, è in grado di restituirci il passa-to. Un libro da leggere nelle scuo-le per vaccinarsi contro ogni pre-tesa di verità assoluta che è l’origi-ne di ogni dittatura politica, maanche post-politica.

racconti manichei, le batta-glie tra Buoni e Cattivi. Que-sto genere di Nemico è privodi caratteristiche umane.Può essere, come nella fanta-scienza, un mostro provenien-te dallo spazio o il risultato diprocessi umani, come una ra-diazione nucleare (Godzilla ogli zombies in La notte dei mor-ti viventi o i dinosauri in Juras-sic Park) oppure il prodottodell’esperimento mal riuscitodi uno «scienziato pazzo» (lacreatura di Frankenstein o drJeckyll-Mr Hyde). È il maleassoluto, come gli orchi nel Si-gnore degli anelli, che il pubbli-co è invitato a non compiange-

re se muoiono in quantità, men-tre le stragi di umani e di elfiispirano pietà e solidarietà.

Nemici di questo generenon hanno un motivo per esse-re tali. Fanno ciò che fanno, co-me distruggere l’umanità, suc-chiare il nostro sangue o man-giare la nostra carne, solo per-ché sono il Male. O loro o noi, di-rebbe George Bush.

Non ragioni con un serialkiller o con Dracula. Con il pri-mo non puoi farci nulla, il se-condo ha bisogno del nostrosangue. Non c’è dimensioneetica. La loro distruzione èl’unica soluzione. Le ragionidel Farabutto non devono esse-

re comprese. Capire può gene-rare empatia e l’empatia com-plica le cose. Per tutto il film Mdi Fritz Lang (1931) noi speria-mo che Peter Lorre venga pre-so perché le sue vittime sonodelle ragazzine deliziose. Ilfilm appare come un «norma-le» film manicheo, come lamaggior parte dei film che di-pingono serial killer. Alla fine,però, quando i vigilantes - sem-pre più visti in una luce negati-va - lo catturano, il personag-gio di Peter Lorre dà conto delsuo terribile comportamento.Spiega che non può farci nulla,che non ha il controllo su sestesso - e questo è sufficiente

perché cambi la dimensionemorale del film e il pubblico sialasciato meno sicuro di sé.

È perciò molto meglio, e piùsemplice, quando il Male è as-soluto, quando è l’incarnazio-ne di Satana - una parola ebrai-ca, ha-satan, l’avversario -agente e spia di Dio, che racco-glie informazioni segrete sugliesseri umani. Come molte spiee agenti del contro-terrori-smo, ha bisogno di provocare otentare la gente o sedurla peravere peccatori da riportare aDio. Demoni e diavoli si trova-no in tutto il mondo con carat-teristiche piuttosto simili.

Questo spiega la facilità in-

terculturale con cui possiamocapire il Male: non è una speci-ficità culturale. L’induismo hagli asura (descritti nella Bha-gavad Gita) che lavorano con-tro Dio. I greci avevano i dai-mon, i demoni che eseguivanole punizioni per conto deglidei. Il cristianesimo ha l’Ange-lo Caduto, Lucifero (il portato-re di luce) e Belzebù (il signo-re delle mosche). L’Islam haIbis, scacciato da Dio per es-sersi rifiutato di adorare Ada-mo, il primo uomo.

Sconfiggere il Male può es-sere lo scopo di una storia, mala sua sopravvivenza è neces-saria per la continuazione del

genere. Tutte le sue sconfittesono temporanee. La sua re-surrezione è tanto prevedibilequanto necessaria. Sconfittoun nemico, ne sbucherà un al-tro. Non c’è fine, proprio comenon c’è fine alla storia della lot-ta tra Bene e Male.

Lo stesso accade nella co-siddetta vita «reale». Non c’èfine alla storia. Continua ad an-dare avanti. Appena vinta laguerra contro il comunismo,viene dichiarata guerra alladroga (non un buon sostituto,quando si tratta di Male, manon si può essere troppo pi-gnoli) e poi al terrorismo. Scel-ta, quest’ultima, particolar-mente buona perché, non es-sendo legato a una nazione o auna causa specifica, va beneper tutti.

(traduzione di Marina Verna)

Hašek Il capolavoro dello scrittore ceco: un eroe immortale, l’icona dell’attendente babbeoche usa la sua apparente idiozia per sopravvivere all’apocalisse della Grande Guerra

LUIGIFORTE

La vita di JaroslavHašek appartiene all’imma-ginario filmico, ricalca foto-grammi del muto come sug-gerì, a suo tempo, AngeloMaria Ripellino in uno splen-dido ritratto dello scrittorececo incastonato nella fanta-smagoria di Praga magica.Fu apprendista droghiere,mercante di cani e redattoredi rivista zoofila, leader poli-tico, soldato zelante, com-missario bolscevico e bozzet-tista umoristico, marito bi-gamo, bevitore incallito eclown di bettola. Una biogra-fia scandita in sequenze im-probabili: come in una comi-ca, basta cambiar abito ed èsubito un’altra storia. Unapasserella di gesta buffone-sche, di straripanti bouta-des, di improvvisazioni sur-reali dove la finzione fa sber-leffi alla vita.

Dopo aver dispensato ailettori schizzi e storielled'ogni sorta dando la sturaal suo irrefrenabile umori-

smo, nel 1921, due anni pri-ma della morte non ancoraquarantenne, Hašek s’infilanei panni di Švejk e crea uneroe immortale, l’icona del-l’attendente babbeo che usala sua apparente idiozia pergabellare i superiori e so-pravvivere all’apocalissi del-la prima guerra mondiale.Un lontano parente di queiservi scaltri della commediadell’arte che minchionano iloro padroni; e tuttavia piùambiguo e sornione perchépiù esposto alle intemperiedella storia.

Ora Le vicende del bravosoldato Švejk, questo spasso-sissimo libro pubblicato a fa-scicoletti mensili e diventa-to col tempo un classico del-la letteratura mitteleuro-

pea, ritorna grazie all’ Einau-di in una pregevole edizione acura di Giuseppe Dierna, chelo ha tradotto con originalitàe inventiva e prefato in modoeccellente, con l’aggiunta del-le illustrazioni originarie delpittore idillico e naïf Josef La-da, compagno di bisbocce diHašek. Lui, il più grande umo-rista praghese, aveva dentrodi sé da sempre quel perso-naggio. Guitto logorroico, im-provvisatore geniale come unmoderno estatico Villon, natu-ra plebea e randagia, Hašektrasformò le bettole di Pragae provincia (ne frequentò piùdi cento!) nel baricentro dellapropria esistenza. Erano perlui uno spazio di creativa li-bertà come il manicomio in

cui finì per breve tempo dopoaver finto di buttarsi nellaMoldava; un luogo quasi meta-forico in cui si dispiega il rac-conto sul mondo, dove lo scrit-tore, alticcio e instabile, anno-ta su fogli volanti o detta, daultimo in una taverna di Lipni-ce, a un giovane scrivano le di-savventure di Švejk sulle in-fuocate pianure galiziane.

Dal suo osservatorio dissa-crante Hašek ha sferrato unattacco senza precedenti almito asburgico, nel suo modoverboso e popolare, ma con lastessa grottesca radicalitàdel connazionale Kafka. Nullasi salva, tutto viene smasche-rato, soprattutto la retoricatriade di dinastia, religione epatriottismo. Quel pierrot in-crudito che si mescola al tene-ro barbaro, come lo definì ilgrande Hrabal, scrive con loŠvejk l’epica della follia euro-pea alle prese con il massacrodella guerra, svelando l’ipocri-sia e il vuoto dietro il pathos ela retorica dei valori; e al tem-po stesso viviseziona le strut-ture e le gerarchie di un’Au-stria felix ormai scivolata nel-l’abisso. Francesco Giuseppe,l’imperatore «dalle labbrapendule», appare un rimbam-bito sul cui ritratto nell’oste-ria Al Calice cacano le mo-sche, la burocrazia e la giusti-zia sono centrali di sadismo edi idiozia e le gerarchie milita-ri degenerano in un’accozza-glia di deliranti aguzzini checon ordini e contrordini ali-mentano l’idea di un mondo inpreda al caos come nellasplendida clownerie del telefo-no nel finale della secondaparte del romanzo.

Per non parlare della reli-gione messa in scena dai vari

cappellani militari, beoni e la-scivi, attori citrulli di ritualiche seminano ovunque ilari-tà. Come Otto Katz che fre-quenta osterie e bordelli e far-netica dal pulpito, o Lacinache ha un debole per il rum.

L’epica di Švejk che con ilsuo faccione da luna piena, lasua flemma, la sua sornionaobbedienza disarma la folliadi ogni autorità, è un dramma-tico documento antimilitari-sta, che ricorda tra facezie elazzi l'orrore che pervade eannichilisce l’Europa. Unaterra maleodorante, dove laguerra è una sorta di fecalepoltiglia su cui il plebeoHašek insiste con voluttà. E afar dimenticare tale infernonon basta la galleria di figuri-ne immortali come il bulimicosoldato gigante Baloun che sidivorerebbe il mondo o il ca-detto Biegler che sogna di vo-lare in cielo come generale escopre che Domineddio ènient’altro che il suo capitanopronto a sbatterlo in gattabu-ia. Non c’è speranza per glisconfitti.

Anche Švejk, l’inossidabileSancho Panza asburgico cheporta alla disperazione il suosuperiore, il tenente Lukáš, èun eterno colpevole come le fi-gure di Kafka contro cui si ac-canisce il mondo. Ma a lui, ico-na della resistenza, Hašek hafatto dono di quell’ingenuitàche è perfetta innocenza attor-no alla quale in un assordantesabba danzano gli aguzzini:sbirri, commissari, burocrati,cappellani che il regista Pisca-tor trasformò nella sua mes-sinscena del romanzo in grifa-gne marionette e Brecht nellacommedia Schweyk nella secon-da guerra mondiale in SS.

Nulla di più astuto di quel-l’idiozia per dare scacco al po-tere, nulla di più ingenuo checrederci veramente.

Salamovla prima voltanel gulag

L’Occidenteabbagliatoda Pol Pot

DONALD SASSOON

Višera La detenzione dello scrittorefra il 1928 e il 1931: poi sarà Kolyma

J’accuse La martoriata Cambogiascambiata per un paradiso asiatico

IN VIAGGIO, FRA LETTERATURAE STORIA

Con Serena Vitale in Urss= Fra le nostra maggiori slaviste (Il bottone di Puskin,Adelphi), Serena Vitale conosce uno speciale omaggio, acura di Antonio Motta, sulla rivista Il Giannone, semestraledi cultura e letteratura (www.ilgiannone.it). Viaggi, saggi,il titolo del nuovo numero, scritti di Serena Vitale introdottida una conversazione fra l’autrice e lo stesso Motta, «DallaPuglia alla Russia» («Amo tutti gli eroi dell’andare, delviaggiare. Credo che non sia un sogno soltanto mio: esserepiù persone in una sola vita»). In novembre, da Mondadori,Serena Vitale pubblicherà C’era una volta l’Urss, unviaggio attraverso la cultura e la vita della grande Russia.

