tuttolibri n. 1762 (23-04-2011)

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Non basta il turista per farci risorgere Con le recensioni e le classifiche dei bestseller «Italia reloaded» Come ogni Pasqua si affollano le città d’arte, il nostro «petrolio»: ma la rinascita culturale del Paese richiede di andar oltre il consumo del passato, per creare nuove idee e opere MARCO BELPOLITI A ogni festa comanda- ta l’Osservatorio nazionale per il turismo tiene il conto di quanti milioni d’italiani si ri- versano nelle città d’arte, pre- ferendo le vacanze in Italia a quelle in capitali o luoghi ame- ni fuori dal territorio naziona- le. L’invito a consumare il pro- prio tempo libero, e dunque il proprio denaro, nelle piccole e medie città dell’Italia, a visi- tare monumenti, gallerie, mu- sei, chiese, basiliche, santua- ri, è di anno in anno sempre più pressante, come se que- sta sorta d’autarchia potesse davvero diventare un tassello importante nella ripresa eco- nomica del Bel Paese, entrato pericolosamente in un perio- do di stasi economica. In modo analogo, si è diffu- sa una metafora per cui «la cultura è il petrolio dell’Ita- lia», come se fosse possibile seduta stante traforare la crosta e far sgorgare per in- canto il prezioso liquido della cultura; gli studiosi di beni culturali sostengono piutto- sto che, dal punto di vista eco- nomico, la cultura è altra co- sa dal petrolio: per ottenere dei risultati soddisfacenti oc- corrono investimenti di alto valore economico, a volte per- sino rischiosi. La cultura, ci ricordano Christian Calian- dro e Pier Luigi Sacco in un utile volume - Italia reloaded. Ripartire dalla cultura (il Mu- lino, pp.146, e 13,50) -, ha biso- gno di infrastrutture intangi- bili, ovvero «di una società che pensa e che ama pensa- re». Se è vero che l’Italia è piena di castelli, palazzi stori- ci, chiese, musei, è altrettan- to vero che questi vanno resi visitabili, agibili al pubblico, e per farlo occorrono investi- menti economici, mentre ven- gono lasciati deteriorare luo- ghi e edifici per mancanza di fondi e investimenti, come nel caso di Pompei. Ma il problema non è solo questo. Il fatto è che la cultu- ra italiana, quella che do- vrebbe rendere «utilizzabi- le» il proprio patrimonio arti- stico, fondato sul mito della «città d’arte», scrivono i due autori, possiede un’identità totalmente incentrata su un passato definito e cristalliz- zato. L’Italia coltiva da de- cenni un «disinteresse pres- soché completo per le forme della produzione culturale in- novative e legate alla con- temporaneità», e allo stesso tempo propone un’offerta culturale prevedibile, total- mente modellata su tempi e interessi del turismo. Le fa- mose città d’arte sono viste come luoghi fruibili prima di tutto dai «turisti», in cui i «residenti» sono diventati i complici compiacenti su cui si riversa parte della ricchez- za portata dai visitatori, mentre il costo delle case nei centri storici, trasformati in piccole Disneyland, aumenta vertiginosamente, con l’effet- to dello spopolamento. Il paradosso con cui hanno a che fare questi paesi e città è infatti quello di sentire come una minaccia qualsiasi cam- biamento architettonico, men- tre si adeguano, spesso senza rendersene conto, alle forme stereotipate che il turismo di massa produce nel consumo delle città medesime. Attirano i turisti, come auspica la mini- stra Brambilla, ma diventano quello che i turisti vogliono che siano, secondo un modello tipico di ogni forma di consu- mo.AVeneziacomeaRoma,a Orvieto come ad Amalfi, i turi- sti restano nei luoghi solo il tempo di una rapida visita, tra- sformandoli in tanti McDo- nald’s dell’arte. Il progetto di puntare solo sul turismo per rivitalizzare le città italiane non è più com- patibile con loro rinascita cul- turale. Mentre un tempo, pri- ma dell’ondata semibarbara del turismo di massa, le città italiane accoglievano stabil- mente artisti e intellettuali, che vi amavano vivere e lavo- rare, oggi sono quasi tutte di- sertate da questi residenti, a vantaggio di città estere co- me Berlino, Barcellona, Cra- covia, dove le idee circolano con più rapidità e in modo ef- ficace, contribuendo a rende- re questi luoghi un crogiuolo interessante e vitale. A cura di: LUCIANO GENTA con BRUNO QUARANTA [email protected] www.lastampa.it/tuttolibri/ Oggi tuttoLIBRI iPad Edition Un’illustrazione di Achille Luciano Mauzan, 1925, per un manifesto pubblicitario di Alexandria, fabbrica di berretti DIARIO DI LETTURA Le cartoline di Sturani Un collezionista tra Pavese e Zeri ALLIGO P. XI LA STAMPA Continuapag.VI NUMERO 1762 ANNO XXXV SABATO 23 APRILE 2011 25 APRILE Scrittori e Resistenza La Viganò, Pavese e Fenoglio RAFFAELI-MONDO P. III SIMBOLI Tour Eiffel da 120 anni Tra tecnici, operai, artisti, scrittori BOSCO P.VI TUTTOLIBRI PEREC I fantasmi del giullare Tra le «cose» del signor OuLiPo ROMANO P.IV VIDEOINTERVISTA Mario Desiati tra eternit ed emigranti LA MEMORIA Nuto Revelli: la nostra Resistenza tutto LIBRI Un’indagineribadisce la necessità di forti investimentiperdare valorealpatrimonio deibeniculturali p E’imperanteil modello deiMcDonald’sdell’arte per ungusto formatotv, serveunacreatività capacedi«disturbare» SUL COMODINO Ernesto Ferrero oltre il vento del suo Salgari I

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Page 1: Tuttolibri n. 1762 (23-04-2011)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - I - 23/04/11 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/01 - Autore: PATZAN - Ora di stampa: 22/04/11 20.35

Non basta il turistaper farci risorgere

Con le recensioni e le classifiche dei bestseller

«Italia reloaded» Come ogni Pasqua si affollano le città d’arte,il nostro «petrolio»: ma la rinascita culturale del Paese richiededi andar oltre il consumo del passato, per creare nuove idee e opere

MARCOBELPOLITI

A ogni festa comanda-ta l’Osservatorio nazionaleper il turismo tiene il conto diquanti milioni d’italiani si ri-versano nelle città d’arte, pre-ferendo le vacanze in Italia aquelle in capitali o luoghi ame-ni fuori dal territorio naziona-le. L’invito a consumare il pro-prio tempo libero, e dunque ilproprio denaro, nelle piccolee medie città dell’Italia, a visi-tare monumenti, gallerie, mu-sei, chiese, basiliche, santua-ri, è di anno in anno semprepiù pressante, come se que-sta sorta d’autarchia potessedavvero diventare un tasselloimportante nella ripresa eco-nomica del Bel Paese, entratopericolosamente in un perio-do di stasi economica.

In modo analogo, si è diffu-sa una metafora per cui «lacultura è il petrolio dell’Ita-lia», come se fosse possibileseduta stante traforare lacrosta e far sgorgare per in-canto il prezioso liquido della

cultura; gli studiosi di beniculturali sostengono piutto-sto che, dal punto di vista eco-nomico, la cultura è altra co-sa dal petrolio: per otteneredei risultati soddisfacenti oc-corrono investimenti di altovalore economico, a volte per-sino rischiosi. La cultura, ciricordano Christian Calian-dro e Pier Luigi Sacco in unutile volume - Italia reloaded.Ripartire dalla cultura (il Mu-lino, pp.146, € 13,50) -, ha biso-gno di infrastrutture intangi-bili, ovvero «di una societàche pensa e che ama pensa-re». Se è vero che l’Italia èpiena di castelli, palazzi stori-ci, chiese, musei, è altrettan-to vero che questi vanno resivisitabili, agibili al pubblico, eper farlo occorrono investi-menti economici, mentre ven-gono lasciati deteriorare luo-ghi e edifici per mancanza difondi e investimenti, comenel caso di Pompei.

Ma il problema non è soloquesto. Il fatto è che la cultu-ra italiana, quella che do-vrebbe rendere «utilizzabi-le» il proprio patrimonio arti-stico, fondato sul mito della«città d’arte», scrivono i dueautori, possiede un’identitàtotalmente incentrata su unpassato definito e cristalliz-zato. L’Italia coltiva da de-cenni un «disinteresse pres-soché completo per le formedella produzione culturale in-novative e legate alla con-

temporaneità», e allo stessotempo propone un’offertaculturale prevedibile, total-mente modellata su tempi einteressi del turismo. Le fa-mose città d’arte sono vistecome luoghi fruibili prima ditutto dai «turisti», in cui i«residenti» sono diventati icomplici compiacenti su cuisi riversa parte della ricchez-za portata dai visitatori,mentre il costo delle case neicentri storici, trasformati inpiccole Disneyland, aumentavertiginosamente, con l’effet-to dello spopolamento.

Il paradosso con cui hannoa che fare questi paesi e città èinfatti quello di sentire comeuna minaccia qualsiasi cam-biamento architettonico, men-tre si adeguano, spesso senzarendersene conto, alle formestereotipate che il turismo dimassa produce nel consumo

delle città medesime. Attiranoi turisti, come auspica la mini-stra Brambilla, ma diventanoquello che i turisti voglionoche siano, secondo un modellotipico di ogni forma di consu-mo. A Venezia come a Roma, aOrvieto come ad Amalfi, i turi-sti restano nei luoghi solo iltempo di una rapida visita, tra-sformandoli in tanti McDo-nald’s dell’arte.

Il progetto di puntare solosul turismo per rivitalizzarele città italiane non è più com-patibile con loro rinascita cul-turale. Mentre un tempo, pri-

ma dell’ondata semibarbaradel turismo di massa, le cittàitaliane accoglievano stabil-mente artisti e intellettuali,che vi amavano vivere e lavo-rare, oggi sono quasi tutte di-sertate da questi residenti, avantaggio di città estere co-me Berlino, Barcellona, Cra-covia, dove le idee circolanocon più rapidità e in modo ef-ficace, contribuendo a rende-re questi luoghi un crogiuolointeressante e vitale.

A cura di:LUCIANO GENTAcon BRUNO QUARANTA

[email protected]/tuttolibri/

Oggi

tuttoLIBRIiPad Edition

Un’illustrazione di Achille Luciano Mauzan, 1925, per un manifesto pubblicitario di Alexandria, fabbrica di berretti

DIARIO DI LETTURA

Le cartolinedi SturaniUn collezionistatra Pavese e ZeriALLIGO P. XI

LASTAMPA

Continua pag. VI

NUMERO 1762ANNO XXXVSABATO 23 APRILE 2011

25 APRILE

Scrittorie ResistenzaLa Viganò,Pavese e FenoglioRAFFAELI-MONDO P. III

SIMBOLI

Tour Eiffelda 120 anniTra tecnici, operai,artisti, scrittoriBOSCO P.VI

TUTTOLIBRI

PEREC

I fantasmidel giullareTra le «cose»del signor OuLiPoROMANO P.IV

VIDEOINTERVISTA

Mario Desiatitra eternited emigranti

LA MEMORIA

Nuto Revelli:la nostraResistenza

tuttoLIBRI

Un’ indagine ribadiscela necessità di fortiinvestimenti per darevalore al patrimoniodei beni culturali

p

E’ imperante il modellodei McDonald’s dell’arteper un gusto formato tv,serve una creativitàcapace di «disturbare»

SUL COMODINO

Ernesto Ferrerooltre il ventodel suo Salgari

I

Page 2: Tuttolibri n. 1762 (23-04-2011)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - II - 23/04/11 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/02 - Autore: PATZAN - Ora di stampa: 22/04/11 20.35

GIOVANNITESIO

Non certo nuova allapatrie lettere (a non dire dellasua attività giornalistica ededitoriale, ha al suo attivo treprecedenti romanzi e diverseraccolte poetiche), Maria Ja-tosti tocca forse con il suo ulti-mo romanzo, Per amore e perodio, appena pubblicato daManni, la misura più alta del-la sua attività di «abusiva cherazzola in campi diversi».

Più «per amore» che «perodio», in verità. Amore di vitache resiste. Amore d’amoreche rimane. Amore che s’impi-glia nei sogni minuziosi, nei ri-cordi struggenti, nei personag-gi convocati, negli itinerarirandagi, nella passione politi-ca e civile, nell’eterna e mai di-messa illusione che il mondo sipossa cambiare.

Non sono che alcuni elemen-ti di un romanzo che non si la-scia riassumere. Perché è unresoconto, una sorta di diario-ideario, di esame aperto, di re-

gesto continuato, e anche un po’di messaggio nella bottiglia incerca di un lettore capace di in-tenderne (e dunque di sopportar-ne) il fuoco che lo divora.

Ironie, passioni, commistioni,pensieri peregrini e deviazioni,l’eterno discutere con un amico-pittore (parigino) che tocca la cor-da più segreta: «Tu, come al soli-to, fai confusione: ti piace tutto.Non discerni, non elimini, non in-tervieni in modo critico. Non sei

selettiva, non butti via nulla. Faicosì per tutto: passato e presente,uomini e cose». Un giudizio maga-ri estremo ma non ingiusto, se lastessa autrice - in un angolo delsuo porsi come personaggio chedice io - desolatamente e corsiva-mente registra: «Tutto si è ridot-to a un miserevole essenziale».

Romanzo arrembante e stra-ripante, la voracità di vita diven-ta voracità di cattura universale,desiderio spasmodico di dire:

per elenchi, per inserti, in unostile nominale che accumula eche allinea tutta la complessitàdel mondo di ieri e di oggi. La«vertigine della lista» che trattie-ne fatti, luoghi, idee, persone, let-ture, morti, viventi. Tutto.

