tuttolibri n. 1753 (19-02-2011)

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Maledetto il Paese che non ha bisogno di giovani MIGUEL DE UNAMUNO Non ci sono correnti vi- ve interne nella nostra vita intel- lettuale e morale; questo è un pantano di acqua stagnante, non una corrente sorgiva. Solo una sassata può agitare la superficie e, tutt’al più, smuove il fango sul fondo e intorbidisce l’acqua del pozzo. Sotto un’atmosfera sopo- riferasiestendeundesertospiri- tuale di un’aridità terrificante. Non c’è freschezza né spontanei- tà,nonc’ègioventù. Ecco qui il punto terribile: nonc’ègioventù.Cisarannoigio- vani, ma la gioventù manca. E il punto è che l’Inquisizione laten- te e il formalismo senile la tengo- no repressa. In altri Paesi euro- pei appaiono nuove stelle, la maggior parte di esse sono er- ranti e scompaiono subito dopo la loro comparsa; c’è il galletto del giorno, il genio della stagio- ne;quino,nonc’ènemmenoque- sto: sempre gli stessi cani e con glistessiguinzagli. Si dice che, qua e là, ci siano germiviviefecondi,mezzinasco- sti,mailterrenoècosìpressatoe compatto che i teneri germogli dei semi profondi non riescono a rompere lo strato superficiale della crosta, non ce la fanno a rompere il ghiaccio. Un uomo che, alla sua età, conserva più cheunafedematura,unvigoroso entusiasmo giovanile, sostiene che qui i giovani promettono qualcosa sino ai trent’anni, e poi sitrasformanoinmollaccioni. Nonsitrasformano,litrasfor- mano; cadono feriti e anemici di fronte al reticolo brutale e ferreo del nostro autoritarismo e della nostra stupida gravità; nessuno dà loro in tempo uno sguardo be- nevoloed’intelligenza.Lisivuole diversi da come sono; il nostro spirito di intolleranza irrancidito non riesce a pensare di lasciare che ciascuno si sviluppi secondo lesueinclinazionielasuanatura. Pocofauncriticochiedevaun quarto turno all’Español per gli autori emergenti e sconosciuti, qualcosadisimileaunteatrolibe- ro.Generosaillusione!Sappiamo forsericonoscereilnuovogermo- glio? Ci manca quello che Carlyle definiva l’eroismo di un popolo, il saper riconoscere i suoi eroi. Se dei ragazzi fondano una rivista, vedrete subito sulle loro testate i soliti nomi di cartello. Nella vita intellettuale, come nella corrida - anch’essa appestata dalla forma- lità - l’alternativa deve essere propostadallemanidellevecchie spade, il resto non andrà mai ol- treilrangoinferioredi novillero. Accantoaquestadeformazio- ne nei confronti della gioventù, si trova un superstizioso servili- smo verso gli incensati. È stato esercitatoconfuriaimplacabileil compito di tormentare e schiac- ciare i germogli freschi, senza di- stinguere il tenero dalla sterpa- glia in cui cresceva, e non sono stati toccati il vischio, i tumori e leescrescenzedellevecchiequer- ce, incensate e intoccabili. Quan- ti giovani morti nel fiore di que- sta società, che ha occhi solo per il trito e ritrito, cieca verso quello che si sta facendo! Giudica morti tuttiquellichenonsisonoiscritti in una delle tante massonerie, quella bianca, quella nera, grigia, rossa,blu... Siaggiunga,inoltre,chelapo- vertà della nostra nazione rende difficile guadagnarsi la vita e mettere radici; il primum vivere soffoca il deinde philosophari.I giovanitardanoalasciareilembi dellagonnamaterna,asepararsi dalla placenta familiare e, quan- do lo fanno, disperdono le loro forze nella ricerca di un padrino che li guidi in questa savana ag- ghiacciante. Per sfuggire all’eliminazio- ne, mettono in atto tutte le loro facoltà camaleontiche sino a prendere il colore grigio scuro e sbiadito dell’ambiente circostan- te, e ci riescono. Non è un adat- tarsi alle circostanze facendo sì che queste si adattino a loro vol- ta, attivamente, a essi; è un ada- giarvisipassivo. Viviamo in un Paese povero, e dove non c’è farina è tutta una moina. La povertà economica spiegalanostraanemiamentale; le forze più fresche e giovanili si esauriscononeltentativodi affer- marsi, nella lotta per il destino. Sono poche le verità più profon- de di quella per cui, nella gerar- chia dei fenomeni sociali, quelli economici sono i primi principi, glielementi. E il nostro male non è tanto la povertà,quantol’impegnoaesibi- re quello che non c’è. La povertà del bollito fatto con le ossa, l’insa- lata di carne delle altre sere, i do- lori e le lamentele dei sabati e le lenticchie del venerdì contribui- rono senz’altro alle veglie nottur- ne passate nella lettura dei libri di cavalleria che seccarono il cer- vello al povero Alonso il Buono. Edèancoracorrentetranoil’afo- risma di Dómine Cabra secondo cui la fame è salute; fa proseliti il dottorSagredo,esicontinuaari- badire gravemente che i tumori Con le recensioni e le classifiche dei bestseller Anteprima Il filosofo Miguel de Unamuno sferza la sua Spagna fine ’800 con pensieri più che mai attuali per l’Italia d’oggi: servono «germogli freschi» per rinnovare il rapporto tra «Cultura e Nazione» Oggi tuttoLIBRI iPad Edition A cura di: LUCIANO GENTA con BRUNO QUARANTA [email protected] www.lastampa.it/tuttolibri/ UNA SAGGIO PER USCIRE DALLA «CATALESSI MORALE» Il brano che qui anticipiamo è tratto da «Sul marasma attuale della Spagna», l’ultimo dei cinque saggi di Miguel de Unamuno raccolti nel volume Cultura e Nazione in uscita da Medusa. Riflessioni di «anacronistica freschezza», scrive il curatore Enrico Lodi, elaborate nel 1895, quando il suo Paese si avviava a una profonda crisi sociale e politica, a una «catalessi morale», con una classe dirigente «sorda o impotente», dilaniata da «particolarismi regionali». Ed invece «lo sviluppo dell’amore per il proprio campanile è fecondo e sano solo quando va di pari passo con quello per la patria universale umana». Unamuno auspicava una «interazione della cultura spagnola con quella europea», dialogava con i grandi filosfi dell’ 800, da Hegel e Marx a Spencer e Schopenhauer, ripercorreva il teatro di Calderón e la letteratura di Cervantes (con La vita di Don Chisciotte e Sancho Panza, tradotta da Bruno MondadorI). Miguel de Unamuno nacque a Bilbao nel 1864 e morì a Salamanca nel 1936, l’anno in cui cominciava la guerra civile spagnola. Scrittore e filosofo, professore di greco dal 1891, coltivò in particolare la psicologia, la linguistica e la sociologia. Verso fine ‘800 la crisi che lo condusse a un cattolicesimo mai consolatario. Significativo il titolo della sua opera maggiore : Agonia del cristianesimo», in Italia edita con la prefazione di Carlo Bo da SE insieme a Del sentimento tragico della vita. SIMBOLI La statua della libertà Così si accese il mito americano GORLIER P. VI DIARIO DI LETTURA Il Gattopardo di Biancheri Il nipote di Tomasi tra Kafka e Nabokov QUARANTA P. XI LA STAMPA p Miguel de Unamuno p CULTURA E NAZIONE p a cura di Enrico Lodi p Medusa, pp. 144, e 16 p Il libro accoglie cinque saggi che hanno come tema la decadenza morale e culturale della Spagna: La tradizione eterna, La casta storica castigliana, Lo spirito castigliano, Mistica e umanesi- mo e Sul marasma attuale della Spagna. Pubblicati nel 1895 sul- la rivista La España Moderna, raccolti in volume nel 1902 con il titolo En torno al casticismo. In una società ridotta a pantano stagnante, la«vetustocrazia» è capace solo di dire: «Nonspingete,ragazzi» Continuaapag.V Povertàdiidee,oscenità dataverna,politicuccia meschina e partiti aridi: cosìdiventa difficile crescereed affermarsi Un ritratto-caricatura del filosofo spagnolo Miguel de Unamuno NUMERO 1753 ANNO XXXV SABATO 19 FEBBRAIO 2011 LIBRI D’ITALIA Manzoni, breviario etico I promessi sposi e le loro parodie FERRERO - TESIO P. II COSTUME Vi presento le donne nude Nel gineceo del geniale Altan GRAMELLINI P. VII TUTTOLIBRI VIDEOINTERVISTA Andreoli, tutti folli per i soldi LA MEMORIA La Ginzburg: le mie letture per la scuola tutto LIBRI p IL COMODINO Liliana Cavani tra Cechov e la Sora Cecioni I

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Page 1: Tuttolibri n. 1753 (19-02-2011)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - I - 19/02/11 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/01 - Autore: LAUNOV - Ora di stampa: 18/02/11 20.26

Maledetto il Paeseche non habisogno di giovani

MIGUELDE UNAMUNO

Non ci sono correnti vi-ve interne nella nostra vita intel-lettuale e morale; questo è unpantano di acqua stagnante, nonuna corrente sorgiva. Solo unasassata può agitare la superficiee, tutt’al più, smuove il fango sulfondo e intorbidisce l’acqua delpozzo. Sotto un’atmosfera sopo-rifera si estende un deserto spiri-tuale di un’aridità terrificante.Non c’è freschezza né spontanei-tà, non c’è gioventù.

Ecco qui il punto terribile:non c’è gioventù. Ci saranno i gio-vani, ma la gioventù manca. E ilpunto è che l’Inquisizione laten-te e il formalismo senile la tengo-no repressa. In altri Paesi euro-pei appaiono nuove stelle, lamaggior parte di esse sono er-ranti e scompaiono subito dopola loro comparsa; c’è il gallettodel giorno, il genio della stagio-ne; qui no, non c’è nemmeno que-sto: sempre gli stessi cani e congli stessi guinzagli.

Si dice che, qua e là, ci sianogermi vivi e fecondi, mezzi nasco-sti, ma il terreno è così pressato ecompatto che i teneri germoglidei semi profondi non riescono arompere lo strato superficialedella crosta, non ce la fanno a

rompere il ghiaccio. Un uomoche, alla sua età, conserva piùche una fede matura, un vigorosoentusiasmo giovanile, sostieneche qui i giovani promettonoqualcosa sino ai trent’anni, e poisi trasformano in mollaccioni.

Non si trasformano, li trasfor-mano; cadono feriti e anemici difronte al reticolo brutale e ferreodel nostro autoritarismo e dellanostra stupida gravità; nessunodà loro in tempo uno sguardo be-nevolo e d’intelligenza. Li si vuolediversi da come sono; il nostrospirito di intolleranza irranciditonon riesce a pensare di lasciareche ciascuno si sviluppi secondole sue inclinazioni e la sua natura.

Poco fa un critico chiedeva unquarto turno all’Español per gliautori emergenti e sconosciuti,qualcosa di simile a un teatro libe-ro. Generosa illusione! Sappiamoforse riconoscere il nuovo germo-glio? Ci manca quello che Carlyledefiniva l’eroismo di un popolo, ilsaper riconoscere i suoi eroi. Sedei ragazzi fondano una rivista,vedrete subito sulle loro testate isoliti nomi di cartello. Nella vitaintellettuale, come nella corrida -anch’essa appestata dalla forma-lità - l’alternativa deve essereproposta dalle mani delle vecchiespade, il resto non andrà mai ol-tre il rango inferiore di novillero.

Accanto a questa deformazio-

ne nei confronti della gioventù, sitrova un superstizioso servili-smo verso gli incensati. È statoesercitato con furia implacabile ilcompito di tormentare e schiac-ciare i germogli freschi, senza di-stinguere il tenero dalla sterpa-glia in cui cresceva, e non sonostati toccati il vischio, i tumori ele escrescenze delle vecchie quer-ce, incensate e intoccabili. Quan-

ti giovani morti nel fiore di que-sta società, che ha occhi solo peril trito e ritrito, cieca verso quelloche si sta facendo! Giudica mortitutti quelli che non si sono iscrittiin una delle tante massonerie,quella bianca, quella nera, grigia,rossa, blu...

Si aggiunga, inoltre, che la po-vertà della nostra nazione rendedifficile guadagnarsi la vita e

mettere radici; il primum viveresoffoca il deinde philosophari. Igiovani tardano a lasciare i lembidella gonna materna, a separarsidalla placenta familiare e, quan-do lo fanno, disperdono le loroforze nella ricerca di un padrinoche li guidi in questa savana ag-ghiacciante.

Per sfuggire all’eliminazio-ne, mettono in atto tutte le loro

facoltà camaleontiche sino aprendere il colore grigio scuro esbiadito dell’ambiente circostan-te, e ci riescono. Non è un adat-tarsi alle circostanze facendo sìche queste si adattino a loro vol-ta, attivamente, a essi; è un ada-giarvisi passivo.

Viviamo in un Paese povero,e dove non c’è farina è tutta unamoina. La povertà economicaspiega la nostra anemia mentale;le forze più fresche e giovanili siesauriscono nel tentativo di affer-marsi, nella lotta per il destino.Sono poche le verità più profon-de di quella per cui, nella gerar-chia dei fenomeni sociali, quellieconomici sono i primi principi,gli elementi.

E il nostro male non è tanto lapovertà, quanto l’impegno a esibi-re quello che non c’è. La povertàdel bollito fatto con le ossa, l’insa-lata di carne delle altre sere, i do-lori e le lamentele dei sabati e lelenticchie del venerdì contribui-rono senz’altro alle veglie nottur-ne passate nella lettura dei libridi cavalleria che seccarono il cer-vello al povero Alonso il Buono.Ed è ancora corrente tra noi l’afo-risma di Dómine Cabra secondocui la fame è salute; fa proseliti ildottor Sagredo, e si continua a ri-badire gravemente che i tumori

Con le recensioni e le classifiche dei bestseller

Anteprima Il filosofo Miguel de Unamuno sferza la sua Spagnafine ’800 con pensieri più che mai attuali per l’Italia d’oggi: servono«germogli freschi» per rinnovare il rapporto tra «Cultura e Nazione»

Oggi

tuttoLIBRIiPad Edition

A cura di:LUCIANO GENTAcon BRUNO QUARANTA

[email protected]/tuttolibri/

UNA SAGGIO PER USCIRE DALLA «CATALESSI MORALE»Il brano che qui anticipiamo è tratto da «Sul marasma attuale della Spagna»,l’ultimo dei cinque saggi di Miguel de Unamuno raccolti nel volume Culturae Nazione in uscita da Medusa. Riflessioni di «anacronistica freschezza»,scrive il curatore Enrico Lodi, elaborate nel 1895, quando il suo Paese siavviava a una profonda crisi sociale e politica, a una «catalessi morale», conuna classe dirigente «sorda o impotente», dilaniata da «particolarismiregionali». Ed invece «lo sviluppo dell’amore per il proprio campanile èfecondo e sano solo quando va di pari passo con quello per la patriauniversale umana». Unamuno auspicava una «interazione della cultura

spagnola con quella europea», dialogava con i grandi filosfi dell’ 800, daHegel e Marx a Spencer e Schopenhauer, ripercorreva il teatro di Calderón e

la letteratura di Cervantes (con La vita di Don Chisciotte e Sancho Panza,

tradotta da Bruno MondadorI). Miguel de Unamuno nacque a Bilbao nel

1864 e morì a Salamanca nel 1936, l’anno in cui cominciava la guerra civile

spagnola. Scrittore e filosofo, professore di greco dal 1891, coltivò in

particolare la psicologia, la linguistica e la sociologia. Verso fine ‘800 la crisi

che lo condusse a un cattolicesimo mai consolatario. Significativo il titolo

della sua opera maggiore : Agonia del cristianesimo», in Italia edita con laprefazione di Carlo Bo da SE insieme a Del sentimento tragico della vita.

SIMBOLI

La statuadella libertàCosì si acceseil mito americanoGORLIER P. VI

DIARIO DI LETTURA

Il Gattopardodi BiancheriIl nipote di Tomasitra Kafka e NabokovQUARANTA P. XI

LASTAMPA

pp Miguel de Unamunop CULTURA E NAZIONEp a cura di Enrico Lodip Medusa, pp. 144, € 16p Il libro accoglie cinque saggi che

hanno come tema la decadenzamorale e culturale della Spagna:La tradizione eterna, La castastorica castigliana, Lo spiritocastigliano, Mistica e umanesi-mo e Sul marasma attuale dellaSpagna. Pubblicati nel 1895 sul-la rivista La España Moderna,raccolti in volume nel 1902 conil titolo En torno al casticismo.

In una società ridottaa pantano stagnante,la «vetustocrazia»è capace solo di dire:«Non spingete, ragazzi»

Continua a pag. V

Povertà di idee, oscenitàda taverna, politicucciameschina e partiti aridi:così diventa difficilecrescere ed affermarsi

Un ritratto-caricatura del filosofospagnolo Miguel de Unamuno

NUMERO 1753ANNO XXXVSABATO 19 FEBBRAIO 2011

LIBRI D’ITALIA

Manzoni,breviario eticoI promessi sposie le loro parodieFERRERO - TESIO P. II

COSTUME

Vi presentole donne nudeNel gineceodel geniale AltanGRAMELLINI P. VII

TUTTOLIBRI

VIDEOINTERVISTA

Andreoli,tutti folliper i soldi

LA MEMORIA

La Ginzburg:le mie lettureper la scuola

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IL COMODINO

Liliana Cavanitra Cechove la Sora Cecioni

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Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - II - 19/02/11 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/02 - Autore: LAUNOV - Ora di stampa: 18/02/11 20.26

ANGELOGUGLIELMI

Non stupisce la pas-sione violenta (come da missio-naria) con cui Carla Benedettidenuncia l'insopportabilitàdel tempo in cui stiamo viven-do. Da nuova millenarista èconvinta che il mondo (questomondo) entro cento anni spari-rà e accusa la cultura (e tuttele sue componenti) di aiutare ildiscendimento verso la fine an-ziché ribellarsi e contrastarlo.

In realtà stiamo vivendotempi orrendi (anche al di làdella perversa attualità) conun decadimento (che forsemai è stato così definitiva) del-le lettere e delle arti che - e quiè Carla Benedetti a conciona-re - si sono estraniati dal mon-do e per salvarsi hanno elettocon convincimento irrespon-sabile quella estraneità a nuo-vo valore e guida di vita.

In realtà quella estraneitànon è cosa di oggi e affligge daoltre un secolo la nostra condi-zione di uomini e con più dram-maticità quello dello scrittore.Quel personaggio di Kafka, ri-cordato dalla Benedetti, «chefinisce i suoi giorni fuori del pa-lazzo di giustizia, davanti allaporta che proprio a lui era ri-servata» ne è l'immagine piùesplicita. Ma se quella porta è(e rimane) chiusa non è per-ché qualcuno (gli scrittoricompiaciuti del loro fallimen-

to) ne impedisce l'entrata osta-colandone l'attraversamentoma è che quella porta chiusa èuno ostacolo oggettivo che nonsi lascia aprire dall’amore per leporte aperte (e la decisione del-la volontà). Altro ci vuole.

Quella porta si è chiusa con

le fine del secolo decimonono(l’800) quando Baudelaire altempo del Les petits poemes enprose scopre che le parole dellapoesia per sopravvivere si spo-gliano della poesia (evitando discivolare nel poeticismo), Cé-zanne al tempo delle Bagnantiche lo spazio naturale (che at-traversiamo quando usciamodi casa) ha smarrito la forza di

sostenere pensieri e sentimentie Picasso (appena qualche tem-po dopo) dipinge una figuraumana senza braccia e naso econ tre occhi (o senza occhi econ tre nasi).

Da allora il contenitore natu-rale non è più in grado di acco-gliere parole di verità e imponedi escogitare accorgimenti (chela Benedetti scambia per la pre-senza del nemico) che consenta-no di riprendere a parlare e ri-stabilire il contatto con il mon-do. Solo quegli accorgimenti (al-tri e diversi e comunque tutti ar-tificiosi e strumentali) possonoaprire quella porta chiusa e in-terrompere la separatezza checomporta (e impone). Questa èstato la scelta e l’impegno cui haposto mano Joyce e Kafka,Pound e Eliot, Auden e Montale,Musil e Booch, Svevo e Pirandel-lo, Gadda e Céline. E se Moresco(per tornare alla Benedetti, suosponsor) ha trovato difficoltà asuperare l’impedimento (quella

porta chiusa) è perché non haapprontato accorgimenti suffi-cienti facendosi sorprendere inmare aperto (nel suo Caos) solodotato di rabbia e volontà anco-ra manovrando strumenti infondo naturalistici che se purforzati (ben oltre il limite) han-no poche possibilità di pesca.

In realtà anche oggi non c'èscrittore piccolo o grande, sin-cero o malandrino, che non am-bisca di raggiungere «l'assolu-to» e non cerchi di penetrare«nel profondo abisso del mon-do» (come da prescrizione di Di-sumane lettere).

Ma la strada è quasi incono-scibile e non basta l'azzardo delcuore, la capacità di distinguerebene da male (come presume-rebbe Benedetti) a percorrerlae certo tanto meno (qui d'accor-do con Benedetti) il ricorso allescorciatoie (oggi così in voga) al-lestite scegliendo la convenien-za, la frettolosità e il cattivo sa-pere. E' necessario qualcosa an-

ch'esso di inconoscibile e co-munque difficile a definire cheintanto è conoscenza critica delcontesto in cui si opera e ricono-sciuto la vastità della deriva rac-cogliere la forza intellettuale eperché no di cuore, cui non èestranea la malizia e la spregiu-dicatezza, atta a contenerla (in-vertendone la rotta).

Esistono altre modalità di ri-sposta, per Carla Benedetti: disalvezza? Lei non ne indica senon proclamandone l'urgenza eintanto si dispera. E anche sulladisperazione ci lascia dubbiosise mentre lamenta la mancan-za di geni (e come darle torto),riconosce che questo ultimotrentennio ha pur dato vita a au-tori «carichi di invenzione, di az-zardo e di fiducia nel potere del-la parole» e sono così tanti e nu-merosi (da Laura Pariani, aMarco Baiani, a Moresco, a Sitiecc. ecc. ecc.) che non le basta-no due pagine (la 66 e 67) per in-dicarli tutti.

MASSIMORAFFAELI

Decano degli italiani-sti e maestro di critica militan-te, Walter Pedullà è titolare diuna ingente bibliografia in cuispicca L’estrema funzione. Laletteratura degli anni settantasvela i propri segreti che uscì daMarsilio nel ‘75 e viene ora ri-proposto in anastatica da LeLettere nella militantissimacollana «fuoriformato» di An-drea Cortellessa che firma,per l’occasione, un colloquiocon l’autore in calce al volume.Allievo di Giacomo Debenedet-ti, compagno di via dello speri-mentalismo e interprete dellenuove avanguardie su posizio-ni autonome e sempre liberta-rie, Pedullà è un critico illumi-nista, anzi spinoziano, persua-so che la letteratura sia il re-gno del molteplice e tuttavia,proprio per questo, necessitidi uno sguardo che sappia di-stinguere prima di valutare egiudicare. Come dire che la let-teratura è per lui, volta a volta,un Ordine irrimediabilmentedisordinato o, viceversa, un Di-sordine decisamente assenna-to. Nemmeno è un caso che ilbanco di prova siano qui gliAnni Settanta, gli stessi, scri-ve Cortellessa, «che oggi si faa gara a descrivere come mo-nocromi e plumbei ma traboc-cavano in realtà di colori: pope concettuali, poveri e neoba-

rocchi, dandistici e dadaisti».L’estrema funzione (titolo

che rovescia, con sberleffo d’au-tore, il mito della morte dell’ar-te) è tanto un’opera di critica inatto quanto un contributo di te-oria i cui interlocutori, oggi im-pensabili, si chiamino Deleuze,Kermode, Hirsch, Mannoni, La-can. Alle immagini del desertoo del vicolo cieco, al collasso del

Significante senza più significa-ti cui sembrava ridotta la lette-ratura dopo il Sessantotto, Pe-dullà risponde promuovendo -nella prima delle quattro parti-ture saggistiche che compongo-no il volume - «la scelta della co-micità, del carnevale, della deri-sione, il gesto sostitutivo di unacultura alternativa che, avendoscoperto l’impostura del reale,

non rispetta più nessuno deisuoi “valori” né la sua“religione” ma comunica, conun chiasso caotico che rassomi-gli all’inconscio, la propria irri-ducibile estraneità».

Infatti il suo presente-AnniSettanta è ricchissimo di esiti,sia riguardo a scrittori di fisio-nomia già definita (Elio Paglia-rani, Paolo Volponi, Luigi Ma-lerba, Edoardo Sanguineti, Nan-ni Balestrini) sia di esordienti,come Franco Cordelli o GianniCelati, in grado di tradurre lemetafisiche del negativo nell’in-cipit di un percorso rispettiva-

mente originale. Pedullà ha ilmerito di averli avvalorati o, me-glio, introiettati nella sua costel-lazione di grandi irregolari do-ve pulsano le stelle fisse di Savi-nio, Gadda, Palazzeschi e Svevo(cioè i classici cui ha dedicato lasua vita di studioso). E lo ha fat-to nel suo stile inimitabile, pene-trante e leggero, sempre in so-spetto di diversione e svagatez-za eppure sempre convergentee a picco sulla pagina, che è soli-to affrontare (dice proprio Cor-delli introducendo L’estremafunzione) «con atto di sibillina di-sinvoltura, ossia con il soffio delmago». Il mago di una magiache il tempo ha mantenuto rigo-rosamente bianca.

I promessi sposi Beato chi riesce ad amare Manzoni,maestro di vita adulta, nonostante l’obbligo scolastico

GIOVANNITESIO

Lo sanno tutti che tut-to è parodiabile, perché tuttoè ambiguo e tutto ha il suo ro-vescio. Basta un cambio di let-tera, un'assonanza, un calem-bour a scatenare il gioco. Masempre si deve partire da untesto largamente condiviso,un'opera nota, un personag-gio di grande visibilità, comeben sanno i comici d'ogni tem-po e i fustigatori (o i trasgres-sori) di ogni età. Oggi la noti-zia è che la Rizzoli manda in li-breria una riscrittura dei Pro-messi sposi in chiave vampire-sca o draculina, un Manzoni insalsa Stoker, tra Nosferatu eHannibal the Cannibal. Titolodel romanzo, I promessi morsi.Un divertissement tutto votatoa inquietanti pallori e a scintil-lar di canini, che il sottotitolorincara («Storia gotica milane-se del secolo XVII») e che l'oc-cultamento d'autore - «Anoni-mo Lombardo» - enfatizza (af-finché si scateni la ridda dellosmascheramento, si indovini il

genio segreto, si sveli l'identi-tà dell'astuto pasticciere).

Quale che sia il vero voltodella Minerva oscura, non sa-rà comunque il caso di freme-re troppo per saperlo, perchéil risultato di tanto mordere al-la fin fine è modesto. Il roman-zo ricalca da vicino I promessisposi e ne elabora - in tanta se-te di sangue - un'esangue ver-sione, che sembra fatta piùper parodiare la riscopertadel genere «vampiro» che nonper tentare l'ennesima riscrit-tura del romanzo manzonia-no, ricca di suo d'una cospi-cua bibliografia.

Intanto cinema e televisione(nemmeno escludendo teatro emelodramma): da Luca Comerioa Ugo Falena; da Mario Cameri-ni, che portò sullo schermo unpimpante Gino Cervi nelle vestidi Renzo, a Mario Maffei in unaco-produzione italo-spagnola;dallo sceneggiato di Sandro Bol-chi (con Nino Castelnuovo e Pao-la Pitagora) al kolossal in cinquepuntate di Salvatore Nocita, chedeve avere dettato la trasposizio-ne parodica del trio Lopez-Mar-chesini-Solenghi, nemmeno lamigliore se qualcuno ha potutorimpiangere la versione delQuartetto Cetra con Al Bano eRomina (e si potrebbero ricorda-re ancora l'adattamento teatraledi Giovanni Testori e la fiction indue puntate per la regia di Fran-cesca Archibugi).