ELISABETH VAN GOGH

Vincent, mio fratello= «Alla fine, come un fiume supera tutti gli ostacoliscavando un letto nella sua corsa verso l’oceano, così ilgenio di Van Gogh sfociò nella pittura»: Elisabeth vanGogh, di ricordo in ricordo, ritrae Vincent, mio fratello(Skira, pp. 91, € 15, traduzione di Luca Lamberti). Inparticolare soffermandosi sull’adolescenza e la primagiovinezza del futuro Maestro. Il memoriale, finorainedito in Italia, esce in occasione della mostra «VanGogh, campagna senza tempo città moderna», a Romanel Complesso del Vittoriano (aperta ieri, proseguiràfino al 6 febbraio prossimo).

pp Varlam Šalamovp VIŠERAp trad. di Claudia Zonghettip Adelphi, pp. 234, € 18

BALZACNELLAFRANCIADEGLI CHOUANS

Una passione repubblicana= Il primo romanzo di Balzac, il primo «capitolo»della Comédie Humaine, è Les chouans. Lopropone, con il sottotitolo «Una passionerepubblicana», Beppe Grandi editore (traduzione diGiuseppe Grande, pp. 380, € 14). E’ un capitolodella reazione alla Rivoluzione francese. I Chouanssono gli insorti nella Mayenne e nella FranciaSud-occidentale tutta. Amore e storia politica siintrecciano nell’officina balzachiana. Il ministrodella Polizia Fouché confeziona una trappolaamorosa per catturare il Gars, il capo dei ribelli.

AVVENTURE DI MIGRANTI ITALIANI

Il trombettiere di Custer & C.= I migranti italiani che stupirono la «Merica». Acominciare dal Trombettiere di Custer, l’eroe che dà iltitolo alla galleria di Angelo Mastrandrea per Ediesse(pp. 156, € 10, postfazione di Tiziana Rinaldi Castro).John Martin, alias Giovanni Martino da Sala Consilina,già tamburino al seguito di Giuseppe Garibaldi, coluiche «aveva battuto il tempo» alla battaglia di Custoza.«Giuanìn» e altri migranti, come l’anarchico che fecesaltare Wall Street, come il mafioso che leggeva Camus,come il padre calabrese di Bob Dylan, come il libertarioche incendiò Berkeley...

FERNANDO SAVATER

Tutti i miei pirati= «Tanto per cominciare, chiamo storia quei temi chepiacciono ai bambini: il mare, le peripezie della caccia, ilcoraggio fisico, la lealtà verso gli amici...». Un inventariodi storie, le migliori ascoltate da Savater e da lui a suavolta raccontate in Pirati e altri avventurieri (Passigli,pp. 219, € 18, traduzione di Paolo Collo). Da John Silverai tigrotti di Sandokan-Salgàri, da Robinson Crusoe aWalter Scott. Dagli eroi al «tramonto degli eroi», i nostrieroi cinematografici, in primis Humphrey Bogart.«Perché lui? Perché lui più di Gary Cooper o di JamesCagney?». Già: perché?

Segue da pag. I

pp Peter Fröberg Idlingp IL SORRISO DI POL POTp trad. di Laura Cangemip Iperborea, pp. 335, € 17

VERSO IL 2011, DA DANTE AI MANAGER

Agende letterarie= E’ ormai un classico tra i vademecum annuali. Già inlibreria è l’Agenda letteraria 2011, a cura di Gianni Rizzoni(Metamorfosi editore, www.metamorfosieditore.com, pp.160, € 14). Ogni giorno scandito da un anniversario,riguardante questo e quello scrittore (si cominciaricordando che il 1 gennaio 1919 nasceva a New YorkSalinger). Due i temi di fondo: il Premio Strega raccontatonei particolari e l’Unità d’Italia. Ritorna anche l’agendaDante Alighieri (a cura di Gianni Rizzoni, con lacollaborazione di Alessandro Masi, € 18). La novità èl’Agenda dei manager, a cura di Francesco Bogliari (€ 15).

pp Jaroslav Hašekp LE VICENDE DEL BRAVO

SOLDATO ŠVEJKp a cura di Giuseppe Diernap illustrazioni di Josef Ladap Einaudi, pp. XCV-1002, € 85

E il buon soldato Svejksbaragliò l’Austria felix

In alto Jaroslav Hašek disegnato da Josef Lada

Un lontano parentedei servi che popolanola commedia dell’arte,Harbal lo definì«un tenero barbaro»

Tornato a Moscaracconterà il camponon per denunciarlo,ma per studiarloe comprendere se stesso

I buoni che fabbricano i cattivi

Dante AlighieriSerena Vitale

Una delegazionedella sinistra svedesenel ’78 tra i Khmerrossi: non vollevedere l’inferno

Varlam Šalamov

Qui e a sin. altre due illustrazioni di Lada per l’edizione originaria del 1921

p

Un attacco senzaprecedenti al mitoasburgico, con la stessagrottesca radicalitàdel connazionale Kafka

Peter Fröberg Idling

«Sulla purga», copertina della rivista «Krokodil», n. 8, 1929(dal saggio di Gian Piero Piretto «Il radioso avvenire», Einaudi, 2001)

Pol Potdittatore

del partitocomunista

cambogianoe capo

dei Khmerrossi:

la loro guerracostò al Paeseoltre 2 milioni

di morti;il loro regime

imposedeportazioneforzata dellapopolazione

delle città,campi

di lavoro,torture,

esecuzioni,centri

di eliminazione

Personaggi e storieVITuttolibri

SABATO 9 OTTOBRE 2010LA STAMPA VII

Page 7: Tuttolibri n. 1735 (09-10-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - VIII - 09/10/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/08 - Autore: MARVIN - Ora di stampa: 08/10/10 20.02

DARIOVOLTOLINI

Claudio Giunta, italia-nista, medievista, insegnantepresso l'università di Trento,ha il particolare dono di sa-persi occupare di critica dellacultura con uno sguardo mol-to lucido sul presente e conuno strumento meraviglioso,cioè la lingua italiana, chescorre dalla sua penna (tastie-ra, penso, in verità) fresca ecome rigenerata: è un piaceresquisito leggerlo.

Il suo libro Il Paese più stu-pido del mondo, che prende lemosse da un soggiorno di unpaio di mesi in Giappone co-me docente invitato dall'uni-versità, ha davvero molti pre-gi, ma se si vuole indicarneuno su tutti potrebbe esserequesto: è un saggio di critica

culturale assai colto e intelli-gente, senza essere neancheun po' «culturalista». Cioèsenza mettere in scena nessu-na delle mosse e delle postu-re di chi crede di poter coglie-re l'essenza di una civiltà e diun assetto sociale per il sem-plice fatto di «essere un intel-lettuale». No, al contrario, ècome se Giunta si predispo-nesse ad affrontare il Giappo-ne a mani nude, come un ele-mento chimico che vada a in-filarsi in una miscela compli-cata e sconosciuta e con essasia pronto a reagire, ancheimprevedibilmente.

Il fatto è che questo ele-mento chimico, cioè l'italia-nista esperto di Dante, è an-che e prima di tutto un italia-no. Cosa verrà fuori da que-sto incontro? Verranno fuo-ri un sacco di cose, ma so-prattutto emergeranno spe-cularmente, una di fronteall'altra, due immagini deci-sive: quella dei giapponesivisti da noi e quella degli ita-liani visti da noi. Questa se-conda è persino toccante.

Senza preamboli, la moti-vazione che spinge l'autoread accettare immediatamen-te l'invito accademico è que-sta: «Starci due mesi è l'unicomodo per capire qualcosa delGiappone, cosa che probabil-mente si può dire e si dice diqualsiasi luogo del pianeta,ma per il Giappone di più; e

perché volevo prendermi unavacanza dall'Italia, un paese incui sembra che tutti quanti si si-ano messi d'accordo per fareogni cosa alla cazzo di cane».Ed è di noi che il libro parla,parlando di loro.

Una domanda scorre sottotutto il testo, cioè: quale prezzodevono pagare i giapponesi per

tenere insieme il modo di vive-re del Giappone? Per essere co-sì organizzati, per avere abolitol'improvvisazione, la casualità,il pressappochismo, per avercostruito una società infinita-mente complessa e infinitamen-te funzionante, e così via. Nonci sarà una risposta univoca, na-turalmente, lo spettro delle ri-sposte va dall'estremo «nume-rosissimi suicidi» a quello «nes-sun prezzo assolutamente», aseconda di come viene letto ilGiappone, da chi lo legge (l'espatriato che ormai vive là, ilfunzionario che ci passa e vivedi privilegi, e così via, in una gal-leria molto interessante di per-sonaggi che popolano le paginedi questo saggio come se fosseun romanzo).

La sua gemella è: quale prez-zo paghiamo noi italiani per vi-vere come viviamo in Italia?Qui la risposta, per quanto con-fusamente percepita, possiamodire di conoscerla un po' tutti.

E poi: esiste un modo medio frai due? Forse sì, nel triangolo Pa-rigi-Berlino-Stoccolma. Forse.

Le osservazioni contenutein questo saggio sono numero-sissime, non si può darne contodettagliatamente. Però due otre cose vanno dette, per rende-re almeno il sapore del libro. Laprima è che non possiamo illu-derci di non avere pregiudizi.Li abbiamo, e molti sono pregiu-dizi talmente squallidi da farcivergognare. Ma l'unica viad'uscita è accettarli e metterlialla prova dei fatti. Molti crolle-ranno, e questo sarà assoluta-mente sano. Fingere di nonaverne significa perpetuarli erafforzarli.

La seconda è che va accet-tata e addirittura valorizzatala visione necessariamente disuperficie che si ha di una real-

tà così stratificata e comples-sa come una diversa cultura è.Fingere di possedere una chia-ve di comprensione profondasignifica votarsi all'incompren-sione totale.

La terza è che proprio lementi più acute hanno imbocca-to queste strade senza uscita.

L'autore nella sua valigia haovviamente stipato molti librisul Giappone, di molti autori. Siconsiglia di vedere che fine fan-no, in mano a Giunta, le pagineche al Giappone hanno dedica-to Parise, Calvino e Barthes.Non per mera polemica, maper verificare come non solo ilturista frettoloso e becero, acui il pesce crudo fa schifo, maanche il raffinato intellettualepuò avere gli occhi bendati,non da cotenne di ignoranzama da lamine dorate, magari,però con il risultato identico dinon vedere niente.

Arguto, brillante, spesso di-vertente, ancorato al buon sen-so e nutrito di intelligenza, que-sto libro che si interroga su co-me siamo (noi e loro, ma insom-ma tutti), su come viviamo og-gi, non rifugge l'amarezza delleoccasioni mancate, dello spre-co e dell'autolesionismo, nonha e non può avere ricette, nonle cerca. Ma ridipinge un qua-dro che, per il semplice fatto diessere così poco incline alle mi-stificazioni, va considerato co-me un incremento di conoscen-za per il lettore.