Qui si saltabecca di luoghi e ditempi, si va dagli Anni Trenta aoggi per residenze e passaggi, daRoma a Milano, da Parigi a Bar-cellona, si parlano lingue e dialet-ti diversi (dal francese allo spa-

gnolo,dal milanese al napoletano,dal genovese al siciliano). Si dise-gnano figure (a spiccare quelladel «lui» che è Luciano Bian-ciardi, con cui Maria Jatosti havissuto una vita d’amore ed’agrume). Ma anche figure difamiglia, la madre, il padre, ifratelli, il figlio, gli amici noti emeno (da Mastronardi a Mar-cello Marciani o a Peppino e To-nia Rosato), il tutto impastato -nonostante le amarezze e gli in-

toppi senili - da una violenta eirredimibile passione vitale.

Elogi, stupori, amarezze, mise-rie, renitenze, resistenze, corpo-ralità, coazioni; le constatazioniaccorate di una militante che nonsi rassegna («Abbiamo rinuncia-to a essere una forza»), domande(«E io? Cos’è che volevo io?») e ri-sposte («vivere, capire, affronta-re i conflitti, coltivare a tutti i co-sti la speranza, l’utopia»). Contanto di «poetica» in cui resta im-pigliato il senso di un'intera esi-stenza: «Rivelare segreti masche-randoli da verità oggettive erasempre stato il suo modo di scri-vere, raccontare, trarre riflessio-ni di carattere generale dall’espe-rienza privata, mostrare la pro-pria verità come un corpo nudo:vecchio repellente deforme o es-senziale, integro che sia».

Come scrive Pino Corrias nel-la premessa, un romanzo fatto diricordi che si stratificano, di pro-sa concentrica e di divagazioni in-tese a raccontare una nuova vita.Ma più persuasivamente, l’«enne-sima vita ostinata».

PAROLE IN CORSOGIAN LUIGI BECCARIA

L’alfabetofuori di senno

Dai manifesti sulle toghe-Bragli insulti in tv: la fine del discorso

SERGIOPENT

Una nobile forma diromanzo sociale serpeggia trail banale disincanto delle clas-sifiche: romanzi accorti e sor-vegliati, neorealistici nell'as-sunto ma attuali nella voglia ditestimoniare realtà minime eappartate, messe all'angolo dauna società e una classe politi-ca intente a godersi il qui e oradi una beatitudine mondanada fine impero. Argentina,Scurati, Alajmo, Arpaia, Buga-ro, Di Monopoli: autori attentialle dinamiche di cambiamen-to, infiltrati in un discorsoaperto al futuro ma con le radi-ci ancorate ai «terroni» di Silo-ne e Strati, alle piccole borghe-sie operaie di Vittorini, Ottieri,Volponi, Pratolini. In tempi diqualunquismo dilagante, di be-stsellerismo sponsorizzato dauna critica sempre più rilassa-ta, è lecito diffidare di chi por-ta avanti un discorso serio ecoerente, magari aspro e diffi-cile ma sincero, perché non si

vede dove sta l'inganno. Il pub-blico vuole divertirsi o soffrire,sempre meno vuole pensare.

Fa pensare, invece, un ro-manzo come Ternitti di MarioDesiati, scrittore in crescendoche si ricongiunge felicementealla tradizione di un Sud nontroppo folcloristico - per fortu-na - vittima dei suoi mali seco-lari. Con Ternitti Desiati ricom-pone un discorso pugliese - mapotrebbe anche essere cala-brese o campano - portatoavanti dal suo conterraneo Co-simo Argentina con il recenteVicolo dell'acciaio: storie di fati-ca quotidiana e di illusioni, chesi fortificano tuttavia in una ri-cerca privata estesa ai senti-menti, al recupero affettivo. Illinguaggio - coerente, lavoratocon dedizione, inciso nell'ani-ma - è un'altra caratteristica

di questi narratori che stanno ri-valutando il mestiere del lettera-to «impegnato». Desiati scrivedi emigranti ma anche d'amore,la sua Mimì Orlando rincorre in-consciamente la passione giova-nile per tutta la vita, e in questoil realismo tende la mano a un di-sinvolto feuilleton che si sgravadel suo peso metaforico sotto lapioggia battente finale che lava ideliri, le paure, purifica una ter-ra dal veleno del male che hamietuto troppe vittime.

Il Belgio del 1975 è la geogra-fia iniziale in cui Mimì si trova asopravvivere, in una fabbricaabbandonata rifugio di migran-ti in attesa di domicilio - suonaqualche campanello d'attuali-tà, per caso? - tra le speranzeper un futuro migliore e l'incu-bo non ancora compreso del«ternitti», quell'eternit che bru-

cerà i polmoni di migliaia di for-miche operaie in cerca di panee fortuna. Mimì quindicennetorna nella sua Puglia - Tricase- incinta di Arianna, frutto dell'amore intenso e rubato con Ip-pazio, che sparisce in un nullafatto di violenze tra emigrantidi paesi diversi.

Il resto è un presente che siavvicina, in una Puglia dismessama non doma, dove Mimì cre-sce la sua piccola e bada al fra-tello Biagino, che neppure haprovato a cambiare la sua vita,arrendendosi ai vapori alcolicidell'amato «Giacomo Daniele»Mimì cambia uomini e prospet-tive, in una terra in cui la sua so-lida femminilità è vista con so-spetto, e il lavoro al cravattificiodiventa l'unica rivalsa di una vi-ta messa all'angolo da troppesventure: la sua lotta finale sul

tetto della fabbrica che vuole la-sciare l'Italia per emigrare in In-dia e in Romania, è l'estremo se-gno di riscatto di un sottoboscoumano che, dalle morti atrocicausate dall'eternit, si ritrovasempre e comunque a confligge-re con un destino deciso altrove.

Il percorso umano di Mimì èquello di una donna anticonfor-mista ma coerente, resa roccio-sa dalle ferite dell'esperienza:una figura accesa di luce positi-va, che non smette di sperare eche in qualche modo recuperal'amore perso in una cameratabuia del Belgio, in un passatoche si è portato dietro per l'in-tera vita. Un personaggio fem-minile affascinante, per un ro-manzo che lascia il segno e faben sperare in un riscatto diquesto paese dimenticato dachi lo governa.

Jatosti «Per amore e per odio»:una collezione di luoghi e figure

Massimo Gramellini,sabato scorso, nel suo«Buongiorno» quoti-

diano su La Stampa dal titolo«La fine delle parole», ha com-mentato l'ignominia dei manife-sti comparsi a Milano che agrandi lettere bianche su sfon-do rosso recavano la scritta«Via le Br dalle Procure».

Le parole oggi si stanno dav-vero svuotando di significato,affogate in una babele di suonidove non contano più niente(tanto vale il silenzio «tra le ma-cerie», aggiunge amaramenteGramellini). Non si tratta nep-pure di «manomissione delle pa-role». Né di un fatto ascrivibilealla malattia degenerativa checolpisce l'odierna vita pubblicae che sta lasciando tracce visto-se sulla neolingua della politica.Non si tratta nemmeno dei soli-ti toni irriverenti volgari e rin-ghiosi che ascoltiamo quotidia-namente nei dibattiti e nelle in-terviste, ma del senso delle paro-le stesse che di botto è svapora-to. Otto giorni fa, in un dibatti-to sulla 7, un ministro della Re-pubblica, Giovanardi, ha datodel «fascista», pensate un po', aDario Fo. Abbiamo perduto ilsenso dell'ironia (uno Scilipotiche sta sotto il cartellino dei «re-sponsabili», la Santanché nelgruppo degli «indipendenti»).

Ci stiamo quasi rassegnan-do al vedere la gente che si abi-tua alle figure terribilmente co-miche che si alternano sulla sce-na, figure senza speranza, che

ci rivelano brutalmente l'insignifi-canza delle parole che esse pro-nunciano, quelle parole della poli-tica che ripetono sino alla nauseanelle comparsate in Tv.

Abbiamo smarrito il senso og-gettivo di quel che si dice. Erava-mo da sempre abituati ai linguag-gi «interessati» e «persuasivi»della politica, quelli che attraver-so il non-detto, l'eufemismo, la pe-rifrasi, aggiravano la comunica-zione più diretta e trasparente;eravamo avvezzi da sempre agliaggettivi semplici ma generici(«corretto», «concreto», «respon-sabile» ecc.), biforcuti perché pos-sono indicare tanto una cosa co-me il suo contrario.

Tantomeno vorrei evocarel'abitudine (non solo odierna) diusare in modo non appropriato edistorto parole fondamentali co-me giustizia, democrazia, ugua-glianza, libertà: parole importan-ti svuotate di senso concreto, ri-dotte a nozioni elastiche, obbe-dienti a seconda dei casi a dispa-rate convenienze politiche.

Difatti constatiamo che è con-veniente aggredire per via media-tica inesistenti «toghe rosse» ven-dute ai partiti, quelle che perse-guitano la vittima... Ma scrivereora su dei manifesti «Via le Brdalle Procure» non è come dire co-munista a un avversario per dirmale di lui (con un termine «luo-go comune», che non ha più unfondamento reale, poiché il comu-nismo si è estinto da oltre una ge-nerazione). È già follia calcolata,è la fine delle parole.

UNA LETTERA DI CLAUDIO MAGRIS

Studiare, copiare, ridere= Vorrei tranquillizzare Franca D'Agostini circa ilmio elogio del copiare pubblicato anni fa sul Corriere,che ha destato le sue preoccupazioni espresse nel suoarticolo apparso sabato scorso su Tuttolibri. Vedo cheè difficile scherzare e che è ancor più difficile capirecome si possano prendere sul serio le cose - in questocaso, lo studio - e insieme riderne fraternamente.Nella scuola - pubblica, beninteso, l'unica vera scuola- che ho avuto la fortuna di frequentare molti anni fa,non c'erano grazie a Dio né troppe assemblee nétroppi consigli di genitori pronti a difendere i loro

pargoli dagli insegnanti che giustamenteimpediscono loro di usare il cellulare in classe durantel'ora di lezione. C'erano professori severi cheinsegnavano ad amare lo studio pur duro e compagniche studiavano seriamente e insieme si divertivano (cidivertivamo) a combinare scherzi d'ogni genere,imparando - è questo forse il senso della classicità - aridere anche di ciò che rispettavamo ed amavamo e arispettare e ad amare ciò di cui ridevamo, senzacrederci più furbi e senza prenderci troppo sul serio.Non c'è contraddizione tra studiare seriamente i verbigreci e suggerire una forma di quest'ultimi alcompagno di banco che in quel momento ne habisogno, riconoscendo ovviamente il diritto e il

dovere dell'insegnante di impedirlo. Talora, certo,possono accadere infortuni, come quando tutta lanostra classe copiò la traduzione di un difficilissimocapitolo di Tucidide, sbagliando però il capitolo,traducendo non quello del tema ma un altro.Ho amato la scuola, specie il liceo, più di ogni altraistituzione, il che non mi ha impedito, un paio divolte, di marinarla, venendo giustamente - ebonariamente - punito. «Si ricordi, Magris - mi dicevail preside, consegnandomi la buona pagella - quiproficit litteris sed deficit moribus magis deficit quamproficit, chi è bravo nelle lettere ma è manchevole nelcomportamento è più manchevole che bravo».La seriosità è nemica della serietà, come il

sentimentalismo è nemico del sentimento.L'articolo di Franca D'Agostini mi ha ricordato unaneddoto raccontato da Borges. Dopo aver ricevutouna laurea ad honorem, alla fine del banchettoufficiale che coronava come sempre la cerimonia,Borges tenne un breve discorso di ringraziamento,concludendo, anche in questo caso come sempre intali circostanze, con una storiella o una battutacomica. Al che il Rettore che lo aveva onorato glidisse, tutto serio: «Non capisco».Borges, imbarazzato, gli spiegò la battuta. Il Rettorerispose: «Avevo capito la battuta, ma non capiscoperché l'abbia detta». Claudio Magris

«Ternitti»: il sottoboscodell’eternit, causadi morti atroci,un romanzo socialeche lascia il segno

Desiati Emigranti tra il Belgio e la Puglia,una donna affascinante, coerente e rocciosa

pp Maria Jatostip PER AMORE E PER ODIOp Manni, pp. 270, € 17

pp Mario Desiatip TERNITTIp Mondadorip pp.258, € 18,50p Desiati, nato in Puglia nel 1977,

ha curato tra l’altro l’Album Pa-solini per Mondadori, è autoredi Il paese delle spose infelici.Ternitti concorre allo Strega.

Mimì, la passionenon ha mai fine

Scrittori italiani TuttolibriSABATO 23 APRILE 2011

LA STAMPAII

MarioDesiati

è direttoreeditoriale di

Fandango librie ha orafirmato

il manifesto di«GenerazioneTQ» (scrittori

e critici«trenta-

quarantenni»,che sarà

presentatoa Roma

il 29 aprile

Maria Jatosti

Da Bianciardial mondo: la vitaè una vertigine

Page 3: Tuttolibri n. 1762 (23-04-2011)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - III - 23/04/11 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/03 - Autore: PATZAN - Ora di stampa: 22/04/11 20.36

MASSIMORAFFAELI

Il fascismo odiava ledonne fingendo di santificar-le, le chiamava angeli del foco-lare e però le distingueva sola-mente tra fattrici domestichee mammiferi da alcova. Fu laguerra voluta dal Duce, tutta-via, che non solo le buttò fuoridi casa ma le spinse dopo l’8Settembre a una scelta tal-mente impensabile che persi-no nella Resistenza suscitòdiffidenza, imbarazzo e taloraaperta ostilità. La cultura deimaschi era quella ma restache le partigiane furono35.000, quelle classificate co-me patriote 20.000, le aderen-ti ai «gruppi di difesa delladonna» ben 70.000. Uscitedalla clausura familiare e pri-ve di una qualunque iniziazio-ne, scelsero la Resistenza perragioni concretamente uma-ne, etiche, più che per motivipolitici. Erano staffette e por-taordini, trasportavano armi,filavano via in bicicletta incu-neandosi, disarmate, tra le li-nee dei nazifascisti: che poi

spettasse loro accudire i feritie il maternage sugli sbandati,veniva dato per scontato. Maa dispetto di quanti, dopo il 25Aprile, pretendevano tornas-sero a casa e in silenzio, pergenerazioni di lettori la lorovoce è stata quella, ruvida e la-conica, che parla nel romanzodi Renata Viganò, L'Agneseva a morire, edito da Einaudinel ‘49, subito premiato al«Viareggio» e tradotto in tre-dici lingue. Nemmeno un ro-manzo ma una storia salmo-diata dal basso, un canto po-polare e nello stesso tempouna preghiera dei morti.