Mentre nella letteratura valela pena, tra i casi possibili (lo sca-pigliato Cletto Arrighi scrisse

Gli sposi non promessi) indicarnedue degni di nota: il romanzo diGuido Da Verona (I Promessi Spo-si di Alessandro Manzoni e GuidoDa Verona) e la sceneggiatura diPiero Chiara (I Promessi Sposi diPiero Chiara).

Dopo alcune pagine in cui di-sinvoltamente liquida le incrosta-zioni «eucaristiche» del roman-zo manzoniano, Guido Da Vero-na riconosce al suo autore un in-vidiabile fiato narrativo e giungea considerarlo il «narratore prin-cipe» di una storia d'amore chevorrebbe semplicemente svelti-re e aggiornare. Ma poi si metteineluttabilmente per la china del-la parodia imbarcando di tutto:animali parlanti, anacronismi aiosa, incongruenze geograficheassortite, personaggi convocatida ogni epoca in continui ammic-chi di attualità.

Perpetua che toscaneggia.Don Abbondio che fa il saluto ro-

mano, legge Mammiferi di lusso eVergine a 18 carati di Pitigrilli, ru-minando: «Benedetto Cro-ce?...Chi era costui?». Il Grisoche legge Lo sa il tonno di Riccar-do Bacchelli. Lucia (da ultimoLucy) che fuma le Macedonia,canticchia l'aria di Ramona, mo-stra «le migliori disposizioni perdivenire un numero eccezionaleda caffè-concerto», parla france-se e finisce nella casa chiusa didonna Prassede, maîtresse di ra-ra saggezza. Renzo che va in bici-cletta cantando Torna al tuo pae-sello, ch'è tanto bello! e che con ilnome di Antonio Rivolta diventaun abile finanziere, non senzaaver abitato presso il cugino Bor-tolo e averne condiviso la moglie.Padre Cristoforo che non trascu-ra «l'utile esercizio della boxe» eche canticchia a sua volta, «leg-germente brillo», Oh Beatrice - ilcuor mi dice…Insomma, una spe-cie di pochade romanzata, che

qualcuno ha tentato di nobilitarecon le ragioni - si badi, non illegit-time - del dissenso antifascista

Piero Chiara ebbe sicuramen-te presenti le pagine di Guido DaVerona. Anche nei suoi PromessiSposi troviamo Perpetua e donAbbondio che convivono moreuxorio, troviamo la scarsa pro-pensione che Lucia mostra perRenzo, e la propensione più evi-dente che mostra invece per donRodrigo da cui accetta di farsiportare al Castello in carrozza,troviamo l'ambigua posizione dipadre Cristoforo, che in Chiaragode delle grazie di Lucia, secon-do la ben nota vulgata delle disso-lutezze conventuali, troviamo ildubbio impaccio che attanagliala giovane donna davanti a donAbbondio la sera del matrimo-nio a sorpresa e anche l'attenzio-

ne che l'Innominato manifesta asua volta per una cedevolissimaLucia. Ma è diversa l'intenzione.

Ne viene una sorta di rima-neggiamento liberato da tutte lecoperture morali e meglio ade-rente a un sodo realismo di mar-ca lombarda. Anche a detta diun mai corrivo Ferruccio Paraz-zoli, che pur con qualche ottimi-smo parla della scommessa diportare alla vita la natura nasco-sta dei personaggi manzoniani,«quella che avrebbero dovutooriginariamente avere in corpoe che poi era stata loro negatadal severo autore». E se anchenon fosse del tutto così, alla per-turbante Lucia dei «morsi» vam-piri ci sono buone ragioni perpreferire la bella tosa di «carnefragrante» che compare nellepagine di Guido Da Verona e chePiero Chiara - malizioso cultoredi erotismi dialettali - fu ben le-sto a non farsi sfuggire.

ERNESTOFERRERO

In quinta ginnasio, ilprofessore ci faceva distende-re I promessi sposi nelle ampiepagine di un quaderno da com-putisteria: a sinistra doveva-mo riportare l’intreccio, a de-stra - in ordinate colonne - ipersonaggi, le similitudini, iluoghi notevoli. Anche disse-zionato da mani inesperte, ilromanzo scopriva la fitta ordi-tura dei fili che lo compongo-no; la famosa ironia dell’autore(i tremori di don Abbondio, gliagguati architettati da Agne-se, i capponi di Renzo...) si offri-va come compenso immediatoalle fatiche degli analisti. Ilciuffo ribaldo dei bravi, ferma-to dalla reticella, emanava sug-gestioni esotiche, piratesche.Beato chi riesce ad amare Ipromessi sposi nonostante l’im-posizione scolastica.

Il Manzoni più nostro, quel-lo che ci fa crescere e crescecon noi, compagno e maestrodi vita, è quello dell’età adulta.Sta nel gesto della mano che ri-prende il volume dallo scaffale.

Quale senso storico, quale intel-ligenza degli uomini, quale ca-pacità di sguardo che riesce adabbracciare tutto dall’alto perpoi scendere rapidamente ezoomare fino al dettaglio minu-to, più umile. Ha scritto ItaloCalvino che un classico è un li-bro che non ha mai finito di di-re quel che ha da dire. I promes-si sposi sono interminabili.

L’adolescenza predisponeil lettore a percepire come lon-tananza irriducibile l’alteritàfavolosa dei lanzi, della care-stia, della peste. L’età adultacerca il tratteggio morale dei

caratteri, le tipologie umane incui riconoscersi. L’appartatoManzoni dimostra un sorpren-dente talento per la psicologiadelle folle, anticipando le indagi-ni novecentesche.

Che cos’era Manzoni primadi diventare quello che conoscia-mo? Confrontare tra di loro letre stesure del romanzo signifi-ca sorprenderlo nell’intimità dellaboratorio, là dove ogni scritto-re è visibile senza schermi o dife-se (la filologia delle varianti co-me forma di seduta analitica?).Significa toccare con mano lapratica minuta del fare quotidia-

no, i rovelli dell’artigiano insoddi-sfatto, inflessibile con se stesso.A partire dalla drammatica que-stione preliminare: quale linguausare per raccontare una storiacollettiva, destinata ai posteriprima ancora che ai contempo-ranei? Manzoni, che ha per lin-gue primarie il milanese e il fran-cese, deve trovare un strumentoespressivo per la sua «cantafavo-la», la sua «tiritera», come lachiama con tenera sprezzatura.Prima di arrivare alla scelta delfiorentino parlato, confronta fraloro cento sistemi diversi, provale ebbrezze e i pericoli delle di-

versità. La full immersion lessica-le è tormento ed estasi.

Invidio a Manzoni questoviaggio di ricerca, l’esplorazionelenta, ostinata, ogni giorno espo-sta ai pericoli del fallimento. Èanche un viaggio vero, non meta-forico: il percorso che nell’estate1827 lo porta in Toscana: Massa,Pietrasanta, Lucca, Pisa, Livor-no, e finalmente Firenze. Incon-tra amici colti, pazienti e genero-si che riuniscono «in sommo gra-do la scienza e la compiacenza».Il Gabinetto scientifico-lettera-rio del Vieusseux è l’epicentrodei giacimenti verbali che cerca;non si stanca di collezionare econfrontare parole, di prendereappunti. Sui margini del diziona-

rio milanese di Francesco Cheru-bini annota le parole dell’uso vi-vo, guizzanti come pesci.

Manzoni sa che il problemadella lingua precede e condizio-na ogni altro problema politico esociale, ogni forma del vivere in-sieme. In ogni parola stanno mi-niaturizzati secoli e millenni distoria e di storie: scegliere quellagiusta (e scartare le altre) è unaquestione di sensibilità civile, pri-ma ancora che artistica. Per que-sto I promessi sposi sono ancheun breviario di etica offerto auna nazione che ogni giorno de-ve lottare per trovare se stessa.

PAROLE IN CORSOGIANLUIGI BECCARIA

Un dizionarioministro di unità

Tommaseo: nella Torino di Pomba la piùgrande impresa lessicografica dell’800

Cari irregolari,ci salveràil carnevale

Breviario di eticaper la nazione

Tra Sette e Ottocento bal-za in primo piano nei di-battiti intellettuali la ne-

cessità di avere finalmente a di-sposizione un italiano più ade-rente alle cose concrete, un lin-guaggio moderno per mezzo delquale la cultura possa usciredalla chiusa cerchia dei dotti,diffondersi in più larghi stratidella società. Ma è nel secolodell'Unità soprattutto che si for-niranno molti strumenti per cer-care di fare dell'italiano ancheun lingua pratica, adatta alladivulgazione di cose utili. Note-volissima difatti è nel sec. XIXla diffusione dei dizionari setto-riali e metodici, vocabolari «do-mestici», di «arti e mestieri», vo-cabolari rivolti ai giovani e alleclassi popolari, innumerevolistampe nel campo della chimi-ca, della fisica, del commercio,dell'agricoltura, dedicati al po-polo, o alle donne, o ai giovaninon provvisti di titoli di studio.

In questi campi Torino eccel-le. Si pensi poi all'iniziativa delgrande vocabolario del Tomma-seo, che risale non a un'Accade-mia, non a un'istituzione cultu-rale, ma a un imprenditore, altipografo-editore GiuseppePomba, il fondatore della Utet.Se ne concepisce il disegno nel1856, nel 1858 appare pressoPomba un fascicolo di program-ma col saggio della voce «chia-mare», le prime dispense escononel 1861, tutta l'opera sarà poicompletata in un tempo relati-vamente breve, nel 1879.

Tommaseo deve tutto alPomba, a questo abile e fortuna-to imprenditore, aperto alla cul-

tura popolare, e che coraggiosa-mente dà vita alla più grande im-presa lessicografica dell'Ottocen-to affidandone composizione e di-rezione all'uomo che non solo neitesti letterari ma, romanticamen-te, vedeva anche nel «popolo» lafonte ispiratrice della lingua.

Tommaseo prestava molta atten-zione alle cose, alle «voci espri-menti oggetti corporei», o appar-tenenti allo stile familiare. Accan-to alla lingua dei libri, voleva ren-dere «ministra di unità» anche lalingua del parlato. Sostenitoredella soluzione toscana della lin-gua viva, annotava nelle «Nor-me» che aveva steso per la compi-lazione del nuovo dizionario:

«Avere un toscano da interroga-re nei casi dubbi».

Torino, un centro tra i più im-portanti d'Italia per imprese lessi-cografiche. Soprattutto per quel-le d'intento pratico. Una cittàoperosa in cui si andava consoli-dando l'idea di nazione, o megliola nozione risorgimentale dell'unità linguistica come premessadell'unità civile e sociale della na-zione: «La lingua - aveva scrittoGaleani Napione in Dell'uso edei pregi della lingua italiana,1791 - è uno de' più forti vincoliche stringa alla Patria».

L'editore Pomba, nella pre-sentazione del vocabolario delTommaseo, in data 15 giugno1861, cita proprio questa frase,perché quel vocabolario appari-va come l'opera che guardava all'unità politica appena raggiunta,il frutto di uno scrittore-filologoromantico che offriva all'Italiaunita un imponente bilancio glo-bale della nostra storia linguisti-ca preunitaria.

E adesso Renzomordimi sul collo

Solo i Kafkae i Céline sannoaprire le porte

pp Anonimo Lombardop I PROMESSI MORSI

Storia gotica milanesedel secolo XVIIp Rizzolip pp. 375, € 16,50

AUTOGRAFI A ROMA

Il testodiErnestoFerrerochequipubblichiamoètra leriletturedeiclassici sollecitatedallamostra«Viaggiotra icapolavoridella letteraturaitaliana.FrancescoDeSanctise l’Unitàd’Italia»chesiinauguraaRoma,PalazzodelQuirinale, il22febbraio (finoal3aprile, catalogoSkira).Larassegna,daun’ideadiFrancescoDeSanctis junior(PresidentedellaFondazioneDeSanctis)eSimonaPieri -èacuradiGiorgioFicara(direttorescientificodellaFondazione),LouisGodarteLucaMarcozzi.QuellopropostoèunitinerariotragliscrittoriamatidaDeSacntis(sonoesposti i loromanoscrittioriginali ), l’autoredella«Storiadella letteraturaitaliana»(inmostraanche la

copiaautografa) ,primoministrodellaPubblicaIstruzionenell’Italiaunita.Lealtreriletture :Dante -Steiner;Petrarca-Ficara;Boccaccio -Fusini;Machiavelli -Vattimo;Ariosto-LaCapria;Guicciardini -Onofri; Tasso-Starobinski;Galileo -Galluzzi;Vico-Scalfari;Goldoni -Zanzotto;Parini -Arbasino;Alfieri -Berardinelli; Foscolo-Maraini;Leopardi -Cacciari.www.fondazionedesanctis.it

ROMANZI D’ITALIA

La Bur Rizzoli vara la collana«Romanzi d’Italia», destinata adaccogliere le opere che via via hannoraccontato i caratteri del nostroPaese. Sono finora usciti i seguentititoli, tra parentesi gli autori delleprefazioni: «I promessi sposi» diAlessandro Manzoni ( AndreaRiccardi); «Le confessioni di unitaliano» di Ippolito Nievo (SergioRomano); «I Malavoglia» diGiovanni Verga» (GustavoZagrebelsky), «Ultime lettere di

Jacopo Ortis» di Ugo Foscolo (PaoloMieli); «Cuore» di Edmondo DeAmicis (Pierlugi Battista); «Piccolomondo antico» di AntonioFogazzaro (Ernesto Galli dellaLoggia); «Il piacere» di Gabrieled’Annunzio (Angelo Panebianco);«Le mie prigioni» di Silvio Pellico(Luciano Canfora); «I Vicerè» diFederico De Roberto (GiovanniSabbatucci); «Le avventure diPinocchio» di Carlo Collodi(Giovanni Belardelli).Ogni «romanzo d’Italia» è in venditaal prezzo di € 12.

pp Walter Pedullàp L'ESTREMA FUNZIONEp Le Lettere, pp. 351, € 35

Classici e criticiIITuttolibri

SABATO 19 FEBBRAIO 2011LA STAMPA III

pp Carla Benedettip DISUMANE LETTEREp Laterzap pp. 209, € 18

Walter Pedullà

Pedullà Letteratura come disordine:il ritorno dell’«Estrema funzione»

Parodia Una esangue versione in chiave vampirescadell’opera manzoniana, tra Nosferatu e Hannibal

Benedetti «Disarmate lettere»:lo smarrimento degli scrittori d’oggi

Tra le Norme steseper la compilazione:«Avere un toscanoda interrogarenei casi dubbi»

Piero Chiara

Una lunga tradizionedi riscritture:da Guido da Veronaalla sceneggiaturadi Piero Chiara

Da Camerini a Bolchi,da Testori ad Archibugi,dal Quartetto al Trio:cinema, teatro, tv hannoadattato e tradito

Una rilettura peruna mostra dellaFondazione De Sanctis,un «Viaggio» trai nostri capolavori

Centrale la ricercadella lingua: sceglierela parola giusta èuna primaria questionedi sensibilità civile

Illustrazione di Marco Lorenzetti per «La storia de I promessi sposi raccontatada Umberto Eco», coedizione Scuola Holden - Gruppo L’Espresso

Guido Da Verona

Francesco De Sanctis

Carla Benedetti

Savinio, Gadda,Palazzeschi, Svevo comestelle fisse: la chiassosa,irriducibile estraneitàall’impostura del reale

Non bastanola rabbia e la volontàper scenderenell’abisso del mondoo raggiungere l’assoluto

150O

Libri d’ItaliaPer il 2011

Page 3: Tuttolibri n. 1753 (19-02-2011)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - III - 19/02/11 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/02 - Autore: LAUNOV - Ora di stampa: 18/02/11 20.26

ANGELOGUGLIELMI

Non stupisce la pas-sione violenta (come da missio-naria) con cui Carla Benedettidenuncia l'insopportabilitàdel tempo in cui stiamo viven-do. Da nuova millenarista èconvinta che il mondo (questomondo) entro cento anni spari-rà e accusa la cultura (e tuttele sue componenti) di aiutare ildiscendimento verso la fine an-ziché ribellarsi e contrastarlo.

In realtà stiamo vivendotempi orrendi (anche al di làdella perversa attualità) conun decadimento (che forsemai è stato così definitiva) del-le lettere e delle arti che - e quiè Carla Benedetti a conciona-re - si sono estraniati dal mon-do e per salvarsi hanno elettocon convincimento irrespon-sabile quella estraneità a nuo-vo valore e guida di vita.

In realtà quella estraneitànon è cosa di oggi e affligge daoltre un secolo la nostra condi-zione di uomini e con più dram-maticità quello dello scrittore.Quel personaggio di Kafka, ri-cordato dalla Benedetti, «chefinisce i suoi giorni fuori del pa-lazzo di giustizia, davanti allaporta che proprio a lui era ri-servata» ne è l'immagine piùesplicita. Ma se quella porta è(e rimane) chiusa non è per-ché qualcuno (gli scrittoricompiaciuti del loro fallimen-

to) ne impedisce l'entrata osta-colandone l'attraversamentoma è che quella porta chiusa èuno ostacolo oggettivo che nonsi lascia aprire dall’amore per leporte aperte (e la decisione del-la volontà). Altro ci vuole.

Quella porta si è chiusa con

le fine del secolo decimonono(l’800) quando Baudelaire altempo del Les petits poemes enprose scopre che le parole dellapoesia per sopravvivere si spo-gliano della poesia (evitando discivolare nel poeticismo), Cé-zanne al tempo delle Bagnantiche lo spazio naturale (che at-traversiamo quando usciamodi casa) ha smarrito la forza di

sostenere pensieri e sentimentie Picasso (appena qualche tem-po dopo) dipinge una figuraumana senza braccia e naso econ tre occhi (o senza occhi econ tre nasi).

Da allora il contenitore natu-rale non è più in grado di acco-gliere parole di verità e imponedi escogitare accorgimenti (chela Benedetti scambia per la pre-senza del nemico) che consenta-no di riprendere a parlare e ri-stabilire il contatto con il mon-do. Solo quegli accorgimenti (al-tri e diversi e comunque tutti ar-tificiosi e strumentali) possonoaprire quella porta chiusa e in-terrompere la separatezza checomporta (e impone). Questa èstato la scelta e l’impegno cui haposto mano Joyce e Kafka,Pound e Eliot, Auden e Montale,Musil e Booch, Svevo e Pirandel-lo, Gadda e Céline. E se Moresco(per tornare alla Benedetti, suosponsor) ha trovato difficoltà asuperare l’impedimento (quella

porta chiusa) è perché non haapprontato accorgimenti suffi-cienti facendosi sorprendere inmare aperto (nel suo Caos) solodotato di rabbia e volontà anco-ra manovrando strumenti infondo naturalistici che se purforzati (ben oltre il limite) han-no poche possibilità di pesca.

In realtà anche oggi non c'èscrittore piccolo o grande, sin-cero o malandrino, che non am-bisca di raggiungere «l'assolu-to» e non cerchi di penetrare«nel profondo abisso del mon-do» (come da prescrizione di Di-sumane lettere).

Ma la strada è quasi incono-scibile e non basta l'azzardo delcuore, la capacità di distinguerebene da male (come presume-rebbe Benedetti) a percorrerlae certo tanto meno (qui d'accor-do con Benedetti) il ricorso allescorciatoie (oggi così in voga) al-lestite scegliendo la convenien-za, la frettolosità e il cattivo sa-pere. E' necessario qualcosa an-

ch'esso di inconoscibile e co-munque difficile a definire cheintanto è conoscenza critica delcontesto in cui si opera e ricono-sciuto la vastità della deriva rac-cogliere la forza intellettuale eperché no di cuore, cui non èestranea la malizia e la spregiu-dicatezza, atta a contenerla (in-vertendone la rotta).

Esistono altre modalità di ri-sposta, per Carla Benedetti: disalvezza? Lei non ne indica senon proclamandone l'urgenza eintanto si dispera. E anche sulladisperazione ci lascia dubbiosise mentre lamenta la mancan-za di geni (e come darle torto),riconosce che questo ultimotrentennio ha pur dato vita a au-tori «carichi di invenzione, di az-zardo e di fiducia nel potere del-la parole» e sono così tanti e nu-merosi (da Laura Pariani, aMarco Baiani, a Moresco, a Sitiecc. ecc. ecc.) che non le basta-no due pagine (la 66 e 67) per in-dicarli tutti.

MASSIMORAFFAELI

Decano degli italiani-sti e maestro di critica militan-te, Walter Pedullà è titolare diuna ingente bibliografia in cuispicca L’estrema funzione. Laletteratura degli anni settantasvela i propri segreti che uscì daMarsilio nel ‘75 e viene ora ri-proposto in anastatica da LeLettere nella militantissimacollana «fuoriformato» di An-drea Cortellessa che firma,per l’occasione, un colloquiocon l’autore in calce al volume.Allievo di Giacomo Debenedet-ti, compagno di via dello speri-mentalismo e interprete dellenuove avanguardie su posizio-ni autonome e sempre liberta-rie, Pedullà è un critico illumi-nista, anzi spinoziano, persua-so che la letteratura sia il re-gno del molteplice e tuttavia,proprio per questo, necessitidi uno sguardo che sappia di-stinguere prima di valutare egiudicare. Come dire che la let-teratura è per lui, volta a volta,un Ordine irrimediabilmentedisordinato o, viceversa, un Di-sordine decisamente assenna-to. Nemmeno è un caso che ilbanco di prova siano qui gliAnni Settanta, gli stessi, scri-ve Cortellessa, «che oggi si faa gara a descrivere come mo-nocromi e plumbei ma traboc-cavano in realtà di colori: pope concettuali, poveri e neoba-

rocchi, dandistici e dadaisti».L’estrema funzione (titolo

che rovescia, con sberleffo d’au-tore, il mito della morte dell’ar-te) è tanto un’opera di critica inatto quanto un contributo di te-oria i cui interlocutori, oggi im-pensabili, si chiamino Deleuze,Kermode, Hirsch, Mannoni, La-can. Alle immagini del desertoo del vicolo cieco, al collasso del

Significante senza più significa-ti cui sembrava ridotta la lette-ratura dopo il Sessantotto, Pe-dullà risponde promuovendo -nella prima delle quattro parti-ture saggistiche che compongo-no il volume - «la scelta della co-micità, del carnevale, della deri-sione, il gesto sostitutivo di unacultura alternativa che, avendoscoperto l’impostura del reale,

non rispetta più nessuno deisuoi “valori” né la sua“religione” ma comunica, conun chiasso caotico che rassomi-gli all’inconscio, la propria irri-ducibile estraneità».

Infatti il suo presente-AnniSettanta è ricchissimo di esiti,sia riguardo a scrittori di fisio-nomia già definita (Elio Paglia-rani, Paolo Volponi, Luigi Ma-lerba, Edoardo Sanguineti, Nan-ni Balestrini) sia di esordienti,come Franco Cordelli o GianniCelati, in grado di tradurre lemetafisiche del negativo nell’in-cipit di un percorso rispettiva-

mente originale. Pedullà ha ilmerito di averli avvalorati o, me-glio, introiettati nella sua costel-lazione di grandi irregolari do-ve pulsano le stelle fisse di Savi-nio, Gadda, Palazzeschi e Svevo(cioè i classici cui ha dedicato lasua vita di studioso). E lo ha fat-to nel suo stile inimitabile, pene-trante e leggero, sempre in so-spetto di diversione e svagatez-za eppure sempre convergentee a picco sulla pagina, che è soli-to affrontare (dice proprio Cor-delli introducendo L’estremafunzione) «con atto di sibillina di-sinvoltura, ossia con il soffio delmago». Il mago di una magiache il tempo ha mantenuto rigo-rosamente bianca.

I promessi sposi Beato chi riesce ad amare Manzoni,maestro di vita adulta, nonostante l’obbligo scolastico

GIOVANNITESIO

Lo sanno tutti che tut-to è parodiabile, perché tuttoè ambiguo e tutto ha il suo ro-vescio. Basta un cambio di let-tera, un'assonanza, un calem-bour a scatenare il gioco. Masempre si deve partire da untesto largamente condiviso,un'opera nota, un personag-gio di grande visibilità, comeben sanno i comici d'ogni tem-po e i fustigatori (o i trasgres-sori) di ogni età. Oggi la noti-zia è che la Rizzoli manda in li-breria una riscrittura dei Pro-messi sposi in chiave vampire-sca o draculina, un Manzoni insalsa Stoker, tra Nosferatu eHannibal the Cannibal. Titolodel romanzo, I promessi morsi.Un divertissement tutto votatoa inquietanti pallori e a scintil-lar di canini, che il sottotitolorincara («Storia gotica milane-se del secolo XVII») e che l'oc-cultamento d'autore - «Anoni-mo Lombardo» - enfatizza (af-finché si scateni la ridda dellosmascheramento, si indovini il

genio segreto, si sveli l'identi-tà dell'astuto pasticciere).

Quale che sia il vero voltodella Minerva oscura, non sa-rà comunque il caso di freme-re troppo per saperlo, perchéil risultato di tanto mordere al-la fin fine è modesto. Il roman-zo ricalca da vicino I promessisposi e ne elabora - in tanta se-te di sangue - un'esangue ver-sione, che sembra fatta piùper parodiare la riscopertadel genere «vampiro» che nonper tentare l'ennesima riscrit-tura del romanzo manzonia-no, ricca di suo d'una cospi-cua bibliografia.

Intanto cinema e televisione(nemmeno escludendo teatro emelodramma): da Luca Comerioa Ugo Falena; da Mario Cameri-ni, che portò sullo schermo unpimpante Gino Cervi nelle vestidi Renzo, a Mario Maffei in unaco-produzione italo-spagnola;dallo sceneggiato di Sandro Bol-chi (con Nino Castelnuovo e Pao-la Pitagora) al kolossal in cinquepuntate di Salvatore Nocita, chedeve avere dettato la trasposizio-ne parodica del trio Lopez-Mar-chesini-Solenghi, nemmeno lamigliore se qualcuno ha potutorimpiangere la versione delQuartetto Cetra con Al Bano eRomina (e si potrebbero ricorda-re ancora l'adattamento teatraledi Giovanni Testori e la fiction indue puntate per la regia di Fran-cesca Archibugi).

Mentre nella letteratura valela pena, tra i casi possibili (lo sca-pigliato Cletto Arrighi scrisse

Gli sposi non promessi) indicarnedue degni di nota: il romanzo diGuido Da Verona (I Promessi Spo-si di Alessandro Manzoni e GuidoDa Verona) e la sceneggiatura diPiero Chiara (I Promessi Sposi diPiero Chiara).

Dopo alcune pagine in cui di-sinvoltamente liquida le incrosta-zioni «eucaristiche» del roman-zo manzoniano, Guido Da Vero-na riconosce al suo autore un in-vidiabile fiato narrativo e giungea considerarlo il «narratore prin-cipe» di una storia d'amore chevorrebbe semplicemente svelti-re e aggiornare. Ma poi si metteineluttabilmente per la china del-la parodia imbarcando di tutto:animali parlanti, anacronismi aiosa, incongruenze geograficheassortite, personaggi convocatida ogni epoca in continui ammic-chi di attualità.

Perpetua che toscaneggia.Don Abbondio che fa il saluto ro-

mano, legge Mammiferi di lusso eVergine a 18 carati di Pitigrilli, ru-minando: «Benedetto Cro-ce?...Chi era costui?». Il Grisoche legge Lo sa il tonno di Riccar-do Bacchelli. Lucia (da ultimoLucy) che fuma le Macedonia,canticchia l'aria di Ramona, mo-stra «le migliori disposizioni perdivenire un numero eccezionaleda caffè-concerto», parla france-se e finisce nella casa chiusa didonna Prassede, maîtresse di ra-ra saggezza. Renzo che va in bici-cletta cantando Torna al tuo pae-sello, ch'è tanto bello! e che con ilnome di Antonio Rivolta diventaun abile finanziere, non senzaaver abitato presso il cugino Bor-tolo e averne condiviso la moglie.Padre Cristoforo che non trascu-ra «l'utile esercizio della boxe» eche canticchia a sua volta, «leg-germente brillo», Oh Beatrice - ilcuor mi dice…Insomma, una spe-cie di pochade romanzata, che

qualcuno ha tentato di nobilitarecon le ragioni - si badi, non illegit-time - del dissenso antifascista

Piero Chiara ebbe sicuramen-te presenti le pagine di Guido DaVerona. Anche nei suoi PromessiSposi troviamo Perpetua e donAbbondio che convivono moreuxorio, troviamo la scarsa pro-pensione che Lucia mostra perRenzo, e la propensione più evi-dente che mostra invece per donRodrigo da cui accetta di farsiportare al Castello in carrozza,troviamo l'ambigua posizione dipadre Cristoforo, che in Chiaragode delle grazie di Lucia, secon-do la ben nota vulgata delle disso-lutezze conventuali, troviamo ildubbio impaccio che attanagliala giovane donna davanti a donAbbondio la sera del matrimo-nio a sorpresa e anche l'attenzio-

ne che l'Innominato manifesta asua volta per una cedevolissimaLucia. Ma è diversa l'intenzione.