«L’elogio della mitezza» La lezionedi Bobbio, per combattere il razzismoe la deriva plebiscitaria della politica

Reportage Un viaggio nel «Paese più stupidodel mondo», che rappresenta il nostro opposto

GIOVANNIDE LUNA

Agli inizi degli Anni90 i cittadini stranieri censitiin Italia erano all'incirca 356mila. Dieci anni dopo erano di-ventati quasi un milione in più.All'inizio di quest'anno hannosuperato i 4 milioni, e sono il7% della popolazione. Oggipossiamo dirlo. Avviandosiverso la fine del ‘900 il proget-to di «fare gli italiani» venivaattraversato da un vero terre-moto. Tutti i 150 anni della no-stra storia unitaria potevanoleggersi come un lungo proces-so alimentato dalla coppia in-clusione/esclusione.

Lentamente, faticosamen-te, avevamo riassorbito le frat-ture e lacerazioni che avevanorallentato la costruzione delloStato nazionale, quelle geogra-fiche (Nord/Sud), economiche(città/campagna), sociali (pro-letariato e borghesia), ideologi-che (fascismo e antifascismo),in un lavorìo incessante in cui ifronti dell'esclusione da rias-sorbire cambiavano man ma-no che cambiavano le «fasi»politiche della nostra storia.

Mentre il XX secolo finiva,per la prima volta quel proget-to doveva confrontarsi conl'Altro. Un Altro che era taleper il colore della pelle, per le

tradizioni e le culture da cuiproveniva, per la religione incui credeva. Un Altro che nonera più un'icona esotica e re-mota, ma era qui in mezzo anoi, condivideva il nostro spa-zio di relazione, partecipavapienamente della nostra esi-stenza collettiva. Quali eranogli strumenti di inclusione acui attingere? Esisteva una re-ligione civile capace di rende-re i «nuovi italiani» partecipidi un' appartenenza e di unacittadinanza comune? Era pos-sibile per un maghrebino iden-tificarsi in una memoria pub-blica in cui i fratelli Cervi con-vivevano con El Alamein, i ra-gazzi del ’99 con quelli che «an-darono a Salò»?

Norberto Bobbio interven-ne su questi temi in un saggiopubblicato nel 1993. Confron-tandosi con quello che stava al-lora succedendo, con una Le-ga Nord agli esordi della sua ir-resistibile ascesa e un sistema

politico su quei temi chiaramen-te in affanno (la legge Martelli èdel 1990), Bobbio indicò nel pre-giudizio e nel passaggio dall’et-nocentrismo alla xenofobia i pe-ricoli in grado di mandare infrantumi tutti i meccanismi in-clusivi del progetto di «fare gliitaliani». Se, infatti, l'etnocentri-smo è una sorta di «predisposi-zione mentale e culturale», è so-lo dal «contatto materiale», dal-la convivenza negli stessi spazipubblici e privati che nasce la

pulsione della xenofobia, il desi-derio di cacciare l' «Altro» fuorida casa propria.

Sulla constatazione pura-mente fattuale della diversitàche esiste fra uomo e uomo, sisovrappone un giudizio di valo-re per cui uno è buono l'altro cat-tivo, uno è superiore l'altro infe-riore, in un percorso che si svi-luppa attraverso prima la segre-gazione, poi il rifiuto di ogni for-ma di comunicazione o contat-to, la discriminazione, per arri-vare al dileggio verbale, all'ag-gressione e alla violenza. Alla ba-se di tutto questo c'è, appunto, ilpregiudizio, (il «credere senzasapere»), che non solo provocaopinioni erronee, ma è difficil-mente vincibile perché l'errore

che esso determina deriva dauna credenza falsa e non da unragionamento errato, né da undato falso che tali possono esse-re dimostrati empiricamente.

Il saggio, «Razzismo oggi»,fu pubblicato in una raccolta daltitolo Elogio della mitezza e altriscritti morali, allora, nel 1994, da«Linea d'ombra» e adesso ripro-posto da Il Saggiatore.

La mitezza era infatti presen-te in tutto il libro. Per combatte-re il razzismo, diceva Bobbio, ènecessario attingere a una dop-pia risorsa: una è una «virtù so-ciale», la mitezza, appunto, l'al-tra politico-istituzionale, la de-mocrazia. La prima è una dispo-sizione d'animo che rifulge soloalla presenza dell' «Altro». Il mi-te è l'uomo di cui l'altro ha biso-gno per vincere il male dentro disé e la mitezza consiste proprionel lasciare essere l'altro quelloche è. Bobbio ci tiene a distin-guere la mitezza dall'umiltà, in-siste sul carattere attivo di que-

sta virtù; nessuna rassegnatacondiscendenza, nessun pacifi-smo contemplativo. Il mite sipropone di incidere sulla realtà,di costruire un progetto di inclu-sione, di delimitare uno spaziopubblico in cui la sua virtù possaoperare e dare frutti. La demo-crazia è quindi anche l'ambito incui la mitezza può dispiegarecon più efficacia i propri effetti.Bobbio ne sottolinea la dimen-sione inclusiva, la sua tensionecontinua «a far entrare nellapropria area gli altri che stannofuori per allargare anche a loro ipropri benefici, dei quali il pri-mo è il rispetto delle fedi».

Queste considerazioni valgo-no oggi, ancora più che nel 1993.Quanto al saggio che dà il titoloall'intera raccolta, si tratta deltesto di una conferenza che Bob-bio tenne a Milano, nel 1983.C'era allora un'intera generazio-ne che stava congedandosi dallaviolenza, ma anche dalla passio-ne politica, dalla militanza, ma

anche dalla speranza. Quell'in-tervento di Bobbio aiutò tutti adarchiviare la protervia di chi sisentiva depositario di grandicertezze accettando la lezionedella tolleranza e del confrontocon l'Altro. Si scoprì allora che,fuori dai recinti della «democra-zia inclusiva», c'è spazio soloper l'arroganza del potere.

In contrapposizione radicalecon questo potere, la mitezza diBobbio si proponeva come lapiù impolitica delle virtù, la piùradicalmente lontana da chi usala politica solo per affermare sestesso, di chi insegue il successocavalcando il narcisismo e ilcompiacimento.

Ma la sua impoliticità è cosìforte da costringere il potere amostrarsi nella sua nudità, sen-za gli orpelli che tradizionalmen-te lo circondano nello spaziopubblico, costringendolo a con-fessare la propria miseria, a sve-lare la fragilità della deriva ple-biscitari che lo sostiene.

ELENALOEWENTHAL

Sappiamo tutti moltobene quando finisce, ma abbia-mo perso la capacità di capirequando comincia. Quand'è cheviene l'ora di sentirsi, e sapersivecchi? Se l'età è uno dei pochifatti certi che la vita concede, è al-trettanto vero che in questa con-fusa postmodernità dove tuttosembra quello che non è, gli anniche ci portiamo addosso sono or-mai qualcosa di approssimativo.Di relativo anche se i numeri par-lano chiaro. Infatti, mentre untempo la discrezione sull'età re-stava confinata nei vezzi femmi-nili ed era concessa solo oltreuna certa soglia apparente oltrela quale mai chiedere a una don-na quanti anni avesse, di questitempi tutto è decisamente piùcomplicato, per lei così come perlui. Ma soprattuttoper lei.

L'età è un tabù, anzi una spe-cie di totem spuntato dalla terracome un fungo che nessun hamesso lì eppure adesso c'è, in tut-to il suo scomodo ingombro. Sia-

mo una società che respinge, ri-muove e ha ribrezzo della vecchia-ia. Anche se siamo la società piùvecchia del mondo. Il totem dell'età è un paradosso, ma ormai nonriusciamopiù a sbarazzarcene.

Ce lo racconta Loredana Lip-perini nel saggio Non è un paeseper vecchie: un viaggio nell'Italia dioggi attraverso lo spettro - otticoe incubotico - dell'età, in particola-re femminile. Tutto comincia pro-

babilmente negli Anni Sessanta,quando si comincia a glorificare lagioventù: essere giovani è semprestata una promessa. Da allora di-venta a poco a poco un valore. Masiccome gli anni che la vita ci dà insorte restano più o meno semprequelli, se il piatto della bilanciapende, lo fa con equità: più la gio-ventù si afferma come valore, me-no lo è la vecchiaia. I vecchi, o glianziani come ci piace dire, perché

persino la parola «vecchio» è unpoco tabù, non sembrano averepiù nulla da raccontare. Sono unpeso sociale. Bisogna rimuoverlidal nostro panorama quotidiano,dal nostro immaginario. Per loro eper noi: diventare vecchi è unospauracchio. E nessuno che ti dicaquando esattamente succede, equando non si può più far nullaperché ormai è successo.

Lipperini esplora questo no-

stro comune universo che si chia-ma rifiuto della vecchiaia. Eviden-zia bene la contraddizionein termi-ni di un mondo dove più si è vecchipiù si nega l'evidenza di tutto que-sto, a livello collettivo e individua-le. L'autrice affastella forse troppidati statistici uno sull'altro, diso-rientandoun po' il lettore. Si soffer-ma anche molto sui messaggi pub-blicitari, che sono davvero elo-quenti - e non di rado inquietanti.

Il punto è però: quanto il mon-do vero, quello di tutti i giorni, sirappresenta attraverso questimessaggi? Siamo, o anche soltan-to desideriamo davvero, essere co-me quel che viene raffigurato negliinviti agli acquisti (o ai ritocchi)?Forse, e c'è da augurarsi che sia co-sì ma non è affatto detto, forse emeno male abbiamo tante altre co-se a cui pensare, per farci ossessio-nare dalle rughe. Ma certo è chel'età pesa come non mai, in questomondo che sembra quasi averlasconfittacon le armi più disparate.

Il messaggio che la società cimanda è chiaro: invecchiare fa ma-le, meglio evitarlo. Anche se è ine-vitabilecomepoche altre certezze,oltre che evidente: siamo un mon-do sempre più vecchio. «In anni os-sessivi come i nostri si passa dallagiovinezza alla morte quasi di col-po, la vecchiaia diventa una picco-lissima zona prima della sparizio-ne. Ma in quella piccolissima zona,che può durare anni, si scompareanzitempo. Si diventa invisibili».Basterebbe guardarli da vicino, glianziani,per capire che siamo noi.

IL SAGGIO E GLI INCONTRI

Uscito nel1994da«Linead’ombra», «Elogiodellamitezzaealtri scrittimorali»diBobbio èripropostodaIlSaggiatore (pp.211, € 10).«Elogiodelamitezza»èancheil temadiunasettimana diriflessioniaTorino,acuradiAndreaBobbio. Mercoledì13,CircolodeiLettori,h.16,«Laviadellamitezza», seminarioconPietroPolito,SantinaMobiglia,PierCesareBori,GustavoZagrebelsky. Dal13al16,Cavallerizza,h.20,45,«Elogiodellamitezza»,propostateatralediProgettoCantoregi,diGiovanni DeLuna,VincenzoGamnaeMarcoPautasso, regiadiKoijMiyazaki. Il18,alCarignano,h.18, lectiodiCarloOssolasu«Unamitezzabentemperata».

Così velocidalla giovinezza

alla morte

La vecchiaia Un tabù sociale,un’età sempre più rimossa

BANANA E GLI OTAKU

Un caso letterario checontinua. Da Feltrinelli, ilnuovo romanzo di BananaYoshimoto, Un viaggiochiamato vita (trad. di GalaMaria Follaco, pp. 187,€ 13). Una vita inventata:dal primo amore allamaternità, dalle piramidialla Tokyo degli Anni ‘70.Uno studio sullapostmodernità èGenerazione Otaku diHiroki Azuma, in uscita dadi Jaca Book (pp. 200,€ 19): Otaku, ossia i giovaniappassionati ai manga, aivideogiochi e agli anime(disegni animati).Da Aletti, Giapponesi sinasce del giornalista PaoloSoldano (pp. 164, € 14),cronache di vita quotianada Osaka e Tokyo.