Tra le valli di Comacchio ela bassa ferrarese, è la vicen-da di una lavandaia-contadi-na non più giovane e semia-nalfabeta il cui ingresso nellaResistenza assomiglia ad unaeducazione sentimentale,l’unica che lei può permetter-si: nasconde un fuggiasco do-po l’armistizio, le viene depor-tato il marito invalido, accet-ta i primi incarichi del Parti-to, si unisce a una banda di cuidiventa progressivamente lafactotum e il nume tutelare.

Il credo di Agnese ha l’es-senzialità dei classici, il suopensiero ha i tratti elementa-ri della necessità: sa solo che inazifascisti fanno del male,anzi sono il Male, pertanto bi-sogna combatterli e occorreannientarli. «Sarebbe belloammazzare tutti i tedeschi» èuna delle sue rare esclamazio-ni. Agisce in silenzio, è la sago-ma scura, in gramaglie, chetrascina la sua bicicletta sugli

argini del Po nel paesaggio diperenne, costernata, tristezzache tra nebbia, fango e nevesembra avere assorbito la cala-mità dei tempi. Nell’omonimofilm di Giuliano Montaldo (‘76)l’Agnese ha il volto di una stra-ordinaria Ingrid Thulin, men-tre nel romanzo richiama aper-tamente il modello della Madredi Massimo Gorkij: se quest’ul-tima è uccisa dalla guardia zari-sta tra una folla di manifestan-ti, l’Agnese viceversa è fredda-ta da un tedesco «sola, strana-mente piccola, un mucchio distracci nella neve».

L’epilogo, un emblema di nu-do realismo, corrisponde allapoetica di una scrittrice appar-tata, di pochi libri e molte espe-rienze umane: nata a Bolognanel ‘900, borghese decaduta,autodidatta, costretta a farel’infermiera e l’impiegata, lasua casa di via Mascarella (do-ve vive col marito Antonio Me-luschi, un autore di estri anar-

chici, firmatario del romanzoPane - ‘36 - quasi un Hamsunitaliano) è un cenacolo artisticoma insieme un epicentro dellacospirazione da cui passa il me-glio della cultura antifascista,da Galvano Della Volpe agli allo-ra giovanissimi Roberto Rover-si e Pier Paolo Pasolini.

Dopo l’adesione alla Resi-stenza, il successo del romanzole guadagna collaborazioni aNoi Donne e l’Unità: non dura alungo e presto viene messa almargine perché, in fondo, lasua indole è la stessa dell’Agne-se. Muore il 23 aprile del ‘76 enon riesce a vedere né il film diMontaldo né la stampa del suo

ultimo libro di ricordi che ha ilmedesimo titolo della mostradedicatale a Bologna nel ‘95,Matrimonio in brigata. Le operee i giorni di Renata Viganò e An-tonio Meluschi (con catalogo ric-chissimo di contributi, edito daGrafis a cura di Enzo Colom-bo).

Ma una nuova generazionedi donne ormai chiede la parolae guarda al femminile della Re-sistenza con altri occhi e diver-sa consapevolezza, come testi-moniano in contemporaneadue volumi collettivi, La Resi-stenza taciuta (a cura di R. Fari-na e A. M. Bruzzone, 1976, poiBollati Boringhieri 2003) e Com-pagne (Einaudi 1977) a firma diBianca Guidetti Serra, poi viavia un patrimonio di ricerche ilcui ultimo esito è un documen-tario dal titolo eloquente, Bandi-te, di Alessia Proietti e GiudittaPellegrini (Istituto «Parri» Emi-lia-Romagna).

Non meno avaro il suo desti-no postumo di scrittrice se nel-l’opera che ha il merito di averecostruito intorno a Beppe Feno-glio il canone letterario dellaguerra civile (Racconti della Re-sistenza, Einaudi 2005), Gabrie-le Pedullà imputa a L’Agnese vaa morire un «manicheismo ras-sicurante» e una «costante ina-deguatezza stilistica».

Qui andrebbe ricordato chedettando a se stessa il romanzo(scritto in piedi sul comò scar-latto di via Mascarella) RenataViganò inseguiva la cadenza diun universo femminile assog-gettato, da sempre silenzioso, eche, quanto al manicheismo,uno scrittore in tutto diversoda lei, Elio Vittorini, aveva ap-pena pubblicato Uomini e no:dunque entrambi escludevanod’acchito il disumano dall’uma-no, entrambi erano persuasiche comprendere tutto, in quelcaso, equivalesse a perdonare.

Il romanzo di Renata Viganò«L’Agnese va a morire» èpubblicato da Einaudi (pp. 250,€ 11). Premio Viareggio nel1949, ha ispirato l'omonimo filmdi Giuliano Montaldo con IngridThulin. La Viganò partecipò allalotta di Liberazione dalnazifascismo come staffetta einfermiera, collaborò allastampa clandestina e dopo il 25aprile a «Noi donne», «il Ponte»e «L’Unità».La vicenda di Agnese si svolge tra

le valli diComacchio ela bassaFerrarese e siconcludetragicamen-te, con lamorte dellaprotagonista,che divenneemblema

delle tante donne che, in silenzio eai margini, fecero la Resistenza,non meno dei partigiani in armi.

Cercando nella nostranarrativa riferimenti al-ti alla storia della Resi-

stenza caschiamo inevitabil-mente sui nomi di Pavese e diFenoglio (senza dimenticarecon questo il Calvino del Sentie-ro dei nidi di ragno e il troppotrascurato Cassola di Fausto eAnna). Siamo attratti dallacontiguità geografica ed etnicadei due scrittori, che non fa velotuttavia a una netta divarica-zione stilistica e morale. In fon-do il tratto che più li accomunaè la consapevolezza, affermataa chiare lettere prima della tar-diva pronuncia degli storici, chela guerra di liberazione è stataanche una guerra civile. E Feno-glio, che pure lesse Pavese e tra-dusse dall’inglese due delle sueultime poesie, non mostra diaverne apprezzato la narrativad’impronta resistenziale. Mi ri-ferisco ovviamente a La casa incollina e La luna e i falò.

Nel primo romanzo Corra-do, l’alter ego dello scrittore,confessa la sua inettitudine, ve-nata di rimorso, davanti allascelta degli operai conosciuti inuna osteria della collina torine-se, di Cate e dello stesso figlio-letto che dopo l’8 Settembre sidanno alla macchia. Soltantodopo la sua vana fuga verso lecolline natie, in un cammino co-stellato di incendi e massacri,

dopo avere letteralmente «sca-valcato il sangue», comprendequanto fosse illusoria la sua spe-ranza di una individuale salvez-za. Ma la sua condizione di spet-tatore non gli impedisce di rap-presentare in controluce, attra-verso la sua stessa assenza, ilmovimento partigiano, con per-tinenti notazioni sui contrastipolitici che si manifestano findall’inizio al suo interno.

Ne La luna e i falò mancauna cronologica presa diretta.Troviamo infatti la Resistenzanelle rievocazioni di Nuto a be-neficio di Anguilla che, nell’im-mediato dopoguerra, è tornatoal paese dall’America in cui eraemigrato. Nei soprassalti dellamemoria affiorano così storie dicombattimenti e rappresaglie,di spiate e fucilazioni. Va osser-vato che neanche Nuto, perquanto solidale con i ribelli o pa-trioti, ha partecipato alla Resi-stenza: è stato come Corradoun testimone inerme. D’altron-de le sollecitazioni dell’amico asmuovere il sanguinoso passatosono dettate soprattutto dal de-siderio di essere informato sul

disfacimento subito dalla cascinadella Mora, in particolare sullasorte dell’irrequieta Santina. Nelromanzo la Resistenza c’è, anchenelle frustrazioni del dopo, nellesperanze tradite, ma vista di scor-cio, nell’assenza dei protagonisti,come occasione mancata.

Altro contegno e altra arianei romanzi e racconti di BeppeFenoglio. A partire dagli Appun-ti partigiani fino al grande can-tiere rappresentato dal Partigia-no Johnny e alle pagine ultime diUna questione privata, la Resi-stenza diventa il tema centrale,direi definitivo, della narrativafenogliana, la scommessa dellasua vita. Il combattente che è sta-to Beppe non ignora nessuno deisuoi aspetti, la tenerezza dell’ami-cizia e la spietatezza vendicativa,la fragilità e lo stoicismo, la viltàe l’eroismo. Ettore accanto a Ter-site, in una prosa di epico respiro.Ci sono gli odori dei bivacchi, ilcalore di un precario rifugio con-tadino, le stagioni insidiose pergelo e per nebbia, la stretta diuna natura materna e matrigna,gli agguati e le fughe, scavallan-do colline e sprofondando nei ri-vi... Nessuno, Calvino dixit, ha sa-puto dare della guerra partigia-na una rappresentazione cosìcompleta e così vera. Con tutte leimplicazioni di carattere storico emorale che animeranno dibattitifino ai nostri giorni.

Per i suoi portavoce, Johnny eMilton, ma anche per tanti piùumili e meno consapevoli gregari,la posta in gioco è la dignità del-l’uomo, mortificata dall’oppres-sione e dalla menzogna. Certo, inFenoglio, c’è qualcosa di più, laResistenza assume un significatosimbolico quasi sacrale. Egli sitrova in piena sintonia con il suoJohnny che ha dismesso breve-mente la divisa: «... si sentiva co-me può sentirsi un prete cattolicoin borghese od un militare in bor-ghese: le armi razionalmente cela-te sotto il vestito, il segno era sem-pre su lui: partigiano in aeter-num». Ed è significativo che neisuoi partigiani l’odio per i fasci-sti sopravanzi quello per i tede-schi. Perché i fascisti fanno partedi noi, appartengono alla «guer-ra civile» che può insorgere all’in-terno della nostra anima corrom-pendola.

La Resistenza come gran tea-tro che chiama a raccolta tutte levirtù dell’uomo. Un evento al qua-le Fenoglio rende un superboomaggio promuovendolo, al di làdelle strette circostanze storiche,a lezione perenne.

Viganò Il ruolo delle donne, protagoniste piùper ragioni umane, etiche, che non politiche

CONFRONTILORENZO MONDO

Pavese e Fenoglioalla guerra civile

La consapevolezza che li accomuna,oltre la divaricazione stilistica e morale

In dialogo con Enne 2, ElioVittorini delineerà il suoromanzo resistenziale, Uomini eno. Uno fra i capitoli della suaofficina, raccontata criticamentein Elio Vittorini , scrittura eutopia da Edoardo Esposito(Donzelli, pp. 214, € 25). Non acaso si intitola «Vittorini e no» ilsaggio introduttivo: «dispettodell’oblio, che “involve tuttecose”, e prima di ogni altra lenostre passioni, nella sua notte,sembra che questo nome, perquanto soggetto come tutti alleellissi delle mode culturali,continui a rappresentare un veroe proprio segno dicontraddizione fra i letterati - ogli intellettuali - italiani».Scomparso nel 1996, Vittorini,

oltre che scrittore (accanto aUomini e no, Conversazione inSicilia e Le città del mondo), saràeditore, organizzatore di cultura,traduttore (con Pavesetraghetterà nel nostro Paese lamigliore letteratura americana),artefice a Milano della rivista dipolitica e cultura «Il Politecnico».

Dall’inettitudinevenata di rimorsodella «Casa in collina»alla lotta di Johnnye Milton per la dignità

IngridThulin

interpretòAgnese

nel film cheGiuliano

Montaldotrasse (’76)

dal romanzodi Renata

Viganò:nata a Bologna

nel 1900, morìnel 1976, prima

che uscisseroil film e il suo

ultimo libro diricordi

«Matrimonioin brigata»

150O

Libri d’ItaliaPer il 2011

«L’Agnese va a morire»:una storia salmodiatadal basso, un cantopopolare e insiemeuna preghiera dei morti

Una scrittriceappartata, borghesedecaduta, autodidatta:il suo libro, uscitonel ’49, vinse il Viareggio

Cesare Pavese

L’uno osservaun sanguinoso passato,l’altro combatteuna lotta quasi sacrale,partigiano in aeternum

Beppe Fenoglio

La lavandaiadella Resistenza

Quel 25 aprile TuttolibriSABATO 23 APRILE 2011

LA STAMPA III

Per Vittorini

Renata Viganò

Page 4: Tuttolibri n. 1762 (23-04-2011)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - IV - 23/04/11 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/04 - Autore: PATZAN - Ora di stampa: 22/04/11 20.36

Gli occhiali sul naso, ilromanzo di GiovanniMaccari che narra la

«vita romanzesca di Isaak Ba-bel’ e dei suoi anni tempestosi»(Sellerio, pp. 148, € 15), ripren-de un’immagine diventata il ri-tratto dello scrittore russo, cele-bre per i Racconti di Odessa eL’armata a cavallo.

«L’ebreo con gli occhiali sulnaso e l’autunno nell’anima»,così Babel’ soleva definire sestesso. Gli «occhiali sul naso»Babel’ li portò sempre: non po-teva guardare la realtà a oc-chio nudo, aveva bisogno di unfiltro. E attraverso i suoi oc-chialini tondi vedeva le stagio-ni del rigoglio, anche la prima-vera e l’estate della rivoluzio-ne, con un presentimento del-l’autunno. Dopo l’autunno vie-ne l’inverno, il lungo invernodel silenzio e della morte.