Ne viene una sorta di rima-neggiamento liberato da tutte lecoperture morali e meglio ade-rente a un sodo realismo di mar-ca lombarda. Anche a detta diun mai corrivo Ferruccio Paraz-zoli, che pur con qualche ottimi-smo parla della scommessa diportare alla vita la natura nasco-sta dei personaggi manzoniani,«quella che avrebbero dovutooriginariamente avere in corpoe che poi era stata loro negatadal severo autore». E se anchenon fosse del tutto così, alla per-turbante Lucia dei «morsi» vam-piri ci sono buone ragioni perpreferire la bella tosa di «carnefragrante» che compare nellepagine di Guido Da Verona e chePiero Chiara - malizioso cultoredi erotismi dialettali - fu ben le-sto a non farsi sfuggire.

ERNESTOFERRERO

In quinta ginnasio, ilprofessore ci faceva distende-re I promessi sposi nelle ampiepagine di un quaderno da com-putisteria: a sinistra doveva-mo riportare l’intreccio, a de-stra - in ordinate colonne - ipersonaggi, le similitudini, iluoghi notevoli. Anche disse-zionato da mani inesperte, ilromanzo scopriva la fitta ordi-tura dei fili che lo compongo-no; la famosa ironia dell’autore(i tremori di don Abbondio, gliagguati architettati da Agne-se, i capponi di Renzo...) si offri-va come compenso immediatoalle fatiche degli analisti. Ilciuffo ribaldo dei bravi, ferma-to dalla reticella, emanava sug-gestioni esotiche, piratesche.Beato chi riesce ad amare Ipromessi sposi nonostante l’im-posizione scolastica.

Il Manzoni più nostro, quel-lo che ci fa crescere e crescecon noi, compagno e maestrodi vita, è quello dell’età adulta.Sta nel gesto della mano che ri-prende il volume dallo scaffale.

Quale senso storico, quale intel-ligenza degli uomini, quale ca-pacità di sguardo che riesce adabbracciare tutto dall’alto perpoi scendere rapidamente ezoomare fino al dettaglio minu-to, più umile. Ha scritto ItaloCalvino che un classico è un li-bro che non ha mai finito di di-re quel che ha da dire. I promes-si sposi sono interminabili.

L’adolescenza predisponeil lettore a percepire come lon-tananza irriducibile l’alteritàfavolosa dei lanzi, della care-stia, della peste. L’età adultacerca il tratteggio morale dei

caratteri, le tipologie umane incui riconoscersi. L’appartatoManzoni dimostra un sorpren-dente talento per la psicologiadelle folle, anticipando le indagi-ni novecentesche.

Che cos’era Manzoni primadi diventare quello che conoscia-mo? Confrontare tra di loro letre stesure del romanzo signifi-ca sorprenderlo nell’intimità dellaboratorio, là dove ogni scritto-re è visibile senza schermi o dife-se (la filologia delle varianti co-me forma di seduta analitica?).Significa toccare con mano lapratica minuta del fare quotidia-

no, i rovelli dell’artigiano insoddi-sfatto, inflessibile con se stesso.A partire dalla drammatica que-stione preliminare: quale linguausare per raccontare una storiacollettiva, destinata ai posteriprima ancora che ai contempo-ranei? Manzoni, che ha per lin-gue primarie il milanese e il fran-cese, deve trovare un strumentoespressivo per la sua «cantafavo-la», la sua «tiritera», come lachiama con tenera sprezzatura.Prima di arrivare alla scelta delfiorentino parlato, confronta fraloro cento sistemi diversi, provale ebbrezze e i pericoli delle di-

versità. La full immersion lessica-le è tormento ed estasi.

Invidio a Manzoni questoviaggio di ricerca, l’esplorazionelenta, ostinata, ogni giorno espo-sta ai pericoli del fallimento. Èanche un viaggio vero, non meta-forico: il percorso che nell’estate1827 lo porta in Toscana: Massa,Pietrasanta, Lucca, Pisa, Livor-no, e finalmente Firenze. Incon-tra amici colti, pazienti e genero-si che riuniscono «in sommo gra-do la scienza e la compiacenza».Il Gabinetto scientifico-lettera-rio del Vieusseux è l’epicentrodei giacimenti verbali che cerca;non si stanca di collezionare econfrontare parole, di prendereappunti. Sui margini del diziona-

rio milanese di Francesco Cheru-bini annota le parole dell’uso vi-vo, guizzanti come pesci.

Manzoni sa che il problemadella lingua precede e condizio-na ogni altro problema politico esociale, ogni forma del vivere in-sieme. In ogni parola stanno mi-niaturizzati secoli e millenni distoria e di storie: scegliere quellagiusta (e scartare le altre) è unaquestione di sensibilità civile, pri-ma ancora che artistica. Per que-sto I promessi sposi sono ancheun breviario di etica offerto auna nazione che ogni giorno de-ve lottare per trovare se stessa.

PAROLE IN CORSOGIANLUIGI BECCARIA

Un dizionarioministro di unità

Tommaseo: nella Torino di Pomba la piùgrande impresa lessicografica dell’800

Cari irregolari,ci salveràil carnevale

Breviario di eticaper la nazione

Tra Sette e Ottocento bal-za in primo piano nei di-battiti intellettuali la ne-

cessità di avere finalmente a di-sposizione un italiano più ade-rente alle cose concrete, un lin-guaggio moderno per mezzo delquale la cultura possa usciredalla chiusa cerchia dei dotti,diffondersi in più larghi stratidella società. Ma è nel secolodell'Unità soprattutto che si for-niranno molti strumenti per cer-care di fare dell'italiano ancheun lingua pratica, adatta alladivulgazione di cose utili. Note-volissima difatti è nel sec. XIXla diffusione dei dizionari setto-riali e metodici, vocabolari «do-mestici», di «arti e mestieri», vo-cabolari rivolti ai giovani e alleclassi popolari, innumerevolistampe nel campo della chimi-ca, della fisica, del commercio,dell'agricoltura, dedicati al po-polo, o alle donne, o ai giovaninon provvisti di titoli di studio.

In questi campi Torino eccel-le. Si pensi poi all'iniziativa delgrande vocabolario del Tomma-seo, che risale non a un'Accade-mia, non a un'istituzione cultu-rale, ma a un imprenditore, altipografo-editore GiuseppePomba, il fondatore della Utet.Se ne concepisce il disegno nel1856, nel 1858 appare pressoPomba un fascicolo di program-ma col saggio della voce «chia-mare», le prime dispense escononel 1861, tutta l'opera sarà poicompletata in un tempo relati-vamente breve, nel 1879.

Tommaseo deve tutto alPomba, a questo abile e fortuna-to imprenditore, aperto alla cul-

tura popolare, e che coraggiosa-mente dà vita alla più grande im-presa lessicografica dell'Ottocen-to affidandone composizione e di-rezione all'uomo che non solo neitesti letterari ma, romanticamen-te, vedeva anche nel «popolo» lafonte ispiratrice della lingua.

Tommaseo prestava molta atten-zione alle cose, alle «voci espri-menti oggetti corporei», o appar-tenenti allo stile familiare. Accan-to alla lingua dei libri, voleva ren-dere «ministra di unità» anche lalingua del parlato. Sostenitoredella soluzione toscana della lin-gua viva, annotava nelle «Nor-me» che aveva steso per la compi-lazione del nuovo dizionario:

«Avere un toscano da interroga-re nei casi dubbi».

Torino, un centro tra i più im-portanti d'Italia per imprese lessi-cografiche. Soprattutto per quel-le d'intento pratico. Una cittàoperosa in cui si andava consoli-dando l'idea di nazione, o megliola nozione risorgimentale dell'unità linguistica come premessadell'unità civile e sociale della na-zione: «La lingua - aveva scrittoGaleani Napione in Dell'uso edei pregi della lingua italiana,1791 - è uno de' più forti vincoliche stringa alla Patria».

L'editore Pomba, nella pre-sentazione del vocabolario delTommaseo, in data 15 giugno1861, cita proprio questa frase,perché quel vocabolario appari-va come l'opera che guardava all'unità politica appena raggiunta,il frutto di uno scrittore-filologoromantico che offriva all'Italiaunita un imponente bilancio glo-bale della nostra storia linguisti-ca preunitaria.

E adesso Renzomordimi sul collo

Solo i Kafkae i Céline sannoaprire le porte

pp Anonimo Lombardop I PROMESSI MORSI

Storia gotica milanesedel secolo XVIIp Rizzolip pp. 375, € 16,50

AUTOGRAFI A ROMA

Il testodiErnestoFerrerochequipubblichiamoètra leriletturedeiclassici sollecitatedallamostra«Viaggiotra icapolavoridella letteraturaitaliana.FrancescoDeSanctise l’Unitàd’Italia»chesiinauguraaRoma,PalazzodelQuirinale, il22febbraio (finoal3aprile, catalogoSkira).Larassegna,daun’ideadiFrancescoDeSanctis junior(PresidentedellaFondazioneDeSanctis)eSimonaPieri -èacuradiGiorgioFicara(direttorescientificodellaFondazione),LouisGodarteLucaMarcozzi.QuellopropostoèunitinerariotragliscrittoriamatidaDeSacntis(sonoesposti i loromanoscrittioriginali ), l’autoredella«Storiadella letteraturaitaliana»(inmostraanche la

copiaautografa) ,primoministrodellaPubblicaIstruzionenell’Italiaunita.Lealtreriletture :Dante -Steiner;Petrarca-Ficara;Boccaccio -Fusini;Machiavelli -Vattimo;Ariosto-LaCapria;Guicciardini -Onofri; Tasso-Starobinski;Galileo -Galluzzi;Vico-Scalfari;Goldoni -Zanzotto;Parini -Arbasino;Alfieri -Berardinelli; Foscolo-Maraini;Leopardi -Cacciari.www.fondazionedesanctis.it

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La Bur Rizzoli vara la collana«Romanzi d’Italia», destinata adaccogliere le opere che via via hannoraccontato i caratteri del nostroPaese. Sono finora usciti i seguentititoli, tra parentesi gli autori delleprefazioni: «I promessi sposi» diAlessandro Manzoni ( AndreaRiccardi); «Le confessioni di unitaliano» di Ippolito Nievo (SergioRomano); «I Malavoglia» diGiovanni Verga» (GustavoZagrebelsky), «Ultime lettere di

Jacopo Ortis» di Ugo Foscolo (PaoloMieli); «Cuore» di Edmondo DeAmicis (Pierlugi Battista); «Piccolomondo antico» di AntonioFogazzaro (Ernesto Galli dellaLoggia); «Il piacere» di Gabrieled’Annunzio (Angelo Panebianco);«Le mie prigioni» di Silvio Pellico(Luciano Canfora); «I Vicerè» diFederico De Roberto (GiovanniSabbatucci); «Le avventure diPinocchio» di Carlo Collodi(Giovanni Belardelli).Ogni «romanzo d’Italia» è in venditaal prezzo di € 12.

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Classici e criticiIITuttolibri

SABATO 19 FEBBRAIO 2011LA STAMPA III

pp Carla Benedettip DISUMANE LETTEREp Laterzap pp. 209, € 18

Walter Pedullà

Pedullà Letteratura come disordine:il ritorno dell’«Estrema funzione»

Parodia Una esangue versione in chiave vampirescadell’opera manzoniana, tra Nosferatu e Hannibal

Benedetti «Disarmate lettere»:lo smarrimento degli scrittori d’oggi

Tra le Norme steseper la compilazione:«Avere un toscanoda interrogarenei casi dubbi»

Piero Chiara

Una lunga tradizionedi riscritture:da Guido da Veronaalla sceneggiaturadi Piero Chiara

Da Camerini a Bolchi,da Testori ad Archibugi,dal Quartetto al Trio:cinema, teatro, tv hannoadattato e tradito

Una rilettura peruna mostra dellaFondazione De Sanctis,un «Viaggio» trai nostri capolavori

Centrale la ricercadella lingua: sceglierela parola giusta èuna primaria questionedi sensibilità civile

Illustrazione di Marco Lorenzetti per «La storia de I promessi sposi raccontatada Umberto Eco», coedizione Scuola Holden - Gruppo L’Espresso

Guido Da Verona

Francesco De Sanctis

Carla Benedetti

Savinio, Gadda,Palazzeschi, Svevo comestelle fisse: la chiassosa,irriducibile estraneitàall’impostura del reale

Non bastanola rabbia e la volontàper scenderenell’abisso del mondoo raggiungere l’assoluto

150O

Libri d’ItaliaPer il 2011

Page 4: Tuttolibri n. 1753 (19-02-2011)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - IV - 12/02/11 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/04 - Autore: MARGAL - Ora di stampa: 11/02/11 19.36

Moretti Esordio di un antimoralista beffardo:una desolazione vera, che disturba e coinvolge

quanto gli erano state versa-te dal Corriere della Sera perun solo pezzo 5 mila lire,l’equivalente di quasi 20 milaeuro, subì una specie di trau-ma. E non era a conoscenzache l’Immaginifico potevapure contare sull’appoggiodi Luigi Albertini, direttoredel Corriere, per difenderlodagli assalti dei debitori edelle amanti avidi di soldi.

Don Benedetto Croce, in-vece, si dichiarava scoccia-to dalle sue collaborazioniancorché redditizie perchéspesso sollecitavano polemi-che e lui non amava rispon-dere a quei «mediocri dissi-denti» dei suoi lettori. AnnaMaria Ortese si autoraffigu-rava come vittima sacrifica-le sull’altare dell’indegnomestiere: con il suo taccui-no in borsetta saliva e scen-

deva dai treni «barcollante distanchezza» per conto deisuoi emissari di carta. Però ri-badiva che suoi mandanti«erano i giornali di destra -che pagavano - e di sinistra odi piccola sinistra che elargi-vano pochi spiccioli». GuidoPiovene, commentando la di-sponibilità degli scrittori ver-so quest’attività «minore», so-steneva che era conseguenzadella «povertà». TommasoLandolfi concordava e il gior-nalismo lo chiamava «lettera-tura alimentare» anche se gliforniva i quattrini che luisperperava al tavolo verde, lasua ossessione.

Eppure, nonostante il latoeconomico abbia sempre avutola sua parte, ben altre sono lemolle che spingono alle collabo-razioni. Per D’Annunzio c’era ildesiderio di ampliare il raggio

di azione delle sue provocazio-ni e delle battaglie politiche maanche (come sosteneva il con-temporaneo Francesco Save-rio Nitti) di «imporre la suaopera». E lo stesso si potrebbedire persino di un narratoreagli antipodi, lo schivo Landol-

fi: quando il direttore del Cor-riere della sera, Mario Missiroli,cominciò a cestinargli gli arti-coli, s’indignò: «Me ne stavo inpace sobrio e pudico Ella miscovò e mi indusse ad accetta-re. Ora sembra, assurdamenteche nulla Le stia bene».

Montale era solito sostene-re che «il giornalismo sta allaletteratura come la riproduzio-ne sta all’amore». Però poiquando si trattò di ostacolarel’approdo di Testori come col-laboratore al Corriere si impe-gnò con tutte le sue forze. Leragioni dell’opposizione? Nonerano letterarie, spiega nelsuo saggio Serafini riprenden-do una testimonianza dellostesso Testori, ma originatedall’idiosincrasia del poetaper la non dissimulata omoses-sualità del narratore.

A volte però gli scrittori siriconoscono una vera e pro-pria passione per questa artedi seconda scelta: Goffredo Pa-rise, straordinario reporter diguerra, sosteneva: «Viaggiareo è transfert o non è niente»;Alberto Moravia fidava in queicani da guardia che consenti-

vano agli intellettuali «di nontacere e di dire la verità».

Pasolini che pure tanteenergie impiegò in quel di-scusso «secondo mestiere»,al contrario, riteneva che lecorazzate di carta e i loro di-rettori spesso limitassero le li-bertà. Ecco come si rivolgevaa Piero Ottone al timone delCorriere: «Direttore con cheanimo hai la spudoratezzadi... parlare di libertà di stam-pa, quando ne fai mercimo-nio... Sei una triviale e laidaputtana». Però circa un annodopo affidava i suoi scritti piùcorsari proprio a Ottone cheli pubblicava in prima pagina.

Ugualmente accanito con-tro chi dirigeva l'orchestraera l’anarchico Bianciardi:Aristerco, così ribattezzavaAristarco a capo di Cinemanuovo e sfidava a duello Lucia-

no Barca, responsabile del-l’Unità, che lo aveva messo al-la porta per aver descrittoFranco Ferri, direttore del-l’Istituto Gramsci, fiore all'oc-chiello del Pci, come un perdi-giorno sempre impegnato agiocare a biliardo.

Persino per Calvino, chetanto si dedicò al giornalismo,questo amore fu controverso.Nel 1960 mandò addirittura almacero le bozze di un suo re-portage sugli Stati Uniti per-ché non lo convinceva e teme-va potesse sollecitare diffiden-ze e resistenze. Ma alla fine luistesso riconosceva che il bi-strattato mestiere nasconde-va in sé una fatale attrazione,era il vivificante rapporto conla vita di tutti giorni. Forseproprio per questo anche oggiva per la maggiore.

Flaiano analogamente so-steneva: «I giornalisti? Chi cisalverà da questi cuochi dellarealtà?». Dimenticando peròche anche lui trafficava conpentole e fornelli.

Quando le predesono i ragazzini

GIOVANNITESIO

Diciamolo subito.Questo Scappare fortissimo,appena pubblicato da Einau-di, non è nato per essere il ro-manzo di un giorno. Non è uningegnoso montaggio di astu-zie narrative, di ideuzze sti-racchiate e di facili incantiper palati contentabili, ma unromanzo che scava, spiazza,offende e costringe a verifi-che palombare, convertendola menzogna in verità. In sin-tesi estrema è il giudizio chesi può fare dell'esordio narra-tivo (tutt'altro che «ubriaco»)di un quasi sessantenne di na-scita alessandrina e di resi-denza torinese che rispondeal nome di Stefano Moretti.

Il romanzo di una vita, aprescindere dal fatto chescaturisca da esperienze re-ali o inventate: in ogni casomai accadute come vengo-no narrate. Non è però pleo-nastico che nell'«Avverten-za dell'autore» Moretti invi-ti a scongiurare l'indebitoesercizio di identità (tra ioche scrive e io che vive) dacui un lettore maldestro -essendo sempre diffuso unvoyeurismo più curioso dipettegolezzi che di idee - po-trebbe lasciarsi sedurre.

Venire al merito è agevo-le perché la narrazione si tie-

ne a un'impalcatura essen-ziale. La vicenda si svolge inun fine settimana ma imme-diatamente si espande nellospazio e nel tempo, sia per-ché il presente arriva a tocca-re - nel più evidente dispettodella cronologia - i molti annigià vissuti, sia perché dal pie-no centro di Torino, che è lacittà dei ritorni irregolar-mente periodici, vengono im-barcate le stazioni più diver-se in una vertiginosa lista dicittà e di soggiorni.

Il protagonista coincidecon l'io narrante che è un uo-mo in preda al sentimentodel suo declino («la storia diuna vita vista dalla fine»). Ilsuo nome è Giovanni Prati,la sua professione è quelladel procacciatore di dati perun'azienda multinazionaledell'aviation marketing, lasua condizione è quella di un

uomo affetto da omosessuali-tà compulsiva, e noi lo incon-triamo nel punto in cui sta peravviare un'ennesima svoltaprofessionale.

Pagina dopo pagina, il ro-manzo diventa la storia di unapersonalità sgradevole, ma an-che della verità che va oltre lasua auto-rappresentazione.Una verità che sta nelle crepee nei dissidi della carne e delcuore, nei rimorsi senza indul-genza, nella disarmata neces-sità di confessare un'angosciasenza remissione («una vitasenza niente»), la fatica di vi-vere che si fa strada tra le infi-nite prestazioni, le prodezzesessuali, le bottiglie bevute, lepastiglie ingurgitate, le nottibrave, gli eccessi, i festini, gliincubi, i successi, i viaggi con-tinui, ma anche la desolataconsapevolezza di una traiet-toria senza comando, e tutta-

via non aliena da momenti diattonita perfezione, che bale-nano attraverso ben corporaliepifanie del sacro.

Giovanni Prati è un uomoche non riesce a essere norma-le, che convive con i suoi gatti(di Minna il «vedovo allegro»,di Jirka e di Orazio il compa-gno amorevole), che fiuta i ra-gazzini e insegue le sue predein luoghi deputati e non, che di-sprezza «i valori condivisi»,che è brutto, che è appassito,che sente «il puzzo dell'età»,che ama ballare sull'orlo del ba-ratro, che insegue la memoriadel grande e impossibile amoreper un ragazzo di nome Manu.Un antieroe che tramuta lasgradevolezza, la solitudine, ilsenso del vuoto e del nulla inuna specie di non cercato ri-scatto, mostrando la faccia in-versa e irridente della vita.

Con lui, un'estrosa serie di

figure ritratte con sottigliezzaironica e satirica, da antimora-lista beffardo, o una bella anto-logia di resoconti di città lonta-ne dagli stereotipi turistici. Einfine una galleria di personag-gi memorabili: il padrone dell'azienda (con la madre soprav-vissuta ad Auschwitz), la signo-ra «Teocon», l'amica (o ex-ami-ca) Susanna («Suor Algida»),l'amico David Morgan, i nume-rosi compagni di una notte o dipiù notti, la sinfonia dei tantiaddii, gli struggimenti della bel-lezza furtiva, gli inguini lanci-nanti, la nostalgia dei dettagli.Il tutto all'insegna di una scrit-tura da journal, che tiene unpasso desultorio, aritmico,esplicito, inclusivo.

Sulla scia di Pasolini e Siti,Scappare fortissimo si candida asfidare la coscienza pigra deilettori che non amano esseredisturbati.

DIALOGHI IN VERSIMAURIZIO CUCCHI

Ecco René Chara modo mio

«Due rive ci vogliono»: il poetafrancese «reso» da Vittorio Sereni

BRUNOQUARANTA

Non è facile reggersiin equilibrio sulla leggerezzanon evaporando. A LucaBianchini l’esercizio riescenuovamente (come non ri-cordarne il febbrile esordio,Instant love?) in Siamo soloamici. E’ un aquilone - la com-media lungo la linea Venezia-Torino - che non gigioneggia,ma sapientemente cogliequesto e quel vento, visitan-do calli e campielli e borghe-si anse sotto la Mole (e inchi-nandosi di fronte a un soffiodi saudade).

Tra spezie goldoniane elapilli scovati nell’officinaF&L, Luca Bianchini cuceun mondo sempre a un pas-so eppur distante - qui l’acro-bazia - dalla macchietta, nondalla maschera, ovvero l’ar-te di raccontare camuffatada «vanity fair». Nel bazarumano aggirandosi con ariadivertita e consapevole (del-l’oliatissima trappola realitytesa a ciascuno di noi, il reali-ty che umilia la realtà, l’au-tenticità): così soppesando,saggiando, orientando, ele-gantemente cozzando (fa-cendo cozzare), lestamenteporgendo il fazzoletto cheasciughi la lacrima.

E’ una giostra di silhouet-te, Siamo soli amici. LucaBianchini è come se scrives-

se con le forbici. Allestito unsalon, un cartamodello, di fi-gure e figurine, vi passeggiaariosamente, ritagliando i ca-ratteri, ora isolandoli ora me-scolandoli, ora scrutandolinell’intimo ora apparente-mente dimenticandoli, affi-dandoli al caso.

Un bricoleur di destini,Bianchini. Un torinese cheama Torino, confessa, sbia-dendo il riserbo indigeno, ri-velando una disposizione al-l’entusiasmo che ne contagiala pagina. Se solo saprà atte-nuare la complicità con i suoipersonaggi, potrà offrireuna prova di consistenza do-cumentaria, poeticamentedocumentaria, sulla nostraItalia nel cuore frollata.

Siamo solo amici, no? Gia-como e Rafael, tutt’al più, agemellarli, è «un’insinuazio-

ne di omosessualità». Loroche nell’altra metà del cielogenerosamente dondolano.Giacomo-Jack, giunto in La-guna dal proustiano Ritz, con-cierge all’«Abadessa», «servi-tore» di una madamina turi-neisa. Rafael, anch’egli portie-re, ex numero uno, ma dietroi pali, Santos e Mirasol lesquadre, perdutamente inna-morato di Carmelinda, regi-na della telenovela.

Un girotondo di baci, ab-bracci, giocosi amplessi, sapi-di equivoci, taluni arcinoti, mavividissimi, di intatta freschez-za, come le torte in faccia sulset di Stanlio e Ollio (il gioiellonatalizio destinato all’amante

che sarà donato, dommage, al-la consorte). Un’altalena comi-ca e quindi malinconica chesubirà l’arrembaggio di Frida(una femme de joie convintadi assomigliare a Gesù, una«Pretty Woman» di Laguna) eTamara-Tammy, camerieraal Tonga Bar, mise Lady Ga-ga. Quale lei, quale gozzania-no «mistero senza fine bello»infine folgorerà i nostri eroi,Giacomo-Jack e Rafael?

Luca Bianchini è una frec-cia rossa (rare le soste, le pau-se) tra piazza San Marco e ilPo, da via Della Rocca, una viacanapè, alla precollina. Un mi-nuetto di caratteri. A ciascu-no il suo, va da sé. Chi non hadimenticato la donna della do-menica si affeziona a ElenaBarsanti, discendente - senzapretesa di esserne all’altezza -per li rami di Anna Carla. In-torno a lei, una «Madame Bo-vary con l’iPhone» (e poco im-porta se non ne ha contezza),ecco dipanarsi un ritratto«gourmant» di città: di inge-gnere (marito) fedigrafo inmessa domenicale, di tatamultilingue in caffè da Mulas-sano, di bignole in coiffuer...

Finale (a Venezia) in gra-maglie, ma è solo l’ultimo attodi un ballo in maschera, nevve-ro Bianchini?

MARGHERITAOGGERO

Di scuola negli ultimidue anni si è parlato e scrittomolto, e la conclusionequasi una-nime di tanto dibattito è che sof-fra di gravi malanni da curarecon sapienza e diligenza, se sivuole che sopravviva in statonon comatoso. Affronta l’argo-mento il bel libro di Silvia DaiPra' Quelli che però è lo stesso: unpiccolo romanzo quasi autobio-grafico, non tanto perché la pro-tagonista ha lo stesso nome e etàdell'autrice, ma perché solo chiha fatto un'esperienza sul cam-po è in grado di raccontare credi-bilmente uno spaccato odiernodi vita scolastica.

La protagonista Silvia - lau-rea in lettere a pieni voti, dotto-rato di ricerca con borsa vinto aventicinque anni, due anni distudi all'estero, due lingue stra-niere scritte e parlate, varie pub-blicazioni, proprio come l'autri-ce - poco dopo la trentina fa la

sua prima esperienza da inse-gnante precaria in un istitutoprofessionale a Ostia Nord. E'animata da entusiasmo, buoneintenzioni, fiducia nell'importan-za e utilità del suo lavoro, maper fortuna nutre dubbi su sestessa, sulle sue convinzioni e so-prattutto è dotata di un'intelli-genza lucida che le permette dinon aderire acriticamente a nes-suna ideologia preconfezionata.Neppure a quelle consolatoriedi un progressismo che credenelle sorti magnifiche e chiudegli occhi di fronte alla realtà. In-somma, Silvia è priva di ogni ti-po di corazza, di lancia e di scu-do per difendersi nella mischiain cui è piombata.