Gli italianisi fannocon l’Altro

I DELUSI DAL RISORGIMENTO

Ribelli roboanti= Si chiamano Pier EneaGuarnerio, Domenico Milelli,Alfio Belluso, Ennio Bellelli, VittorLuigi Paladini, EliodoroLombardi, Cesare Ugo Posocco,Girolamo Ragusa Mileti. Maanche Mario Rapisardi, FilippoTurati, Giosuè Carducci,Giovanni Pascoli, Ada Negri.Sono alcuni dei 35 «poeti» cheGiuseppe Iannaccone haraccolto in una inconsuetaantologia, Petrolio e assenzio(Salerno Ed., pp. 246, € 14).Poeti che hanno cavalcato la«ribellione in versi», comeprecisa il sottotitolo, dentro untempo ben definito (dal 1870 al1900). Come a dire dall’Unità diPorta Pia fino alle pur ambiguesoglie di un Novecento che siapre ad altre dinamiche e adaltre suggestioni. Antecristi erefrattari, sovversivi eavventurieri, populisti ebarricadieri, comunardi eprofeti, giornalisti d’assalto esocialisti professori chemartellano i loro versi in quinario settenari piani e sdruccioli, inendecasillabi liberi o rimati, inparole arcaiche, in risorseretoriche vibrate su un'incudineimmaginaria con estetisticofracasso: «Effetti foniciclangorosi», come scriveIannaccone, carpite a quei poeti -da Dante a Carducci - «chepaiono congeniali a una materiaforte e a una disposizionemilitante». Un’officina roboante,che diventa la grancassa di unPaese di forti sperequazioni e diprospettive deluse da unRisorgimento podalico e da unoStato trasformista. Più d’uno ipiani di lettura, come mostranole argomentazioni ben scanditedal curatore (le ragioni sociali, lapoetica strumentale, l'orizzontetransalpino, la crociataanticlericale, i conatidemocratico-rivoluzionari, lastrage delle illusioni). Anche seresta possibile opporre alleragioni della storia le più libereragioni della parodia, delpercorso curioso, dellainadeguatezza di un linguaggioincapace di congiungere laparola alla cosa in saldoconnubio. Che è poi quantos’avvia ad accadere a una Musadefilata come quella del«prosaico» Betteloni. O a quelladi Pompeo Bettini, onestoinquilino di più dimessi e piùpersuasivi recinti. Per non diredella Musa imminente diGozzano, che sarà capace disprigionare dal suo stridulocanto le più ironiche armonie. Giovanni Tesio

A MILANO

Idee italiane= Monitorando la culturadel Paese, la sua creatività,nelle arti e nellescienze. Il 15 e il16 ottobre, a Milano, pressol’Auditorium Pirelli HQ,promosso dalla Fondazione perl’istituto italiano di ScienzeUmane con la FondazioneCorriere della sera, si svolgerà ilprimo convegno «Ideeitaliane». Tema centrale (manon unico) di quest’anno èl’architettura.Fra i relatori Gae Aulenti,Umberto Eco, Marc Fumaroli,Vittorio Gregotti, AldoSchiavone, Joseph Rykwert.

GLUCKSMANN

Le due strade= André Glucksmann, tra imaggiori filosofi francesi,presenterà il 16 ottobre, aSenago Milano,Villa San CarloBorromeo, il suo nuovo libro, Ledue stradedella filosofia, editoda Spirali: il valore delladissidenza intellettuale,nelsolco, in particolare, di Socrate eHeidegger.

A CAGLIARI, PER I RAGAZZI

Malanotte= E’ dedicato alla notte ilquinto festival «Tuttestorie» diletteratura per ragazzi»,presieduto da David Grossman,a Cagliari dal 13 al 17 ottobre:«Malanotte. Racconti, visioni elibri per illuminare il buio». Unasezione è dedicata a GianniRodari.ww.tuttestorie.it.

A CHIVASSO E FRASSINETOPO

Parole e gialli= Dall’11 al 17 ottobre, aChivasso, «I luoghi delleparole», il festival giunto allasettima edizione. Tra gli autoriinvitati Mogol, Davide Longo,Fabio Geda, GianluigiRicuperati, Dario Voltolini.www.fondazione900.it.A Frassineto Po, il 16 e il 17ottobre, il «Villaggio del libro»ospita «Gialli d’autunno».www.libriinporto.it.

«L’ALBERODELLE RADICI»

Piemonte scrive= Oggi e domani, aMonforte d’Alba e a GrinzaneCavour, «L’albero delle radici»:il Piemonte che scrive», un«inventario» della letteraturacontemporanea in dialogo coni maestri di ieri. IntroduceSebastiano Vassalli. A curadella Fondazione Bottari Lattes.

pp Claudio Giuntap IL PAESE PIÙ STUPIDO

DEL MONDOp Il Mulino, pp. 176, € 14

Poeti dell‘800

pp Loredana Lipperinip NON È UN PAESE PER VECCHIEp Feltrinellip pp. 206, € 15

Anticoe modernoGiappone

in una foto diFosco Maraini

dal volume«Maraini.

Acts ofPhotography,

acts of love»,edito nel 1999

da JoostElfeers Books.

Il Giappone è«Il Paese più

stupido delmondo» - titolo

tutt’altro cheoffensivo,

se messo aconfronto conl’Italia, Paese

di quelli chesi credono e

fanno i furbi -visitato e

descritto daClaudio

Giunta nel suosaggio per

il Mulino

Bloc notes

150O

Libri d’ItaliaVerso il 2011

Per tornare a sperare:una virtù socialegemella della virtùpolitico-istituzionaleche è la democrazia

Come, e a quale prezzo,si regge una societàsenza le furbiziee il pressapochismoa noi così congeniali

Gli scritti moralidel filosofo torinese:alla base di tutto c’èil pregiudizio,«credere senza sapere»

Un nostro medievistanelle loro università,uno sguardo lucido,arguto e brillante,oltre i soliti stereotipi

Vado in Giapponee confronto l’Italia

Idee e societàVIIITuttolibri

SABATO 9 OTTOBRE 2010LA STAMPA IX

Loredana Lipperini

Giovani asiatiche, a Roma, tifano per l’Italia ai Mondiali di calcio 2006 (foto di A.Scattolon da «Album italiano. Vivere insieme», a cura di V. Castronovo, Laterza)

Page 8: Tuttolibri n. 1735 (09-10-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - IX - 09/10/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/08 - Autore: MARVIN - Ora di stampa: 08/10/10 20.02

DARIOVOLTOLINI

Claudio Giunta, italia-nista, medievista, insegnantepresso l'università di Trento,ha il particolare dono di sa-persi occupare di critica dellacultura con uno sguardo mol-to lucido sul presente e conuno strumento meraviglioso,cioè la lingua italiana, chescorre dalla sua penna (tastie-ra, penso, in verità) fresca ecome rigenerata: è un piaceresquisito leggerlo.

Il suo libro Il Paese più stu-pido del mondo, che prende lemosse da un soggiorno di unpaio di mesi in Giappone co-me docente invitato dall'uni-versità, ha davvero molti pre-gi, ma se si vuole indicarneuno su tutti potrebbe esserequesto: è un saggio di critica

culturale assai colto e intelli-gente, senza essere neancheun po' «culturalista». Cioèsenza mettere in scena nessu-na delle mosse e delle postu-re di chi crede di poter coglie-re l'essenza di una civiltà e diun assetto sociale per il sem-plice fatto di «essere un intel-lettuale». No, al contrario, ècome se Giunta si predispo-nesse ad affrontare il Giappo-ne a mani nude, come un ele-mento chimico che vada a in-filarsi in una miscela compli-cata e sconosciuta e con essasia pronto a reagire, ancheimprevedibilmente.

Il fatto è che questo ele-mento chimico, cioè l'italia-nista esperto di Dante, è an-che e prima di tutto un italia-no. Cosa verrà fuori da que-sto incontro? Verranno fuo-ri un sacco di cose, ma so-prattutto emergeranno spe-cularmente, una di fronteall'altra, due immagini deci-sive: quella dei giapponesivisti da noi e quella degli ita-liani visti da noi. Questa se-conda è persino toccante.

Senza preamboli, la moti-vazione che spinge l'autoread accettare immediatamen-te l'invito accademico è que-sta: «Starci due mesi è l'unicomodo per capire qualcosa delGiappone, cosa che probabil-mente si può dire e si dice diqualsiasi luogo del pianeta,ma per il Giappone di più; e

perché volevo prendermi unavacanza dall'Italia, un paese incui sembra che tutti quanti si si-ano messi d'accordo per fareogni cosa alla cazzo di cane».Ed è di noi che il libro parla,parlando di loro.

Una domanda scorre sottotutto il testo, cioè: quale prezzodevono pagare i giapponesi per

tenere insieme il modo di vive-re del Giappone? Per essere co-sì organizzati, per avere abolitol'improvvisazione, la casualità,il pressappochismo, per avercostruito una società infinita-mente complessa e infinitamen-te funzionante, e così via. Nonci sarà una risposta univoca, na-turalmente, lo spettro delle ri-sposte va dall'estremo «nume-rosissimi suicidi» a quello «nes-sun prezzo assolutamente», aseconda di come viene letto ilGiappone, da chi lo legge (l'espatriato che ormai vive là, ilfunzionario che ci passa e vivedi privilegi, e così via, in una gal-leria molto interessante di per-sonaggi che popolano le paginedi questo saggio come se fosseun romanzo).

La sua gemella è: quale prez-zo paghiamo noi italiani per vi-vere come viviamo in Italia?Qui la risposta, per quanto con-fusamente percepita, possiamodire di conoscerla un po' tutti.

E poi: esiste un modo medio frai due? Forse sì, nel triangolo Pa-rigi-Berlino-Stoccolma. Forse.

Le osservazioni contenutein questo saggio sono numero-sissime, non si può darne contodettagliatamente. Però due otre cose vanno dette, per rende-re almeno il sapore del libro. Laprima è che non possiamo illu-derci di non avere pregiudizi.Li abbiamo, e molti sono pregiu-dizi talmente squallidi da farcivergognare. Ma l'unica viad'uscita è accettarli e metterlialla prova dei fatti. Molti crolle-ranno, e questo sarà assoluta-mente sano. Fingere di nonaverne significa perpetuarli erafforzarli.

La seconda è che va accet-tata e addirittura valorizzatala visione necessariamente disuperficie che si ha di una real-

tà così stratificata e comples-sa come una diversa cultura è.Fingere di possedere una chia-ve di comprensione profondasignifica votarsi all'incompren-sione totale.

La terza è che proprio lementi più acute hanno imbocca-to queste strade senza uscita.