Il romanzo di Maccari sem-bra aprirsi con i titoli di codadi un film già visto: la casa dicampagna nei pressi di Mosca,una mattina di maggio del1939, la neve da due giorni, l’ar-resto, l’ultima frase: «Non mihanno permesso di finire».

Il rammarico di non averavuto la possibilità di portarea termine il suo ultimo lavoro,di non poter invecchiare scri-vendo racconti e scaldandosi alsole sul viale in riva al maredella natia Odessa, corrispon-de perfettamente al destino diBabel’, all’idea dominante lun-go tutta la sua opera dell’esse-re risucchiati dalla storia.

Maccari ricostruisce la vitadi Babel’ attraverso una polifo-nia di voci e di immagini. I «sidice» di chi l’ha conosciuto, i re-soconti, le delazioni, i paesaggiin cui ha vissuto, Parigi, Odes-sa, Mosca, l’immensa Russiabattuta in lungo e in largo, no-nostante la sua asma e la suamiopia. Perché ha viaggiato co-sì tanto? Forse all’inseguimen-to di un’idea lontana, irrag-giungibile … Perché, quandoha cominciato ad aver pauradei suoi stessi scritti, a rinchiu-dersi nel silenzio, è rimasto inRussia? Perché all’estero era

bello andare in vacanza, ma aIsacco piacevano i kolchoz e riu-sciva a lavorare solo in Russia,in quell’immenso formicaio dipassioni, fuori dal quale lo scrit-tore russo non poteva vivere; aParigi l’avevano colpito gli scrit-tori emigré che «scrivevano diniente», vivevano di elemosina emangiavano solo in ristorantirussi.

E’ una biografia leggera, co-struita di sprazzi di vita quoti-diana e di oggetti che mancanonelle biografie ufficiali: ad esem-pio, il divano che la moglie Anto-nina Nikolaevna fa ricoprirequando, nel 1947, le comunicanoche Isacco sarebbe stato presto li-berato ricorda il divano su cui,bambino, Isacco si consumava ipantaloni a forza di stare in gi-nocchio a leggere. Ma Isacco nonsarebbe mai arrivato perché eramorto sette anni prima, pochimesi dopo l’arresto.

Nel tracciarne la vita roman-zesca, Maccari distende quel«mantello di enigmatiche ambi-guità» in cui, secondo la figliaNatalia, Isacco si avvolgeva, escopre le sue diverse persone: unebreo dall’educazione ortodossa,un russo che crede in un sistema

nuovo, un intellettuale «quat-trocchi» che ammira criminali euomini d’azione e descrive la vio-lenza con romantico realismo.

Negli ultimi anni si era chiu-so in un sofferto mutismo e nonleggeremo mai il suo ultimo scrit-to, il suo ultimo tormentoso so-gno a occhi aperti, estorto conchissà quali mezzi nel carceredella Butyrka, quindi ritrattato.Un giorno, a chi gli aveva do-mandato se pensava che esistes-sero inediti importanti di autorirussi, aveva risposto: «Sì, al-l’Nkvd. Quando arrestano qual-cuno gli danno carta e penna egli dicono: scrivi!».

ALESSANDRAIADICICCO

Ci vuole una certa ma-estria per tenere assieme - conla mano prensile, ballerina e in-transigente di un maestro di-rettore d’orchestra - tre generidi composizione che più diversinon potrebbero essere. Unaballata favolosa che, tra note di-vertite di stupore e note accora-te di dolore, narra di una crea-tura soprannaturale per so-praggiunti (sorpassati...) limitidi età. Un ritratto familiare mo-dulato sui toni del diario perso-nale che concede, con la stessacommovente sincerità, delica-te confidenze, affettuose remi-niscenze e confessioni esaspe-rate della lotta combattuta congratitudine, amor filiale, dove-rosa indulgenza contro il ri-schio quotidiano di smarrirecon l’anziana genitrice ogni ri-serva di pazienza. Un saggio dietnografia della fiaba che, coiritmi incalzanti dell’analisistrutturalista e le tonalità squil-lanti della ricognizione metalet-

teraria, porta alla luce i risvoltioscuri, evocativi, simbolici diuna storia tramandata dalfolklore e illumina tutte le sfac-cettature del volto della suaprotagonista, di volta in voltaprofilata come grande madre,mite befana, strega (più o me-no) buona, maga dotata dellasapienza di un vegliardo, non-na aureolata di candore infanti-le e di un alone di tinta sinteticasui capelli turchini...

La sintesi prodigiosa - poli-fonica - fra scrittura poetica,diaristica e saggistica riescemagistralmente alla croata Du-bravka Ugresic. Che del suo Ba-ba Jaga ha fatto l’uovo offre letre parti unite in una composi-zione talmente armoniosa chenessuna potrebbe fare a menodell’altra. Se mancassero le no-te messe in chiave sulla grotte-sca vecchina delle fiabe russe,la voce flebile, stentata, arrochi-ta della madre malata dell’au-trice che, spegnendosi, parlavasolo per allusioni, enigmi, dimi-nutivi, non riuscirebbe così fan-tastica. Né riuscirebbe tanto so-ave il coro formato da «unatruppa di vecchi angeli», canta-to da uno stuolo di anziane si-gnore - chi non ne conosce? -dotate ormai tutte quante della

stessa voce chioccia.Non è solo questione di orec-

chio, o di sensibilità per il diver-gente accordo musicale. Ci vuoleuna buona dose d’ironia per toc-care con leggerezza di pianista iltasto, sempre più dolente peruna donna, dell’inesorabile invec-chiare. Per far vibrare una cordache - tesa sull’età - avvince pro-prio mentre allaccia nella suatrappola (va detto che Ugresic,oggi 62enne, era proprio sulla so-glia della terza età quando nel2007 scrisse con appassionatotrasporto questo libro). E per farrisuonare nella sinfonia del rim-pianto, del lamento, del nonsen-

so, del tormento intonata da co-lei che vive di ricordi o ha dimen-ticato tutto, perde la testa e con-fonde i significati delle parole, gliechi meravigliosi di quel che«C’era una volta...», le rime e i ri-tornelli delle storie di magia, gli«uff, uff», «ucci, ucci» che spa-ventano e incantano i bambini.

Ci vuole infine molta fantasiaper immaginare che sia proprioBaba Jaga a donare il premio in-seguito fino all’happy endingd’ogni fiaba: il desiderio avvera-to, il sogno realizzato, la felicitàinfinita, l’amore ricambiato. Sinarra - in molte versioni della sto-ria, la più autorevole delle qualifu trascritta in versi da Puskin -che il principe innamorato potes-se conquistare la sua principessasolo a costo di scavalcare settemontagne, attraversare sette de-serti, navigare oltre sette mari...Raggiunta la sua meta avrebbetrovato una quercia, su cui erauno scrigno, in cui era una lepre,in cui era un’anatra in cui era unuovo, in cui era l’amore dellaprincipessa. Prima però ch’egliarrivi finalmente a schiuderlo nepassa del tempo! E nel frattempola sua bella dama si è tramutata,come tutte, in Baba Jaga. Prontaa donargli, chiocciando, il suo uo-vo pieno d’amore.

MARTAMORAZZONI

Bisogna avere unapura incoscienza narrativainsieme a una compiuta cono-scenza del mezzo espressivoper scrivere un romanzo co-me Il centenario che saltò dallafinestra e scomparve. Bisognaanche credere con fermezzaal dogma esposto nella pre-messa: quelli che dicono sol-tanto la verità non sono degnidi essere ascoltati. E’ chiaroallora che Allan Karlsson, ilprotagonista del romanzo inquestione, si è conquistatosul campo il diritto di essereascoltato, perché raramente,nella narrativa contempora-nea, si è assistito a una talefarcitura di argomenti oltre illimite del credibile. Come, ra-ramente, si prova un tale pia-cere a lasciarsi andare a tan-ta sugosa cialtroneria.

Non è un romanzo da rac-contare, se non per la parte diesordio, la fuga cioè di un cen-tenario, il giorno del suo com-

pleanno, dall’ospizio. Non sa-rebbe un espediente narrati-vo nuovo, ma l’audacia di in-venzioni che da qui in poi tra-volge il lettore è invece nuova.Dal salto da una finestra apian terreno e relativa fugaimprovvisata, la storia corresu due rette parallele congiun-te alla fine. Lunedì 2 maggio2005 è il giorno del complean-no, il 2 maggio 1905 è il giornodella nascita di Allan: la storiadella fuga e la memoria dellasua vita scorrono l’una a fian-co dell’altra e in entrambe icolpi di scena, i paradossi siaccavallano e si moltiplicanoin un vortice senza tregua.

Allan in vecchiaia e in gio-ventù si imbatte nelle situazio-ni più inverosimili: esperto inesplosivi, egli sembra vivereseduto su una polveriera che,quando esplode (e esplode piùvolte!) lo lancia in alto per de-porlo su altro materiale esplo-sivo su cui lui, per altro, hal’aria di sedere con tutta disin-voltura. In certo senso nel-l’esperienza lunga, e non anco-ra esaurita, del centenarioKarlsson tutto coopera al be-ne, la morte ha una sua sapien-te ragion d’essere che sistemai tasselli fuori posto di una sin-

golare ma rigorosa geometria.Quando le due direttrici nar-

rative del passato e del presentesi congiungono, il disegno è com-piuto e però ci lascia sull’incom-bere di un’ultima sospesa paro-la. Folle la composita storia cheJonas Jonasson, alla sua primae lungamente meditata operanarrativa, ha inventato, maquando, a romanzo finito e anco-ra meravigliati dell’incredibileaudacia della trama, ci si tornasopra, si scopre di aver letto unafantasmagorica ricapitolazionedella storia del mondo dal 1905al 2005: ci sono dentro tutti igrandi che ne hanno fatto parte,

dal generalissimo Franco, a Tru-man, da Stalin a Mao, da DeGaulle a Johnson a Churchill, etutti hanno nella vita almenoun’occasione per imbattersi inAllan con esiti diversi per loro,sempre di ottimo profitto perl’esperto di esplosivi.

Chissà se condividere la pa-tria con Alfred Nobel ha dato al-l’autore l’idea di un personaggioesperto di esplosivi (e esplosivodi suo!) ma certo qualcosa nelsuo istinto di narratore e di affa-bulatore si è scatenato nel con-gegnare il meccanismo della sto-ria e nel disegnare un mondo daiconfini prossimi alla dimensioneesilarante del cartone animato,dove tutto è possibile. C'è moltasapiente irriverenza verso igrandi della storia, ridotti a com-primari dell’avventura di AllanKarlsson, c’è molto gioco affabu-latorio e domina il piacere dellatrasgressione che coinvolge tut-ti: certo, i personaggi, dal prota-gonista ai tanti compartecipipresenti e passati, sono tracciativerrebbe da dire a matita, po-tremmo cancellarli con un gom-ma senza che ne rimanga chissàche traccia. Ma siamo loro tal-mente grati di averci divertito,che non ci viene di mente diprendere in mano la gomma.

LA BIOGRAFIANADIA CAPRIOGLIO

Babel, l’autunnonell’anima

Lo scrittore reso celebre dai «Raccontidi Odessa» e dall’«Armata a cavallo»

MASSIMOROMANO

«Sono molto allegro.Sono il giullare, il buffone predi-letto». Così scrive Georges Pe-rec nel sogno 42 dei 124 che hatrascritto dal maggio 1968 al-l’agosto 1972, raccolti ne La bot-tega oscura, uscito in Francianel 1973 e ora tradotto in italia-no da una piccola casa editricemarchigiana di qualità.

Nulla è casuale in Perec, apartire dai numeri: 124, scom-posto in 1 e 24, allude alle abita-zioni di rue Vilin, quartiere po-polare di Belleville dove viveva-no i nonni e i genitori, ebrei po-lacchi, e dove l'autore è nato evissuto fino al ’41, come svelanole preziose note esplicative diFerdinando Amigoni. E poi cisono le iniziali: P. allude allamoglie dell’autore, Paulette Pe-tras, e Z. a Suzanne Lipinska,ricca fanciulla amata dall'auto-re, proprietaria di un anticomulino sulla riva della Senna inNormandia, indicato nel testocol toponimo di Dampierre, do-ve Suzanne ospitava scrittori,pittori e cineasti, tra cui Truf-faut che lo utilizza come sfondonei Quattrocento colpi e in Julese Jim. E infine le case: rue de

l'Assomption, dove è vissutodal ’45 al ’60, abitazione deglizii paterni, rue de Quatrefages,dove si stabilisce dopo il matri-monio, e rue du Bac, dove ap-proda dopo il successo del ro-manzo d’esordio, Le cose.

Questo nuovo libro, inclassi-ficabile ma bellissimo, è «un'au-tobiografia notturna» in cui at-traverso i sogni Perec raccon-ta la sua storia di buffone tragi-co costretto suo malgrado a fa-re i conti con la ferita dell’infan-zia: il padre operaio muore nel’40 combattendo contro i tede-schi, la madre parrucchieraviene inghiottita nel campo di

concentramento di Auschwitznel '43. Quando ha cinque anni,alla gare de Lyon la madre lo affi-da a un treno della Croce Rossain partenza per la zona non occu-pata, e la sua scomparsa vieneregistrata come abbandono nel-l’inconscio del sopravvissuto.Non è un caso se il libro cominciae finisce con un sogno sui campidi concentramento, e in mezzoc'è una storia d'amore nascostaper Z., che appare e scompare,mentre il fantasma maternoaleggia in ogni pagina.

Perec è scomparso quasitrent’anni fa, nel 1982 a quaranta-sei anni, e ora l'interesse editoria-le per lui in Italia si riaccende.Escono quasi in contemporaneaLe cose, che recupera la vecchiama sempre valida traduzione diLeonella Prato Caruso uscita daMondadori nel 1966, arricchitoda un'ottima prefazione di An-drea Canobbio, e Storia di un qua-

dro, riproposto nella limpida tra-duzione rizzoliana del ’90 delcompianto Sergio Pautasso.