Nella mischia ci sono gli inse-gnanti di lungo corso, stanchi erassegnati, o prigionieri di opi-nioni granitiche, o cinicamenteattenti solo al proprio particula-re, o buonisti per sfinimento: co-me Marta, intransigente sessan-tottina in ritardo; come l'inse-gnante di sostegno sempre per-donista; come Olimpia, pelliccialeopardata, suv, e contempora-neamente responsabile di unprogetto sull'ecologia; come l'as-senteista cronico a causa degliimpegniprivati di lavoro.

Ci sono soprattutto loro, gliallievi: adolescenti sui quindicianni nel corso diurno, e adulti

del serale. Fascistelli omofobi earroganti, cresciuti a tivù, rivistedi gossip e stadio i primi, convin-ti che insegnare non sia un lavo-ro e che la promozione sia un di-ritto i secondi.

E Silvia che fa? Prova a impor-si a classi riluttanti e sfottenti, sisforza di capire le ragioni di males-seri e disinteresse, soprattuttocerca di liberare i suoi allievi daipregiudizi con lo strumento dellapoesia. In mezzo alle prevalenti de-lusioni, intravede forse un barlu-me di speranza, ma ne esce, a fineanno, con lo spiritoammaccato.

Il lettore, invece, a chiusura dilibro, rinfrancato per l'asciutto ri-gore e la scorrevolezza della sto-ria, per l'assenza di lenocini stilisti-ci, e per la speranza che di inse-gnanticosì ce ne siano tanti.

Sempre sull'argomento, mada un punto di vista particolare, èIl cinema va a scuola, un saggioben documentato di GiampieroFrasca, in cui il mondo della scuo-la è visto attraverso 200 film di va-ri Paesi, perlopiù occidentali, daZero in condotta (1933) a La classe(2008), Il nastro bianco e Precious(entrambi 2009). Più che un cata-logo, il libro è una guida analiticadi situazioni ricorrenti (violenza,repressione, recupero, innovazio-ne didattica), figure fondamentali(studenti, insegnanti, dirigenti, bi-delli, genitori), di luoghi (aula, cor-tile, servizi igienici, sala insegnan-ti) e di modalità educative (cattivie buoni maestri). Uno strumentodi lavoro che aggiunge un interes-sante contributo di conoscenze aldibattito in corso.

MIRELLA SERRI

Char al primo contatto mirespingeva. Mi apparivalontanissimo da qualun-

que idea io avessi di poesia. In so-stanza non lo capivo». Così Vitto-rio Sereni in occasione del premioMonselice per la traduzione, nel1976, che gli veniva conferito perla sua splendida traduzione daChar, Ritorno Sopramonte. Di-ceva anche: «Per altro verso latensione che avvertivo in lui, [...]mi faceva soggezione e al tempostesso mi sfidava».

Sereni, dunque, si era impe-gnato in una corpo a corpo con lapoesia di Char: da un lato per me-glio penetrarla e capirla, dall'al-tro, io credo, nella convinzioneche solo da ciò che è altro sia pos-sibile apprendere, veramente,qualcosa di importante. In que-

sta avventura il lavoro di tradu-zione è impareggiabile. Diventaun'officina aperta in cui ogni det-taglio assume un senso decisivo.Ritorno Sopramonte (edito daMondadori nel '74 con un saggiodi Starobinski) fu dunque unagrande impresa, perché consentìa chi non conosceva il francese dientrare nell'opera di uno dei pro-tagonisti della poesia di Novecen-to con la migliore delle mediazio-ni, quella di un altro grande. Maanche perché, verosimilmente, la-sciò qualche non trascurabile resi-duo anche nell'idea di poesia nelsuo farsi dello stesso Sereni. Ilquale, però, escluse dalla pubbli-cazione un pacchetto consistentedi traduzioni, ora in Due rive civogliono (Donzelli, p.140, € 14)con presentazione di Pier Vincen-zo Mengaldo e grazie al lavoro fi-lologico della curatrice Elisa Don-zelli (con la collaborazione di Bar-

bara Colli per l'apparato critico).Sono quarantasette traduzioni, icui originali si trovano nell'archi-vio «Vittorio Sereni» della bibliote-ca comunale di Luino, dove il poetaera nato nel 1913.

Come sottolinea Mengaldo, unodegli aspetti più notevoli di questetraduzioni è nella scelta del tradut-tore di trasformarli in brevi compo-nimenti in versi. Forse Sereni volevaavvicinarsi di più alla pronuncia li-rica di quei testi in prosa proprio at-traverso l'uso del verso. Una doman-da naturale che poi viene al lettore,e che si pone anche Mengaldo, ri-guarda la scelta del traduttore diescludere da Ritorno Sopramontequesti pezzi. Risulta difficile andareoltre le più semplici supposizioni.Forse per ragioni di spazio. Ma sa-rebbe una ragione insufficiente. For-

se perché Sereni non si sentiva sicu-rissimo dell'esito. O forse perché ap-parivano come testi meno rilevantirispetto a quelli scelti. Certo, oltre al-le brevi prose aforistiche, questonuovo libro ci dà modo di affrontarenella versione del poeta del Diariodi Algeria testi di Char di importan-te complessità e risalto, come Tabel-la di longevità o Quote. E dunque cioffre l'occasione per tornare anche aRitorno Sopramonte e considerarenel loro insieme il lavoro del poeta,di cui ricordo la bellissima poesiaTraducevo Char: «A modo mio,René Char / con i miei soli mezzi / sumateriali vostri // Nel giorno chesplende di sopra la sera / gualcita lasua soglia d'agonia. / O trepidandoal seguito di quelle / falcate pulvero-lente / che una primavera dietro sésollevano. // Un'acqua corse, unasperanza / da berne tutto il verde /sotto la signoria dell'estate».

[email protected]

«Siamo solo amici»:due portieri (di albergoe di calcio) si piaccionocosì tanto da votarsiall’altra metà del cielo

Bianchini Tra Venezia e Torino,un girotondo di amori ed equivoci

Al romanzo diariosi affianca la guida«Il cinema va a scuola»dai Trenta ad oggiattraverso 200 film

Dai Pra’ Le fatiche di una insegnanteprecaria, uno spaccato di vite in classe

NALDINI L’AFRICANO

Eros senza divieti«Adolescenti riempivano i vicoli etendevano sorridenti agguati...».Con Nico Naldini in Nordafrica. Ilsuo «Shahrazad ascoltami»(l’ancora del mediterraneo, pp.108, € 13,50) è, attraverso lastoria di un uomo scomparso e diun manoscritto ritrovato, unomaggio all’erotismo che nonimpone divieti né suscitascandali, come sfolgora lungo lacosta nord. Poeta, biografo diComisso e di Pasolini (suocugino), Naldini rievoca «incontriteneri e segreti», rivendica il«libero arbitrio nell’uso delproprio corpo».

pp Silvia Dai Pra'p QUELLI CHE PERÒ È LO STESSOp Laterzap pp. 162, € 10

pp Giampiero Frascap IL CINEMA VA A SCUOLAp Le Manip pp. 252, € 15

pp Luca Bianchinip SIAMO SOLO AMICIp Mondadorip pp. 284, € 19

pp Stefano Morettip SCAPPARE FORTISSIMOp Einaudi, pp. 441, € 24

Luca Bianchiniè nato

a Torinonel 1970

Ha esorditonel 2003

conil romanzo

«Instant love»In «Siamo

solo amici»allestisce

un girotondodi baci,

abbracci,giocosi

amplessi,sapidi equivoci

Se madaminasi sente come

Pretty Woman

Una scena dal film «Ultimi della classe»

Cari studentiprovo a curarvi

con la poesia

Da scrittori a giornalistiSegue da pag. I

Un dipinto di Henry Scott Tuke

René Char

«Scappare fortissimo»un uomo affettoda omosessualitàcompulsiva, sullascia di Pasolini e Siti

Flaiano definivai giornalisti «cuochidella realtà», ma anchelui trafficava volentiericon pentole e fornelli

Vittorio Sereni

Scrittori italianiIVTuttolibri

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Page 5: Tuttolibri n. 1753 (19-02-2011)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - V - 12/02/11 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/04 - Autore: MARGAL - Ora di stampa: 11/02/11 19.36

Moretti Esordio di un antimoralista beffardo:una desolazione vera, che disturba e coinvolge

quanto gli erano state versa-te dal Corriere della Sera perun solo pezzo 5 mila lire,l’equivalente di quasi 20 milaeuro, subì una specie di trau-ma. E non era a conoscenzache l’Immaginifico potevapure contare sull’appoggiodi Luigi Albertini, direttoredel Corriere, per difenderlodagli assalti dei debitori edelle amanti avidi di soldi.

Don Benedetto Croce, in-vece, si dichiarava scoccia-to dalle sue collaborazioniancorché redditizie perchéspesso sollecitavano polemi-che e lui non amava rispon-dere a quei «mediocri dissi-denti» dei suoi lettori. AnnaMaria Ortese si autoraffigu-rava come vittima sacrifica-le sull’altare dell’indegnomestiere: con il suo taccui-no in borsetta saliva e scen-

deva dai treni «barcollante distanchezza» per conto deisuoi emissari di carta. Però ri-badiva che suoi mandanti«erano i giornali di destra -che pagavano - e di sinistra odi piccola sinistra che elargi-vano pochi spiccioli». GuidoPiovene, commentando la di-sponibilità degli scrittori ver-so quest’attività «minore», so-steneva che era conseguenzadella «povertà». TommasoLandolfi concordava e il gior-nalismo lo chiamava «lettera-tura alimentare» anche se gliforniva i quattrini che luisperperava al tavolo verde, lasua ossessione.

Eppure, nonostante il latoeconomico abbia sempre avutola sua parte, ben altre sono lemolle che spingono alle collabo-razioni. Per D’Annunzio c’era ildesiderio di ampliare il raggio

di azione delle sue provocazio-ni e delle battaglie politiche maanche (come sosteneva il con-temporaneo Francesco Save-rio Nitti) di «imporre la suaopera». E lo stesso si potrebbedire persino di un narratoreagli antipodi, lo schivo Landol-

fi: quando il direttore del Cor-riere della sera, Mario Missiroli,cominciò a cestinargli gli arti-coli, s’indignò: «Me ne stavo inpace sobrio e pudico Ella miscovò e mi indusse ad accetta-re. Ora sembra, assurdamenteche nulla Le stia bene».

Montale era solito sostene-re che «il giornalismo sta allaletteratura come la riproduzio-ne sta all’amore». Però poiquando si trattò di ostacolarel’approdo di Testori come col-laboratore al Corriere si impe-gnò con tutte le sue forze. Leragioni dell’opposizione? Nonerano letterarie, spiega nelsuo saggio Serafini riprenden-do una testimonianza dellostesso Testori, ma originatedall’idiosincrasia del poetaper la non dissimulata omoses-sualità del narratore.

A volte però gli scrittori siriconoscono una vera e pro-pria passione per questa artedi seconda scelta: Goffredo Pa-rise, straordinario reporter diguerra, sosteneva: «Viaggiareo è transfert o non è niente»;Alberto Moravia fidava in queicani da guardia che consenti-

vano agli intellettuali «di nontacere e di dire la verità».

Pasolini che pure tanteenergie impiegò in quel di-scusso «secondo mestiere»,al contrario, riteneva che lecorazzate di carta e i loro di-rettori spesso limitassero le li-bertà. Ecco come si rivolgevaa Piero Ottone al timone delCorriere: «Direttore con cheanimo hai la spudoratezzadi... parlare di libertà di stam-pa, quando ne fai mercimo-nio... Sei una triviale e laidaputtana». Però circa un annodopo affidava i suoi scritti piùcorsari proprio a Ottone cheli pubblicava in prima pagina.

Ugualmente accanito con-tro chi dirigeva l'orchestraera l’anarchico Bianciardi:Aristerco, così ribattezzavaAristarco a capo di Cinemanuovo e sfidava a duello Lucia-

no Barca, responsabile del-l’Unità, che lo aveva messo al-la porta per aver descrittoFranco Ferri, direttore del-l’Istituto Gramsci, fiore all'oc-chiello del Pci, come un perdi-giorno sempre impegnato agiocare a biliardo.

Persino per Calvino, chetanto si dedicò al giornalismo,questo amore fu controverso.Nel 1960 mandò addirittura almacero le bozze di un suo re-portage sugli Stati Uniti per-ché non lo convinceva e teme-va potesse sollecitare diffiden-ze e resistenze. Ma alla fine luistesso riconosceva che il bi-strattato mestiere nasconde-va in sé una fatale attrazione,era il vivificante rapporto conla vita di tutti giorni. Forseproprio per questo anche oggiva per la maggiore.

Flaiano analogamente so-steneva: «I giornalisti? Chi cisalverà da questi cuochi dellarealtà?». Dimenticando peròche anche lui trafficava conpentole e fornelli.

Quando le predesono i ragazzini

GIOVANNITESIO

Diciamolo subito.Questo Scappare fortissimo,appena pubblicato da Einau-di, non è nato per essere il ro-manzo di un giorno. Non è uningegnoso montaggio di astu-zie narrative, di ideuzze sti-racchiate e di facili incantiper palati contentabili, ma unromanzo che scava, spiazza,offende e costringe a verifi-che palombare, convertendola menzogna in verità. In sin-tesi estrema è il giudizio chesi può fare dell'esordio narra-tivo (tutt'altro che «ubriaco»)di un quasi sessantenne di na-scita alessandrina e di resi-denza torinese che rispondeal nome di Stefano Moretti.

Il romanzo di una vita, aprescindere dal fatto chescaturisca da esperienze re-ali o inventate: in ogni casomai accadute come vengo-no narrate. Non è però pleo-nastico che nell'«Avverten-za dell'autore» Moretti invi-ti a scongiurare l'indebitoesercizio di identità (tra ioche scrive e io che vive) dacui un lettore maldestro -essendo sempre diffuso unvoyeurismo più curioso dipettegolezzi che di idee - po-trebbe lasciarsi sedurre.

Venire al merito è agevo-le perché la narrazione si tie-

ne a un'impalcatura essen-ziale. La vicenda si svolge inun fine settimana ma imme-diatamente si espande nellospazio e nel tempo, sia per-ché il presente arriva a tocca-re - nel più evidente dispettodella cronologia - i molti annigià vissuti, sia perché dal pie-no centro di Torino, che è lacittà dei ritorni irregolar-mente periodici, vengono im-barcate le stazioni più diver-se in una vertiginosa lista dicittà e di soggiorni.

Il protagonista coincidecon l'io narrante che è un uo-mo in preda al sentimentodel suo declino («la storia diuna vita vista dalla fine»). Ilsuo nome è Giovanni Prati,la sua professione è quelladel procacciatore di dati perun'azienda multinazionaledell'aviation marketing, lasua condizione è quella di un

uomo affetto da omosessuali-tà compulsiva, e noi lo incon-triamo nel punto in cui sta peravviare un'ennesima svoltaprofessionale.

Pagina dopo pagina, il ro-manzo diventa la storia di unapersonalità sgradevole, ma an-che della verità che va oltre lasua auto-rappresentazione.Una verità che sta nelle crepee nei dissidi della carne e delcuore, nei rimorsi senza indul-genza, nella disarmata neces-sità di confessare un'angosciasenza remissione («una vitasenza niente»), la fatica di vi-vere che si fa strada tra le infi-nite prestazioni, le prodezzesessuali, le bottiglie bevute, lepastiglie ingurgitate, le nottibrave, gli eccessi, i festini, gliincubi, i successi, i viaggi con-tinui, ma anche la desolataconsapevolezza di una traiet-toria senza comando, e tutta-

via non aliena da momenti diattonita perfezione, che bale-nano attraverso ben corporaliepifanie del sacro.

Giovanni Prati è un uomoche non riesce a essere norma-le, che convive con i suoi gatti(di Minna il «vedovo allegro»,di Jirka e di Orazio il compa-gno amorevole), che fiuta i ra-gazzini e insegue le sue predein luoghi deputati e non, che di-sprezza «i valori condivisi»,che è brutto, che è appassito,che sente «il puzzo dell'età»,che ama ballare sull'orlo del ba-ratro, che insegue la memoriadel grande e impossibile amoreper un ragazzo di nome Manu.Un antieroe che tramuta lasgradevolezza, la solitudine, ilsenso del vuoto e del nulla inuna specie di non cercato ri-scatto, mostrando la faccia in-versa e irridente della vita.

Con lui, un'estrosa serie di

figure ritratte con sottigliezzaironica e satirica, da antimora-lista beffardo, o una bella anto-logia di resoconti di città lonta-ne dagli stereotipi turistici. Einfine una galleria di personag-gi memorabili: il padrone dell'azienda (con la madre soprav-vissuta ad Auschwitz), la signo-ra «Teocon», l'amica (o ex-ami-ca) Susanna («Suor Algida»),l'amico David Morgan, i nume-rosi compagni di una notte o dipiù notti, la sinfonia dei tantiaddii, gli struggimenti della bel-lezza furtiva, gli inguini lanci-nanti, la nostalgia dei dettagli.Il tutto all'insegna di una scrit-tura da journal, che tiene unpasso desultorio, aritmico,esplicito, inclusivo.

Sulla scia di Pasolini e Siti,Scappare fortissimo si candida asfidare la coscienza pigra deilettori che non amano esseredisturbati.

DIALOGHI IN VERSIMAURIZIO CUCCHI

Ecco René Chara modo mio

«Due rive ci vogliono»: il poetafrancese «reso» da Vittorio Sereni

BRUNOQUARANTA

Non è facile reggersiin equilibrio sulla leggerezzanon evaporando. A LucaBianchini l’esercizio riescenuovamente (come non ri-cordarne il febbrile esordio,Instant love?) in Siamo soloamici. E’ un aquilone - la com-media lungo la linea Venezia-Torino - che non gigioneggia,ma sapientemente cogliequesto e quel vento, visitan-do calli e campielli e borghe-si anse sotto la Mole (e inchi-nandosi di fronte a un soffiodi saudade).

Tra spezie goldoniane elapilli scovati nell’officinaF&L, Luca Bianchini cuceun mondo sempre a un pas-so eppur distante - qui l’acro-bazia - dalla macchietta, nondalla maschera, ovvero l’ar-te di raccontare camuffatada «vanity fair». Nel bazarumano aggirandosi con ariadivertita e consapevole (del-l’oliatissima trappola realitytesa a ciascuno di noi, il reali-ty che umilia la realtà, l’au-tenticità): così soppesando,saggiando, orientando, ele-gantemente cozzando (fa-cendo cozzare), lestamenteporgendo il fazzoletto cheasciughi la lacrima.

E’ una giostra di silhouet-te, Siamo soli amici. LucaBianchini è come se scrives-

se con le forbici. Allestito unsalon, un cartamodello, di fi-gure e figurine, vi passeggiaariosamente, ritagliando i ca-ratteri, ora isolandoli ora me-scolandoli, ora scrutandolinell’intimo ora apparente-mente dimenticandoli, affi-dandoli al caso.

Un bricoleur di destini,Bianchini. Un torinese cheama Torino, confessa, sbia-dendo il riserbo indigeno, ri-velando una disposizione al-l’entusiasmo che ne contagiala pagina. Se solo saprà atte-nuare la complicità con i suoipersonaggi, potrà offrireuna prova di consistenza do-cumentaria, poeticamentedocumentaria, sulla nostraItalia nel cuore frollata.

Siamo solo amici, no? Gia-como e Rafael, tutt’al più, agemellarli, è «un’insinuazio-

ne di omosessualità». Loroche nell’altra metà del cielogenerosamente dondolano.Giacomo-Jack, giunto in La-guna dal proustiano Ritz, con-cierge all’«Abadessa», «servi-tore» di una madamina turi-neisa. Rafael, anch’egli portie-re, ex numero uno, ma dietroi pali, Santos e Mirasol lesquadre, perdutamente inna-morato di Carmelinda, regi-na della telenovela.

Un girotondo di baci, ab-bracci, giocosi amplessi, sapi-di equivoci, taluni arcinoti, mavividissimi, di intatta freschez-za, come le torte in faccia sulset di Stanlio e Ollio (il gioiellonatalizio destinato all’amante

che sarà donato, dommage, al-la consorte). Un’altalena comi-ca e quindi malinconica chesubirà l’arrembaggio di Frida(una femme de joie convintadi assomigliare a Gesù, una«Pretty Woman» di Laguna) eTamara-Tammy, camerieraal Tonga Bar, mise Lady Ga-ga. Quale lei, quale gozzania-no «mistero senza fine bello»infine folgorerà i nostri eroi,Giacomo-Jack e Rafael?

Luca Bianchini è una frec-cia rossa (rare le soste, le pau-se) tra piazza San Marco e ilPo, da via Della Rocca, una viacanapè, alla precollina. Un mi-nuetto di caratteri. A ciascu-no il suo, va da sé. Chi non hadimenticato la donna della do-menica si affeziona a ElenaBarsanti, discendente - senzapretesa di esserne all’altezza -per li rami di Anna Carla. In-torno a lei, una «Madame Bo-vary con l’iPhone» (e poco im-porta se non ne ha contezza),ecco dipanarsi un ritratto«gourmant» di città: di inge-gnere (marito) fedigrafo inmessa domenicale, di tatamultilingue in caffè da Mulas-sano, di bignole in coiffuer...

Finale (a Venezia) in gra-maglie, ma è solo l’ultimo attodi un ballo in maschera, nevve-ro Bianchini?

MARGHERITAOGGERO

Di scuola negli ultimidue anni si è parlato e scrittomolto, e la conclusionequasi una-nime di tanto dibattito è che sof-fra di gravi malanni da curarecon sapienza e diligenza, se sivuole che sopravviva in statonon comatoso. Affronta l’argo-mento il bel libro di Silvia DaiPra' Quelli che però è lo stesso: unpiccolo romanzo quasi autobio-grafico, non tanto perché la pro-tagonista ha lo stesso nome e etàdell'autrice, ma perché solo chiha fatto un'esperienza sul cam-po è in grado di raccontare credi-bilmente uno spaccato odiernodi vita scolastica.

La protagonista Silvia - lau-rea in lettere a pieni voti, dotto-rato di ricerca con borsa vinto aventicinque anni, due anni distudi all'estero, due lingue stra-niere scritte e parlate, varie pub-blicazioni, proprio come l'autri-ce - poco dopo la trentina fa la

sua prima esperienza da inse-gnante precaria in un istitutoprofessionale a Ostia Nord. E'animata da entusiasmo, buoneintenzioni, fiducia nell'importan-za e utilità del suo lavoro, maper fortuna nutre dubbi su sestessa, sulle sue convinzioni e so-prattutto è dotata di un'intelli-genza lucida che le permette dinon aderire acriticamente a nes-suna ideologia preconfezionata.Neppure a quelle consolatoriedi un progressismo che credenelle sorti magnifiche e chiudegli occhi di fronte alla realtà. In-somma, Silvia è priva di ogni ti-po di corazza, di lancia e di scu-do per difendersi nella mischiain cui è piombata.

Nella mischia ci sono gli inse-gnanti di lungo corso, stanchi erassegnati, o prigionieri di opi-nioni granitiche, o cinicamenteattenti solo al proprio particula-re, o buonisti per sfinimento: co-me Marta, intransigente sessan-tottina in ritardo; come l'inse-gnante di sostegno sempre per-donista; come Olimpia, pelliccialeopardata, suv, e contempora-neamente responsabile di unprogetto sull'ecologia; come l'as-senteista cronico a causa degliimpegniprivati di lavoro.

Ci sono soprattutto loro, gliallievi: adolescenti sui quindicianni nel corso diurno, e adulti

del serale. Fascistelli omofobi earroganti, cresciuti a tivù, rivistedi gossip e stadio i primi, convin-ti che insegnare non sia un lavo-ro e che la promozione sia un di-ritto i secondi.

E Silvia che fa? Prova a impor-si a classi riluttanti e sfottenti, sisforza di capire le ragioni di males-seri e disinteresse, soprattuttocerca di liberare i suoi allievi daipregiudizi con lo strumento dellapoesia. In mezzo alle prevalenti de-lusioni, intravede forse un barlu-me di speranza, ma ne esce, a fineanno, con lo spiritoammaccato.

Il lettore, invece, a chiusura dilibro, rinfrancato per l'asciutto ri-gore e la scorrevolezza della sto-ria, per l'assenza di lenocini stilisti-ci, e per la speranza che di inse-gnanticosì ce ne siano tanti.

Sempre sull'argomento, mada un punto di vista particolare, èIl cinema va a scuola, un saggioben documentato di GiampieroFrasca, in cui il mondo della scuo-la è visto attraverso 200 film di va-ri Paesi, perlopiù occidentali, daZero in condotta (1933) a La classe(2008), Il nastro bianco e Precious(entrambi 2009). Più che un cata-logo, il libro è una guida analiticadi situazioni ricorrenti (violenza,repressione, recupero, innovazio-ne didattica), figure fondamentali(studenti, insegnanti, dirigenti, bi-delli, genitori), di luoghi (aula, cor-tile, servizi igienici, sala insegnan-ti) e di modalità educative (cattivie buoni maestri). Uno strumentodi lavoro che aggiunge un interes-sante contributo di conoscenze aldibattito in corso.

MIRELLA SERRI

Char al primo contatto mirespingeva. Mi apparivalontanissimo da qualun-

que idea io avessi di poesia. In so-stanza non lo capivo». Così Vitto-rio Sereni in occasione del premioMonselice per la traduzione, nel1976, che gli veniva conferito perla sua splendida traduzione daChar, Ritorno Sopramonte. Di-ceva anche: «Per altro verso latensione che avvertivo in lui, [...]mi faceva soggezione e al tempostesso mi sfidava».

Sereni, dunque, si era impe-gnato in una corpo a corpo con lapoesia di Char: da un lato per me-glio penetrarla e capirla, dall'al-tro, io credo, nella convinzioneche solo da ciò che è altro sia pos-sibile apprendere, veramente,qualcosa di importante. In que-

sta avventura il lavoro di tradu-zione è impareggiabile. Diventaun'officina aperta in cui ogni det-taglio assume un senso decisivo.Ritorno Sopramonte (edito daMondadori nel '74 con un saggiodi Starobinski) fu dunque unagrande impresa, perché consentìa chi non conosceva il francese dientrare nell'opera di uno dei pro-tagonisti della poesia di Novecen-to con la migliore delle mediazio-ni, quella di un altro grande. Maanche perché, verosimilmente, la-sciò qualche non trascurabile resi-duo anche nell'idea di poesia nelsuo farsi dello stesso Sereni. Ilquale, però, escluse dalla pubbli-cazione un pacchetto consistentedi traduzioni, ora in Due rive civogliono (Donzelli, p.140, € 14)con presentazione di Pier Vincen-zo Mengaldo e grazie al lavoro fi-lologico della curatrice Elisa Don-zelli (con la collaborazione di Bar-

bara Colli per l'apparato critico).Sono quarantasette traduzioni, icui originali si trovano nell'archi-vio «Vittorio Sereni» della bibliote-ca comunale di Luino, dove il poetaera nato nel 1913.

Come sottolinea Mengaldo, unodegli aspetti più notevoli di questetraduzioni è nella scelta del tradut-tore di trasformarli in brevi compo-nimenti in versi. Forse Sereni volevaavvicinarsi di più alla pronuncia li-rica di quei testi in prosa proprio at-traverso l'uso del verso. Una doman-da naturale che poi viene al lettore,e che si pone anche Mengaldo, ri-guarda la scelta del traduttore diescludere da Ritorno Sopramontequesti pezzi. Risulta difficile andareoltre le più semplici supposizioni.Forse per ragioni di spazio. Ma sa-rebbe una ragione insufficiente. For-

se perché Sereni non si sentiva sicu-rissimo dell'esito. O forse perché ap-parivano come testi meno rilevantirispetto a quelli scelti. Certo, oltre al-le brevi prose aforistiche, questonuovo libro ci dà modo di affrontarenella versione del poeta del Diariodi Algeria testi di Char di importan-te complessità e risalto, come Tabel-la di longevità o Quote. E dunque cioffre l'occasione per tornare anche aRitorno Sopramonte e considerarenel loro insieme il lavoro del poeta,di cui ricordo la bellissima poesiaTraducevo Char: «A modo mio,René Char / con i miei soli mezzi / sumateriali vostri // Nel giorno chesplende di sopra la sera / gualcita lasua soglia d'agonia. / O trepidandoal seguito di quelle / falcate pulvero-lente / che una primavera dietro sésollevano. // Un'acqua corse, unasperanza / da berne tutto il verde /sotto la signoria dell'estate».