L'autore nella sua valigia haovviamente stipato molti librisul Giappone, di molti autori. Siconsiglia di vedere che fine fan-no, in mano a Giunta, le pagineche al Giappone hanno dedica-to Parise, Calvino e Barthes.Non per mera polemica, maper verificare come non solo ilturista frettoloso e becero, acui il pesce crudo fa schifo, maanche il raffinato intellettualepuò avere gli occhi bendati,non da cotenne di ignoranzama da lamine dorate, magari,però con il risultato identico dinon vedere niente.

Arguto, brillante, spesso di-vertente, ancorato al buon sen-so e nutrito di intelligenza, que-sto libro che si interroga su co-me siamo (noi e loro, ma insom-ma tutti), su come viviamo og-gi, non rifugge l'amarezza delleoccasioni mancate, dello spre-co e dell'autolesionismo, nonha e non può avere ricette, nonle cerca. Ma ridipinge un qua-dro che, per il semplice fatto diessere così poco incline alle mi-stificazioni, va considerato co-me un incremento di conoscen-za per il lettore.

«L’elogio della mitezza» La lezionedi Bobbio, per combattere il razzismoe la deriva plebiscitaria della politica

Reportage Un viaggio nel «Paese più stupidodel mondo», che rappresenta il nostro opposto

GIOVANNIDE LUNA

Agli inizi degli Anni90 i cittadini stranieri censitiin Italia erano all'incirca 356mila. Dieci anni dopo erano di-ventati quasi un milione in più.All'inizio di quest'anno hannosuperato i 4 milioni, e sono il7% della popolazione. Oggipossiamo dirlo. Avviandosiverso la fine del ‘900 il proget-to di «fare gli italiani» venivaattraversato da un vero terre-moto. Tutti i 150 anni della no-stra storia unitaria potevanoleggersi come un lungo proces-so alimentato dalla coppia in-clusione/esclusione.

Lentamente, faticosamen-te, avevamo riassorbito le frat-ture e lacerazioni che avevanorallentato la costruzione delloStato nazionale, quelle geogra-fiche (Nord/Sud), economiche(città/campagna), sociali (pro-letariato e borghesia), ideologi-che (fascismo e antifascismo),in un lavorìo incessante in cui ifronti dell'esclusione da rias-sorbire cambiavano man ma-no che cambiavano le «fasi»politiche della nostra storia.

Mentre il XX secolo finiva,per la prima volta quel proget-to doveva confrontarsi conl'Altro. Un Altro che era taleper il colore della pelle, per le

tradizioni e le culture da cuiproveniva, per la religione incui credeva. Un Altro che nonera più un'icona esotica e re-mota, ma era qui in mezzo anoi, condivideva il nostro spa-zio di relazione, partecipavapienamente della nostra esi-stenza collettiva. Quali eranogli strumenti di inclusione acui attingere? Esisteva una re-ligione civile capace di rende-re i «nuovi italiani» partecipidi un' appartenenza e di unacittadinanza comune? Era pos-sibile per un maghrebino iden-tificarsi in una memoria pub-blica in cui i fratelli Cervi con-vivevano con El Alamein, i ra-gazzi del ’99 con quelli che «an-darono a Salò»?

Norberto Bobbio interven-ne su questi temi in un saggiopubblicato nel 1993. Confron-tandosi con quello che stava al-lora succedendo, con una Le-ga Nord agli esordi della sua ir-resistibile ascesa e un sistema

politico su quei temi chiaramen-te in affanno (la legge Martelli èdel 1990), Bobbio indicò nel pre-giudizio e nel passaggio dall’et-nocentrismo alla xenofobia i pe-ricoli in grado di mandare infrantumi tutti i meccanismi in-clusivi del progetto di «fare gliitaliani». Se, infatti, l'etnocentri-smo è una sorta di «predisposi-zione mentale e culturale», è so-lo dal «contatto materiale», dal-la convivenza negli stessi spazipubblici e privati che nasce la

pulsione della xenofobia, il desi-derio di cacciare l' «Altro» fuorida casa propria.

Sulla constatazione pura-mente fattuale della diversitàche esiste fra uomo e uomo, sisovrappone un giudizio di valo-re per cui uno è buono l'altro cat-tivo, uno è superiore l'altro infe-riore, in un percorso che si svi-luppa attraverso prima la segre-gazione, poi il rifiuto di ogni for-ma di comunicazione o contat-to, la discriminazione, per arri-vare al dileggio verbale, all'ag-gressione e alla violenza. Alla ba-se di tutto questo c'è, appunto, ilpregiudizio, (il «credere senzasapere»), che non solo provocaopinioni erronee, ma è difficil-mente vincibile perché l'errore

che esso determina deriva dauna credenza falsa e non da unragionamento errato, né da undato falso che tali possono esse-re dimostrati empiricamente.

Il saggio, «Razzismo oggi»,fu pubblicato in una raccolta daltitolo Elogio della mitezza e altriscritti morali, allora, nel 1994, da«Linea d'ombra» e adesso ripro-posto da Il Saggiatore.

La mitezza era infatti presen-te in tutto il libro. Per combatte-re il razzismo, diceva Bobbio, ènecessario attingere a una dop-pia risorsa: una è una «virtù so-ciale», la mitezza, appunto, l'al-tra politico-istituzionale, la de-mocrazia. La prima è una dispo-sizione d'animo che rifulge soloalla presenza dell' «Altro». Il mi-te è l'uomo di cui l'altro ha biso-gno per vincere il male dentro disé e la mitezza consiste proprionel lasciare essere l'altro quelloche è. Bobbio ci tiene a distin-guere la mitezza dall'umiltà, in-siste sul carattere attivo di que-

sta virtù; nessuna rassegnatacondiscendenza, nessun pacifi-smo contemplativo. Il mite sipropone di incidere sulla realtà,di costruire un progetto di inclu-sione, di delimitare uno spaziopubblico in cui la sua virtù possaoperare e dare frutti. La demo-crazia è quindi anche l'ambito incui la mitezza può dispiegarecon più efficacia i propri effetti.Bobbio ne sottolinea la dimen-sione inclusiva, la sua tensionecontinua «a far entrare nellapropria area gli altri che stannofuori per allargare anche a loro ipropri benefici, dei quali il pri-mo è il rispetto delle fedi».

Queste considerazioni valgo-no oggi, ancora più che nel 1993.Quanto al saggio che dà il titoloall'intera raccolta, si tratta deltesto di una conferenza che Bob-bio tenne a Milano, nel 1983.C'era allora un'intera generazio-ne che stava congedandosi dallaviolenza, ma anche dalla passio-ne politica, dalla militanza, ma

anche dalla speranza. Quell'in-tervento di Bobbio aiutò tutti adarchiviare la protervia di chi sisentiva depositario di grandicertezze accettando la lezionedella tolleranza e del confrontocon l'Altro. Si scoprì allora che,fuori dai recinti della «democra-zia inclusiva», c'è spazio soloper l'arroganza del potere.

In contrapposizione radicalecon questo potere, la mitezza diBobbio si proponeva come lapiù impolitica delle virtù, la piùradicalmente lontana da chi usala politica solo per affermare sestesso, di chi insegue il successocavalcando il narcisismo e ilcompiacimento.

Ma la sua impoliticità è cosìforte da costringere il potere amostrarsi nella sua nudità, sen-za gli orpelli che tradizionalmen-te lo circondano nello spaziopubblico, costringendolo a con-fessare la propria miseria, a sve-lare la fragilità della deriva ple-biscitari che lo sostiene.

ELENALOEWENTHAL

Sappiamo tutti moltobene quando finisce, ma abbia-mo perso la capacità di capirequando comincia. Quand'è cheviene l'ora di sentirsi, e sapersivecchi? Se l'età è uno dei pochifatti certi che la vita concede, è al-trettanto vero che in questa con-fusa postmodernità dove tuttosembra quello che non è, gli anniche ci portiamo addosso sono or-mai qualcosa di approssimativo.Di relativo anche se i numeri par-lano chiaro. Infatti, mentre untempo la discrezione sull'età re-stava confinata nei vezzi femmi-nili ed era concessa solo oltreuna certa soglia apparente oltrela quale mai chiedere a una don-na quanti anni avesse, di questitempi tutto è decisamente piùcomplicato, per lei così come perlui. Ma soprattuttoper lei.

L'età è un tabù, anzi una spe-cie di totem spuntato dalla terracome un fungo che nessun hamesso lì eppure adesso c'è, in tut-to il suo scomodo ingombro. Sia-

mo una società che respinge, ri-muove e ha ribrezzo della vecchia-ia. Anche se siamo la società piùvecchia del mondo. Il totem dell'età è un paradosso, ma ormai nonriusciamopiù a sbarazzarcene.

Ce lo racconta Loredana Lip-perini nel saggio Non è un paeseper vecchie: un viaggio nell'Italia dioggi attraverso lo spettro - otticoe incubotico - dell'età, in particola-re femminile. Tutto comincia pro-

babilmente negli Anni Sessanta,quando si comincia a glorificare lagioventù: essere giovani è semprestata una promessa. Da allora di-venta a poco a poco un valore. Masiccome gli anni che la vita ci dà insorte restano più o meno semprequelli, se il piatto della bilanciapende, lo fa con equità: più la gio-ventù si afferma come valore, me-no lo è la vecchiaia. I vecchi, o glianziani come ci piace dire, perché

persino la parola «vecchio» è unpoco tabù, non sembrano averepiù nulla da raccontare. Sono unpeso sociale. Bisogna rimuoverlidal nostro panorama quotidiano,dal nostro immaginario. Per loro eper noi: diventare vecchi è unospauracchio. E nessuno che ti dicaquando esattamente succede, equando non si può più far nullaperché ormai è successo.

Lipperini esplora questo no-

stro comune universo che si chia-ma rifiuto della vecchiaia. Eviden-zia bene la contraddizionein termi-ni di un mondo dove più si è vecchipiù si nega l'evidenza di tutto que-sto, a livello collettivo e individua-le. L'autrice affastella forse troppidati statistici uno sull'altro, diso-rientandoun po' il lettore. Si soffer-ma anche molto sui messaggi pub-blicitari, che sono davvero elo-quenti - e non di rado inquietanti.

Il punto è però: quanto il mon-do vero, quello di tutti i giorni, sirappresenta attraverso questimessaggi? Siamo, o anche soltan-to desideriamo davvero, essere co-me quel che viene raffigurato negliinviti agli acquisti (o ai ritocchi)?Forse, e c'è da augurarsi che sia co-sì ma non è affatto detto, forse emeno male abbiamo tante altre co-se a cui pensare, per farci ossessio-nare dalle rughe. Ma certo è chel'età pesa come non mai, in questomondo che sembra quasi averlasconfittacon le armi più disparate.

Il messaggio che la società cimanda è chiaro: invecchiare fa ma-le, meglio evitarlo. Anche se è ine-vitabilecomepoche altre certezze,oltre che evidente: siamo un mon-do sempre più vecchio. «In anni os-sessivi come i nostri si passa dallagiovinezza alla morte quasi di col-po, la vecchiaia diventa una picco-lissima zona prima della sparizio-ne. Ma in quella piccolissima zona,che può durare anni, si scompareanzitempo. Si diventa invisibili».Basterebbe guardarli da vicino, glianziani,per capire che siamo noi.