Quando uscì nel 1965, Le cose,che vinse il premio Renaudot eottenne un notevole successo,con più di centomila copie vendu-te, fu considerato più un docu-mento sociologico che un roman-zo. La storia di due giovani pari-gini, Jérôme e Sylvie, che fannoricerche di mercato e si lascianocatturare dalla magia degli og-getti rinvenuti nei mercatini del-le pulci o contemplati nelle vetri-ne, è una descrizione della socie-tà dei consumi nella Parigi deiprimi Anni Sessanta, filtrata at-traverso la lettura di Miti d’oggidi Roland Barthes e del nouveauroman di Robbe-Grillet, da cuiPerec prende le distanze dandoagli oggetti un'anima e utilizzan-do il modello nascosto de L’edu-cazione sentimentale di Flaubertnella scrittura frammentaria e

pulviscolare che azzera la tra-ma.

Nel 1966 Perec diventa mem-bro dell’OuLiPo (Opificio di Let-teratura Potenziale), fondato nel1960 da Queneau e dal matemati-co Le Lionnais, che studia le in-tersezioni tra matematica e lette-ratura e la necessità delle con-traintes, delle restrizioni, delleregole. Giocoliere raffinatissimo,esperto in giochi di parole, re-bus, anagrammi, palindromi eacrostici, sul lipogramma costru-isce La scomparsa (1969), un gial-lo dove vengono usate tutte le vo-cali tranne la «e»; sulla «mise enabîme» Storia di un quadro(1979), un gioco di scatole cinesi,la messa in scena di un’abilissi-ma truffa nel mondo dei mercan-ti d'arte; strepitoso gioco di spec-chi, di citazioni nascoste, pistefalse, rebus da decifrare, è il suoultimo romanzo, rimasto incom-piuto, 53 giorni, un giallo che allu-de al tempo di stesura de La cer-

tosa di Parma di Stendhal.Per questo scrittore apparen-

temente freddo, che congela af-fetti ed emozioni nel gioco di unascrittura funambolica e combi-natoria, per questo collezionistadi sogni, di ricordi, di oggetti, os-sessionato dal catalogo, dall’elen-co, dall’inventario, che ci ha la-sciato un capolavoro assolutodel Novecento, La vita, istruzioniper l’uso (1978), «vivere è passareda uno spazio all'altro, cercandoil più possibile di non farsi trop-po male» e la letteratura diventauna forma di compensazione perabolire il vuoto del passato con ilpieno delle parole.

«Il centenario che...»:una fantasmagoricaricapitolazionedella storia del mondodal 1905 al 2005

pp Georges Perecp LA BOTTEGA OSCURAp trad. di Ferdinando Amigonip Quodlibet, pp.345, € 16p LE COSEp trad. di Leonella Prato Carusop Einaudi, pp.122, € 17,50p STORIA DI UN QUADROp trad. di S. Pautassop Skira, pp.99, € 15p Il titolo più noto di Perec, «La

vita istruzioni»per l’uso è nellaBur Rizzoli (pp. 572, € 9,50)

Romanzo che rinnovala fiaba di Baba Jaga,una polifonica sintesifra scrittura poetica,diaristica, saggistica

Indovina un po’chi è scappatodalla finestra

La sorpresaè un uovopieno d’amore

Perec, il giullaresogna fantasmi

pp Jonas Jonassonp IL CENTENARIO CHE SALTÒ DAL-

LA FINESTRA E SCOMPARVEp trad. di M. Podestà Heirp Bompiani, pp. 446, € 17,90

pp Dubravka Ugresicp BABA JAGA HA FATTO L'UOVOp trad. di Milena Djokovicp nottetempo, pp. 416, € 19

Riproposto anche«Storia di un quadro»,un gioco di scatolecinesi, un’abile truffanel mondo dell’arte

Jonasson Dalla Svezia una pazzastoria, insolitamente divertente

Una romanzescaesistenza raccontatada Giovanni Maccari:tra l’immensa Russia,il mare, Parigi

.

Una riscoperta cheprosegue attraverso«Le cose», due giovaniparigini contemplanola società dei consumi

Ugresic Il rimpianto, il nonsenso,il tormento di un donna che invecchia

Autobiografia notturna Lo scrittore dell’OuLiPocostretto a fare i conti con le ferite dell’infanzia

Jonas Jonasson è nato in Svezia, vive in Svizzera, al confine con l’Italia

Georges Perec in un ritratto di Yelena Briksenkova, in Rete

La scrittrice croata Dubravka Ugresic, nata a Zagabria nel 1949

Scrittori stranieriIVTuttolibri

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TUTORS DEL CORSOMarianna Peracchi:[email protected]

Lucia Elena Vuoso:[email protected]

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Anno Accademico 2010/2011

LA SCUOLADEL LIBRO .0La prima Summer School in Italiadedicata all’evoluzione del libro

20 Maggio – 30 Luglio 2011

Corso di aggiornamentoprofessionale

DIRETTORE DEL CORSOLoretta Del Tutto

DOCENTI COORDINATORI DEL CORSOEmanuela ContiGianluigi MontresorMario Guaraldi

Page 5: Tuttolibri n. 1762 (23-04-2011)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - V - 23/04/11 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/04 - Autore: PATZAN - Ora di stampa: 22/04/11 20.36

Gli occhiali sul naso, ilromanzo di GiovanniMaccari che narra la

«vita romanzesca di Isaak Ba-bel’ e dei suoi anni tempestosi»(Sellerio, pp. 148, € 15), ripren-de un’immagine diventata il ri-tratto dello scrittore russo, cele-bre per i Racconti di Odessa eL’armata a cavallo.

«L’ebreo con gli occhiali sulnaso e l’autunno nell’anima»,così Babel’ soleva definire sestesso. Gli «occhiali sul naso»Babel’ li portò sempre: non po-teva guardare la realtà a oc-chio nudo, aveva bisogno di unfiltro. E attraverso i suoi oc-chialini tondi vedeva le stagio-ni del rigoglio, anche la prima-vera e l’estate della rivoluzio-ne, con un presentimento del-l’autunno. Dopo l’autunno vie-ne l’inverno, il lungo invernodel silenzio e della morte.

Il romanzo di Maccari sem-bra aprirsi con i titoli di codadi un film già visto: la casa dicampagna nei pressi di Mosca,una mattina di maggio del1939, la neve da due giorni, l’ar-resto, l’ultima frase: «Non mihanno permesso di finire».

Il rammarico di non averavuto la possibilità di portarea termine il suo ultimo lavoro,di non poter invecchiare scri-vendo racconti e scaldandosi alsole sul viale in riva al maredella natia Odessa, corrispon-de perfettamente al destino diBabel’, all’idea dominante lun-go tutta la sua opera dell’esse-re risucchiati dalla storia.

Maccari ricostruisce la vitadi Babel’ attraverso una polifo-nia di voci e di immagini. I «sidice» di chi l’ha conosciuto, i re-soconti, le delazioni, i paesaggiin cui ha vissuto, Parigi, Odes-sa, Mosca, l’immensa Russiabattuta in lungo e in largo, no-nostante la sua asma e la suamiopia. Perché ha viaggiato co-sì tanto? Forse all’inseguimen-to di un’idea lontana, irrag-giungibile … Perché, quandoha cominciato ad aver pauradei suoi stessi scritti, a rinchiu-dersi nel silenzio, è rimasto inRussia? Perché all’estero era

bello andare in vacanza, ma aIsacco piacevano i kolchoz e riu-sciva a lavorare solo in Russia,in quell’immenso formicaio dipassioni, fuori dal quale lo scrit-tore russo non poteva vivere; aParigi l’avevano colpito gli scrit-tori emigré che «scrivevano diniente», vivevano di elemosina emangiavano solo in ristorantirussi.

E’ una biografia leggera, co-struita di sprazzi di vita quoti-diana e di oggetti che mancanonelle biografie ufficiali: ad esem-pio, il divano che la moglie Anto-nina Nikolaevna fa ricoprirequando, nel 1947, le comunicanoche Isacco sarebbe stato presto li-berato ricorda il divano su cui,bambino, Isacco si consumava ipantaloni a forza di stare in gi-nocchio a leggere. Ma Isacco nonsarebbe mai arrivato perché eramorto sette anni prima, pochimesi dopo l’arresto.

Nel tracciarne la vita roman-zesca, Maccari distende quel«mantello di enigmatiche ambi-guità» in cui, secondo la figliaNatalia, Isacco si avvolgeva, escopre le sue diverse persone: unebreo dall’educazione ortodossa,un russo che crede in un sistema

nuovo, un intellettuale «quat-trocchi» che ammira criminali euomini d’azione e descrive la vio-lenza con romantico realismo.

Negli ultimi anni si era chiu-so in un sofferto mutismo e nonleggeremo mai il suo ultimo scrit-to, il suo ultimo tormentoso so-gno a occhi aperti, estorto conchissà quali mezzi nel carceredella Butyrka, quindi ritrattato.Un giorno, a chi gli aveva do-mandato se pensava che esistes-sero inediti importanti di autorirussi, aveva risposto: «Sì, al-l’Nkvd. Quando arrestano qual-cuno gli danno carta e penna egli dicono: scrivi!».

ALESSANDRAIADICICCO

Ci vuole una certa ma-estria per tenere assieme - conla mano prensile, ballerina e in-transigente di un maestro di-rettore d’orchestra - tre generidi composizione che più diversinon potrebbero essere. Unaballata favolosa che, tra note di-vertite di stupore e note accora-te di dolore, narra di una crea-tura soprannaturale per so-praggiunti (sorpassati...) limitidi età. Un ritratto familiare mo-dulato sui toni del diario perso-nale che concede, con la stessacommovente sincerità, delica-te confidenze, affettuose remi-niscenze e confessioni esaspe-rate della lotta combattuta congratitudine, amor filiale, dove-rosa indulgenza contro il ri-schio quotidiano di smarrirecon l’anziana genitrice ogni ri-serva di pazienza. Un saggio dietnografia della fiaba che, coiritmi incalzanti dell’analisistrutturalista e le tonalità squil-lanti della ricognizione metalet-

teraria, porta alla luce i risvoltioscuri, evocativi, simbolici diuna storia tramandata dalfolklore e illumina tutte le sfac-cettature del volto della suaprotagonista, di volta in voltaprofilata come grande madre,mite befana, strega (più o me-no) buona, maga dotata dellasapienza di un vegliardo, non-na aureolata di candore infanti-le e di un alone di tinta sinteticasui capelli turchini...

La sintesi prodigiosa - poli-fonica - fra scrittura poetica,diaristica e saggistica riescemagistralmente alla croata Du-bravka Ugresic. Che del suo Ba-ba Jaga ha fatto l’uovo offre letre parti unite in una composi-zione talmente armoniosa chenessuna potrebbe fare a menodell’altra. Se mancassero le no-te messe in chiave sulla grotte-sca vecchina delle fiabe russe,la voce flebile, stentata, arrochi-ta della madre malata dell’au-trice che, spegnendosi, parlavasolo per allusioni, enigmi, dimi-nutivi, non riuscirebbe così fan-tastica. Né riuscirebbe tanto so-ave il coro formato da «unatruppa di vecchi angeli», canta-to da uno stuolo di anziane si-gnore - chi non ne conosce? -dotate ormai tutte quante della

stessa voce chioccia.Non è solo questione di orec-

chio, o di sensibilità per il diver-gente accordo musicale. Ci vuoleuna buona dose d’ironia per toc-care con leggerezza di pianista iltasto, sempre più dolente peruna donna, dell’inesorabile invec-chiare. Per far vibrare una cordache - tesa sull’età - avvince pro-prio mentre allaccia nella suatrappola (va detto che Ugresic,oggi 62enne, era proprio sulla so-glia della terza età quando nel2007 scrisse con appassionatotrasporto questo libro). E per farrisuonare nella sinfonia del rim-pianto, del lamento, del nonsen-

so, del tormento intonata da co-lei che vive di ricordi o ha dimen-ticato tutto, perde la testa e con-fonde i significati delle parole, gliechi meravigliosi di quel che«C’era una volta...», le rime e i ri-tornelli delle storie di magia, gli«uff, uff», «ucci, ucci» che spa-ventano e incantano i bambini.

Ci vuole infine molta fantasiaper immaginare che sia proprioBaba Jaga a donare il premio in-seguito fino all’happy endingd’ogni fiaba: il desiderio avvera-to, il sogno realizzato, la felicitàinfinita, l’amore ricambiato. Sinarra - in molte versioni della sto-ria, la più autorevole delle qualifu trascritta in versi da Puskin -che il principe innamorato potes-se conquistare la sua principessasolo a costo di scavalcare settemontagne, attraversare sette de-serti, navigare oltre sette mari...Raggiunta la sua meta avrebbetrovato una quercia, su cui erauno scrigno, in cui era una lepre,in cui era un’anatra in cui era unuovo, in cui era l’amore dellaprincipessa. Prima però ch’egliarrivi finalmente a schiuderlo nepassa del tempo! E nel frattempola sua bella dama si è tramutata,come tutte, in Baba Jaga. Prontaa donargli, chiocciando, il suo uo-vo pieno d’amore.

MARTAMORAZZONI

Bisogna avere unapura incoscienza narrativainsieme a una compiuta cono-scenza del mezzo espressivoper scrivere un romanzo co-me Il centenario che saltò dallafinestra e scomparve. Bisognaanche credere con fermezzaal dogma esposto nella pre-messa: quelli che dicono sol-tanto la verità non sono degnidi essere ascoltati. E’ chiaroallora che Allan Karlsson, ilprotagonista del romanzo inquestione, si è conquistatosul campo il diritto di essereascoltato, perché raramente,nella narrativa contempora-nea, si è assistito a una talefarcitura di argomenti oltre illimite del credibile. Come, ra-ramente, si prova un tale pia-cere a lasciarsi andare a tan-ta sugosa cialtroneria.