[email protected]

«Siamo solo amici»:due portieri (di albergoe di calcio) si piaccionocosì tanto da votarsiall’altra metà del cielo

Bianchini Tra Venezia e Torino,un girotondo di amori ed equivoci

Al romanzo diariosi affianca la guida«Il cinema va a scuola»dai Trenta ad oggiattraverso 200 film

Dai Pra’ Le fatiche di una insegnanteprecaria, uno spaccato di vite in classe

NALDINI L’AFRICANO

Eros senza divieti«Adolescenti riempivano i vicoli etendevano sorridenti agguati...».Con Nico Naldini in Nordafrica. Ilsuo «Shahrazad ascoltami»(l’ancora del mediterraneo, pp.108, € 13,50) è, attraverso lastoria di un uomo scomparso e diun manoscritto ritrovato, unomaggio all’erotismo che nonimpone divieti né suscitascandali, come sfolgora lungo lacosta nord. Poeta, biografo diComisso e di Pasolini (suocugino), Naldini rievoca «incontriteneri e segreti», rivendica il«libero arbitrio nell’uso delproprio corpo».

pp Silvia Dai Pra'p QUELLI CHE PERÒ È LO STESSOp Laterzap pp. 162, € 10

pp Giampiero Frascap IL CINEMA VA A SCUOLAp Le Manip pp. 252, € 15

pp Luca Bianchinip SIAMO SOLO AMICIp Mondadorip pp. 284, € 19

pp Stefano Morettip SCAPPARE FORTISSIMOp Einaudi, pp. 441, € 24

Luca Bianchiniè nato

a Torinonel 1970

Ha esorditonel 2003

conil romanzo

«Instant love»In «Siamo

solo amici»allestisce

un girotondodi baci,

abbracci,giocosi

amplessi,sapidi equivoci

Se madaminasi sente come

Pretty Woman

Una scena dal film «Ultimi della classe»

Cari studentiprovo a curarvi

con la poesia

Da scrittori a giornalistiSegue da pag. I

Un dipinto di Henry Scott Tuke

René Char

«Scappare fortissimo»un uomo affettoda omosessualitàcompulsiva, sullascia di Pasolini e Siti

Flaiano definivai giornalisti «cuochidella realtà», ma anchelui trafficava volentiericon pentole e fornelli

Vittorio Sereni

Scrittori italianiIVTuttolibri

SABATO 12 FEBBRAIO 2011LA STAMPA V

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Page 6: Tuttolibri n. 1753 (19-02-2011)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - VI - 12/02/11 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/06 - Autore: MARGAL - Ora di stampa: 11/02/11 19.36

GUIDODAVICO BONINO

Ignoto ai più al di fuo-ri della ristretta cerchia deglispecialisti, Agostino Nifo, cam-pano (era nato nel 1469 a SessaAurunca, in quel di Caserta),fu uno dei più fecondi filosofiaristotelici tra Quattro e Cin-quecento in Italia. Dalla catte-dra di svariate università (Pa-dova, Napoli, Salerno, Roma ePisa) commentò a più ripreselo Stagirita e scrisse trattati diastrologia, medicina, filosofiamorale, estetica, concedendosiqualche incursione anche nelpensiero politico: un suo De re-gnandi peritia, dedicato a CarloV, è un non felice esempio diantimachiavellismo. Un altrogrande del tempo, papa LeoneX, gli aveva concesso il cavalie-rato e la facoltà di aggiungereal proprio il cognome dei Medi-ci per aver attaccato il manto-vano Pietro Pomponazzi, filo-sofo d’altra mole e statura, chenel De immortalitate animae(1516) aveva sostenuto l’impos-sibilità di dimostrare l’immor-

talità dell’anima in base ai prin-cipi d’Aristotele (fu GiovanniGentile a ripubblicarne lo scrit-to nel 1925).

Del Nifo quel benemerito di-vulgatore del pensiero occiden-tale che è il filosofo GiovanniReale (editore egregio di De-mocrito, Diogene Laerzio, Epit-teto, Parmenide e di tutto Pla-tone) ha ora incluso nell’omoni-ma collana La filosofia nella cor-te, per l’appunto, del Nifo: cheè il suo trattato De re aulica,edito nel 1534 e tradotto con va-rie libertà ventisei anni dopoda Francesco Baldelli.

Ma nell’edizione Bompianila traduzione cinquecentescaè ripresa in appendice, mentrela nuova versione è di EnnioDe Bellis, a cui dobbiamo, oltrea note e apparati, una cosiddet-ta «monografia introduttiva»di centotrenta pagine a stam-pa, ricca di ogni possibile infor-mazione utile a una migliorecomprensione del testo.

Il quale incuriosisce soprat-tutto per l’accostamento al Li-bro del Cortegiano del nostroBaldassarre Castiglione, di cuiuna dozzina d’anni orsono Wal-ter Barberis ci fornì un’eccel-lente edizione presso Einaudi.Parlo d’accostamento, giacchéogni giudizio comparativo è im-possibile e sarebbe oltretuttoingiusto: Il Cortegiano è un dia-logo, è scritto in un italiano disuperiore eleganza, ed è - co-me ogni italianista ben sa - uncapolavoro; il De re aulica è untrattato, è scritto in latino e, aleggerlo difilato, com’è accadu-

to a chi qui scrive, non produceparticolari coinvolgimenti esteti-ci (né forse l’autore li avrebbepretesi) quanto una serie diprovvide riflessioni.

La prima (degna forse del si-gnor de la Palisse) è che se unprofessore universitario, da dueanni (come si direbbe oggi) inpensione - l’opera è compiuta ededita, come s’è scritto, nel ’34 -sente il bisogno di dire la sua sulcomportamento dell’ospite-gen-tiluomo in una delle grandi cortiitaliane, ciò sta a significare cheil convivere con un Grande Si-gnore dell’epoca non era soltan-to un problema comportamenta-le, ma ormai decisamente mora-le e politico.

Castiglione, dall’alto d’unasuperiore personalità intellet-tuale, lo aveva fatto comprende-re già sei anni prima (le due edi-zioni, Maurizio e Giunti, sono del’28), con l’espediente di un accat-tivante autobiografismo (avevavissuto alla corte dei Montefel-tro ad Urbino dal 1504 al 1513,ambientandovi il dialogo nel1506); Nifo, da scrupoloso docen-

te, si congeda (per così dire) daisuoi allievi di ben quattro diversiatenei (ma in due insegnò a dueriprese), ammonendoli - quasi alivello pratico - a mantenere uncerto ben programmato conte-gno se vogliono (sembra un gio-co di parole, ma non lo è) «man-tenersi» (una vita, e con una buo-na rendita).

Ecco perché li esorta all’affa-bilità e all’urbanità. Non siate(sto ovviamente parafrasando ilSessuano) né scontrosi né adula-tori: ma nel dialogo diretto parla-te al vostro Signore col dovutogarbo, così da indurlo a ricono-scere i propri errori e a rimetter-si sulla retta via; nel dialogo col-lettivo siate urbani, cioè argutimedianamente , non eccedete inastrattezze intellettuali né inbuffonerie volgari.

E le donne? Risponde per noiil De Bellis: ad esse Nifo «consi-glia la mitezza, che è la virtù diplaudire il bene e di opporsi conil dovuto garbo al male, senza es-sere moleste all’interlocutore».

Sembrerebbero dei suggeri-menti di puro buon senso: ma suun punto non possiamo che ap-plaudire al Nifo: là dove ritiene«assolutamente pericoloso»,per citare le parole del suo mo-derno curatore, «che il principesi circondi solo di adsentatores,in quanto ciò determina la rovi-na degli Stati, perché la mancan-za di critica porta il sovrano asentirsi onnipotente e a perpe-trare ingiustizie presso il popo-lo». Siate sinceri: non state pen-sando anche voi a qualcosa checi minaccia da vicino?

GIOVANNIBOGLIOLO

Torna, dopo che laprecedente traduzione italia-na era finita nei Remainder'se poi diventata irreperibile, ilPort-Royal di Sainte-Beuve.E torna con tutti gli onori,magistralmente curato daMario Richter, tradotto daun'affiatata équipe di studio-se, impreziosito dalle illustra-zioni scelte da Carlo Carenae presentato nella eleganteveste dei «Millenni» einau-diani. È un evento, per alme-no tre buone ragioni. La pri-ma, che da sola sarebbe suffi-ciente, è che si tratta di uncapolavoro assoluto, di un'opera che, per la concezioneardimentosa, la vastità delladocumentazione, la ricchez-za dei dettagli, la lucidità e lacoerenza della visione, la vi-vacità e la finezza della scrit-tura, non ha riscontri nellaletteratura storico-critica.

L'assunto, che Sainte-Beuve concepisce nel pienodi una crisi religiosa e sottol'influsso di Lamennais, ègrandioso: restituire e com-prendere la spiritualità delGran Secolo della cultura edella civiltà francesi rico-struendo i cento anni dellastoria dell'abbazia di Port-Royal des Champs che van-no dal 1609, l'anno in cui lasedicenne badessa Angéli-que Arnauld, col gesto cla-moroso di lasciare i genitoriin visita al di là dello sportel-lino del parlatorio, afferma il

ritorno all'austera disciplinacistercense delle origini, al1709, quando Luigi XIV, inesecuzione di una bolla papa-le, fa radere al suolo l'abba-zia e avvia verso altri mona-steri le restanti quindici suo-re e sette converse accusatedi fomentare l'eresia gianse-nista. Per realizzare questoimmane progetto si docu-menta con rigore e minuzia(per il corso di lezioni che tie-ne a Losanna nel 1837-38 eche costituisce la prima ste-sura della ricerca si portadietro un bagaglio di seicen-to volumi) e, superata l'inizia-le e momentanea empatia, siassesta in un atteggiamentodi programmatica imparzia-

lità che gli consente di «studia-re ed esporre la grandezza e lafollia cristiana, senza dimi-nuirla e senza condividerla innulla», ma anche di apparire,con tutte le sfumature che l'os-simoro comporta, «uno scetti-co credente».

Anche per questo dalla spe-cola limitata dell'abbazia bene-dettina riesce a gettare unosguardo straordinariamenterivelatore non solo sul fermen-to di spiritualità che si è svilup-pato alla sua ombra, sulle figu-re di religiose, teologi, filosofi,

pedagogisti e linguisti chel'hanno animata, gli Arnauld, iSaint-Cyran, i Nicole, i Saci egli altri meno illustri «solita-ri», su quelle degli scrittori -Pascal e Racine soprattutto -che ne hanno condiviso lo spi-rito e sulle personalità che, re-standone più o meno estranee,vi hanno avuto un peso deter-minante come san Francescodi Sales o ne hanno subito il fa-scino, come il principe di Contie Madame de Sévigné. Con sa-gaci accorgimenti retorici esempre seguendo la spirale av-

volgente della sua narrazioneesplicativa, Sainte-Beuve spa-zia anche su terreni culturaliprossimi e remoti, Fénelon e ilsuo antagonista Bossuet, il car-tesiano Malebranche e l'«ateovirtuoso» Bayle, i drammatur-ghi Corneille e Rotrou, i mora-listi laici La Bruyère e Mada-me de Sablé spingendosi finoallo scettico Molière. Quelloche dipinge nel corso di lunghianni (il primo volume esce nel1840, l'ultimo nel '59, ma la ste-sura completa e definitiva dell'opera è 1867) è un grande af-

fresco del XVII secolo che nemette in primo piano l'animagiansenista e cartesiana senzamortificare o nascondere i fer-menti barocchi, la casistica ge-suita, le tentazioni mondane,le tensioni politiche, la dinami-ca centripeta e normalizzatri-ce dell' assolutismo.

Con la stessa naturalezza ealtrettanta efficacia dimostra-tiva il critico si concede illumi-nanti escursioni oltre i confinidel secolo, sia a monte, versoMontaigne, che a valle, versoVoltaire, fino a lambire la con-

temporaneità degli Chateau-briand e dei Lamartine. D'al-tronde Port-Royal, malgrado ilsuo assunto orgogliosamenteinattuale, è a pieno titolo un'opera del suo tempo: si collo-ca, come sottolinea Richter,«alla confluenza di due prece-denti storico-letterari dellacultura romantica francese»,Il genio del Cristianesimo diChateaubriand e Notre-Damede Paris di Victor Hugo ed è inpiena e totale sintonia di svi-luppo rispetto alle opere poeti-che e narrative di Sainte-Beu-

ve che l'hanno preceduta e aigrandi saggi critici che l'ac-compagnano e la seguiranno.Di questi ha la perspicuità, laprofondità e la dottrina; diquelle la sensibilità e l'elegan-za formale. E a dare coerenzadi stile e duttilità di toni a un'opera tanto ricca e vasta è latensione dell'oralità, forse re-taggio delle originarie confe-renze losannesi, ma sceltaespressiva capace di coinvol-gere il lettore, quasi fosse unascoltatore incantato, nell'ese-gesi argomentativa più rigoro-sa, nella documentata rievoca-zione narrativa e in pagine digrande suggestione inventiva,come quelle del funerale im-maginario di Montaigne e del-la conversazione impossibiletra Molière e Pascal.

È il «parlato» che tanto di-sturbava Proust e che, comeaggravante del metodo biogra-fico, gli ha fatto emettere la se-vera condanna del Contro Sain-te-Beuve. Una condanna acriti-camente accettata e subitopassata in giudicato, contro la

quale ora anche in Italia (inGermania e in Francia ha giàprovveduto l'illuminante anali-si di Wolf Lepenies che collocaSainte-Beuve sulla soglia dellamodernità) si potrà finalmen-te interporre appello. E questoè il secondo grande merito.

Il terzo sta invece nellascommessa che questa impe-gnativa impresa editorialerappresenta: Port-Royal ap-partiene all'infelice schieradei libri molto citati e pochissi-mo letti. Ha avuto qualche let-tore entusiasta, come Gide o,da noi, Bo e Contini, ma i più sisono limitati a relegarlo, tal-volta senza neppure occasio-nali verifiche, nel limbo dei ca-polavori meritevoli di gratuitorispetto. Era così già ai tempidi Sainte-Beuve che raccontadell'impressione che avevano,lui e il liberale dottrinarioRoyer-Collard, di essere gliunici due al mondo ad appas-sionarsi ancora a quel temainattuale. Oggi però c'è chi suun blog si domanda: «Se Sain-te-Beuve ci ha messo vent'an-ni a scrivere Port-Royal, cosavuoi mai che sia metterceneuno o due a leggerlo?». C'è dasperare che non resti solo.

L’ abbazia benedettinadal 1609 al 1709quando Luigi XIVla fece radere al suoloobbedendo al Papa

LORENZOMONDO

Si è conclusa, conl’uscita del terzo volume, chesi intitola Il ritorno alla poesia,la pubblicazione dell’Epistola-rio Clemente Rebora. Una im-presa di gran lena e utilissi-ma agli studiosi (mentre sa-rebbe opportuna, a seguire,una scelta delle lettere più si-gnificative per consentire atutti una più abbandonata let-tura). Non possiamo fare ameno di richiamare alla me-moria, nel chiudersi della pa-rabola, i tratti salienti di unaaffascinante vicenda poeticaed esistenziale.

Avevamo già registrato,nelle lettere, il rapporto affet-tuosissimo con i familiari, inprimo luogo il padre, che loeducò a una severa moralitàd’impronta laica e mazzinia-na; ma anche la frequentazio-ne di intellettuali come Prez-zolini, suo primo editore, eAntonio Banfi, che acuì i suoiinteressi filosofici; oltre al-l’amicizia per Sibilla Aleramoe alla «passione folle» per lapianista russa Lydia Natus,ispiratrice delle sue traduzio-ni da Andreev, Tolstoj, Gogol.Traspariva inoltre la dura ap-plicazione che, nelle strettoiedella povertà e dell’insegna-mento alle scuole tecniche, loportò a comporre i Frammen-ti lirici, ottenendo un pieno ri-conoscimento soltanto da Gio-vanni Boine, anima fraterna.

Ma l’episodio centrale nelprimo tempo della sua esi-

stenza fu la Grande Guerra,alla quale partecipò come ser-gente di fanteria. Al fronte eb-be modo di sperimentare l’im-preparazione degli ufficiali ela nativa generosità della«bassa» truppa mandata almacello. Confida ai familiari,in un crescendo di orrore, che«l’enorme rantolo di centina-ia di cannoni squarcia un innoalla brutalità». Quanto a lui,si sente «come un ugolinoanonimo, fra lezzo di vivi emorti, imbestiato e paralizza-to per la colpa e la pietà, e l’or-rendezza degli uomini». Lasua guerra finisce quando, se-polto da una frana in seguitoa un’esplosione, ne riporta untrauma nervoso che lo conse-gna all’ospedale e al congedo.Ma lo ferisce irrimediabil-mente nell’anima la notiziache sono morti i suoi compa-gni più cari, «che mi cercava-no come la luce. Ne son statostrangolato».

Si rafforza allora in lui l’im-perioso dovere di «una bontàcostruttiva». Consente con ilfratello Piero secondo cui«Nietzsche è impazzito per-chè ha sentito che la Veritàdella Vita è amare gli uomini,ma non ha potuto credervi».Le lettere dal fronte costitui-scono il retroterra, non soloemotivo, delle bellissime poe-sie di guerra, tra cui spiccal’ineguagliabile Viatico. Ave-vano visto bene i medici chelo ebbero in cura all’ospedalepsichiatrico, quando senten-ziarono che aveva «la maniadell’eterno».

Rebora è avviato ormaisulla strada che, dopo averetentato varie esperienze mi-stiche, lo porterà a convertir-si alla religione cattolica. Fi-no a entrare nell’Istituto dellaCarità, la congregazione fon-data da Antonio Rosmini, e a

prendervi gli ordini sacerdota-li. Mentre la critica va scopren-do il vigore del suo pietrosoespressionismo (l’aggettivo ap-partiene a Boine), la sua arro-ventata testimonianza stilisti-ca e morale, Rebora rinuncia al-la poesia, in rigorosa obbedien-za alla sua ascetica vocazione.Sono anni di dedizione assolutaai compiti pastorali, svolti nellaluce di una inesausta opera dicarità, di soccorso alle infermi-tà del corpo e dello spirito.

Ne è documento flagrantequesto terzo volume di lettereche lo accompagna fino alle so-glie della morte, avvenuta nel1957, settantaduenne, dopolunghe sofferenze. Ma la poe-sia, abbandonata dopo la con-versione e appena risarcita daqualche testo devozionale, tor-na a urgere nell’animo di Rebo-ra, che pure sembra volerseneschermire: «...è vero ch’io tor-no a sentirla -scrive al fratelloPiero - e convengo con te ri-guardo alla sua efficacia sullavita interiore, quasi veicolodell’invisibile nel visibile (...)ma è pur vero che non si può

esprimere se non ci è donata:“Io mi son un, che quandoAmore spira...”».

La sua vita si svolge tra Ro-vereto e Stresa, ma tra il 1948e il 1953 soggiorna ogni anno,di luglio e agosto, alla Sacra diSan Michele, il convento-forti-lizio che domina la Valle di Su-sa. E’ un sacro monte che sem-bra compendiare emblemati-camente le vette con le quali sicimentò fisicamente negli annigiovanili e che nelle poesie sicontrappongono alle «schiavepianure», alla città mefitica ecorrotta. La Sacra viene defini-ta via via «culmine vertiginosa-mente santo», «ardimentoinaudito di Fede», «sopranna-turale nido d’aquile» che l’ar-

cangelo San Michele proteggedai turbini avversi. E’ un susse-guirsi, nelle lettere, di clausoleestatiche che compongono insua lode una sorta di litania,mistica e poetica. Nonostantele ripulse, in Rebora qualcosasta germinando, che si direb-be propiziato dall’elevazionedella Sacra.

Lassù concluderà un compo-nimento per il centenario di Ro-smini, Il gran grido, che apre lastagione più feconda e intensadella sua poesia religiosa, daiCanti dell’infermità al Curri-culum vitae. Non a caso accettadi intrattenersi sulle sue poesiedi prima, di assecondare unaedizione «generale» dei suoiversi apprestata da amici edestimatori. La poesia, permea-ta in tutto il suo svolgimento daun brividente senso dell’attesa,rinasce per rispecchiarsi nellafede religiosa: in una vita che,vicina a spegnersi, sembra pro-porsi sotto il segno di una esem-plare compiutezza.

Sainte-Beuve L’ eresia giansenista nel segno di Pascal e Racine che improntò la Francia del ’600:vent’anni per scrivere un capolavoro della letteratura storico-critica, ora in un’edizione magistrale

Rebora L’itinerario umano e poeticodel rosminiano, attraverso le lettere

Sia clementeil gran gridodell’Eterno

Siate affabili(non servili)con il Sovrano

L’enfasi che la cultura oc-cidentale pone sempredi più sul sentimento co-

me criterio dirimente per le scel-te decisive nella vita quotidia-na - svuotandole così di ogni di-mensione di durata e rendendo-le incessantemente reversibili -rischia ormai di degenerare inuna dittatura dell'emozione.

L'assecondare la momenta-nea soddisfazione personale,l'andare «dove porta il cuore»,il mito del realizzare se stessiviene scisso dalla sua dimensio-ne di profondità: conoscere sestessi è cosa ben diversa dal fa-re quello che «si sente» di volerfare in un determinato momen-to. La conoscenza di sé non èaccondiscendenza alle sensa-zioni, richiede invece ascesi, vi-ta interiore, rinunce, lavorioquotidiano per cesellare la pro-pria personalità in un dialogofecondo con gli altri e con lapropria storia.

Interrogarsi su «sentimentie legami umani» è allora que-stione decisiva per discernere

natura e qualità dell'essere uma-no e per collocare se stessi in unadimensione di verità, di pienaappartenenza alla fragile e me-ravigliosa condizione umana.

L'ultimo saggio del card.Gianfraco Ravasi viene in aiutoa questa ricerca, con la consuetacompetenza e con l'ormai notama sempre stupefacente capaci-tà di tradurre in un linguaggiopiano e accattivante anche le ri-

flessioni più complesse e artico-late. Che cos'è l'uomo. Senti-menti e legami umani nellabibbia (San Paolo, pp. 152,€ 16) è un appassionante viag-gio lungo due piste complemen-tari: la prima prende avvio dal«cuore» nella ricchezza del suosignificato biblico per adden-trarsi in quelle sensazioni - lamitezza e la paura, la festa e lasofferenza - che si tramutano in

atteggiamenti e comportamentiquotidiani. Il secondo itinerarioè invece, per così dire, «pittori-co». Tratteggia come in un di-pinto i diversi volti che assumel'amore quando si rende visibilee palpabile: l'amicizia, l'amoresponsale e la sua dilatazione nel-la famiglia, fino alla vecchiaia

concepita come «corona di glo-ria» posta sulla vita intera.

Il filo rosso che consente all'autore di queste pagine, cosìdense e al contempo lievi, di noncadere nel trabocchetto delleemozioni fine a se stesse è il pen-siero biblico: la sapienza di Isra-ele, le parole di Gesù, gli insegna-menti apostolici costituisconol'ossatura di un ragionamentoche si arricchisce dei contributi

di filosofi e pensatori di ognitempo. Uomo di profonda cultu-ra e di dialogo franco e cordiale,il cardinal Ravasi riesce a dire avoce alta quanto ciascuno di noi,se è onesto con se stesso, ricono-sce come vero per sé e per gli al-tri, come cifra della propria e al-trui condizione umana.

Le essenziali illustrazioni diAlessandro Nastasio contribui-scono a rendere ancor più scorre-vole il discorso e ci riconduconoa quel versetto del salmo 8 chel'autore ha voluto porre come ti-tolo e incipit del libro: «Che cos'èl'uomo perché ti ricordi di lui?Che cos'è il figlio dell'uomo per-ché di lui ti prenda cura?».

È domanda che non smettedi abitare il nostro cuore, do-manda cui nessuno di noi riusci-rà mai a dare una risposta pie-na e definitiva, eppure domandache percepiamo chiaramente co-me decisiva per il nostro viverequotidiano e per trasformare inostri sentimenti di un attimo inlegami duraturi, per fare dellanostra vita un'opera d'arte.

Nifo Un trattato cinquecentescosul modo di comportarsi a Corte

LONTANO E VICINOENZO BIANCHI

Lungo i sentieribiblici del cuore

«Che cos’è l’uomo»: il viaggio di Ravasiin dialogo con pensatori di ogni tempo

Personaggi e storieVITuttolibri

SABATO 12 FEBBRAIO 2011LA STAMPA VII

LA BIBBIA ALLA RADIOCompieunanno«Leggere laBibbia»aRadioTre.Domani (h.9,30-11),unapuntataspecialediUominieProfeti, a curadiGabriellaCaramore, farà ilpuntosuquesta letturasistematicaerifletterà inparticolare sul«SanguediDio.Religionieviolenza»(conStefanoLeviDellaTorre,BenedettoCarucciViterbi,MariaCristinaBartolomei,EnzoBianchi,AlbertoVentura).

Ritratto di Agostino Nifo

L’oro di Port-Royal

Immagini dal sito «www.port-royal-des-champs.eu»: una veduta dell’abbazia, il chiostro, il coro della chiesa

Sainte-Beuve

pp Agostino Nifop LA FILOSOFIA NELLA CORTEp a cura di Ennio De Bellisp Bompiani, pp. 784, € 28

Crogiuolo di spiritualitàcon teologi, filosofi,pedagogisti, linguisti,un lungo percorsoda Montaigne a Voltaire

Il cardinale Gianfranco Ravasi

Blaise Pascal

pp Sainte-Beuvep PORT-ROYALp a cura di Mario Richterp Einaudip 2 volumi, pp. CVI - 2098, € 150

Il terzo e ultimo attodell’epistolario,gli anni fra il 1945e il 1957, tra Rovereto,Stresa, la Val Susa

Clemente Rebora in un ritratto di Michele Cascella, 1919

pp Clemente Reborap EPISTOLARIOp Vol.3 1945-1957p Il ritorno alla poesiap a cura di Carmelo Giovanninip Edizioni Dehonianep pp. 623, € 52p Terzo e ultimo volume. Il primo,

«L’anima del poeta» copre gli an-ni 1893 - 1928; il secondo, «Lasvolta rosminiana» va dal 1929al 1944. Attraverso le lettere,un ritratto umano e critico delsacerdote poeta

«Veicolo dell’invisibilenel visibile»: rinascela vocazione liricaper rispecchiarsinella fede religiosa

La necessità di andareoltre la dittaturadell’emozione: comefare della nostravita un’opera d’arte

pp Gianfranco Ravasip CHE COS'È L'UOMO. Sentimen-

ti e legami umani nella bibbiap San Paolo, pp. 152, € 16

Page 7: Tuttolibri n. 1753 (19-02-2011)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - VII - 12/02/11 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/06 - Autore: MARGAL - Ora di stampa: 11/02/11 19.36

GUIDODAVICO BONINO

Ignoto ai più al di fuo-ri della ristretta cerchia deglispecialisti, Agostino Nifo, cam-pano (era nato nel 1469 a SessaAurunca, in quel di Caserta),fu uno dei più fecondi filosofiaristotelici tra Quattro e Cin-quecento in Italia. Dalla catte-dra di svariate università (Pa-dova, Napoli, Salerno, Roma ePisa) commentò a più ripreselo Stagirita e scrisse trattati diastrologia, medicina, filosofiamorale, estetica, concedendosiqualche incursione anche nelpensiero politico: un suo De re-gnandi peritia, dedicato a CarloV, è un non felice esempio diantimachiavellismo. Un altrogrande del tempo, papa LeoneX, gli aveva concesso il cavalie-rato e la facoltà di aggiungereal proprio il cognome dei Medi-ci per aver attaccato il manto-vano Pietro Pomponazzi, filo-sofo d’altra mole e statura, chenel De immortalitate animae(1516) aveva sostenuto l’impos-sibilità di dimostrare l’immor-

talità dell’anima in base ai prin-cipi d’Aristotele (fu GiovanniGentile a ripubblicarne lo scrit-to nel 1925).