IL SAGGIO E GLI INCONTRI

Uscito nel1994da«Linead’ombra», «Elogiodellamitezzaealtri scrittimorali»diBobbio èripropostodaIlSaggiatore (pp.211, € 10).«Elogiodelamitezza»èancheil temadiunasettimana diriflessioniaTorino,acuradiAndreaBobbio. Mercoledì13,CircolodeiLettori,h.16,«Laviadellamitezza», seminarioconPietroPolito,SantinaMobiglia,PierCesareBori,GustavoZagrebelsky. Dal13al16,Cavallerizza,h.20,45,«Elogiodellamitezza»,propostateatralediProgettoCantoregi,diGiovanni DeLuna,VincenzoGamnaeMarcoPautasso, regiadiKoijMiyazaki. Il18,alCarignano,h.18, lectiodiCarloOssolasu«Unamitezzabentemperata».

Così velocidalla giovinezza

alla morte

La vecchiaia Un tabù sociale,un’età sempre più rimossa

BANANA E GLI OTAKU

Un caso letterario checontinua. Da Feltrinelli, ilnuovo romanzo di BananaYoshimoto, Un viaggiochiamato vita (trad. di GalaMaria Follaco, pp. 187,€ 13). Una vita inventata:dal primo amore allamaternità, dalle piramidialla Tokyo degli Anni ‘70.Uno studio sullapostmodernità èGenerazione Otaku diHiroki Azuma, in uscita dadi Jaca Book (pp. 200,€ 19): Otaku, ossia i giovaniappassionati ai manga, aivideogiochi e agli anime(disegni animati).Da Aletti, Giapponesi sinasce del giornalista PaoloSoldano (pp. 164, € 14),cronache di vita quotianada Osaka e Tokyo.

Gli italianisi fannocon l’Altro

I DELUSI DAL RISORGIMENTO

Ribelli roboanti= Si chiamano Pier EneaGuarnerio, Domenico Milelli,Alfio Belluso, Ennio Bellelli, VittorLuigi Paladini, EliodoroLombardi, Cesare Ugo Posocco,Girolamo Ragusa Mileti. Maanche Mario Rapisardi, FilippoTurati, Giosuè Carducci,Giovanni Pascoli, Ada Negri.Sono alcuni dei 35 «poeti» cheGiuseppe Iannaccone haraccolto in una inconsuetaantologia, Petrolio e assenzio(Salerno Ed., pp. 246, € 14).Poeti che hanno cavalcato la«ribellione in versi», comeprecisa il sottotitolo, dentro untempo ben definito (dal 1870 al1900). Come a dire dall’Unità diPorta Pia fino alle pur ambiguesoglie di un Novecento che siapre ad altre dinamiche e adaltre suggestioni. Antecristi erefrattari, sovversivi eavventurieri, populisti ebarricadieri, comunardi eprofeti, giornalisti d’assalto esocialisti professori chemartellano i loro versi in quinario settenari piani e sdruccioli, inendecasillabi liberi o rimati, inparole arcaiche, in risorseretoriche vibrate su un'incudineimmaginaria con estetisticofracasso: «Effetti foniciclangorosi», come scriveIannaccone, carpite a quei poeti -da Dante a Carducci - «chepaiono congeniali a una materiaforte e a una disposizionemilitante». Un’officina roboante,che diventa la grancassa di unPaese di forti sperequazioni e diprospettive deluse da unRisorgimento podalico e da unoStato trasformista. Più d’uno ipiani di lettura, come mostranole argomentazioni ben scanditedal curatore (le ragioni sociali, lapoetica strumentale, l'orizzontetransalpino, la crociataanticlericale, i conatidemocratico-rivoluzionari, lastrage delle illusioni). Anche seresta possibile opporre alleragioni della storia le più libereragioni della parodia, delpercorso curioso, dellainadeguatezza di un linguaggioincapace di congiungere laparola alla cosa in saldoconnubio. Che è poi quantos’avvia ad accadere a una Musadefilata come quella del«prosaico» Betteloni. O a quelladi Pompeo Bettini, onestoinquilino di più dimessi e piùpersuasivi recinti. Per non diredella Musa imminente diGozzano, che sarà capace disprigionare dal suo stridulocanto le più ironiche armonie. Giovanni Tesio

A MILANO

Idee italiane= Monitorando la culturadel Paese, la sua creatività,nelle arti e nellescienze. Il 15 e il16 ottobre, a Milano, pressol’Auditorium Pirelli HQ,promosso dalla Fondazione perl’istituto italiano di ScienzeUmane con la FondazioneCorriere della sera, si svolgerà ilprimo convegno «Ideeitaliane». Tema centrale (manon unico) di quest’anno èl’architettura.Fra i relatori Gae Aulenti,Umberto Eco, Marc Fumaroli,Vittorio Gregotti, AldoSchiavone, Joseph Rykwert.

GLUCKSMANN

Le due strade= André Glucksmann, tra imaggiori filosofi francesi,presenterà il 16 ottobre, aSenago Milano,Villa San CarloBorromeo, il suo nuovo libro, Ledue stradedella filosofia, editoda Spirali: il valore delladissidenza intellettuale,nelsolco, in particolare, di Socrate eHeidegger.

A CAGLIARI, PER I RAGAZZI

Malanotte= E’ dedicato alla notte ilquinto festival «Tuttestorie» diletteratura per ragazzi»,presieduto da David Grossman,a Cagliari dal 13 al 17 ottobre:«Malanotte. Racconti, visioni elibri per illuminare il buio». Unasezione è dedicata a GianniRodari.ww.tuttestorie.it.

A CHIVASSO E FRASSINETOPO

Parole e gialli= Dall’11 al 17 ottobre, aChivasso, «I luoghi delleparole», il festival giunto allasettima edizione. Tra gli autoriinvitati Mogol, Davide Longo,Fabio Geda, GianluigiRicuperati, Dario Voltolini.www.fondazione900.it.A Frassineto Po, il 16 e il 17ottobre, il «Villaggio del libro»ospita «Gialli d’autunno».www.libriinporto.it.

«L’ALBERODELLE RADICI»

Piemonte scrive= Oggi e domani, aMonforte d’Alba e a GrinzaneCavour, «L’albero delle radici»:il Piemonte che scrive», un«inventario» della letteraturacontemporanea in dialogo coni maestri di ieri. IntroduceSebastiano Vassalli. A curadella Fondazione Bottari Lattes.

pp Claudio Giuntap IL PAESE PIÙ STUPIDO

DEL MONDOp Il Mulino, pp. 176, € 14

Poeti dell‘800

pp Loredana Lipperinip NON È UN PAESE PER VECCHIEp Feltrinellip pp. 206, € 15

Anticoe modernoGiappone

in una foto diFosco Maraini

dal volume«Maraini.

Acts ofPhotography,

acts of love»,edito nel 1999

da JoostElfeers Books.

Il Giappone è«Il Paese più

stupido delmondo» - titolo

tutt’altro cheoffensivo,

se messo aconfronto conl’Italia, Paese

di quelli chesi credono e

fanno i furbi -visitato e

descritto daClaudio

Giunta nel suosaggio per

il Mulino

Bloc notes

150O

Libri d’ItaliaVerso il 2011

Per tornare a sperare:una virtù socialegemella della virtùpolitico-istituzionaleche è la democrazia

Come, e a quale prezzo,si regge una societàsenza le furbiziee il pressapochismoa noi così congeniali

Gli scritti moralidel filosofo torinese:alla base di tutto c’èil pregiudizio,«credere senza sapere»

Un nostro medievistanelle loro università,uno sguardo lucido,arguto e brillante,oltre i soliti stereotipi

Vado in Giapponee confronto l’Italia

Idee e societàVIIITuttolibri

SABATO 9 OTTOBRE 2010LA STAMPA IX

Loredana Lipperini

Giovani asiatiche, a Roma, tifano per l’Italia ai Mondiali di calcio 2006 (foto di A.Scattolon da «Album italiano. Vivere insieme», a cura di V. Castronovo, Laterza)

Page 9: Tuttolibri n. 1735 (09-10-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - X - 09/10/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/10 - Autore: MARVIN - Ora di stampa: 08/10/10 20.02

178 1420

106

34100

Accabadora

MURGIAEINAUDI

I segretidel Vaticano

AUGIASMONDADORI

9

La solitudinedeinumeri primiGIORDANOMONDADORI

23

L’intermittenza

CAMILLERIMONDADORI

La cadutadeigigantiFOLLETTMONDADORI

Acciaio

AVALLONERIZZOLI

20

Mia suocerabeve

DE SILVAEINAUDI

5 21

15

CanaleMussolini

PENNACCHIMONDADORI

25

Le valchirie

COELHOBOMPIANI

MangiapregaamaGILBERTRIZZOLI

Varia

7

Saggistica TascabiliNarrativaitaliana

Narrativastraniera

4

Ragazzi

LACLASSIFICADITUTTOLIBRIÈREALIZZATADALLASOCIETÀNIELSENBOOKSCAN,ANALIZZANDOIDATIDELLECOPIEVENDUTEOGNISETTIMANA,RACCOLTI INUNCAMPIONEDI900LIBRERIE.SIASSEGNANOI100PUNTIALTITOLOPIÙVENDUTOTRALENOVITÀ.TUTTIGLIALTRISONOCALCOLATI INPROPORZIONE.LARILEVAZIONESIRIFERISCEAIGIORNIDAL26SETTEMBREAL2OTTOBRE.

21

1. La caduta dei giganti 100FOLLETT 25,00 MONDADORI

2. Mangia prega ama 25GILBERT 18,50 RIZZOLI

3. Le valchirie 21COELHO 18,00 BOMPIANI

4. La psichiatra 13DORN 18,60 CORBACCIO

5. I love mini shopping 10KINSELLA 19,50 MONDADORI

6. A l’alfabetista 8PETTERSSON 9,90 NEWTON COMPTON

7. La camera chiusa 8SJÖWALL; WAHLÖÖ 14,00 SELLERIO

8. Un giorno 8NICHOLLS 18,00 NERI POZZA

9. La notte ha cambiato rumore 7DUEÑAS 20,00 MONDADORI

10. L’eleganza del riccio 6BARBERY 18,00 E/O

3

1. Lasolitudine deinumeriprimi 34GIORDANO 13,00 MONDADORI

2. Il piccolo principe 9SAINT-EXUPERY 7,50 BOMPIANI

3. Maigret a Vichy 7SIMENON 9,00 ADELPHI

4. È una vita che ti aspetto 6VOLO 9,00 MONDADORI

5. Il giorno in più 6VOLO 12,00 MONDADORI

6. L’ombra del vento 5RUIZ ZAFÓN 13,00 MONDADORI

7. La versione di Barney 5RICHLER 12,00 ADELPHI

8. La ragazzachegiocavacon il fuoco 5LARSSON 13,80 MARSILIO

9. La regina dei castelli di carta 5LARSSON 13,80 MARSILIO

10. Non avevo capito niente 5DE SILVA 11,00 EINUADI

La Frankfurter Allgemei-ne Zeitung pubblica Ichschreibe wie, versione te-

desca di I write like. È una pa-gina Web dove chiunque può co-piare-e-incollare un proprioscritto, prima soltanto in ingle-se e ora anche in tedesco: un al-goritmo compie una fulmineaanalisi sintattica e grammatica-le e conclude che quel testo è nel-lo stile di Shakespeare, o Tho-mas Mann, o Kafka, o Goethe, oSalinger, o David Foster Walla-ce, o anche Stephenie Meyer.L’ha creato un ventisettennemontenegrino di origine russa(è la globalizzazione), immetten-do valanghe di testi dal Sette-cento ad oggi. Il giochino è diver-tente, forse perfino di qualcheutilità. La Frankfurter ha sot-toposto al test il caporedattoredelle proprie pagine culturali.Risultato: scrive come OscarWilde, poteva andare moltopeggio. Pare che l’autrice cana-dese si sia prestata anche lei, eabbia scoperto con entusiasmo

di scrivere... come Stephen King.Per la cronaca, la sottoscritta ri-sulta stilisticamente affine a DanBrown. Forse è un complimento;o forse è ora di scrivere un bestsel-ler e poi ritirarsi su qualche spiag-gia tropicale. Meglio la caipi-rinha dell’italica melma.