Non è un romanzo da rac-contare, se non per la parte diesordio, la fuga cioè di un cen-tenario, il giorno del suo com-

pleanno, dall’ospizio. Non sa-rebbe un espediente narrati-vo nuovo, ma l’audacia di in-venzioni che da qui in poi tra-volge il lettore è invece nuova.Dal salto da una finestra apian terreno e relativa fugaimprovvisata, la storia corresu due rette parallele congiun-te alla fine. Lunedì 2 maggio2005 è il giorno del complean-no, il 2 maggio 1905 è il giornodella nascita di Allan: la storiadella fuga e la memoria dellasua vita scorrono l’una a fian-co dell’altra e in entrambe icolpi di scena, i paradossi siaccavallano e si moltiplicanoin un vortice senza tregua.

Allan in vecchiaia e in gio-ventù si imbatte nelle situazio-ni più inverosimili: esperto inesplosivi, egli sembra vivereseduto su una polveriera che,quando esplode (e esplode piùvolte!) lo lancia in alto per de-porlo su altro materiale esplo-sivo su cui lui, per altro, hal’aria di sedere con tutta disin-voltura. In certo senso nel-l’esperienza lunga, e non anco-ra esaurita, del centenarioKarlsson tutto coopera al be-ne, la morte ha una sua sapien-te ragion d’essere che sistemai tasselli fuori posto di una sin-

golare ma rigorosa geometria.Quando le due direttrici nar-

rative del passato e del presentesi congiungono, il disegno è com-piuto e però ci lascia sull’incom-bere di un’ultima sospesa paro-la. Folle la composita storia cheJonas Jonasson, alla sua primae lungamente meditata operanarrativa, ha inventato, maquando, a romanzo finito e anco-ra meravigliati dell’incredibileaudacia della trama, ci si tornasopra, si scopre di aver letto unafantasmagorica ricapitolazionedella storia del mondo dal 1905al 2005: ci sono dentro tutti igrandi che ne hanno fatto parte,

dal generalissimo Franco, a Tru-man, da Stalin a Mao, da DeGaulle a Johnson a Churchill, etutti hanno nella vita almenoun’occasione per imbattersi inAllan con esiti diversi per loro,sempre di ottimo profitto perl’esperto di esplosivi.

Chissà se condividere la pa-tria con Alfred Nobel ha dato al-l’autore l’idea di un personaggioesperto di esplosivi (e esplosivodi suo!) ma certo qualcosa nelsuo istinto di narratore e di affa-bulatore si è scatenato nel con-gegnare il meccanismo della sto-ria e nel disegnare un mondo daiconfini prossimi alla dimensioneesilarante del cartone animato,dove tutto è possibile. C'è moltasapiente irriverenza verso igrandi della storia, ridotti a com-primari dell’avventura di AllanKarlsson, c’è molto gioco affabu-latorio e domina il piacere dellatrasgressione che coinvolge tut-ti: certo, i personaggi, dal prota-gonista ai tanti compartecipipresenti e passati, sono tracciativerrebbe da dire a matita, po-tremmo cancellarli con un gom-ma senza che ne rimanga chissàche traccia. Ma siamo loro tal-mente grati di averci divertito,che non ci viene di mente diprendere in mano la gomma.

LA BIOGRAFIANADIA CAPRIOGLIO

Babel, l’autunnonell’anima

Lo scrittore reso celebre dai «Raccontidi Odessa» e dall’«Armata a cavallo»

MASSIMOROMANO

«Sono molto allegro.Sono il giullare, il buffone predi-letto». Così scrive Georges Pe-rec nel sogno 42 dei 124 che hatrascritto dal maggio 1968 al-l’agosto 1972, raccolti ne La bot-tega oscura, uscito in Francianel 1973 e ora tradotto in italia-no da una piccola casa editricemarchigiana di qualità.

Nulla è casuale in Perec, apartire dai numeri: 124, scom-posto in 1 e 24, allude alle abita-zioni di rue Vilin, quartiere po-polare di Belleville dove viveva-no i nonni e i genitori, ebrei po-lacchi, e dove l'autore è nato evissuto fino al ’41, come svelanole preziose note esplicative diFerdinando Amigoni. E poi cisono le iniziali: P. allude allamoglie dell’autore, Paulette Pe-tras, e Z. a Suzanne Lipinska,ricca fanciulla amata dall'auto-re, proprietaria di un anticomulino sulla riva della Senna inNormandia, indicato nel testocol toponimo di Dampierre, do-ve Suzanne ospitava scrittori,pittori e cineasti, tra cui Truf-faut che lo utilizza come sfondonei Quattrocento colpi e in Julese Jim. E infine le case: rue de

l'Assomption, dove è vissutodal ’45 al ’60, abitazione deglizii paterni, rue de Quatrefages,dove si stabilisce dopo il matri-monio, e rue du Bac, dove ap-proda dopo il successo del ro-manzo d’esordio, Le cose.

Questo nuovo libro, inclassi-ficabile ma bellissimo, è «un'au-tobiografia notturna» in cui at-traverso i sogni Perec raccon-ta la sua storia di buffone tragi-co costretto suo malgrado a fa-re i conti con la ferita dell’infan-zia: il padre operaio muore nel’40 combattendo contro i tede-schi, la madre parrucchieraviene inghiottita nel campo di

concentramento di Auschwitznel '43. Quando ha cinque anni,alla gare de Lyon la madre lo affi-da a un treno della Croce Rossain partenza per la zona non occu-pata, e la sua scomparsa vieneregistrata come abbandono nel-l’inconscio del sopravvissuto.Non è un caso se il libro cominciae finisce con un sogno sui campidi concentramento, e in mezzoc'è una storia d'amore nascostaper Z., che appare e scompare,mentre il fantasma maternoaleggia in ogni pagina.

Perec è scomparso quasitrent’anni fa, nel 1982 a quaranta-sei anni, e ora l'interesse editoria-le per lui in Italia si riaccende.Escono quasi in contemporaneaLe cose, che recupera la vecchiama sempre valida traduzione diLeonella Prato Caruso uscita daMondadori nel 1966, arricchitoda un'ottima prefazione di An-drea Canobbio, e Storia di un qua-

dro, riproposto nella limpida tra-duzione rizzoliana del ’90 delcompianto Sergio Pautasso.

Quando uscì nel 1965, Le cose,che vinse il premio Renaudot eottenne un notevole successo,con più di centomila copie vendu-te, fu considerato più un docu-mento sociologico che un roman-zo. La storia di due giovani pari-gini, Jérôme e Sylvie, che fannoricerche di mercato e si lascianocatturare dalla magia degli og-getti rinvenuti nei mercatini del-le pulci o contemplati nelle vetri-ne, è una descrizione della socie-tà dei consumi nella Parigi deiprimi Anni Sessanta, filtrata at-traverso la lettura di Miti d’oggidi Roland Barthes e del nouveauroman di Robbe-Grillet, da cuiPerec prende le distanze dandoagli oggetti un'anima e utilizzan-do il modello nascosto de L’edu-cazione sentimentale di Flaubertnella scrittura frammentaria e

pulviscolare che azzera la tra-ma.

Nel 1966 Perec diventa mem-bro dell’OuLiPo (Opificio di Let-teratura Potenziale), fondato nel1960 da Queneau e dal matemati-co Le Lionnais, che studia le in-tersezioni tra matematica e lette-ratura e la necessità delle con-traintes, delle restrizioni, delleregole. Giocoliere raffinatissimo,esperto in giochi di parole, re-bus, anagrammi, palindromi eacrostici, sul lipogramma costru-isce La scomparsa (1969), un gial-lo dove vengono usate tutte le vo-cali tranne la «e»; sulla «mise enabîme» Storia di un quadro(1979), un gioco di scatole cinesi,la messa in scena di un’abilissi-ma truffa nel mondo dei mercan-ti d'arte; strepitoso gioco di spec-chi, di citazioni nascoste, pistefalse, rebus da decifrare, è il suoultimo romanzo, rimasto incom-piuto, 53 giorni, un giallo che allu-de al tempo di stesura de La cer-

tosa di Parma di Stendhal.Per questo scrittore apparen-

temente freddo, che congela af-fetti ed emozioni nel gioco di unascrittura funambolica e combi-natoria, per questo collezionistadi sogni, di ricordi, di oggetti, os-sessionato dal catalogo, dall’elen-co, dall’inventario, che ci ha la-sciato un capolavoro assolutodel Novecento, La vita, istruzioniper l’uso (1978), «vivere è passareda uno spazio all'altro, cercandoil più possibile di non farsi trop-po male» e la letteratura diventauna forma di compensazione perabolire il vuoto del passato con ilpieno delle parole.

«Il centenario che...»:una fantasmagoricaricapitolazionedella storia del mondodal 1905 al 2005

pp Georges Perecp LA BOTTEGA OSCURAp trad. di Ferdinando Amigonip Quodlibet, pp.345, € 16p LE COSEp trad. di Leonella Prato Carusop Einaudi, pp.122, € 17,50p STORIA DI UN QUADROp trad. di S. Pautassop Skira, pp.99, € 15p Il titolo più noto di Perec, «La

vita istruzioni»per l’uso è nellaBur Rizzoli (pp. 572, € 9,50)

Romanzo che rinnovala fiaba di Baba Jaga,una polifonica sintesifra scrittura poetica,diaristica, saggistica

Indovina un po’chi è scappatodalla finestra

La sorpresaè un uovopieno d’amore

Perec, il giullaresogna fantasmi

pp Jonas Jonassonp IL CENTENARIO CHE SALTÒ DAL-

LA FINESTRA E SCOMPARVEp trad. di M. Podestà Heirp Bompiani, pp. 446, € 17,90

pp Dubravka Ugresicp BABA JAGA HA FATTO L'UOVOp trad. di Milena Djokovicp nottetempo, pp. 416, € 19

Riproposto anche«Storia di un quadro»,un gioco di scatolecinesi, un’abile truffanel mondo dell’arte

Jonasson Dalla Svezia una pazzastoria, insolitamente divertente

Una romanzescaesistenza raccontatada Giovanni Maccari:tra l’immensa Russia,il mare, Parigi

.

Una riscoperta cheprosegue attraverso«Le cose», due giovaniparigini contemplanola società dei consumi

Ugresic Il rimpianto, il nonsenso,il tormento di un donna che invecchia

Autobiografia notturna Lo scrittore dell’OuLiPocostretto a fare i conti con le ferite dell’infanzia

Jonas Jonasson è nato in Svezia, vive in Svizzera, al confine con l’Italia

Georges Perec in un ritratto di Yelena Briksenkova, in Rete

La scrittrice croata Dubravka Ugresic, nata a Zagabria nel 1949

Scrittori stranieriIVTuttolibri

SABATO 23 APRILE 2011LA STAMPA V

© Mario Erlotti

ALAIN ELKANNHOTEL LOCARNO

Chiara Beria di Argentine, Piero Fassino e Lorenzo Mondo

presentano il nuovo romanzo di

Interviene l’autore

Mercoledì 27 Aprile - Ore 18.00

Il Circolo dei LettoriPalazzo Granieri della Roccia - Via Bogino, 9 - Torino

TERZAEDIZIONE

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GIANFRANCOMARRONE

Una strana malattiaminaccia le nostre vite: è lafunzionalite, sindrome psico-sociale che porta a pretende-re dagli oggetti tecnologiciche ci circondano sempremaggiori capacità, originaliforme di attività, ulteriorifunzioni. C’è un telefono cel-lulare? Perché non introdur-vi rubrica, calcolatrice, sve-glia, fotocamera, agenda, vi-deocamera, lettore di file mu-sicali, navigatore satellitaree tutto ciò che, per puro prin-cipio, potrebbe starvi den-tro? C’è un frigorifero? Per-ché non differenziarne i com-parti, moltiplicare le tempe-rature, fargli produrre delghiaccio, dispensare dell’ac-qua, tenere sotto controllo lescadenze degli alimenti, chia-mare quotidianamente il dro-ghiere per ordinare latte fre-sco per i nostri figli?

A causa della funzionalite,virus inquietante che ha con-tagiato designer e produtto-ri, venditori e recensori, opi-nionisti e semplici consuma-tori, abbiamo verso la tecno-logia un rapporto di tossico-dipendenza. Da una parte nebramiamo forme sempre di-verse, più potenti o, come sidice, performanti. Dall’altrafacciamo fatica a compren-derla e usarla.

I manuali di istruzioni de-gli elettrodomestici ci lancia-no sfide che non sempre sia-mo disposti ad accogliere, eche dobbiamo subire per po-ter avere accesso a tecnolo-gie che credevamo di cono-scere e che invece qualcunoci ha modificato sotto il naso.L’acquisto di un nuovo com-puter è un evento, in tutti isensi del termine: chissà se

adesso potrò ancora gestire lanumerazione delle pagine inword, il cambio del font nellaposta elettronica, la regolazio-ne della luce nel display…

La funzionalite è una malat-tia il cui quadro clinico, e le re-lative procedure di cura, sonostate individuate dallo psicolo-go e designer Donald Nor-man. Autore di libri come Lacaffettiera del masochista, Ilcomputer invisibile o Emotio-nal design, Norman ha ungrande pregio: essere chiaro

e divertente, mescolandoaneddoti a teorie, esempi pra-tici a modelli d’intervento. Isuoi testi si leggono con curio-sità e passione, ed è difficileche il suo buon senso criticonon riesca a persuaderci.