Del Nifo quel benemerito di-vulgatore del pensiero occiden-tale che è il filosofo GiovanniReale (editore egregio di De-mocrito, Diogene Laerzio, Epit-teto, Parmenide e di tutto Pla-tone) ha ora incluso nell’omoni-ma collana La filosofia nella cor-te, per l’appunto, del Nifo: cheè il suo trattato De re aulica,edito nel 1534 e tradotto con va-rie libertà ventisei anni dopoda Francesco Baldelli.

Ma nell’edizione Bompianila traduzione cinquecentescaè ripresa in appendice, mentrela nuova versione è di EnnioDe Bellis, a cui dobbiamo, oltrea note e apparati, una cosiddet-ta «monografia introduttiva»di centotrenta pagine a stam-pa, ricca di ogni possibile infor-mazione utile a una migliorecomprensione del testo.

Il quale incuriosisce soprat-tutto per l’accostamento al Li-bro del Cortegiano del nostroBaldassarre Castiglione, di cuiuna dozzina d’anni orsono Wal-ter Barberis ci fornì un’eccel-lente edizione presso Einaudi.Parlo d’accostamento, giacchéogni giudizio comparativo è im-possibile e sarebbe oltretuttoingiusto: Il Cortegiano è un dia-logo, è scritto in un italiano disuperiore eleganza, ed è - co-me ogni italianista ben sa - uncapolavoro; il De re aulica è untrattato, è scritto in latino e, aleggerlo difilato, com’è accadu-

to a chi qui scrive, non produceparticolari coinvolgimenti esteti-ci (né forse l’autore li avrebbepretesi) quanto una serie diprovvide riflessioni.

La prima (degna forse del si-gnor de la Palisse) è che se unprofessore universitario, da dueanni (come si direbbe oggi) inpensione - l’opera è compiuta ededita, come s’è scritto, nel ’34 -sente il bisogno di dire la sua sulcomportamento dell’ospite-gen-tiluomo in una delle grandi cortiitaliane, ciò sta a significare cheil convivere con un Grande Si-gnore dell’epoca non era soltan-to un problema comportamenta-le, ma ormai decisamente mora-le e politico.

Castiglione, dall’alto d’unasuperiore personalità intellet-tuale, lo aveva fatto comprende-re già sei anni prima (le due edi-zioni, Maurizio e Giunti, sono del’28), con l’espediente di un accat-tivante autobiografismo (avevavissuto alla corte dei Montefel-tro ad Urbino dal 1504 al 1513,ambientandovi il dialogo nel1506); Nifo, da scrupoloso docen-

te, si congeda (per così dire) daisuoi allievi di ben quattro diversiatenei (ma in due insegnò a dueriprese), ammonendoli - quasi alivello pratico - a mantenere uncerto ben programmato conte-gno se vogliono (sembra un gio-co di parole, ma non lo è) «man-tenersi» (una vita, e con una buo-na rendita).

Ecco perché li esorta all’affa-bilità e all’urbanità. Non siate(sto ovviamente parafrasando ilSessuano) né scontrosi né adula-tori: ma nel dialogo diretto parla-te al vostro Signore col dovutogarbo, così da indurlo a ricono-scere i propri errori e a rimetter-si sulla retta via; nel dialogo col-lettivo siate urbani, cioè argutimedianamente , non eccedete inastrattezze intellettuali né inbuffonerie volgari.

E le donne? Risponde per noiil De Bellis: ad esse Nifo «consi-glia la mitezza, che è la virtù diplaudire il bene e di opporsi conil dovuto garbo al male, senza es-sere moleste all’interlocutore».

Sembrerebbero dei suggeri-menti di puro buon senso: ma suun punto non possiamo che ap-plaudire al Nifo: là dove ritiene«assolutamente pericoloso»,per citare le parole del suo mo-derno curatore, «che il principesi circondi solo di adsentatores,in quanto ciò determina la rovi-na degli Stati, perché la mancan-za di critica porta il sovrano asentirsi onnipotente e a perpe-trare ingiustizie presso il popo-lo». Siate sinceri: non state pen-sando anche voi a qualcosa checi minaccia da vicino?

GIOVANNIBOGLIOLO

Torna, dopo che laprecedente traduzione italia-na era finita nei Remainder'se poi diventata irreperibile, ilPort-Royal di Sainte-Beuve.E torna con tutti gli onori,magistralmente curato daMario Richter, tradotto daun'affiatata équipe di studio-se, impreziosito dalle illustra-zioni scelte da Carlo Carenae presentato nella eleganteveste dei «Millenni» einau-diani. È un evento, per alme-no tre buone ragioni. La pri-ma, che da sola sarebbe suffi-ciente, è che si tratta di uncapolavoro assoluto, di un'opera che, per la concezioneardimentosa, la vastità delladocumentazione, la ricchez-za dei dettagli, la lucidità e lacoerenza della visione, la vi-vacità e la finezza della scrit-tura, non ha riscontri nellaletteratura storico-critica.

L'assunto, che Sainte-Beuve concepisce nel pienodi una crisi religiosa e sottol'influsso di Lamennais, ègrandioso: restituire e com-prendere la spiritualità delGran Secolo della cultura edella civiltà francesi rico-struendo i cento anni dellastoria dell'abbazia di Port-Royal des Champs che van-no dal 1609, l'anno in cui lasedicenne badessa Angéli-que Arnauld, col gesto cla-moroso di lasciare i genitoriin visita al di là dello sportel-lino del parlatorio, afferma il

ritorno all'austera disciplinacistercense delle origini, al1709, quando Luigi XIV, inesecuzione di una bolla papa-le, fa radere al suolo l'abba-zia e avvia verso altri mona-steri le restanti quindici suo-re e sette converse accusatedi fomentare l'eresia gianse-nista. Per realizzare questoimmane progetto si docu-menta con rigore e minuzia(per il corso di lezioni che tie-ne a Losanna nel 1837-38 eche costituisce la prima ste-sura della ricerca si portadietro un bagaglio di seicen-to volumi) e, superata l'inizia-le e momentanea empatia, siassesta in un atteggiamentodi programmatica imparzia-

lità che gli consente di «studia-re ed esporre la grandezza e lafollia cristiana, senza dimi-nuirla e senza condividerla innulla», ma anche di apparire,con tutte le sfumature che l'os-simoro comporta, «uno scetti-co credente».

Anche per questo dalla spe-cola limitata dell'abbazia bene-dettina riesce a gettare unosguardo straordinariamenterivelatore non solo sul fermen-to di spiritualità che si è svilup-pato alla sua ombra, sulle figu-re di religiose, teologi, filosofi,

pedagogisti e linguisti chel'hanno animata, gli Arnauld, iSaint-Cyran, i Nicole, i Saci egli altri meno illustri «solita-ri», su quelle degli scrittori -Pascal e Racine soprattutto -che ne hanno condiviso lo spi-rito e sulle personalità che, re-standone più o meno estranee,vi hanno avuto un peso deter-minante come san Francescodi Sales o ne hanno subito il fa-scino, come il principe di Contie Madame de Sévigné. Con sa-gaci accorgimenti retorici esempre seguendo la spirale av-

volgente della sua narrazioneesplicativa, Sainte-Beuve spa-zia anche su terreni culturaliprossimi e remoti, Fénelon e ilsuo antagonista Bossuet, il car-tesiano Malebranche e l'«ateovirtuoso» Bayle, i drammatur-ghi Corneille e Rotrou, i mora-listi laici La Bruyère e Mada-me de Sablé spingendosi finoallo scettico Molière. Quelloche dipinge nel corso di lunghianni (il primo volume esce nel1840, l'ultimo nel '59, ma la ste-sura completa e definitiva dell'opera è 1867) è un grande af-

fresco del XVII secolo che nemette in primo piano l'animagiansenista e cartesiana senzamortificare o nascondere i fer-menti barocchi, la casistica ge-suita, le tentazioni mondane,le tensioni politiche, la dinami-ca centripeta e normalizzatri-ce dell' assolutismo.

Con la stessa naturalezza ealtrettanta efficacia dimostra-tiva il critico si concede illumi-nanti escursioni oltre i confinidel secolo, sia a monte, versoMontaigne, che a valle, versoVoltaire, fino a lambire la con-

temporaneità degli Chateau-briand e dei Lamartine. D'al-tronde Port-Royal, malgrado ilsuo assunto orgogliosamenteinattuale, è a pieno titolo un'opera del suo tempo: si collo-ca, come sottolinea Richter,«alla confluenza di due prece-denti storico-letterari dellacultura romantica francese»,Il genio del Cristianesimo diChateaubriand e Notre-Damede Paris di Victor Hugo ed è inpiena e totale sintonia di svi-luppo rispetto alle opere poeti-che e narrative di Sainte-Beu-

ve che l'hanno preceduta e aigrandi saggi critici che l'ac-compagnano e la seguiranno.Di questi ha la perspicuità, laprofondità e la dottrina; diquelle la sensibilità e l'elegan-za formale. E a dare coerenzadi stile e duttilità di toni a un'opera tanto ricca e vasta è latensione dell'oralità, forse re-taggio delle originarie confe-renze losannesi, ma sceltaespressiva capace di coinvol-gere il lettore, quasi fosse unascoltatore incantato, nell'ese-gesi argomentativa più rigoro-sa, nella documentata rievoca-zione narrativa e in pagine digrande suggestione inventiva,come quelle del funerale im-maginario di Montaigne e del-la conversazione impossibiletra Molière e Pascal.

È il «parlato» che tanto di-sturbava Proust e che, comeaggravante del metodo biogra-fico, gli ha fatto emettere la se-vera condanna del Contro Sain-te-Beuve. Una condanna acriti-camente accettata e subitopassata in giudicato, contro la

quale ora anche in Italia (inGermania e in Francia ha giàprovveduto l'illuminante anali-si di Wolf Lepenies che collocaSainte-Beuve sulla soglia dellamodernità) si potrà finalmen-te interporre appello. E questoè il secondo grande merito.

Il terzo sta invece nellascommessa che questa impe-gnativa impresa editorialerappresenta: Port-Royal ap-partiene all'infelice schieradei libri molto citati e pochissi-mo letti. Ha avuto qualche let-tore entusiasta, come Gide o,da noi, Bo e Contini, ma i più sisono limitati a relegarlo, tal-volta senza neppure occasio-nali verifiche, nel limbo dei ca-polavori meritevoli di gratuitorispetto. Era così già ai tempidi Sainte-Beuve che raccontadell'impressione che avevano,lui e il liberale dottrinarioRoyer-Collard, di essere gliunici due al mondo ad appas-sionarsi ancora a quel temainattuale. Oggi però c'è chi suun blog si domanda: «Se Sain-te-Beuve ci ha messo vent'an-ni a scrivere Port-Royal, cosavuoi mai che sia metterceneuno o due a leggerlo?». C'è dasperare che non resti solo.

L’ abbazia benedettinadal 1609 al 1709quando Luigi XIVla fece radere al suoloobbedendo al Papa

LORENZOMONDO

Si è conclusa, conl’uscita del terzo volume, chesi intitola Il ritorno alla poesia,la pubblicazione dell’Epistola-rio Clemente Rebora. Una im-presa di gran lena e utilissi-ma agli studiosi (mentre sa-rebbe opportuna, a seguire,una scelta delle lettere più si-gnificative per consentire atutti una più abbandonata let-tura). Non possiamo fare ameno di richiamare alla me-moria, nel chiudersi della pa-rabola, i tratti salienti di unaaffascinante vicenda poeticaed esistenziale.

Avevamo già registrato,nelle lettere, il rapporto affet-tuosissimo con i familiari, inprimo luogo il padre, che loeducò a una severa moralitàd’impronta laica e mazzinia-na; ma anche la frequentazio-ne di intellettuali come Prez-zolini, suo primo editore, eAntonio Banfi, che acuì i suoiinteressi filosofici; oltre al-l’amicizia per Sibilla Aleramoe alla «passione folle» per lapianista russa Lydia Natus,ispiratrice delle sue traduzio-ni da Andreev, Tolstoj, Gogol.Traspariva inoltre la dura ap-plicazione che, nelle strettoiedella povertà e dell’insegna-mento alle scuole tecniche, loportò a comporre i Frammen-ti lirici, ottenendo un pieno ri-conoscimento soltanto da Gio-vanni Boine, anima fraterna.

Ma l’episodio centrale nelprimo tempo della sua esi-

stenza fu la Grande Guerra,alla quale partecipò come ser-gente di fanteria. Al fronte eb-be modo di sperimentare l’im-preparazione degli ufficiali ela nativa generosità della«bassa» truppa mandata almacello. Confida ai familiari,in un crescendo di orrore, che«l’enorme rantolo di centina-ia di cannoni squarcia un innoalla brutalità». Quanto a lui,si sente «come un ugolinoanonimo, fra lezzo di vivi emorti, imbestiato e paralizza-to per la colpa e la pietà, e l’or-rendezza degli uomini». Lasua guerra finisce quando, se-polto da una frana in seguitoa un’esplosione, ne riporta untrauma nervoso che lo conse-gna all’ospedale e al congedo.Ma lo ferisce irrimediabil-mente nell’anima la notiziache sono morti i suoi compa-gni più cari, «che mi cercava-no come la luce. Ne son statostrangolato».

Si rafforza allora in lui l’im-perioso dovere di «una bontàcostruttiva». Consente con ilfratello Piero secondo cui«Nietzsche è impazzito per-chè ha sentito che la Veritàdella Vita è amare gli uomini,ma non ha potuto credervi».Le lettere dal fronte costitui-scono il retroterra, non soloemotivo, delle bellissime poe-sie di guerra, tra cui spiccal’ineguagliabile Viatico. Ave-vano visto bene i medici chelo ebbero in cura all’ospedalepsichiatrico, quando senten-ziarono che aveva «la maniadell’eterno».

Rebora è avviato ormaisulla strada che, dopo averetentato varie esperienze mi-stiche, lo porterà a convertir-si alla religione cattolica. Fi-no a entrare nell’Istituto dellaCarità, la congregazione fon-data da Antonio Rosmini, e a

prendervi gli ordini sacerdota-li. Mentre la critica va scopren-do il vigore del suo pietrosoespressionismo (l’aggettivo ap-partiene a Boine), la sua arro-ventata testimonianza stilisti-ca e morale, Rebora rinuncia al-la poesia, in rigorosa obbedien-za alla sua ascetica vocazione.Sono anni di dedizione assolutaai compiti pastorali, svolti nellaluce di una inesausta opera dicarità, di soccorso alle infermi-tà del corpo e dello spirito.

Ne è documento flagrantequesto terzo volume di lettereche lo accompagna fino alle so-glie della morte, avvenuta nel1957, settantaduenne, dopolunghe sofferenze. Ma la poe-sia, abbandonata dopo la con-versione e appena risarcita daqualche testo devozionale, tor-na a urgere nell’animo di Rebo-ra, che pure sembra volerseneschermire: «...è vero ch’io tor-no a sentirla -scrive al fratelloPiero - e convengo con te ri-guardo alla sua efficacia sullavita interiore, quasi veicolodell’invisibile nel visibile (...)ma è pur vero che non si può

esprimere se non ci è donata:“Io mi son un, che quandoAmore spira...”».

La sua vita si svolge tra Ro-vereto e Stresa, ma tra il 1948e il 1953 soggiorna ogni anno,di luglio e agosto, alla Sacra diSan Michele, il convento-forti-lizio che domina la Valle di Su-sa. E’ un sacro monte che sem-bra compendiare emblemati-camente le vette con le quali sicimentò fisicamente negli annigiovanili e che nelle poesie sicontrappongono alle «schiavepianure», alla città mefitica ecorrotta. La Sacra viene defini-ta via via «culmine vertiginosa-mente santo», «ardimentoinaudito di Fede», «sopranna-turale nido d’aquile» che l’ar-

cangelo San Michele proteggedai turbini avversi. E’ un susse-guirsi, nelle lettere, di clausoleestatiche che compongono insua lode una sorta di litania,mistica e poetica. Nonostantele ripulse, in Rebora qualcosasta germinando, che si direb-be propiziato dall’elevazionedella Sacra.

Lassù concluderà un compo-nimento per il centenario di Ro-smini, Il gran grido, che apre lastagione più feconda e intensadella sua poesia religiosa, daiCanti dell’infermità al Curri-culum vitae. Non a caso accettadi intrattenersi sulle sue poesiedi prima, di assecondare unaedizione «generale» dei suoiversi apprestata da amici edestimatori. La poesia, permea-ta in tutto il suo svolgimento daun brividente senso dell’attesa,rinasce per rispecchiarsi nellafede religiosa: in una vita che,vicina a spegnersi, sembra pro-porsi sotto il segno di una esem-plare compiutezza.

Sainte-Beuve L’ eresia giansenista nel segno di Pascal e Racine che improntò la Francia del ’600:vent’anni per scrivere un capolavoro della letteratura storico-critica, ora in un’edizione magistrale

Rebora L’itinerario umano e poeticodel rosminiano, attraverso le lettere

Sia clementeil gran gridodell’Eterno

Siate affabili(non servili)con il Sovrano

L’enfasi che la cultura oc-cidentale pone sempredi più sul sentimento co-

me criterio dirimente per le scel-te decisive nella vita quotidia-na - svuotandole così di ogni di-mensione di durata e rendendo-le incessantemente reversibili -rischia ormai di degenerare inuna dittatura dell'emozione.

L'assecondare la momenta-nea soddisfazione personale,l'andare «dove porta il cuore»,il mito del realizzare se stessiviene scisso dalla sua dimensio-ne di profondità: conoscere sestessi è cosa ben diversa dal fa-re quello che «si sente» di volerfare in un determinato momen-to. La conoscenza di sé non èaccondiscendenza alle sensa-zioni, richiede invece ascesi, vi-ta interiore, rinunce, lavorioquotidiano per cesellare la pro-pria personalità in un dialogofecondo con gli altri e con lapropria storia.

Interrogarsi su «sentimentie legami umani» è allora que-stione decisiva per discernere

natura e qualità dell'essere uma-no e per collocare se stessi in unadimensione di verità, di pienaappartenenza alla fragile e me-ravigliosa condizione umana.

L'ultimo saggio del card.Gianfraco Ravasi viene in aiutoa questa ricerca, con la consuetacompetenza e con l'ormai notama sempre stupefacente capaci-tà di tradurre in un linguaggiopiano e accattivante anche le ri-

flessioni più complesse e artico-late. Che cos'è l'uomo. Senti-menti e legami umani nellabibbia (San Paolo, pp. 152,€ 16) è un appassionante viag-gio lungo due piste complemen-tari: la prima prende avvio dal«cuore» nella ricchezza del suosignificato biblico per adden-trarsi in quelle sensazioni - lamitezza e la paura, la festa e lasofferenza - che si tramutano in

atteggiamenti e comportamentiquotidiani. Il secondo itinerarioè invece, per così dire, «pittori-co». Tratteggia come in un di-pinto i diversi volti che assumel'amore quando si rende visibilee palpabile: l'amicizia, l'amoresponsale e la sua dilatazione nel-la famiglia, fino alla vecchiaia

concepita come «corona di glo-ria» posta sulla vita intera.

Il filo rosso che consente all'autore di queste pagine, cosìdense e al contempo lievi, di noncadere nel trabocchetto delleemozioni fine a se stesse è il pen-siero biblico: la sapienza di Isra-ele, le parole di Gesù, gli insegna-menti apostolici costituisconol'ossatura di un ragionamentoche si arricchisce dei contributi

di filosofi e pensatori di ognitempo. Uomo di profonda cultu-ra e di dialogo franco e cordiale,il cardinal Ravasi riesce a dire avoce alta quanto ciascuno di noi,se è onesto con se stesso, ricono-sce come vero per sé e per gli al-tri, come cifra della propria e al-trui condizione umana.

Le essenziali illustrazioni diAlessandro Nastasio contribui-scono a rendere ancor più scorre-vole il discorso e ci riconduconoa quel versetto del salmo 8 chel'autore ha voluto porre come ti-tolo e incipit del libro: «Che cos'èl'uomo perché ti ricordi di lui?Che cos'è il figlio dell'uomo per-ché di lui ti prenda cura?».

È domanda che non smettedi abitare il nostro cuore, do-manda cui nessuno di noi riusci-rà mai a dare una risposta pie-na e definitiva, eppure domandache percepiamo chiaramente co-me decisiva per il nostro viverequotidiano e per trasformare inostri sentimenti di un attimo inlegami duraturi, per fare dellanostra vita un'opera d'arte.

Nifo Un trattato cinquecentescosul modo di comportarsi a Corte

LONTANO E VICINOENZO BIANCHI

Lungo i sentieribiblici del cuore

«Che cos’è l’uomo»: il viaggio di Ravasiin dialogo con pensatori di ogni tempo

Personaggi e storieVITuttolibri

SABATO 12 FEBBRAIO 2011LA STAMPA VII

LA BIBBIA ALLA RADIOCompieunanno«Leggere laBibbia»aRadioTre.Domani (h.9,30-11),unapuntataspecialediUominieProfeti, a curadiGabriellaCaramore, farà ilpuntosuquesta letturasistematicaerifletterà inparticolare sul«SanguediDio.Religionieviolenza»(conStefanoLeviDellaTorre,BenedettoCarucciViterbi,MariaCristinaBartolomei,EnzoBianchi,AlbertoVentura).

Ritratto di Agostino Nifo

L’oro di Port-Royal

Immagini dal sito «www.port-royal-des-champs.eu»: una veduta dell’abbazia, il chiostro, il coro della chiesa

Sainte-Beuve

pp Agostino Nifop LA FILOSOFIA NELLA CORTEp a cura di Ennio De Bellisp Bompiani, pp. 784, € 28

Crogiuolo di spiritualitàcon teologi, filosofi,pedagogisti, linguisti,un lungo percorsoda Montaigne a Voltaire

Il cardinale Gianfranco Ravasi

Blaise Pascal

pp Sainte-Beuvep PORT-ROYALp a cura di Mario Richterp Einaudip 2 volumi, pp. CVI - 2098, € 150

Il terzo e ultimo attodell’epistolario,gli anni fra il 1945e il 1957, tra Rovereto,Stresa, la Val Susa

Clemente Rebora in un ritratto di Michele Cascella, 1919

pp Clemente Reborap EPISTOLARIOp Vol.3 1945-1957p Il ritorno alla poesiap a cura di Carmelo Giovanninip Edizioni Dehonianep pp. 623, € 52p Terzo e ultimo volume. Il primo,

«L’anima del poeta» copre gli an-ni 1893 - 1928; il secondo, «Lasvolta rosminiana» va dal 1929al 1944. Attraverso le lettere,un ritratto umano e critico delsacerdote poeta

«Veicolo dell’invisibilenel visibile»: rinascela vocazione liricaper rispecchiarsinella fede religiosa

La necessità di andareoltre la dittaturadell’emozione: comefare della nostravita un’opera d’arte

pp Gianfranco Ravasip CHE COS'È L'UOMO. Sentimen-

ti e legami umani nella bibbiap San Paolo, pp. 152, € 16

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AUGUSTOROMANO

Si muore soli. Lo sap-piamo tutti, anche se facciamofinta di niente. E morire solivuol dire anzitutto che l’espe-rienza della morte non può es-sere condivisa, ma anche cheimprovvisamente scompari-ranno dal nostro orizzonte(non avremo più un orizzon-te!) le persone, i luoghi, gli og-getti che costituiscono il no-stro mondo affettivo. Essi ciabbandoneranno, pensiamo avolte con rancore, per trasci-nare ancora per un poco la lo-ro effimera vita.

Alla solitudine del moritu-ro si accompagna quella dei so-pravvissuti. Nel diario intitola-to Dove lei non è (Einaudi 2010)Barthes ha dato voce, con ac-centi straziati, a ciò che la mor-te della madre ha significatoper lui: «Tristezza intensa econtinua; scorticato senza tre-gua. […]La solitudine definiti-va è presente, opaca, senza or-

mai nessun altro termine chela mia propria morte». Irrevo-cabilità della perdita; doloresenza speranza, se non forsequella di fare delle lacrime ungiaciglio su cui poter riposare,come scrive con penetrantedelicatezza Sant’Agostino.

Né le morti sono soltanto fi-siche. Muoiono gli amori e ir-rompe l’infelicità (che, leopar-dianamente, è felicità perdu-ta); sentiamo che ciò che èscomparso, ed era l’oggettodel nostro desiderio, continuaa possederci e vuole portarcivia con sé. Siamo disperati espaventati; temiamo chel’amore, che nella tradizioneoccidentale è figlio del biso-gno, ci torni indietro inerte, co-me un peso che ci schiaccerà.E’ per venire incontro al no-stro spavento che la culturaha inventato dei modi per ad-domesticare la morte ed attua-re ciò che Ernesto De Martinoha chiamato «controllo ritualedel patire»: per permetterci disopravvivere, essa ci induce al-l’aspra fatica di farci procura-tori di morte, dentro di noi, de-gli estinti voraci e degli amorifiniti. Andremo poi a visitarlibrevemente il due di novem-bre, o in qualche altra più pri-vata ricorrenza.

La solitudine del morente, Laseparazione degli amanti: sono ti-toli di libri (rispettivamente diNorbert Elias e di Igor Caruso),ma sono anche parole che, nellaloro lenta pronuncia, si fanno se-gnali della inevitabilità della soli-tudine. Una solitudine che, nei ca-si più disperati, si fa isolamento,rifiuto di ogni possibile dialogo,desertificazione delle emozioni,assenza di futuro. La testimo-nianza letteraria più alta di que-sto esito è il mirabile racconto diH. Melville che si intitola Bart-leby. Il protagonista, che fa il copi-sta nello studio di un avvocato, ri-sponde «Preferirei di no» a qual-

siasi richiesta, e appare al suo da-tore di lavoro «così sbiadito nellasua decenza, così miserabile nel-la sua rispettabilità, così dispera-to nella sua solitudine». Una iner-mità inscalfibile; e un’ascesi coat-ta, una spoliazione che non si puòevitare, tragica in quanto non è ilrisultato di una scelta, il punto diarrivo di un percorso, ma piutto-sto la contrazione di un destinoin un punto, in cui l’energia restaincapsulata per sempre.

Da anni Eugenio Borgna vacompiendo, in una serie di libriaffascinanti, un ampio affrescodei costrutti affettivi colti nel lo-ro vario declinarsi. I pregi di que-

sto suo impegno sono molteplici,e tanto più importanti in quantovanno in controtendenza rispet-to all’attuale asfissiante propen-sione a ricondurre ogni sapere auna tecnica.

Anzitutto Borgna, che pure èpsichiatra, mostra persuasiva-mente come la psicopatologia af-fondi le sue radici nell’universal-mente umano; ed evita così quel-la che potremmo chiamare lamedicalizzazione dei sentimenti,che è una delle più tristi manife-stazioni del disincanto del mon-do. Inoltre, in quanto assume unpunto di vista fenomenologico, èalieno da ogni forma di riduzioni-smo e si impegna piuttosto nelladescrizione accurata e partecipedelle tante sfumature che i senti-menti mostrano nel loro concre-to presentarsi.

A tal fine, utilizza spesso testiletterari e poetici, giustamenteconvinto che i prodotti dell’im-maginazione creatrice rivelino,assai meglio della ragione discor-siva, le radici profonde delle

esperienze emozionali. Si potreb-be dire che il linguaggio poetico,con la sua pregnanza e la suaabissalità, è il più adatto a espri-mere la illimitata significazionedei vissuti emotivi.

Nell’ ultimo saggio, La solitu-dine dell’anima viene descritta edesemplificata non solo nel suoversante distruttivo ma anchenel suo nucleo positivo. Giacché,se è vero che l’isolamento tragi-co e senza speranza è ciò chemaggiormente colpisce, la solitu-dine resta però un farmaco es-senziale per la cura dell’anima.Essa è il luogo della riflessione,dell’incontro con se stessi, del ri-trovamento e del rinnovamentodi ciò che dà significato. Anche ildolore può farsi promotore diquesta discesa ad inferos, di que-sto silenzio che fa veci di madre,almeno sino a quando in essobrilli la fiamma di una speranza.

Se oggi la ideologia prevalen-te predica l’oblio di noi stessi al fi-ne di alienarci a un’idea della vitacome «passatempo», praticarela solitudine è tornare a casa: èquesta – scrive Borgna – «la com-pagna di strada che ci salva daidiscorsi inutili e dagli impegnicontaminati dalla insignifican-za». Perché, scriveva Nietzsche,«là dove la solitudine finisce, co-mincia il mercato».