E chissà a chi assomiglia lavincitrice del Deutscher Buch-

preis, il premio al libro dell’annoin lingua tedesca. Per la serie «ilmiscuglio nel quale viviamo», leisi chiama Melinda Nadj Abonjied è svizzera ma jugoslava d'ori-gine, e anzi della minoranza nellaminoranza di lingua ungherese inquel pezzo di Vojvodina che è oraSerbia. È scrittrice, ma anche mu-sicista e performer. Tauben flie-gen auf (significa: «Le colombevolano via»), il romanzo premia-to, comincia come una commediabalcanica, con una famiglia di im-migrati serbi in Svizzera che suuna Chevrolet scassata torna alpaesello per le vacanze estive; maapre poi alle guerre jugoslave, al-la ribellione della protagonista,alla confusione di lingue e identi-tà, e insomma alla rottura deglistereotipi sull’integrazione. Men-tre anche in Germania si arroven-tano le polemiche sull’immigrazio-ne, e su se e come e quanto gli stra-nieri su integrino, il miglior librotedesco è scritto da una donna diquarantadue anni per la quale iltedesco non è la lingua madre.

1. Cotto e mangiato 11PARODI 14,90 VALLARDI

2. Instant English 8SLOAN 16,90 GRIBAUDO

3. È facile smettere di fumare... 6CARR 10,00 EWI

4. The secret 5BYRNE 18,60 MACRO EDIZIONI

5. Il vocabolario della lingua latina 3CASTIGLIONI; MARIOTTI 92,50 LOESCHER

6. Guinness World Records 2011 3- 28,00 MONDADORI

7. Peccati di gola 2MONTERSINO 19,90 SITCOM

8. 1600 allievi di polizia. Eserciziario 2- 23,00 NISSOLINO

9. Il grande libro della memoria 2GOLFERA; GARZIA; ROSATI... 18,50 SPERLING & KUPFER

10. Gli Uominivengono daMarte... 2GRAY 15,00 RIZZOLI

1. Sesto viaggio nel regno... 9STILTON 23,50 PIEMME

2. Il mio primo dizionario. Nuovo MIOT 7- 9,90 GIUNTI JUNIOR

3. Il mio primo dizionario. Nuovo MIOT 5- 9,90 GIUNTI JUNIOR

4. La storia de I promessi sposi 5ECO 12,90 L’ESPRESSO

5. Il piccolo principe 4SAINT-EXUPERY 30,00 BOMPIANI

6. La storia di Don Giovanni 4BARICCO 12,90 L’ESPRESSO

7. Il diario segreto di Antonella 3- 16,50 SPERLING & KUPFER

8. La casa di Topolino 3- 12,90 WALT DISNEY

9. Toy story 2- 34,90 WALT DISNEY

10. Attacco alla difesa 2GARLANDO 11,00 PIEMME

I PRIMI DIECI INDAGINE NIELSEN BOOKSCAN

Finisce la beata solitudine dei numeri primi in cimaalla classifica, arriva il ciclone Ken Follett con l’ini-zio della sua The century trilogy e il valore in co-

pie vendute, nel nostro campione di sole librerie, balza so-pra quota 25 mila. E’ un malloppo di 999 pagine, che pianpiano racconta umili e aristocratici, poveri e ricchi, vinti evincitori del ’900, tra la grande guerra e la rivoluzione rus-sa, un viaggio spazio-tempo, da Londra a Mosca agli StatiUniti, un carotaggio narrativo di un secolo tutt’altro chebreve in cui la Storia è solo lo scenario di una saga familia-re, per intrattenere con amabile tranquillità, senza chiaro-scuri (anche se è in vendita con due diverse copertine, una

bianca e una nera), senza il mistery e la suspense che sor-reggevano I pilastri della terra (ora in onda a puntate ilvenerdì su Sky Cinema, prodotto da Ridley e Tony Scott).Altre novità in tabella: fra gli italiani La monaca diAgnello Hornby, la clausura subita e riscattata di un’ado-lescente nella Sicilia ’800; fra gli stranieri i thriller scandi-navi di Pettersson, con il solito serial killer, e della pregia-ta ditta Sjöwall-Wahlöö, il classico delitto della camerachiusa. Per i ragazzi ci sono I Promessi sposi e il Don Gio-vanni raccontati da Eco e Baricco: di fronte a orripilantiriduzioni in circolo, in una scuola che i classici li venera masempre meno li frequenta, ben vengano pregevoli riassunti

d’autore (con Eco che si toglie lo sfizio di rovesciare la mo-rale della favola, diffidando della manzoniana Provviden-za: questa forse i ragazzini non la capiranno subito, ma lalettura non è vietata ai maggiori). In saggistica, l’estremosaluto di Pietro Calabrese, a muso duro di fronte al suocancro, il male contro cui han lottato con coraggio le Don-ne di Veronesi (7˚) e con cui Terzani (9˚, un album dei suoiviaggi) fece Un ultimo giro di giostra. Insegnano, aiuta-no, a prendersi cura di sé, a concedersi magari un bicchierd’acqua a Vichy come Maigret (3˚ nei tascabili). Perché,alla fine, dopo tanto arrabattarsi, dice il saggio Altan:«Uno nasce, e poi muore. Il resto sono chiacchiere».

AI PUNTILUCIANO GENTA

Follett ’900:altro che

secolo breve

Tutti gli editori picco-li e di qualità rischia-no, più dei grandi,ad ogni uscita. C’èpoi chi rischia più de-

gli altri. Tra questi Andrea L.Car-bone, Roberto Speziale, GiuseppeSchifani, i tre giovani titolari del-la palermitana due: punti, natanel 2004 progettando «una biblio-teca ideale selettiva e non esausti-va» in cui da subito figuranoSchwob e Huysmans, Jarry eVian, Europeana di Ouredniknonché Platone e Aristotele. Sfor-tuna ha voluto che con Il verbaledi Le Clézio, Nobel 2008, l’ardi-mentoso marchio con il «pesce ra-diografato» non sia riuscito, incol-pevole, a monetizzare una bella ti-ratura. «Abbiamo dovuto rico-minciare daccapo» dice Schifani.Ma senza mutamenti di rotta, re-cente prova il Grande romanzoeuropeo del belga Koen Peeters.

E adesso, sempre più difficile.Con la prima collana dedicataagli italiani. Anzi una collanina,sia per misure 9x14 (richiamo alle

proporzioni dei testi medievali) cheper foliazione, massimo un’ottanti-na di pagine, per ora. Ma singolaris-sima. «Zoo- Scritture animali» è di-retta da Dario Voltolini e GiorgioVasta, il che già indica un volare al-to, confermato dai libriccini inaugu-rali: il Discorso fatto agli uominidalla specie impermanente deicammelli polari di Giuseppe Gen-

na, il più «tosto», quasi un contephilosophique; Alter E (un fagia-no) di Mario Giorgi; Mio padrenon ha mai avuto un cane di Davi-de Enia cui seguiranno a breve Moz-zi e Lagioia; nel 2011 Abbate, Fran-chini, D’Amicis, Falco, dove tuttiparlano, di noi e a noi, di oggi.«Una scommessa "politica"». Glianimali (da sempre in letteratura)come pretesto, come specchio defor-mante «per ragionare - spiega Vol-tolini - su quello che tormenta gliitaliani e non solo. Convocando au-tori che ci piacciono, già affermati.Come noi attratti dalla bellezza diuno zoo (di cui tutti siamo parte)».Una «collezione di figurine, uno zooper collezionisti». Parecchio impe-gnativo anche nelle scelte grafiche:stampa con inchiostri a base di olivegetali e materie prime naturalirinnovabili, su carte ecologiche cer-tificate e, per la prima volta in Ita-lia, le copertine con la speciale Ele-phant Dung Paper, prodotta arti-gianalmente in Sri Lanka con «cac-ca» di elefante. Intus legere (il mot-to della casa) a tutto campo.

1. Accabadora 23MURGIA 18,00 EINAUDI

2. L’intermittenza 20CAMILLERI 18,00 MONDADORI

3. Canale Mussolini 20PENNACCHI 20,00 MONDADORI

4. Mia suocera beve 17DE SILVA 18,00 EINAUDI

5. Acciaio 14AVALLONE 18,00 RIZZOLI

6. L’ultima riga delle favole 11GRAMELLINI 16,60 LONGANESI

7. La monaca 8AGNELLO HORNBY 17,00 FELTRINELLI

8. Bianca come il latte... 7D’AVENIA 19,00 MONDADORI

9. Acqua in bocca 7CAMILLERI; LUCARELLI 10,00 MINIMUM FAX

10. Il tempo che vorrei 5VOLO 18,00 MONDADORI

CHE LIBRO FA...IN GERMANIA

GIOVANNA ZUCCONI

Ora il Webrivela i nuovi

Goethe

1. I segreti del Vaticano 15AUGIAS 19,50 MONDADORI

2. L’albero dei mille anni 13CALABRESE 17,50 RIZZOLI

3. Terroni 10APRILE 17,50 PIEMME

4. L’economia giusta 6BERSELLI 10,00 EINAUDI

5. Leopardi 6CITATI 22,00 MONDADORI

6. Caterina. Diario di un padre... 4SOCCI 16,50 RIZZOLI

7. Dell’amore e del dolore... 4VERONESI 18,00 EINAUDI

8. Prendiamoci il futuro 4GRILLO 13,00 RIZZOLI

9. Un mondo che non esiste più 4TERZANI 22,00 LONGANESI

10. Parli sempre di corsa 4LINUS 15,50 MONDADORI

Classifiche TuttolibriSABATO 9 OTTOBRE 2010

LA STAMPAX

PROSSIMAMENTE

MIRELLA APPIOTTI

Tuttiallo zoo didue: punti

Page 10: Tuttolibri n. 1735 (09-10-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - XI - 09/10/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/11 - Autore: MARVIN - Ora di stampa: 08/10/10 20.02

f

f

GREGORY BATESON

Mente e naturaUn'unità necessariaAdelphi, pp. 312,€ 20«L'unica domanda di chi pensa è:che differenza c'è? Ma la rispostasi sa già: non c'è nessunadifferenza».