Punto di partenza del lavo-ro di Norman è la constatazio-ne che, molto spesso, i progetti-sti che realizzano nuovi oggettie nuova tecnologia, entrandoin competizione fra loro e ba-dando esclusivamente alla com-mittenza, non considerano

l’utente finale che quegli ogget-ti e quella tecnologia deve pote-re e saper usare. Essi si com-portano come quel sadico im-maginario (ma neanche tanto)che ha saldato il beccuccio del-la caffettiera dallo stesso latodel manico; di modo che, ver-sando il liquido bollente, il po-vero malcapitato che la usa siustiona regolarmente. A Napo-li dicono che il caffè si beve«santiando santiando», ma ne-anche i partenopei riescono aessere masochisti sino al punto

da accettare la diffusione di unmarchingegno di questo tipo.La sfida del bravo designer è al-lora quella di progettare cosesemplici, amichevoli, adatte anoi e alle nostre reali esigenze.Non solo nel loro uso quotidia-no, ma anche nella comunica-zione delle loro possibili funzio-ni, in quella interfaccia che, me-diando fra macchina e corpo,deve fare in modo che essi di-ventino un tutt’uno.

Ma la semplicità, ricordaNorman nel suo ultimo libro,non è l’opposto della complessi-tà, che in vario modo tutti con-sideriamo un valore, ma dellacomplicazione. La complessitàè uno stato mentale con cuidobbiamo fare i conti, che stain noi, nella nostra psiche pri-ma ancora che nei nostri arte-fatti. La complicazione è inve-ce l’esito del cattivo design: dichi, per esempio, progettandola placca di un interruttore viposiziona leve tutte uguali chesvolgono compiti diversi, co-

stringendo l’utente ad appicci-carvi sopra etichette di como-do per poterle differenziare.

Utopia del design è un og-getto senza istruzioni, comecerti spazzolini da denti chevantano questo primato. Salvopoi accorgerci, ancora una vol-ta, che per inventare un ogget-to di tal fatta dovremmo pre-supporre per esso un utilizzato-re altrettanto perfetto, un uo-mo-macchina. Ma per sua eper nostra fortuna nessuno ci èancora riuscito.

Il problema che i due auto-ri si pongono è come far ripar-tire il nostro paese attraversola cultura, una questione chein un momento come l’attualeè assolutamente prioritaria.La condizione che Caliandroe Sacco ritengono indispensa-bile è la creazione di un’identi-tà collettiva. Oggi l’intero Pae-se pensa al proprio passatocome a uno «scrigno», unatomba da custodire; e alimen-ta una nostalgia perniciosache è l’esatto opposto dellacomprensione storica; la no-stalgia, scrivono, è la pellicoladella rimozione.

La parola chiave per com-prendere lo stallo in cui si tro-va il Paese è appunto «rimo-zione». Gli italiani non sono ingrado di riconciliarsi con lapropria storia. Per usare lacultura come fattore di svilup-po bisogna fare prima di tuttoi conti con se stessi, col pro-prio passato, e avere un’ideacollettiva del futuro.

Uno dei capisaldi di questoblocco psichico, che riguardal’intera Italia, il Nord come ilCentro e il Sud, è proprio dal-la televisione, la neotelevisio-ne, come l’ha definita Umber-to Eco nel 1983, che ha alimen-tato negli ultimi vent’anni, sul-la falsariga del modello ameri-cano dell’intrattenimento,questa mancata comprensio-ne, oltre a fornire ai telespet-tatori massicce dosi di gla-mour e vintage, se non propriodi pornografia di massa abuon mercato. La cultura si èfissata su stereotipi per cui ilpopolo amerebbe il pop, men-tre una minoranza d’intellet-tuali la cultura alta, altro luo-go comune che finisce per av-valorare l’unica televisione do-minante, quella commerciale,e il suo conformismo di fondo.

Uno scrittore, Giorgio Va-sta, ha espresso in modo ica-stico questo situazione: «L’Ita-lia è un Paese a somma zero».L’industria culturale nel no-stro Paese non favorisce pernulla l’innovazione, ma vivesu modelli precostituiti e giàaffermati. Come fare per ri-partire? Innovando, introdu-cendo quello che Robin Wood,saggista americano, ha defini-to disturbance, il disturbo cul-turale, che è proprio dell’artee della letteratura, e che «per-mette di misurare la distanzacreativa tra la nuova propostae il gusto già affermato». Lacultura dovrebbe diventareun contesto esperienziale,scrivono gli autori del libro, incui le persone imparano a cre-are possibilità per se stessi eper gli altri investendo sul pro-prio potenziale di sviluppoumano. Un’impresa non dapoco, ma indispensabile.

Segue da pag. I

PAOLO FOSSATI, CRITICO E STORICO DELL’ARTE

Officina torinese= Critico e storico dell’arte, dirigente di Casa Einaudi, PaoloFossati scompariva nel 1998. L’editore Aragno ne pubblica, acura di Gianni Contessi e Miriam Panzeri, una raccolta di scrittigiovanili, apparsi su l’Unità fra il 1965 e il 1970: Officinatorinese (pp. 660, € 40), titolo riecheggiante l’Officinaferrarese di Roberto Longhi. Da Spazzapan a Casorati, daSavinio a De Pisis, da Mino Rosso a Ruggeri, da Merz a DeChirico, da Arturo Martini a Aligi Sassu, a Giacomo Balla. «Laseverità (piemontese?) - osserva Contessi - induce Fossati arifuggire la dimensione eroica, il pathos. Che semmai ènell’oggettività delle cose, in “ciò che l’autore non sa”».

MARCO BELPOLITI

La Tour Eiffel Da 120 anni è l’icona della città:una storia piena di storie, narrata da Jill Jonnes,dove s’incrociano tecnici, operai, artisti, scrittori

Luoghi fantastici Lilliput, Narnia,Flatlandia, un dizionario borgesiano

La Signorinain ferro chestregò Parigi

RICORDI, IDEE E PROGETTI DI ENZO MARI

Piantare un chiodo (e un bosco)= «Di me si scrive che ho fatto qualche oggetto eccezionale. Se questocorrisponde al vero, è forse perché non sono mai andato a scuola». Dalvassoio Putrella alla sedia Sof-Sof, dal calendario Formosa al cestino InAttesa. Ovvero Enzo Mari. Il designer si racconta, sessant’anni di «idee eprogetti per difendere un sogno», in 25 modi per piantare un chiodo(Mondadori, pp. 171, € 17,50). Là dove il sogno - confessa Mari - è quello«della mia ingenuità: realizzare la bellezza». Non si nasconde, il «Maestro»,che il design è nudo, ma fondando il sogno sull’amara constatazione: ilprogetto nasce «quando quello che vediamo fuori dalla finestra ci appareorrendo, sbagliato o falso [...] come reazione a ciò che non è giusto». E poisperare, come il contadino che pianta un bosco, «il miglior progettista».

Naufragarenegli Oggetti

FABIOGEDA

Non esistono più luo-ghi sconosciuti. Nessuna fore-sta da esplorare alla ricerca diciviltà scomparse, nessun ma-re da solcare sperando di im-battersi in isole misteriose, nes-sun deserto che non sia statoscandagliato dai radar e dai sa-telliti. Grazie a Google Earth ab-biamo (quasi) ogni luogo dellaTerra a portata di mouse. Maper i viaggiatori impenitenti esi-ste ancora uno sfogo: esistono iluoghi irreali, utopici, immagi-nari. Ed esiste una guida che lienumera, li descrive e spiegacome raggiungerli. Come scri-ve Alberto Manguel, autore delDizionario dei luoghi fantasticiinsieme a Gianni Guadalupi,nell’introduzione a questa ter-za edizione (la prima è del 1980)«non ci vuole molto per scopri-re che la geografia dell’immagi-nazione è infinitamente più va-sta di quella del mondo fisico».

Alberto Manguel aveva se-dici anni e lavorava in una li-breria di Buenos Aires quan-do conobbe un cliente, quasicieco, che gli chiese se fosse di-sposto ad andare da lui, la se-ra, a leggere ad alta voce. Ilcliente era Jorge Luis Borges.Manguel divenne il suo lettoreprivato. Anni dopo, giunto aMilano per lavoro, si trovò acollaborare con un editore con

la passione per i viaggi, passio-ne tale da portarlo a colleziona-re, nel corso della vita, oltre13.00 volumi, ora affidati allaFondazione Marilena Ferrarinella «Biblioteca del viaggioGianni Guadalupi».

A dare il via al dizionario fuLa ville vampire di Paul Féval.Guadalupi, letto il romanzo, chie-se all'amico Manguel di scriverecon lui una specie di guida turisti-ca, trattando la Città Vampiranon come luogo immaginario,ma reale: dove si poteva alloggia-re per la notte, dove consumareun buon pasto, cosa visitare. Sen-za dubbio si divertirono un mon-do. Tanto che, terminata questaprima voce, i due decisero di al-largare l'indagine agli altri luo-ghi fantastici. Un primo elenco -giusto quelli che conoscevano a

memoria - ne contava centinaia.Alla fine, alcune migliaia. Perscelta accantonarono quelli nonpresenti sul pianeta Terra, imondi paralleli, e anche i luoghi

del futuro. Ma da Narnia a Lilli-put, dalla tolkeniana Minas Tiri-th alle borgesiane Rovine Circo-lari (dove si può sognare un uo-mo fino a dargli vita), dal Regnodelle scimmie di Burroughs allageometrica Flatlandia di Abbot(dove gli oggetti animati e inani-mati appaiono come linee rette,dove le abitazioni sono a formadi pentagono e quelle quadrate etriangolari sono vietate per ra-gioni di sicurezza), nulla mancaal minuzioso elenco dei posti neiquali, oggi più che mai, continuaad avere senso perdersi. Boschie pianure, città e specchi d'ac-qua, regni e isole che ci promet-tono nuovi occhi, ci restituisconobellezza, si fanno incubatori delnostro immaginario.

Il Dizionario dei luoghi fanta-stici è un manuale prezioso, cor-

redato di cartine dettagliate - daquella di Arkham, nata dalla fan-tasia di Lovecraft, a quella delPaese che non c'è, rifugio di Pe-ter Pan e dei suoi ragazzi perdu-ti - e immaginifiche illustrazioni- conoscete forse le mostruoseforme dell’idolo Manduca adora-to nell’isola di Gaster? O le deco-razioni della carrozza di Geovanel corso dell’ultima visita nelRegno di Noè?

Concludiamo con una sfida.Come ricompensa per il loro du-ro lavoro, Manguel e Guadalupidecisero di concedersi l'inven-zione di un luogo a testa, com-pleto di autore e bibliografiaapocrifa. Due luoghi fantastici,così fantastici da non esistereneppure nei libri citati. Un plau-so e una confezione di erba pipaa chi riesce a trovarli.

GABRIELLABOSCO

Lo si direbbe un ro-manzone postmoderno, a giu-dicare dai personaggi, tutti ar-cinoti e molto eterogenei: Buf-falo Bill, Van Gogh, Edison,Rosa Bonheur e Sarah Ber-nhardt, Maupassant, JamesGordon Bennett, lo scià diPersia, Toro Seduto, Whist-ler, Annie Oakler cioè la cam-pionessa massima di tiro a se-gno con il fucile, Mark Twain,il signor Otis quello degliascensori... La protagonistapoi, la Demoiselle, ha i tratti de-cisi dell'icona pop: gambe pos-senti, fianchi snelli, un'invidia-bile altezza, il collo lunghissi-mo e al posto degli occhi un fa-ro. E invece è storia vera, an-zi: la vera storia, per nientepost e tutta moderna, della Si-gnorina in Ferro, il puntiglio-so resoconto del suo concepi-mento, della sua nascita, in-fanzia, adolescenza, fino algran debutto in società.

Ma cominciamo dall'ini-zio, come fa Jill Jonnes, l'au-

trice. Avrebbe potuto essereuna gigantesca ghigliottina, ilsimbolo dell'Exposition Uni-verselle del 1889, uno specia-lissimo arco di trionfo sotto ilquale avrebbero dovuto pas-sare tutti i visitatori, ben ma-cabra porta d'ingresso per lecelebrazioni organizzate acento anni dall'abbattimentodella monarchia in Francia.Tra i progetti che partecipa-rono alla gara e che il commis-sario dell'esposizione si trovòa dover esaminare c'era an-che quello. Si affrettò ovvia-mente a escluderlo: l'intentoera inneggiare alla Repubbli-ca, non ricordarne gli aspetti«discutibili».

La palma la riportò, benpiù adeguatamente, il proget-to intitolato Tour en fer de troiscents mètres. Era di un ingegne-re francese, Gustave Eiffel, lacinquantina avanzata, elegan-te nella sua sobrietà, specializ-zato in ponti ferroviari. Alcommissario Lockroy bisognadare atto di notevole perspica-cia. Ce ne voleva una buona do-se per scommettere su quell'idea, una torre interamente inferro, più alta di qualunquemonumento - quello a Washin-gton, detentore del record, mi-surava 169 metri - che avrebbeposato i suoi quattro piedi alcentro di Parigi e da lì si sareb-be erta esile e impavida a por-tare in cielo lo stendardo bian-co rosso e blu. Su carta, avevatutta l'aria di una follia. Bellis-sima, però, esaltante.

Lockroy capì che se Eiffelce l'avesse fatta, quella torreavrebbe conquistato il mon-do, diventando l'insuperabiledimostrazione dell'assoluta

supremazia francese in fatto dimodernità tecnologica e inge-gneristica genialità. Certo èche a nulla sarebbero valse lapotente visione di Eiffel e la lun-gimiranza di Lockroy, se nonfossero state supportate dal co-raggio dei 199 operai che quellatorre, pezzo dopo pezzo e me-tro dopo metro, misero in piedi.

Ventisei mesi di lavoro in condi-zioni estreme, a anche -10˚ d'in-verno e fino a +37 d'estate, perun salario assolutamente impa-ri. Scioperarono per avere unaumento, giunti a una certa al-tezza (quando ormai da sotto,avvolti nella nebbia, non li si ve-deva più). Eiffel, ingegneristica-mente, rispose: «Mancate di lo-gica: cadendo da trecento me-tri non succede niente di diver-so che da quaranta. Si muore».E loro continuarono.