GIUSEPPEMARCENARO

Sperimentò la fecon-dazione artificiale. Ignoti i risul-tati. Vagheggiò l'ibernazione estudiò una ghiacciaia per con-servare lo sperma dei soldati inpartenza per la guerra. Scien-ziato furibondo, darwinianoconvinto, antropologo acceso,patriota - aveva partecipatocon la madre Laura Solera allaCinque Giornate di Milano - einfine parlamentare: deputatoprogressista dal 1865 al '76,quindi senatore del Regno. De-finì il parlamento quale «il piùalto laboratorio di forze disper-se. Qui abbiamo la più alta per-fezione di un meccanismo al ro-vescio, dove tutte le forze si tra-sformano in attriti». Ma PaoloMantegazza, monzese, classe1831, fu soprattutto il ferventedivulgatore delle più disparatefisiologie dei piaceri, dell'igienedell'amore, del sesso nelle sueforme più combinatorie, delleestasi umane al naturale, consapiente ed abbondante uso diadditivi del tipo cocaina, me-scalina, caffeina, ecc. nelle piùcuriose e inaspettate declina-zioni: in questo Mantegazza fuproblematico scienziato dell'esperienza umana, in fase ab-bondantementesperimentale.

Procedeva a naso con positi-vistica illusione, sprofondandoin abbaglianti e inaspettati va-neggiamenti. Era un convintosostenitore della sostituzionedel tabacco con la coca, rite-nendo quest'ultima un piacerepiù salubre: «Fatevi coquero;l'aria che voi rendete insalubrecol tabacco per voi, incomodaper gli altri, riprenderà tutta lasua purezza; e se voi sceglietela coca di buona qualità, vedre-te che un pizzico di foglie masti-cate soavemente, vale benequalche zigaro e vi riscalderà ilcuore al di dentro e al di fuori».

Autore di una rutilante bi-bliografia dalle inaspettate tira-ture, vendeva scienza ed eraletto come scrittore erotico. Isuoi libri vennero esplorati conlubriche partecipazioni. Fu for-se il primo a metter mano auna specie di educazione ses-suale spiegata al popolo, susci-tando insani vapeurs in fanciul-le timorate e in azzimati gani-medi. Convinto divulgatore diuna scienza dietro cui s'occul-tavano solettichii prude, eral'autore di strepitose fiction, in-clinate sulle sue pervicaci con-vinzioni: il godimento, le varieforme dell'amore, le proibizio-ni, le perversioni…

Forse non era proprio lui,restando sospeso il dubbio, a

voler mettere nelle sue pagine ilseme d'ogni malizia, lasciato na-turalmente alla frenesia dei suoilettori, a un tempo imbarazzati egolosissimi. Ammantava con lascienza quel che al tempo suo,diffusamente, era consideratopeccaminoso. Storia vecchia co-me il mondo e di sempre lampan-

te attualità. Mantegazza produ-ceva proibizioni da sottobanco:al contrario d'oggi, esibito e col-lettivo diletto affidato ai reality eai settimanali di gossip.

Sempre e comunque la stes-sa minestra: la cupidigia versussesso, di chi, con chi e quando.Ai tempi del fisiologo dei piace-ri «degenerazioni» da sussurra-re. Poi, nel tempo, da renderepalesi sui patinati quali meda-glie al valore, esibite alla dichia-rata, dissimulata riprovazionee all'invidia repressa di bramosilettori voyeurs.

Esordì nel 1868 con un auten-tico best-seller: Un giorno a Ma-dera. Solo in apparenza operad'accatto - lettura comunqueprediletta da portinaie, cocotte einsospettabili nobildonne - concui Mantegazza si illuse di svol-gere un'opera di propaganda po-polare contro i matrimoni tra tu-bercolotici. Libro che nelladrammaticità del tema ebbe laforza, non certo letteraria, d'es-sere letto per la sua fatalisticaaura di proibito. Qui si trattavadi malattia colpevole cui non sidoveva far cenno. E fu comun-que l'opera che, reso celebrel'autore, funse da introibo a unaserie di mantegazzate para-scientifiche, sapientemente or-chestrate, lette con furibondacuriosità, specie quando tratta-

vano di «spinosità» quali la Fisio-logia dell'amore (1873), Igienedell'amore (1877), La fisiologiadel piacere (1880), Le estasi uma-ne (1887), trionfando con la Fisio-logia della donna (1893), dove,con ginecologica acribia Mante-gazza suggerisce - education sen-timentale di derivazione anato-mica - dove si debba toccare, sol-lecitare, agire e succedanee rea-zioni. Per arrivare al verticismod'un tomo di quasi 900 paginededicato a «Quadri della naturaumana»: Feste ed ebbrezze, edito

nel 1871, con l'ambizione antro-pologica di raccontare come sipossa godere degli stordimentidell'amore, in gioventù e in vec-chiaia, partecipando a baccanalipubblici e privati. Insomma unimproprio kamasutra delle for-me collettive di incontri d'ognitipo: dalle «giostre» tribali ai fe-stini privati dei potenti, con de-cor di zambraccole e ruffiani.

E in questo Mantegazza fuprofeta: «La natura ancor pocoesplorata darà ai nostri figliuolimille nuove occasioni che velli-cheranno i loro nervi e il cervellonei modi più svariati …Man ma-no che l'uomo s'innalza getta viala zavorra del pregiudizio facen-do crescere in sé un'ebbrezza in-definita e inspiegabile…».

A detta dei cultori pare cheMantegazza un merito comun-que l'abbia avuto, frutto del suc-cesso dei suoi Almanacchi d'igie-ne, avviati nel 1864 che, con la lo-ro enorme diffusione anche nellafamiglie più semplici, contribui-rono alla diffusione delle normeigieniche connesse alla sessuali-tà, dalle sue forme «elementari»a quelle più «speciosamente pro-blematiche». L'ineffabile autorechiuse la propria attività lettera-ria nel 1890 con Le leggende deifiori, trattato sulle impollinazionie la sessualità nel mondo vegeta-le. Ovviamente.

Una «compagnadi strada che ci salvadai discorsi inutilie dagli impegniinsignificanti»

Lo psichiatra, ancheattraverso testi poeticie letterari, mostrale radici più profondedelle nostre emozioni

Nell’Italia unita fuforse il primo a spiegareal popolo una sortadi educazione sessuale,tra scienza e peccato

Impollineraicosì la fanciulla

La solitudineè il farmacodell’anima

FLAVIOCAROLI

Volti d’amore= Eros e arte. Flavio Caroli haallestito una galleria cheattraversa i secoli: Il voltodell’amore (Mondadori, pp.100, € 18), dalla sensualitàpagana al nostro tempo. Traparole e immagini, come«L’Amor sacro e l’Amor

profano» di Tiziano Vecellio(sopra riprodotto), stazionecinquecentesca di un viaggioche dalle decorazioni parietalipomepiane giunge a FrancisBacon e a Jeff Koons. Dicapolavoro in capolavoro, unomaggio al «pensiero infigura» d’Occidente, firmatovia via Lotto, Buonarroti,Bernini, Courbet («L’origine delmondo»), Hayez «Il bacio»,Modigliani («Il grande nudo»),Picasso («Dora Maaar»).«L’anima e il volto. Laspeculazione sul profondoattraverso la raffigurazione delvolto e del corpo - ricordaFlavio Caroli - significaanzitutto - come sostengonoCartesio nel Seicento, Diderotnel Settecento e Freud nelNovecento - analisi delleemozioni, o per meglio dire,delle passioni. Prima delle qualil’amore».

IN VERSI

Un lungo sogno= Antologie di versi doveattingere un non ovvio «ti amo».Scovando le parole ad hoc inquesta o in quella officina lirica.Poeti innamoratiè l’antologia acura di Patrizia ValdugaperInterlinea (pp. 87, € 10). DaGuittone a Raboni, dal Duecentoa oggi, una scelta di cuore più checritica, innalzando e escludendo,ma non motivando. Ignorando,per esempio, Gozzano (ma il suo«donna mistero senza fine bello»è un omaggio di rara essenza),retrocedendoMontale, rispetto aRebora e Betocchi (ma «l’attesa èlunga / il mio sogno di te non èfinito» è un sillabare di sicuraseduzione).Da Einaudi, Che cos’è l’amor,ovvero «poesie per chi si ama» (acura di Fabiano Massimi, pp. 329,

€ 18): da Petrarca a FeliceCavallotti, da Gozzano (eccolo) aBufalino,da Pavese a AntoniaPozzi. Ponte alle Grazie proponeChe cosa è per me la tua bocca,versi e disegni di E.E.Cummings(pp. 139, € 13). Da Mondadori: Ilnostroamore un sogno, vociromantiche, a cura di GuidoDavico Bonino (pp. 336, € 12) ePoesied’amore di Hesse tradotteda Anna Ruchat. (pp. 126, € 9).

COLETTE E CVETAEVA

A Missy e Rilke= «Mia amata che adoro...».Dal 1907 al 1940, le Lettere aMissy di Colette, ora daArchinto (pp. 217, € 17, a curadi Samai Borddji e FrédéricMaget, traduzione di AnnaMorpurgo). Un capitolo dellainquieta vita sentimentale di

Colette. Separatasi da Willy,uno dei tre mariti, la scrittricesi volgerà alla marchesa deMormy, detta Missy, ricca eanticonvenzionale. Una storiad’amore che non resisterà alcarattere di Colette: «...dabambina incorreggibile,troppo viziata, collerica qual è,mal si adatta all’inguaribilemalinconia dell’amica»,inevitabile sarà la rottura...Da SE, le Lettere di MarinaCvetaeva e Rainer Maria Rilke(a cura di Pikn a De Luca eAmnelia Valtolina, traduzionedi Ugo Persi, pp. 103, € 13).Mai incontrandosi i due poetiche entrano fra loroincontatto tramite BorisPasternak vivono una storia di«amor lontano». Lunga quasitutto il 1926, dal mese dimaggio al 7 novembre: «CaroRainer! Io vivo qui. Mi amiancora?».

MORLEY CALLAGHAN

Tre amanti= I racconti di MorleyCallaghan (1903 - 1990), loscrittore che salì sul ring conHeningway, mandandolo altappeto. Tre amanti esce nellaBur Rizzoli (pp. 125, € 8,40, trad.di Paolo Falcone). «Callaghan -osserva nella postfazioneAntonio Pascale - vuole dirci:piccoli e ben appropriatimovimenti dell’animo umanoconducono al ritrovamento disentimenti primordiali, semplici,rozzi, ma potenti e affilati. Glistati d’animo primordiali rivelanosì l’essenza dei personaggi e nellostesso tempo li dissolvono. Restal’aureola, un rumore dirisacca...».Il racconto «Un’avventura», funel 1928 la prima short storypubblicata dal New Yorker.

RICHARD YATES

Che bugiardi= Sette racconti inediti diRichard Yates, voce del realismoamericano secondo ‘900, con iltitolo Bugiardi e innamorati,escono da minimum fax (pp.319, € 13,50, trad. di AndreinaLombardi Bom, pref. di GiorgioVasta): illusioni e tormentidell’amore, un grande abbaglio.

PER LEGGERLOLibridi PaoloMantegazzasonostati ripropostidaStudioTesi(«Fisiologiadel piacere»,1992),PensaMultimedia («Igienedell’amore»e «Fisiologiadell’amore»,2003e 2004),Carocci «L’artedi prendermoglie.L’artedi prendermarito»,2008).MonicaBonigli ha dedicato labiografia«L’eroticosenatore»,ed.Name,2002.

pp Eugenio Borgnap LA SOLITUDINE DELL’ANIMAp Feltrinellip pp. 194, € 15

Borgna Scoprire anche il nucleo positivo del restare soli:una riflessione per ritrovare, curare e rinnovare se stessi

Lettere e racconti

PaoloMantegazza,

monzese,classe 1831,Scienziatofuribondo,

darwinianoconvinto,

antropologoacceso,

patriotache partecipò

alle Cinquegiornate,deputato

progressista.Enorme

diffusioneebbero i suoi

«Almanacchid'igiene»,

avviatinel 1864

Mantegazza L’ottocentesco, fervente divulgatoredelle più disparate fisiologie dei piaceri e dell’amore

Idee, oltre San ValentinoVIIITuttolibri

SABATO 12 FEBBRAIO 2011LA STAMPA IX

Dipinti e versi

Un dipinto di Edward Hopper

Eugenio Borgna

«L’Amor sacro e l’Amor profano» di Tiziano, 1514 -1515

150O

Libri d’ItaliaPer il 2011

...raccolgaci un’ unica bandiera, una speme.Dal Canto degli Italiani di Goffredo Mameli

Da mercoledì 16 febbraioin edicola a 12,90 € in più

...mi sono trovato rapidamente coinvolto dalla lettura di un testo dai toni pacati, privo di espedienti retorici, che ho però trovato capace di provocare in me una forte partecipazione emotiva. Arrigo Levi

La Stampa e Scripta Maneant presentano Bandiera Madre: i tre colori della vita di Ugo Bellocchi

Prefazione di Arrigo Levi - Introduzione di Rita Levi Montalcini

CON L’ADESIONE DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

A centocinquant'anni dalla nascita dell'Italia questo splendido volume racconta, attraverso la storia del Tricolore, quella del nostro Paese e delle sue radici. Un testo scrupolosamente documentato in ogni suo passaggio, un'occasione per rifl ettere oggi sul valore della nostra identità nazionale.

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InOMAGGIO

la BANDIERAITALIANA

formato70X100 cm

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Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - IX - 12/02/11 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/08 - Autore: MARGAL - Ora di stampa: 11/02/11 19.36

AUGUSTOROMANO

Si muore soli. Lo sap-piamo tutti, anche se facciamofinta di niente. E morire solivuol dire anzitutto che l’espe-rienza della morte non può es-sere condivisa, ma anche cheimprovvisamente scompari-ranno dal nostro orizzonte(non avremo più un orizzon-te!) le persone, i luoghi, gli og-getti che costituiscono il no-stro mondo affettivo. Essi ciabbandoneranno, pensiamo avolte con rancore, per trasci-nare ancora per un poco la lo-ro effimera vita.

Alla solitudine del moritu-ro si accompagna quella dei so-pravvissuti. Nel diario intitola-to Dove lei non è (Einaudi 2010)Barthes ha dato voce, con ac-centi straziati, a ciò che la mor-te della madre ha significatoper lui: «Tristezza intensa econtinua; scorticato senza tre-gua. […]La solitudine definiti-va è presente, opaca, senza or-

mai nessun altro termine chela mia propria morte». Irrevo-cabilità della perdita; doloresenza speranza, se non forsequella di fare delle lacrime ungiaciglio su cui poter riposare,come scrive con penetrantedelicatezza Sant’Agostino.

Né le morti sono soltanto fi-siche. Muoiono gli amori e ir-rompe l’infelicità (che, leopar-dianamente, è felicità perdu-ta); sentiamo che ciò che èscomparso, ed era l’oggettodel nostro desiderio, continuaa possederci e vuole portarcivia con sé. Siamo disperati espaventati; temiamo chel’amore, che nella tradizioneoccidentale è figlio del biso-gno, ci torni indietro inerte, co-me un peso che ci schiaccerà.E’ per venire incontro al no-stro spavento che la culturaha inventato dei modi per ad-domesticare la morte ed attua-re ciò che Ernesto De Martinoha chiamato «controllo ritualedel patire»: per permetterci disopravvivere, essa ci induce al-l’aspra fatica di farci procura-tori di morte, dentro di noi, de-gli estinti voraci e degli amorifiniti. Andremo poi a visitarlibrevemente il due di novem-bre, o in qualche altra più pri-vata ricorrenza.

La solitudine del morente, Laseparazione degli amanti: sono ti-toli di libri (rispettivamente diNorbert Elias e di Igor Caruso),ma sono anche parole che, nellaloro lenta pronuncia, si fanno se-gnali della inevitabilità della soli-tudine. Una solitudine che, nei ca-si più disperati, si fa isolamento,rifiuto di ogni possibile dialogo,desertificazione delle emozioni,assenza di futuro. La testimo-nianza letteraria più alta di que-sto esito è il mirabile racconto diH. Melville che si intitola Bart-leby. Il protagonista, che fa il copi-sta nello studio di un avvocato, ri-sponde «Preferirei di no» a qual-

siasi richiesta, e appare al suo da-tore di lavoro «così sbiadito nellasua decenza, così miserabile nel-la sua rispettabilità, così dispera-to nella sua solitudine». Una iner-mità inscalfibile; e un’ascesi coat-ta, una spoliazione che non si puòevitare, tragica in quanto non è ilrisultato di una scelta, il punto diarrivo di un percorso, ma piutto-sto la contrazione di un destinoin un punto, in cui l’energia restaincapsulata per sempre.

Da anni Eugenio Borgna vacompiendo, in una serie di libriaffascinanti, un ampio affrescodei costrutti affettivi colti nel lo-ro vario declinarsi. I pregi di que-

sto suo impegno sono molteplici,e tanto più importanti in quantovanno in controtendenza rispet-to all’attuale asfissiante propen-sione a ricondurre ogni sapere auna tecnica.

Anzitutto Borgna, che pure èpsichiatra, mostra persuasiva-mente come la psicopatologia af-fondi le sue radici nell’universal-mente umano; ed evita così quel-la che potremmo chiamare lamedicalizzazione dei sentimenti,che è una delle più tristi manife-stazioni del disincanto del mon-do. Inoltre, in quanto assume unpunto di vista fenomenologico, èalieno da ogni forma di riduzioni-smo e si impegna piuttosto nelladescrizione accurata e partecipedelle tante sfumature che i senti-menti mostrano nel loro concre-to presentarsi.

A tal fine, utilizza spesso testiletterari e poetici, giustamenteconvinto che i prodotti dell’im-maginazione creatrice rivelino,assai meglio della ragione discor-siva, le radici profonde delle

esperienze emozionali. Si potreb-be dire che il linguaggio poetico,con la sua pregnanza e la suaabissalità, è il più adatto a espri-mere la illimitata significazionedei vissuti emotivi.

Nell’ ultimo saggio, La solitu-dine dell’anima viene descritta edesemplificata non solo nel suoversante distruttivo ma anchenel suo nucleo positivo. Giacché,se è vero che l’isolamento tragi-co e senza speranza è ciò chemaggiormente colpisce, la solitu-dine resta però un farmaco es-senziale per la cura dell’anima.Essa è il luogo della riflessione,dell’incontro con se stessi, del ri-trovamento e del rinnovamentodi ciò che dà significato. Anche ildolore può farsi promotore diquesta discesa ad inferos, di que-sto silenzio che fa veci di madre,almeno sino a quando in essobrilli la fiamma di una speranza.

Se oggi la ideologia prevalen-te predica l’oblio di noi stessi al fi-ne di alienarci a un’idea della vitacome «passatempo», praticarela solitudine è tornare a casa: èquesta – scrive Borgna – «la com-pagna di strada che ci salva daidiscorsi inutili e dagli impegnicontaminati dalla insignifican-za». Perché, scriveva Nietzsche,«là dove la solitudine finisce, co-mincia il mercato».

GIUSEPPEMARCENARO

Sperimentò la fecon-dazione artificiale. Ignoti i risul-tati. Vagheggiò l'ibernazione estudiò una ghiacciaia per con-servare lo sperma dei soldati inpartenza per la guerra. Scien-ziato furibondo, darwinianoconvinto, antropologo acceso,patriota - aveva partecipatocon la madre Laura Solera allaCinque Giornate di Milano - einfine parlamentare: deputatoprogressista dal 1865 al '76,quindi senatore del Regno. De-finì il parlamento quale «il piùalto laboratorio di forze disper-se. Qui abbiamo la più alta per-fezione di un meccanismo al ro-vescio, dove tutte le forze si tra-sformano in attriti». Ma PaoloMantegazza, monzese, classe1831, fu soprattutto il ferventedivulgatore delle più disparatefisiologie dei piaceri, dell'igienedell'amore, del sesso nelle sueforme più combinatorie, delleestasi umane al naturale, consapiente ed abbondante uso diadditivi del tipo cocaina, me-scalina, caffeina, ecc. nelle piùcuriose e inaspettate declina-zioni: in questo Mantegazza fuproblematico scienziato dell'esperienza umana, in fase ab-bondantementesperimentale.

Procedeva a naso con positi-vistica illusione, sprofondandoin abbaglianti e inaspettati va-neggiamenti. Era un convintosostenitore della sostituzionedel tabacco con la coca, rite-nendo quest'ultima un piacerepiù salubre: «Fatevi coquero;l'aria che voi rendete insalubrecol tabacco per voi, incomodaper gli altri, riprenderà tutta lasua purezza; e se voi sceglietela coca di buona qualità, vedre-te che un pizzico di foglie masti-cate soavemente, vale benequalche zigaro e vi riscalderà ilcuore al di dentro e al di fuori».

Autore di una rutilante bi-bliografia dalle inaspettate tira-ture, vendeva scienza ed eraletto come scrittore erotico. Isuoi libri vennero esplorati conlubriche partecipazioni. Fu for-se il primo a metter mano auna specie di educazione ses-suale spiegata al popolo, susci-tando insani vapeurs in fanciul-le timorate e in azzimati gani-medi. Convinto divulgatore diuna scienza dietro cui s'occul-tavano solettichii prude, eral'autore di strepitose fiction, in-clinate sulle sue pervicaci con-vinzioni: il godimento, le varieforme dell'amore, le proibizio-ni, le perversioni…

Forse non era proprio lui,restando sospeso il dubbio, a

voler mettere nelle sue pagine ilseme d'ogni malizia, lasciato na-turalmente alla frenesia dei suoilettori, a un tempo imbarazzati egolosissimi. Ammantava con lascienza quel che al tempo suo,diffusamente, era consideratopeccaminoso. Storia vecchia co-me il mondo e di sempre lampan-

te attualità. Mantegazza produ-ceva proibizioni da sottobanco:al contrario d'oggi, esibito e col-lettivo diletto affidato ai reality eai settimanali di gossip.

Sempre e comunque la stes-sa minestra: la cupidigia versussesso, di chi, con chi e quando.Ai tempi del fisiologo dei piace-ri «degenerazioni» da sussurra-re. Poi, nel tempo, da renderepalesi sui patinati quali meda-glie al valore, esibite alla dichia-rata, dissimulata riprovazionee all'invidia repressa di bramosilettori voyeurs.

Esordì nel 1868 con un auten-tico best-seller: Un giorno a Ma-dera. Solo in apparenza operad'accatto - lettura comunqueprediletta da portinaie, cocotte einsospettabili nobildonne - concui Mantegazza si illuse di svol-gere un'opera di propaganda po-polare contro i matrimoni tra tu-bercolotici. Libro che nelladrammaticità del tema ebbe laforza, non certo letteraria, d'es-sere letto per la sua fatalisticaaura di proibito. Qui si trattavadi malattia colpevole cui non sidoveva far cenno. E fu comun-que l'opera che, reso celebrel'autore, funse da introibo a unaserie di mantegazzate para-scientifiche, sapientemente or-chestrate, lette con furibondacuriosità, specie quando tratta-

vano di «spinosità» quali la Fisio-logia dell'amore (1873), Igienedell'amore (1877), La fisiologiadel piacere (1880), Le estasi uma-ne (1887), trionfando con la Fisio-logia della donna (1893), dove,con ginecologica acribia Mante-gazza suggerisce - education sen-timentale di derivazione anato-mica - dove si debba toccare, sol-lecitare, agire e succedanee rea-zioni. Per arrivare al verticismod'un tomo di quasi 900 paginededicato a «Quadri della naturaumana»: Feste ed ebbrezze, edito

nel 1871, con l'ambizione antro-pologica di raccontare come sipossa godere degli stordimentidell'amore, in gioventù e in vec-chiaia, partecipando a baccanalipubblici e privati. Insomma unimproprio kamasutra delle for-me collettive di incontri d'ognitipo: dalle «giostre» tribali ai fe-stini privati dei potenti, con de-cor di zambraccole e ruffiani.

E in questo Mantegazza fuprofeta: «La natura ancor pocoesplorata darà ai nostri figliuolimille nuove occasioni che velli-cheranno i loro nervi e il cervellonei modi più svariati …Man ma-no che l'uomo s'innalza getta viala zavorra del pregiudizio facen-do crescere in sé un'ebbrezza in-definita e inspiegabile…».

A detta dei cultori pare cheMantegazza un merito comun-que l'abbia avuto, frutto del suc-cesso dei suoi Almanacchi d'igie-ne, avviati nel 1864 che, con la lo-ro enorme diffusione anche nellafamiglie più semplici, contribui-rono alla diffusione delle normeigieniche connesse alla sessuali-tà, dalle sue forme «elementari»a quelle più «speciosamente pro-blematiche». L'ineffabile autorechiuse la propria attività lettera-ria nel 1890 con Le leggende deifiori, trattato sulle impollinazionie la sessualità nel mondo vegeta-le. Ovviamente.

Una «compagnadi strada che ci salvadai discorsi inutilie dagli impegniinsignificanti»

Lo psichiatra, ancheattraverso testi poeticie letterari, mostrale radici più profondedelle nostre emozioni

Nell’Italia unita fuforse il primo a spiegareal popolo una sortadi educazione sessuale,tra scienza e peccato

Impollineraicosì la fanciulla

La solitudineè il farmacodell’anima

FLAVIOCAROLI

Volti d’amore= Eros e arte. Flavio Caroli haallestito una galleria cheattraversa i secoli: Il voltodell’amore (Mondadori, pp.100, € 18), dalla sensualitàpagana al nostro tempo. Traparole e immagini, come«L’Amor sacro e l’Amor

profano» di Tiziano Vecellio(sopra riprodotto), stazionecinquecentesca di un viaggioche dalle decorazioni parietalipomepiane giunge a FrancisBacon e a Jeff Koons. Dicapolavoro in capolavoro, unomaggio al «pensiero infigura» d’Occidente, firmatovia via Lotto, Buonarroti,Bernini, Courbet («L’origine delmondo»), Hayez «Il bacio»,Modigliani («Il grande nudo»),Picasso («Dora Maaar»).«L’anima e il volto. Laspeculazione sul profondoattraverso la raffigurazione delvolto e del corpo - ricordaFlavio Caroli - significaanzitutto - come sostengonoCartesio nel Seicento, Diderotnel Settecento e Freud nelNovecento - analisi delleemozioni, o per meglio dire,delle passioni. Prima delle qualil’amore».

IN VERSI

Un lungo sogno= Antologie di versi doveattingere un non ovvio «ti amo».Scovando le parole ad hoc inquesta o in quella officina lirica.Poeti innamoratiè l’antologia acura di Patrizia ValdugaperInterlinea (pp. 87, € 10). DaGuittone a Raboni, dal Duecentoa oggi, una scelta di cuore più checritica, innalzando e escludendo,ma non motivando. Ignorando,per esempio, Gozzano (ma il suo«donna mistero senza fine bello»è un omaggio di rara essenza),retrocedendoMontale, rispetto aRebora e Betocchi (ma «l’attesa èlunga / il mio sogno di te non èfinito» è un sillabare di sicuraseduzione).Da Einaudi, Che cos’è l’amor,ovvero «poesie per chi si ama» (acura di Fabiano Massimi, pp. 329,

€ 18): da Petrarca a FeliceCavallotti, da Gozzano (eccolo) aBufalino,da Pavese a AntoniaPozzi. Ponte alle Grazie proponeChe cosa è per me la tua bocca,versi e disegni di E.E.Cummings(pp. 139, € 13). Da Mondadori: Ilnostroamore un sogno, vociromantiche, a cura di GuidoDavico Bonino (pp. 336, € 12) ePoesied’amore di Hesse tradotteda Anna Ruchat. (pp. 126, € 9).

COLETTE E CVETAEVA

A Missy e Rilke= «Mia amata che adoro...».Dal 1907 al 1940, le Lettere aMissy di Colette, ora daArchinto (pp. 217, € 17, a curadi Samai Borddji e FrédéricMaget, traduzione di AnnaMorpurgo). Un capitolo dellainquieta vita sentimentale di

Colette. Separatasi da Willy,uno dei tre mariti, la scrittricesi volgerà alla marchesa deMormy, detta Missy, ricca eanticonvenzionale. Una storiad’amore che non resisterà alcarattere di Colette: «...dabambina incorreggibile,troppo viziata, collerica qual è,mal si adatta all’inguaribilemalinconia dell’amica»,inevitabile sarà la rottura...Da SE, le Lettere di MarinaCvetaeva e Rainer Maria Rilke(a cura di Pikn a De Luca eAmnelia Valtolina, traduzionedi Ugo Persi, pp. 103, € 13).Mai incontrandosi i due poetiche entrano fra loroincontatto tramite BorisPasternak vivono una storia di«amor lontano». Lunga quasitutto il 1926, dal mese dimaggio al 7 novembre: «CaroRainer! Io vivo qui. Mi amiancora?».