LUDWIG WITTGENSTEIN

Tractatuslogico-philosophicusa cura di Amedeo G. ConteEinaudi, pp.311, € 18«Daquestoclassicohoappresoche ilmondoèunamappa: tutta lalogicadiscendedatale identità».

f

MICHEL SERRES

La communicationÉditions de MinuitPrimodei5volumidella serie«Hermes»,usciti fra il1968e l'80.SeguironoL'interference,Latraduction,LadistributioneLepassageduNord-ouest, il solotradotto(Pratiche,1984): «Mimostraronola legittimitàdiabitareunmondoenonunlinguaggio»

ATLANTI E PAESAGGISono molti e diversi fra loro,ormai, i modelli di applicazionedei paradigmi geografici allescienze umane e agli studiletterari in particolare.In prima linea, fra i nostrieditori, Bruno Mondadori:auspice Maria Nadotti hatradotto due libri di GiulianaBruno (quanto mai originalestudiosa napoletana che dasempre insegna a Harvard), ilfondativo Atlante delleemozioni nel 2006 e, nel 2009,Pubbliche intimità.Architettura e arti visive (pp.X-227, € 25). Più di recente haproposto Leggere il temponello spazio. Saggi di storia egeopolitica (traduzione di LisaScarpa e Roberta Gado Wiener,pp. 308, € 24) di uno dei piùimportanti storici tedeschi, KarlSchlögel. Caposcuola franceseè Bertrand Westphal, il cuiGeocritica. Reale FinzioneSpazio è stato tradotto daLorenzo Flabbi per Armando(pp. 240, € 20), auspice MarinaGuglielmi (alla quale si deveanche, l'anno scorso a Cagliari,l'organizzazione di unconvegno dell'Associazione pergli Studi di Teoria e StoriaComparata della Letteraturadedicato a Frontiere confinilimiti). Anche il nostro paese -dopo studi pionieristici diDavide Papotti, VincenzoBagnoli e Giulio Iacoli -comincia infatti ad avere i suoirappresentanti: il poeta estudioso novarese FedericoItaliano, che lavora però aMonaco di Baviera, hapubblicato Tra miele e pietra.Aspetti di geopoetica inMontale e Celan (Mimesis, pp.185, € 14) mentre fresco distampa da Liguori (pp. 240,€ 21.50) è l'avvincentePaesaggi mappe tracciati.Cinque studi su letteratura egeografia, di un giovanemaestro come GiancarloAlfano: che a puntuali letture«geografiche» di autori comeGadda, Beckett, Manganelli,D'Arrigo e Pynchon anteponeun'introduzione che - propriosulle tracce di Franco Farinelli -si può considerare uno deinostri primi originali contributiteorici di geografia dellaletteratura. [A. C.]

I PREFERITI

Il geografo delle idee, nell’epoca che con la Rete haeliminato spazio e tempo, auspica il ritorno alle mappe,le migliori macchine per capire come funziona il mondo

ANDREACORTELLESSA

Negli Anni Sessantasi parlava di linguistic turn,quando le scienze umane simodellavano sui paradigmidella linguistica. Ora si parladi spatial turn. Almeno a par-tire da Deleuze i filosofi sipresentano come cartografi,e del ’94 è la Geofilosofia del-l’Europa di Massimo Caccia-ri. Gli storici sempre piùspesso associano l'asse dellospazio a quello, a loro conna-turato, del tempo: Karl Schlögel prende le mosse da quelloche chiama «Il ritorno dellospazio». E ragionano semprepiù in termini geografici glistorici della letteratura: se fua lungo un isolato il CarloDionisotti di Geografia e sto-ria della letteratura italiana,l'ormai imminente Atlantedella letteratura italiana Ei-naudi curato da Sergio Luz-zatto e Gabriele Pedullà si an-nuncia come manifesto diuna nuova egemonia discipli-nare.

Franco Farinelli è il mag-gior geografo italiano. Nel2003 ha rotto un argine pub-blicando Geografia nella se-rie di Filosofia della PiccolaBiblioteca Einaudi. L'annoscorso gli ha tenuto dietroLa crisi della ragione cartogra-fica: dopo la sua Geografia Fi-

sica, quella Politica. In en-trambi una struttura rigidis-sima (dopo le rispettive intro-duzioni, 98 capitoli della du-rata fissa di due pagine… qua-si Centuria di Giorgio Manga-nelli!) imbriglia un flusso ri-zomatico, un balenare mer-curiale di affondo eruditi ecortocircuiti intellettuali(lampeggianti per esempiodue paginette che rivoluzio-nano l'interpretazione diMoby Dick…).

Fa notare Farinelli comenell'estate del '69, quandotutti stanno col fiato sospesoper l'Apollo 11, per la primavolta due computer prendo-no a comunicare fra loro:«non si trattava della conqui-sta dello spazio […], ma alcontrario della sua fine». Un'altra rivoluzione inavvertitasi consumò nel '76, quandodurante la finale degli Euro-pei di Calcio l'attaccantecèco Panenka beffò il portie-re tedesco con un rigore apallonetto - l'antenato del«cucchiaio» di Totti. Quellanuova curva, introdotta nella«rettilinea sintassi dello spa-zio», segnava «l'inizio dell'età della globalizzazione».

Amputato di senso dell'orientamento come sono, or-fano del navigatore satellita-re di cui sono schiavo, perraggiungerlo al Dipartimen-to di Discipline della Comuni-cazione - dove lavora - mi so-no stampato da Google Mapsuna quantità di videate delcentro di Bologna. Quandome le vede in mano, Farinellisorride sardonico.

Un'autobiografia intellet-tuale in pillole. O, diciamopiuttosto, su grande scala.

«Dopo il Liceo classico inAbruzzo, giunsi a Bolognanel 1967. Alla facoltà di Lette-re scoprii una materia mera-vigliosa, la geografia. Ogget-to della mia tesi era il villag-gio indiano, e nel '70 andai afare ricerca sul campo. Lamia mappa però indicava lapresenza di villaggi in posti

in cui non ce n'era traccia.Pensavo fosse arretrata, poicapii che i villaggi c'erano, eroio che non li vedevo. Per un oc-cidentale "villaggio" è un insie-me di abitazioni; in quella cul-tura invece è un pezzo di terradotato di nome perché vi esi-stono diritti fondati sui prodot-ti del suolo (ne scrissi nel sestovolume della Storia d'Italia Ei-naudi, l'Atlante al quale michiamò a collaborare LucioGambi). Per la prima volta micolpì il potere ontologico dellamappa: il fatto cioè che alla re-altà si fosse sostituita la logicacartografica».

Quando si è reso conto chequesta disciplina particolareera in realtà un sapere inter-sistemico?

«Andando a insegnare a Gine-vra e poi in California, ho avu-to modo di conoscere grandigeografi che erano degli ereti-ci, dei filosofi naturali - anchese non si sono mai dichiaratitali. Per esempio David Har-vey si reputa una specie di so-ciologo economista, ma è ungeografo».

Quello che più mi colpisce,appunto, è il respiro filosofi-co dei suoi libri. Ogni pagina«squadra il foglio», ripercor-

re cioè una tradizione di pen-siero a partire dalle sue origi-ni.

«Da piccolo una volta vennibocciato in disegno e la prati-ca mi è rimasta ostica finchénon ho capito che ogni voltache squadriamo un foglio ri-mettiamo in scena lo scontrotra Ulisse e Polifemo. Credosia questa la molla di tutto ilmio lavoro. Folgorante, nei li-bri di Giorgio Colli, fu l'incon-tro coi filosofi presocratici.Strabone dice che il filosofo èun geografo; e davvero, primadi Platone, c'erano questi per-sonaggi straordinari che han-

no inventato i modelli sui qualicontinuiamo in sostanza a fon-darci: Talete, Anassimandro,eccetera. In qualche misura,oggi siamo tornati lì. Siccomela nostra è un'epoca di radica-le mutamento, abbiamo di nuo-vo bisogno di un pensiero radi-cale: che si faccia carico, cioè,del problema dell'origine. Pec-cato però che anche nelle Uni-versità, in questo recinto cheresisterà ancora per poco, lapossibilità di un pensiero radi-cale diminuisca ogni giorno.Oggi la geografia l'hanno aboli-ta anche dagli Istituti tecnico-nautici, segno di un disprezzoper le proprie origini che lacultura occidentale coltiva damillenni. Più che i problemidell'ecologia, mi preoccupa ilprogressivo scollamento tra ilfunzionamento del mondo e lenostre capacità di compren-derlo».

Nella «Crisi della ragione car-tografica» c'è una delle spie-gazioni più convincenti cheio conosca, del fenomenodefinito «globalizzazione».Qui muove una serie di obie-zioni a Peter Sloterdijk...

«Amo molto lo Sloterdijk dellaCritica della ragione cinica. Nelciclo di Sfere, invece, s'innamo-ra troppo di quest'idea… lospecifico della modernità è lamappa, non la sfera».

Alla fine del libro introduceil concetto di Rete e fa capi-re che è solo con la rivoluzio-ne telematica che si può dav-vero passare dal piano dellaTavola a quello della Sfera.

«Oggi la Rete ha eliminato lospazio e il tempo. Non signifi-cano più niente per il funziona-mento del mondo. Possiamo astento figurarci un mondo sen-za spazio né tempo ma nonpossiamo ancora spiegarlo,perché queste categorie sonoil fondamento del nostro mododi pensare. Per capire questadimensione bisogna dunque,come dicevo, fare uno sforzodi semplificazione radicale.Tornare all'arcaico: non soloquello che abbiamo alle spalle

ma anche quello che abbiamodi fronte. Socrate, per esem-pio, veniva accusato di mette-re in questione le cose chestanno in cielo e quelle chestanno sotto terra. Comincia-va allora il disprezzo per ciòche è visibile, patente, appar-tiene alla terra. Ma proprio og-gi che a governare tutti i pro-cessi è qualcosa di invisibile,cioè appunto la Rete, dobbia-mo riscoprire l'importanza diciò che si vede. Nella moderni-tà le mappe sono state le mi-gliori macchine per capire ilfunzionamento del mondo, maora abbiamo bisogno di nuovimodelli che possano guidarcianche quando il sistema spa-zio-tempo non funziona più».

“Il villaggioè globalema invisibile”

Una cartografia ancheper le scienze umanee la nostra letteratura,«disegnata» in unnuovo Atlante Einaudi

Diario di lettura TuttolibriSABATO 9 OTTOBRE 2010

LA STAMPA XI

«Quando squadriamoun foglio rimettiamoin scena lo scontro traUlisse e Polifemo: eccola molla del mio lavoro»

La vita Franco Farinelli è nato a Ortona nel 1948. Dopo aver insegnato nelleUniversità di Ginevra, Los Angeles (UCLA), Berkeley e Parigi (Sorbona), insegnaoggi Teorie e modelli dello spazio e Geografia della Comunicazione all’Università diBologna, dove presiede il corso di laurea in Geografia e Processi Territoriali.

Le opere I segni del Mondo. Immagine cartografica e discorso geografico in etàmoderna (La Nuova Italia 1992; ed. ampliata Academia Universa Press 2009),Geografia. Un'introduzione ai modelli del mondo (Einaudi 2003), L’invenzionedella Terra (Sellerio 2007), La crisi della ragione cartografica (Einaudi 2009).

Franco Farinelli

Lo

stud

ioso

deil

uogh

i