MORLEY CALLAGHAN

Tre amanti= I racconti di MorleyCallaghan (1903 - 1990), loscrittore che salì sul ring conHeningway, mandandolo altappeto. Tre amanti esce nellaBur Rizzoli (pp. 125, € 8,40, trad.di Paolo Falcone). «Callaghan -osserva nella postfazioneAntonio Pascale - vuole dirci:piccoli e ben appropriatimovimenti dell’animo umanoconducono al ritrovamento disentimenti primordiali, semplici,rozzi, ma potenti e affilati. Glistati d’animo primordiali rivelanosì l’essenza dei personaggi e nellostesso tempo li dissolvono. Restal’aureola, un rumore dirisacca...».Il racconto «Un’avventura», funel 1928 la prima short storypubblicata dal New Yorker.

RICHARD YATES

Che bugiardi= Sette racconti inediti diRichard Yates, voce del realismoamericano secondo ‘900, con iltitolo Bugiardi e innamorati,escono da minimum fax (pp.319, € 13,50, trad. di AndreinaLombardi Bom, pref. di GiorgioVasta): illusioni e tormentidell’amore, un grande abbaglio.

PER LEGGERLOLibridi PaoloMantegazzasonostati ripropostidaStudioTesi(«Fisiologiadel piacere»,1992),PensaMultimedia («Igienedell’amore»e «Fisiologiadell’amore»,2003e 2004),Carocci «L’artedi prendermoglie.L’artedi prendermarito»,2008).MonicaBonigli ha dedicato labiografia«L’eroticosenatore»,ed.Name,2002.

pp Eugenio Borgnap LA SOLITUDINE DELL’ANIMAp Feltrinellip pp. 194, € 15

Borgna Scoprire anche il nucleo positivo del restare soli:una riflessione per ritrovare, curare e rinnovare se stessi

Lettere e racconti

PaoloMantegazza,

monzese,classe 1831,Scienziatofuribondo,

darwinianoconvinto,

antropologoacceso,

patriotache partecipò

alle Cinquegiornate,deputato

progressista.Enorme

diffusioneebbero i suoi

«Almanacchid'igiene»,

avviatinel 1864

Mantegazza L’ottocentesco, fervente divulgatoredelle più disparate fisiologie dei piaceri e dell’amore

Idee, oltre San ValentinoVIIITuttolibri

SABATO 12 FEBBRAIO 2011LA STAMPA IX

Dipinti e versi

Un dipinto di Edward Hopper

Eugenio Borgna

«L’Amor sacro e l’Amor profano» di Tiziano, 1514 -1515

150O

Libri d’ItaliaPer il 2011

L’autrice di romanzi storiciprima assoluta nelle classifiche

di tutto il mondo.

In tutte le librerieQuesto libro è disponibile anche in versione ebookwww.sperling.it - www.facebook.com/sperling.kupfer

Page 10: Tuttolibri n. 1753 (19-02-2011)

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2 80

549La monetadi Akragas

CAMILLERISKIRA

63

6Benvenutinella miacucinaPARODIVALLARDI

577

Tascabili

La mappadel destino

COOPERNORD

100

10

86

SaggisticaNarrativaitaliana

1. La versione di Barney 80RICHLER 12,00 ADELPHI

2. Se questo è un uomo 41LEVI 10,50 EINAUDI

3. Il bambino con il pigiama... 32DE LUCA 10,00 BUR

4. La biblioteca dei morti 30COOPER 13,00 TEA

5. Diario 28FRANK 12,50 EINAUDI

6. Troppu trafficu ppi nenti 25CAMILLERI; DIPASQUALE 11,00 MONDADORI

7. Il piccolo principe 24SAINT-EXUPERY 7,50 BOMPIANI

8. L’amico ritrovato 21UHLMAN 5,50 FELTRINELLI

9. Non avevo capito niente 19DE SILVA 11,00 EINAUDI

10.La solitudine dei numeri... 18GIORDANO 13,00 MONDADORI

55

Ogni cosa allasua stagione

BIANCHIEINAUDI

Narrativastraniera Varia Ragazzi

LA CLASSIFICA DI TUTTOLIBRI È REALIZZATA DALLA SOCIETÀ NIELSEN BOOKSCAN, ANALIZZANDO I DATI DELLE COPIE VENDUTE OGNI SETTIMANA, RACCOLTI IN UN CAMPIONE DI 1100 LIBRERIE.SI ASSEGNANO I 100 PUNTI AL TITOLO PIÙ VENDUTO TRA LE NOVITÀ. TUTTI GLI ALTRI SONO CALCOLATI IN PROPORZIONE. LA RILEVAZIONE SI RIFERISCE AI GIORNI DAL 30 GENNAIO AL 5 FEBBRAIO.

AI PUNTILUCIANO GENTA

A Boseinneggiano:beati i primi

Io e te

AMMANITIEINAUDI

8

Le Beatrici

BENNIFELTRINELLI

Il profumodelle fogliedi limoneSÁNCHEZGARZANTI

La versionedi Barney

RICHLERADELPHI

3

58

1

Odoredi chiuso

MALVALDISELLERIO

5

L’allieva

GAZZOLALONGANESI

74

Beati i primi, inneggiano i monaci di Bose: il loro prio-re conquista i 100 punti con un valore in copie vendu-te poco sotto quota 7000, nel nostro campione di sole

librerie, che da questa settimana include anche quelle religio-se, portando la rosa dei punti di rilevazione a 1100. Il libro diEnzo Bianchi, incluso in saggistica, è soprattutto un raccon-to, tra meditazione e memoria, un diario di concreta e umilevitalità, una ricerca di silenzio interiore oltre il rumore di unmondo esterno, Babele di lingue e Gomorra di seduzioni. Etrova la sua sintesi emblematica nei ritratti finali della mae-stra e della postina, le due donne che han fatto da madri esorelle a Enzo, presto orfano, e hanno condiviso la loro vec-

chiaia in comunità, dove lui le ha accompagnate tenendoleper mano, fino all’ultimo respiro. Sono donne più birichine,giocose e ridarelle le otto Beatrici di Benni, primo ingressonel gruppo dei 10 al vertice, a cominciare da quella che al-l’Alighieri pareva tanto gentile e tanto onesta e ai suoi versiora preferisce le canzoni di Fabrizio e Lucio. E’ una donnasiciliana, medico chirurgo, under trenta, Alessia Gazzola,l’altra novità di questo sabato: la sua Allieva viene lanciatacome un incrocio tra Kay Scarpetta e Bridget Jones nella ter-ra di Montalbano. Fosse un menù, c’è da temere un fritto mi-sto ad alto tasso di colesterolo con il rischio poi di sorbirsi unbrodetto da convalescenza. Per vigore e coraggio letterario

meriterebbero in confronto almeno pari visibilità i romanzidi Alessandro Mari Troppo umana speranza e La vita ac-canto di Mariapia Veladiano, fra gli italiani fuori tabella(15˚ e 17˚), i due esordi più interessanti e coinvolgenti di que-sto inizio d’anno. Sarebbero piaciuti alla rimpianta France-sca Sanvitale, una signora della cultura. Da ricordare alledonne che domani manifestano in piazza. Mentre gli antipu-ritani in mutande si ritrovano oggi in un teatro che di nomefa Del Verme. Una location da lapsus, pensando che fu inau-gurato dagli Ugonotti di Meyerbeer, quelli della strage diSan Bartolomeo, e divenne palcoscenico di futuristi e musso-liniani. Ogni cosa al suo posto, dicono a Bose.

I«barbët» della Claudiana ir-rompono con le loro storie equelle altrui, «dando voce a

chi non l’ha o non l’ha avuta...»Entrano in «Calamite», la primacollana di narrativa che, in oltre150 anni di vita, la casa editricedi riferimento del mondo prote-stante in Italia, sta per aprire (il23 prossimo) con il romanzo-me-moir di Marina Jarre, come sem-pre maestra di scrittura.

Neve in Val d’Angrogna-Cronache di un ritorno, riper-corre, nel brulichio di piccoli-grandi sconosciuti, fragore dicarri, dialoghi al volo, impastoitalo-piemontese-occitano, l’epo-pea dei Valdesi tra il 1686 e il1689, gli anni dell’esilio dai mon-ti del Pellice, del massacro com-piuto dai franco-savoiardi, dellariconquista, «... sospesi fra una fi-ne che ogni sera doveva apparireconclusiva e una speranza chel’indomani li risvegliava al futu-ro...». Con quella fede, da ingolo-sire perfino i laici oggi, che «perfare un popolo grande e felice la

libertà non basta, è necessaria lamoralità».

«Missione» fondamentale lo stu-dio della Bibbia, primo bestsellernel mondo «ma non ancora abba-stanza in Italia», srl sostenuta daun comitato di Chiese evangeliche,la Claudiana ha in Manuel Kromerun direttore editoriale (dal ’98) im-pegnato nella massima apertura

possibile dei suoi orizzonti, già va-sti: come testimoniano lo spazio(tra 10 mila titoli, 450 « viventi»,50 novità l’anno) dedicato al «cat-tolicesimo critico» (Kung, Boff,Den-zler),alle grandi questioni di attua-lità (bioetica, procreazione assiti-ta, omosessualità), ai ragazzi conottimi testi: ferma restando, al di làdell’importanza scientifica delleopere sui grandi riformatori da Lu-tero in poi, la vocazione degli inizi auna condivisa cultura «popolare».

Rosso acceso nel logo e nelle co-pertine, le Calamite sono «un rin-novato tentativo di entrare in dia-logo con la cultura italiana» - spie-ga Kromer cui si deve la recente cu-ratela del Viaggio in Italia diBonhoeffer, il teologo tedesco mor-to a Buchenwald - storie che condu-cano a ragionamenti sociali, stori-ci, politici». Il secondo volume, Dia-rio segreto dei miei giorni feroci,nom de plume Emanuela Violani, èil dramma di una ragazza abusatada un prete. Tutto sotto l’ombrellodi «un’etica che passa attraversola responsabilità».

1. L’abbraccio 17GROSSMAN; ROVNER 10,00 MONDADORI

2. Cambia tutto! 13GARLANDO 11,00 PIEMME

3. L’evoluzione di Calpurnia 13KELLY 16,80 SALANI

4. Le valigie di Auschwitz 11PALUMBO 11,00 PIEMME

5. Gli ultimi eroi 10TROISI 18,00 MONDADORI

6. Hourglass 10GRAY 17,00 MONDADORI

7. Il mare dei mostri 9RIORDAN 17,00 MONDADORI

8. Un sognosul ghiaccioperColette 9STILTON 8,50 PIEMME

9. Le regole raccontate ai bambini 9COLOMBO 12,00 FELTRINELLI

10.Ruti vuole dormiree altre storie 8GROSSMAN 15,00 MONDADORI

Di questo passo, ci vor-ranno 500 anni per rag-giungere la parità fra i

sessi. Così nel trailer del filmMiss Representation di Jen-nifer Siebel Newsom, visto epremiato al Sundance Festi-val: un documentario su come imedia americani rappresenta-no le donne e il corpo delle don-ne. «È importante che le donneraccontino le loro storie», sto-rie di intelligenza e non soltan-to di fisicità, dice una delle in-tervistate. Già. Ma dove, e conquale visibilità?

Mentre in 117 città italianesi manifesta domani e in Ger-mania si discute vigorosamen-te di quote rosa, in Angloame-rica (editorialmente ormaiquasi un'entità unica) esconodevastanti statistiche sullamisoginia delle principali pa-gine e riviste culturali. Il puti-ferio è scatenato dall'associa-zione Vida - Women in Lite-rary Arts, che ha mostrato lepercentuali di recensori don-

na e di libri scritti da donne re-censiti dalla New York TimesBook Review, dal Times Lite-rary Supplement, da Har-pers, dalla London Review ofBooks, eccetera. Per esempio,la New York Review of Booksha pubblicato 462 articoli dimaschi contro 79 di femmine, eha recensito 306 libri di maschi

contro 59 di femmine. Mestacontabilità.

Su blog e giornali è tutta un'analisi sul sessismo letterario,tutto un mea culpa, tutto unoscaricare responsabilità: sonogli editori che pubblicano più li-bri di uomini. Oppure (le animebelle non mancano mai), «ci inte-ressa soltanto avere le migliorirecensioni dei libri più importan-ti», come dice Peter Stothard delTLS (già, ma chi decide checos'è «migliore», in un camposoggettivo come la letteratura?).

Qualche avvisaglia dell'im-pennata si era vista nei mesiscorsi. Anne Hays aveva chiestoil rimborso dell'abbonamento alNew Yorker, visto che in tuttoil numero di gennaio, soltantodue boxini erano di o su donne.E, soprattutto, in autunno siera molto dibattuto sul pregiu-dizio di genere: Freedom di Jo-nathan Franzen sarebbe maistato definito «Il Grande Ro-manzo Americano», se l'avessescritto una donna?

1. Il profumodelle foglie di limone 86SANCHEZ 18,60 GARZANTI

2. La mappa del destino 74COOPER 19,60 NORD

3. Nemesi 35ROTH 19,00 EINAUDI

4. India mon amour 33LAPIERRE 16,50 IL SAGGIATORE

5. LaGenesi. Ildiariodelvampiro 25SMITH 12,90 NEWTON COMPTON

6. La stella di Strindberg 24WALLENTIN 19,00 MARSILIO

7. La caduta dei giganti 22FOLLETT 25,00 MONDADORI

8. Io confesso 21GRISHAM 20,00 MONDADORI

9. I diari dell’angelo custode 18JESS-COOKE 18,60 LONGANESI

10.Morto in famiglia 18HARRIS 15,90 DELOS BOOKS

I PRIMI DIECI INDAGINE NIELSEN BOOKSCAN

60

1. Benvenuti nella mia cucina 58PARODI 14,90 VALLARDI

2. I dolori del giovane Walter 52LITTIZZETTO 18,00 MONDADORI

3. Cotto e mangiato 47PARODI 14,90 VALLARDI

4. Le ricette di Casa Clerici 31CLERICI 15,90 RIZZOLI

5. Instant English 24SLOAN 16,90 GRIBAUDO

6. Nel mezzo del casin di ... 20LASTRICO 16,00 MONDADORI

7. È facilesmettere di fumare... 18CARR 10,00 EWI

8. The secret 16BYRNE 18,60 MACRO ED.

9. Il grande saccheggio 14BEVILACQUA 16,00 LATERZA

10.L’oroscopo 2011 10FOX 10,00 CAIRO

CHE LIBRO FA... IN ANGLOAMERICA

GIOVANNA ZUCCONI

Quote rosaanche per

le recensioni

1. Le Beatrici 63BENNI 9,00 FELTRINELLI

2. Odore di chiuso 60MALVALDI 13,00 SELLERIO

3. Io e te 57AMMANITI 10,00 EINAUDI

4. L’allieva 55GAZZOLA 18,60 LONGANESI

5. La moneta di Akragas 54CAMILLERI 15,00 SKIRA

6. Malastagione 50GUCCINI; MACCHIAVELLI 18,00 MONDADORI

7. Il cimitero di Praga 50ECO 19,50 BOMPIANI

8. Appuntidi unvenditore... 38FALETTI 20,00 B.C. DALAI

9. Il divoratore 36GHINELLI 9,90 NEWTON COMPTON

10.Momentidi trascurabile felicità 35PICCOLO 12,50 EINAUDI

1. Ogni cosa alla sua stagione 100BIANCHI 17,00 EINAUDI

2. La questione morale 50DE MONTICELLI 14,00 CORTINA

3. I segreti del Vaticano 48AUGIAS 19,50 MONDADORI

4. Occidente estremo 28RAMPINI 18,00 MONDADORI

5. Sono venuto per servire 27GALLO; MAZZETTI 17,00 ALIBERTI

6. Impero 24ANGELA 21,00 MONDADORI

7. Qui non ci sono bambini 23GEVE 24,00 EINAUDI

8. Il denaro in testa 21ANDREOLI 17,50 RIZZOLI

9. Terroni 20APRILE 17,50 PIEMME

10.Luce del mondo 19BENEDETTO XVI 19,50 LIBRERIA EDITRICE VATICANA

Classifica TuttolibriSABATO 12 FEBBRAIO 2011

LA STAMPAX

4

PROSSIMAMENTE

MIRELLA APPIOTTI

Claudianaora calamita

romanzi

Page 11: Tuttolibri n. 1753 (19-02-2011)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - XI - 12/02/11 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/11 - Autore: MARGAL - Ora di stampa: 11/02/11 19.36

ENNIO FLAIANO

Diario notturnoAdelphi, pp. 332, € 15

«Che fortuna frequentarlo,lavorare con lui. Sentivo ilbisogno di un'autorità a cuiappoggiarmi, da cuiimparare»

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LUCIANO BIANCIARDI

Il lavoro culturaleFeltrinelli, pp. 11, € 7

«Un testo, per me inparticolare, importante. Hofrequentato Bianciardi altempo della parabolaautodistruttiva seguita alsuccesso de “La vita agra”»

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EVELYN A. WAUGH

Il caro estintoBompiani, pp. 148, € 9

«Da non sottovalutarel'ironica e crudele comicitàdi Evelyn A. Waugh, nonsolo per il “Il caro estinto”ma anche per gli altri titolimeno famosi»

Fra radio, televisione, cinema, rivista e romanzi:l’arte di raccontare il costume italiano, avendoper maestri Ennio Flaiano e Marcello Marchesi

BRUNOGAMBAROTTA

«A me piace la verità.E cerco di raccontarla sempre.Anche a costo di mentire». Inquesta dichiarazione, contenu-ta in Quando la rucola non c'era,c'è già tutto Enrico Vaime, ilsuo gusto del paradosso.

A Radio 2 ogni domenicaVaime conduce Black Out il pro-gramma più longevo (33 anni)della storia della radio e sulla 7ogni mattina commenta in di-retta i fatti del giorno. Nella sualuminosa casa romana sulla viaCassia, negli immediati dintor-ni del suo 75˚ compleanno, par-la delle sue letture, in un piro-tecnico divagare di ricordi,

aneddoti e folgoranti ritratti diprotagonisti e comprimari del-lo show business.

«Dai miei grandi maestriavevo preso furbescamentequanto di più e immediato pote-va servirmi. Avevo ancora mol-to da imparare». Lo scrive nelsuo I cretini non sono più quellidi una volta. Su quale sia il pri-mo di questi grandi maestrinon possono esserci dubbi, logridano le copertine dei suoidue ultimi libri. Su Santi, poeti,naviganti, evasori e badanti, tri-logia di memorie, il nostro auto-re è fotografato mentre leggeLo spettatore addormentato diEnnio Flaiano, che è sua voltal'autore del delizioso disegnoutilizzato per il romanzo Era or-mai domani, quasi, appena usci-to da Aliberti.

Perché Flaiano? «Ho avutola fortuna di conoscerlo, fre-quentarlo, lavorare con lui».L'ombra di Flaiano, il suo ora-ziano distacco dalle illusioni, siallungano benefiche su pagineche svelano un memorialista dirazza. «Andai da Ennio. Parla-

re con lui mi faceva sentire in-telligente. Di riflesso: l'intelli-gente era lui. Io assorbivo».Flaiano era del '10, aveva 26 an-ni più di Enrico. Marcello Mar-chesi era del '12 («l'età di miopadre») e Vaime ha lavorato alungo anche con lui, disegnan-done in più luoghi un ritratto af-fettuoso e memorabile.

Da dove nasce questo biso-gno di fare coppia con deipadri?

«Sentivo il bisogno di un'au-torità a cui appoggiarmi e dacui imparare».

Andiamo con ordine, o al-meno proviamoci. Le pri-me letture?

«Il nonno si occupava dellamia formazione leggendomibrani del Cuore che per un po'mi fecero singhiozzare. Finchési arriva all'episodio di papàCoretti che accarezza il figliocon la mano ancora calda dallastretta del re. E qui scoppiai aridere (come l'infame Franti).Fine delle letture edificanti,ero diventato grande».

Altri maestri / amici?«Un altro scrittore amico è sta-to per me Luciano Bianciardiche ho frequentato al tempodella parabola autodistruttivaseguita al successo de La vitaagra. Un testo in particolare èstato per me importante, Il la-voro culturale, mentre, doven-done indicare uno per Flaiano,

segnalo il Diario notturno».Altri autori di riferimento?

«Dobbiamo andare nell'Ameri-ca di Mark Twain (Le avventuredi Huckleberry Finn) e in quella diJerome D. Salinger (Il giovaneHolden e soprattutto il primo deiNove racconti). Da non sottovalu-tare l'ironica e crudele comicitàdi Evelyn A. Waugh, non soloper il Il caro estinto ma anche pergli altri titoli meno famosi».

Nel suo percorso formativoche posto occupa il teatro?

«L'esperienza teatrale è stataper me fondamentale; quandoavevo sedici anni, la mia fami-

glia si trasferisce da Perugia aNapoli, al seguito di mio padre,direttore di banca e in questa cit-tà vivo un'intensa stagione dispettatore e non solo».

Dopo Perugia e Napoli qualisono state le sue altre città?

«Roma e Milano, dove vivrò per18 anni, arrivandoci come dipen-dente della Rai, dopo aver vintoun regolare concorso. Dalla Raimi dimetto, caso più unico cheraro, per affrontare il mareaperto del lavoro di autore, sen-za la rete protettiva del posto fis-so. E' un gesto così marzianoche per farmi ricevere dal diret-

tore del personale e fargli con-trofirmare la lettera di dimissio-ni, dovrò farmi raccomandareda Giovanni Leone, allora presi-dente della Camera. Nel corsodella mia vita ho firmato in tutto15 lettere di dimissioni e l'ho fat-to ogni volta che cominciavo asentirmii in gabbia».

La sua prima affermazioneda autore?

«E' stata una commedia, vinci-trice del premio Riccione. Si ga-reggiava in forma anonima e igiurati l'hanno scelta perchépensavano l'avesse scritta Lucia-no Bianciardi. Era I piedi al cal-

do, storia di un gruppo di neo as-sunti alla Rai. Fu rappresentatadue anni dopo, nel 1963, al Festi-val di Spoleto e subito censura-ta; c'era un presepio in scena e ilvescovo di Spoleto tuonò dal pul-pito contro la profanazione».

Da allora ha firmato un nu-mero impressionante di lavo-ri, per la radio, la tv, il cine-ma, la rivista. Come faceva afar passare le sue proposte?

«Gli impresari non amano le no-vità, vogliono andare sul sicuro.Prendi Garinei & Giovannini, co-piatori eccelsi. Raccontavo lamia trama e per farla approvaredicevo che l'avevo vista in teatroin Inghilterra. Loro sospirava-no: eh, gli inglesi... E la propostapassava. Quante ne ho vendutedi commedie inglesi! Era peggioquando il produttore ti convoca-va ed esordiva dicendo: "Ho un'idea!". Remigio Paone mi propo-se di sviluppare un sua idea ori-ginale, la storia di un marzianoche sbarca in Italia e dopo unpo', scontata la novità, non se lofila più nessuno. Ma è il Marzia-no a Roma di Ennio Flaiano, glidissi. Era appena andato in sce-na, con un esito disastroso, pe-raltro. Paone non si scompose:ma il nostro marziano lo faccia-mo sbarcare a Napoli, è tutta un'altra storia».

E con la televisione?«I dirigenti della Rai si dimostra-vano interessati alle proposte in-novative, persino entusiasti. All'approvazione seguiva un sospi-ro... un magari... e la frase finale:purtroppo abbiamo le mani lega-te. Avresti voluto chiedere: lega-

te da chi? O incitarli: slegale unabuona volta queste mani! Neglianni '80 per quattro anni ho avu-to un munifico contratto con lereti antagoniste della Rai e lì lamusica era diversa. Facevi unaproposta al gran capo, non finividi esporla e lui: facciamola. Ber-lusconi era un produttore televi-sivo bravissimo. Poi ha preso un'altra strada. Ripeteva spesso:"Ci vorrebbe qualcuno che sa-pesse consigliarmi. Io di politicanon capisco niente". Era vero».

Poi arriva il desiderio di faredei libri. Dopo il lavoro inéquipe e su commissione,cos'è per l'esercizio solitariodella scrittura?

«E' un modo di spurgare la me-moria e i pensieri, come le lu-mache nella segatura».

Dopo la trilogia delle memo-rie, approda al romanzo.Con un titolo, scusi la sinceri-tà, impossibile da ricordare:«Era ormai domani, quasi».

«Il titolo originario era un altro,era Sembra ieri, ma l'aveva giàpreso De Crescenzo. A mia par-ziale discolpa va detto che è unromanzo breve».

Un vero romanzo di forma-zione, la storia di un ragazzodi quattordici anni che inuna notte d'agosto di tantianni fa vede in faccia per laprima volta la morte e l'origi-ne del mondo, come la chia-mò Courbet in un quadroscandaloso e che lei chiamala passera.

«Sì, ma non è un giallo. Io dete-sto il giallismo che ritorna».

Certifico che non è e non po-trebbe mai essere scambiatoper un giallo, anche se iniziacon il suicidio di un uomoche, dimenticandosi di pesa-re 150 chili, prova ad impic-carsi. A Perugia, mentre inquella stessa domenica 26agosto 1950 a Torino CesarePavese si toglie la vita. E' unacoincidenza voluta?

«No, è frutto del caso. O dell'in-conscio».

E’ lei quel ragazzo di Perugiache nel 1950 ha quattordicianni?

«No, anche se questa è una sto-ria vera. Lalla, la ragazza dagliocchi verdi, l'ho rivista recente-mente. E' una vecchia, ma congli occhi verdi, una cosa che un

italiano non si può permettere».Approfitto della sua arrende-volezza e le faccio la madredi tutte le domande: «Cosapensa della satira oggi?»

«Quante ore ho per risponde-re?».

Cinque secondi«Di solito, alla parola satira siestraggono le pistole. Lei è for-tunato, io non ce l'ho»

Non vorrà cavarsela con unabattuta...

«La satira oggi va come tutto ilresto, cioè male. Ma chiedia-moci: se oggi la satira, nono-stante tutto il resto, andassebene, come ci sentiremmo?Delle merde».Al momento del congedo arrivaJosé, un cane affettuosissimo,arrivato in casa Vaime nel gior-no in cui l'Inter ha vinto la terzacoppa della stagione. Mi lecca emi bacia, incurante del fatto chesono un tifoso del Torino.

I PREFERITI

««Ho firmato in tutto15 lettere di dimissionie l'ho fatto ogni voltache cominciavoa sentirmi in gabbia»

Ilsi

gno

rV

arie

«Sono stato amicodi Bianciardi: vinsiil premio Riccionecon una commedia chesi pensava fosse sua»

“Dico la verità:cala la satira,vola la passera”

«Ho lavorato ancheper Berlusconi,bravissimo a produrreprogrammi tv,ignorante di politica»

«Il nonno mi leggeva“Cuore”: a un certopunto scoppiaia ridere, erodiventato grande»

Diario di lettura TuttolibriSABATO 12 FEBBRAIO 2011

LA STAMPA XI

La vita. Enrico Vaime è nato a Perugia nel 1936. Scrittore, autore televisivo,radiofonico, teatrale, spesso in coppia con Terzoli. Laureato in Giurisprudenza,

entrò in Rai nel 1960. Ha collaborato alla stesura di programmi come «Quellidella domenica» e «Canzonissima». Numerosi i musical realizzati per la coppia

Garinei e Giovannini. Conduce dal 1980 il programma radiofonico «Black Out».

Le opere. E’ appena uscito «Era ormai domani, quasi» (Aliberti, pp. 106, € 11).

Per lo stesso editore: «Santi, poeti, naviganti, evasori, badanti», «Anche a costo dimentire», «Quando la rucola non c’era», «I cretini non sono più quelli di una volta».

Enrico Vaime