Non bisogna pensare peròche si sia trattato di una partitafacile. Di oppositori, feroci, cene furono in ogni ambiente.Una lista di intellettuali e scrit-tori, tra i quali Maupassant eDumas figlio, firmarono un ap-pello contro «l'odiosa colonnadi metallo imbullonato». Ric-che signore impugnarono la vi-sta sui Champs de Mars dei lo-ro appartamenti: che fineavrebbe fatto? I catastrofisti:mai e poi mai la torre avrebberesistito ai venti. Eccetera.

Lui, l'ingegnere del ferro, lisbaragliò tutti. Ai primi dimaggio dell'89, all'aperturadell'Exposition - 90 ettari difiera sdraiata lungo la Senna,frutto dell'amplesso tra la Bel-le Epoque francese e l'Età dell'Oro americana, consumato adispetto delle monarchie euro-pee disdegnose e assenti - la

sua Torre era pronta. Uniconeo: in cima - là dove, sull'ulti-ma piattaforma, Eiffel avevafatto costruire un apparta-mento per sé, «il nido dell'aqui-la» - ci si doveva andare a pie-di, e pericolosamente. Gliascensori, affidati all'america-na Otis, mancarono l'appunta-mento di qualche settimana. Il

disguido comunque non oscu-rò la grandezza dell'impresache, anche commercialmente,fu un totale trionfo.

Le altre due vedettes delcentenario, americane doc, Buf-falo Bill e Thomas Edison, con-tribuirono a rendere l'evento in-dimenticabile. Il primo portan-do a Parigi per l'occasione ilsuo Wild West, il celeberrimoshow che metteva in scenacowboy, indiani e bufali congrandi effetti e al culmine delquale si esibiva con fucili e rivol-telle Annie la tiratrice; il secon-do, Edison, accettando che il fo-nografo, l'ultima sua invenzio-ne, venisse celebrata proprio làin cima, nell'appartamento ae-reo di Eiffel. Scalarono la Torrei pellirosse dello show come loscià di Persia (quest'ultimo tre-mando di paura); tante teste co-ronate, sia pur contrarie alla re-pubblicana Esposizione, e duemilioni di persone nei sei mesidella sua durata, che pranzava-no al Café Brébant sulla prima

piattaforma e visitavano la re-dazione lì allestita per l'edizio-ne della Tour del Figaro. Men-tre l'Herald, dalla sede parigi-na, che il direttore GordonBennett junior aveva apertodopo esser stato cacciato daNew York avendo fatto pipì da-vanti a tutti ad un ricevimen-to, trasformava ogni visita in

cronaca mondana. Fanfara.Onore e gloria.

Peccato le pagine di epilo-go: lo scandalo di Panama dacui Eiffel si lasciò toccare, VanGogh suicida, la morte di ToroSeduto, Wounded Knee... laStoria. Superstiti? Incolume,solo lei: la Tour, centoventi-due anni a giorni.

GLI «SCRITTI SULL’ARTE» DI SERGIO SOLMI

Un sogno, tra Carrà e Morandi= «Critico non professionale», com’era solito definirsi, SergioSolmi fu fra coloro che segnalarono a Piero Gobetti gli Ossi di seppiadi Eugenio Montale. Adelphi termina la pubblicazione delle sueopere complete, un’impresa che ha il respiro di trent’anni, conScritti sull’arte (pp. 469, € 45, a cura di Giovanni Pacchiano, conuna nota di Antonello Negri). Da Carrà a Morandi, da De Chirico aDe Pisis, da Matisse a Music. «Il sogno nostalgico di Solmi poeta -coglie Pacchiano -, nel continuo oscillare fra i due poli opposti, ilmomento della regressione a una mitica condizione originaria,infantile o addirittura prenatale, e la precisa chiarezzadell’intelligenza, si conferma anche con e nei suoi pittori».

La sfida di «Viverecon la complessità» masenza tossicodipendenzadalla tecnologia: le tesidello psicologo Norman

Enzo MariGisèle Freund

LA FOTOGRAFA GISELE FREUND

Obiettivo il mondo= Fra le maggiori icone del fotogiornalismo, GisèleFreund, artista di origine tedesca nazionalizzata francese,scomparsa nel 2000 a 91 anni, si racconta in Il mondo e ilmio obiettivo (Abscondita, pp. 205, € 22, trad. di PieraOppezzo, con immagini). Dominante, in particolare, nellasua autobiografia, la Parigi intellettuale, via via ritratta: daAdrienne Monnier, proprietaria dell’omonima libreria, aSartre, da Matisse a Léon-Paul Fargue,Colette, Malraux.La fotografia come arte contemporanea, dagli anniOttanta a oggi, è ripercorsa da Charlotte Cotton perEinaudi (pp. 299, € 30, traduzione di Maria Virdis).

pp Jill Jonnesp STORIA DELLA TOUR EIFFELp trad.di Cristina Spinogliop Donzelli, pp. 346, € 26p in libreria dal 27 aprile

.

p

pp Alberto ManguelGianni Guadalupip DIZIONARIO

DEI LUOGHI FANTASTICIp Archinto, pp. 976, € 50

pp Donald A. Normanp VIVERE CON LA COMPLESSITÀp trad. di V. B. Salap Pearsonp pp. 266, € 16

Il manifesto per l’arrivo di Buffalo Bill a Parigi nel 1889

Modernità Dal telefono al frigorifero al computer:macchine sempre più «potenti», sempre più complicate

Nel Paese chenon c’è, infinitaè la meraviglia

La Torre di Babele, qui in un dipinto di Peter Bruegel il Vecchio, 1563

A destrauna caricatura

dell’ingegnerGustave Eiffel

apparsail 29 giugno

1889su «Punch»;

a sinistrauna visione

dal bassodella Torre

ai giorni nostri

Una lavastoviglie a muro e «trasparente» (DornoB Design)

Una cartolina con la Tour Eiffel in costruzione

Tra i feroci oppositoridella «odiosa colonnadi metallo imbullonato»ci furono ancheMaupassant e Dumas

Personaggi e simboliVITuttolibri

SABATO 23 APRILE 2011LA STAMPA VII

Vinse il progettodell’ingegner Gustave:gambe possenti, fianchisnelli, collo lungoe come occhi un faro

Per l’inaugurazionearrivarono Buffalo Billcon il suo circo, Edisoncon il suo fonografoe lo scià di Persia

Non bastail turistaper farcirisorgere

Una fotografia di Eiffel

Page 7: Tuttolibri n. 1762 (23-04-2011)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - VII - 23/04/11 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/06 - Autore: PATZAN - Ora di stampa: 22/04/11 20.36

GIANFRANCOMARRONE

Una strana malattiaminaccia le nostre vite: è lafunzionalite, sindrome psico-sociale che porta a pretende-re dagli oggetti tecnologiciche ci circondano sempremaggiori capacità, originaliforme di attività, ulteriorifunzioni. C’è un telefono cel-lulare? Perché non introdur-vi rubrica, calcolatrice, sve-glia, fotocamera, agenda, vi-deocamera, lettore di file mu-sicali, navigatore satellitaree tutto ciò che, per puro prin-cipio, potrebbe starvi den-tro? C’è un frigorifero? Per-ché non differenziarne i com-parti, moltiplicare le tempe-rature, fargli produrre delghiaccio, dispensare dell’ac-qua, tenere sotto controllo lescadenze degli alimenti, chia-mare quotidianamente il dro-ghiere per ordinare latte fre-sco per i nostri figli?

A causa della funzionalite,virus inquietante che ha con-tagiato designer e produtto-ri, venditori e recensori, opi-nionisti e semplici consuma-tori, abbiamo verso la tecno-logia un rapporto di tossico-dipendenza. Da una parte nebramiamo forme sempre di-verse, più potenti o, come sidice, performanti. Dall’altrafacciamo fatica a compren-derla e usarla.

I manuali di istruzioni de-gli elettrodomestici ci lancia-no sfide che non sempre sia-mo disposti ad accogliere, eche dobbiamo subire per po-ter avere accesso a tecnolo-gie che credevamo di cono-scere e che invece qualcunoci ha modificato sotto il naso.L’acquisto di un nuovo com-puter è un evento, in tutti isensi del termine: chissà se

adesso potrò ancora gestire lanumerazione delle pagine inword, il cambio del font nellaposta elettronica, la regolazio-ne della luce nel display…

La funzionalite è una malat-tia il cui quadro clinico, e le re-lative procedure di cura, sonostate individuate dallo psicolo-go e designer Donald Nor-man. Autore di libri come Lacaffettiera del masochista, Ilcomputer invisibile o Emotio-nal design, Norman ha ungrande pregio: essere chiaro

e divertente, mescolandoaneddoti a teorie, esempi pra-tici a modelli d’intervento. Isuoi testi si leggono con curio-sità e passione, ed è difficileche il suo buon senso criticonon riesca a persuaderci.

Punto di partenza del lavo-ro di Norman è la constatazio-ne che, molto spesso, i progetti-sti che realizzano nuovi oggettie nuova tecnologia, entrandoin competizione fra loro e ba-dando esclusivamente alla com-mittenza, non considerano

l’utente finale che quegli ogget-ti e quella tecnologia deve pote-re e saper usare. Essi si com-portano come quel sadico im-maginario (ma neanche tanto)che ha saldato il beccuccio del-la caffettiera dallo stesso latodel manico; di modo che, ver-sando il liquido bollente, il po-vero malcapitato che la usa siustiona regolarmente. A Napo-li dicono che il caffè si beve«santiando santiando», ma ne-anche i partenopei riescono aessere masochisti sino al punto

da accettare la diffusione di unmarchingegno di questo tipo.La sfida del bravo designer è al-lora quella di progettare cosesemplici, amichevoli, adatte anoi e alle nostre reali esigenze.Non solo nel loro uso quotidia-no, ma anche nella comunica-zione delle loro possibili funzio-ni, in quella interfaccia che, me-diando fra macchina e corpo,deve fare in modo che essi di-ventino un tutt’uno.

Ma la semplicità, ricordaNorman nel suo ultimo libro,non è l’opposto della complessi-tà, che in vario modo tutti con-sideriamo un valore, ma dellacomplicazione. La complessitàè uno stato mentale con cuidobbiamo fare i conti, che stain noi, nella nostra psiche pri-ma ancora che nei nostri arte-fatti. La complicazione è inve-ce l’esito del cattivo design: dichi, per esempio, progettandola placca di un interruttore viposiziona leve tutte uguali chesvolgono compiti diversi, co-

stringendo l’utente ad appicci-carvi sopra etichette di como-do per poterle differenziare.

Utopia del design è un og-getto senza istruzioni, comecerti spazzolini da denti chevantano questo primato. Salvopoi accorgerci, ancora una vol-ta, che per inventare un ogget-to di tal fatta dovremmo pre-supporre per esso un utilizzato-re altrettanto perfetto, un uo-mo-macchina. Ma per sua eper nostra fortuna nessuno ci èancora riuscito.

Il problema che i due auto-ri si pongono è come far ripar-tire il nostro paese attraversola cultura, una questione chein un momento come l’attualeè assolutamente prioritaria.La condizione che Caliandroe Sacco ritengono indispensa-bile è la creazione di un’identi-tà collettiva. Oggi l’intero Pae-se pensa al proprio passatocome a uno «scrigno», unatomba da custodire; e alimen-ta una nostalgia perniciosache è l’esatto opposto dellacomprensione storica; la no-stalgia, scrivono, è la pellicoladella rimozione.

La parola chiave per com-prendere lo stallo in cui si tro-va il Paese è appunto «rimo-zione». Gli italiani non sono ingrado di riconciliarsi con lapropria storia. Per usare lacultura come fattore di svilup-po bisogna fare prima di tuttoi conti con se stessi, col pro-prio passato, e avere un’ideacollettiva del futuro.

Uno dei capisaldi di questoblocco psichico, che riguardal’intera Italia, il Nord come ilCentro e il Sud, è proprio dal-la televisione, la neotelevisio-ne, come l’ha definita Umber-to Eco nel 1983, che ha alimen-tato negli ultimi vent’anni, sul-la falsariga del modello ameri-cano dell’intrattenimento,questa mancata comprensio-ne, oltre a fornire ai telespet-tatori massicce dosi di gla-mour e vintage, se non propriodi pornografia di massa abuon mercato. La cultura si èfissata su stereotipi per cui ilpopolo amerebbe il pop, men-tre una minoranza d’intellet-tuali la cultura alta, altro luo-go comune che finisce per av-valorare l’unica televisione do-minante, quella commerciale,e il suo conformismo di fondo.

Uno scrittore, Giorgio Va-sta, ha espresso in modo ica-stico questo situazione: «L’Ita-lia è un Paese a somma zero».L’industria culturale nel no-stro Paese non favorisce pernulla l’innovazione, ma vivesu modelli precostituiti e giàaffermati. Come fare per ri-partire? Innovando, introdu-cendo quello che Robin Wood,saggista americano, ha defini-to disturbance, il disturbo cul-turale, che è proprio dell’artee della letteratura, e che «per-mette di misurare la distanzacreativa tra la nuova propostae il gusto già affermato». Lacultura dovrebbe diventareun contesto esperienziale,scrivono gli autori del libro, incui le persone imparano a cre-are possibilità per se stessi eper gli altri investendo sul pro-prio potenziale di sviluppoumano. Un’impresa non dapoco, ma indispensabile.

Segue da pag. I

PAOLO FOSSATI, CRITICO E STORICO DELL’ARTE

Officina torinese= Critico e storico dell’arte, dirigente di Casa Einaudi, PaoloFossati scompariva nel 1998. L’editore Aragno ne pubblica, acura di Gianni Contessi e Miriam Panzeri, una raccolta di scrittigiovanili, apparsi su l’Unità fra il 1965 e il 1970: Officinatorinese (pp. 660, € 40), titolo riecheggiante l’Officinaferrarese di Roberto Longhi. Da Spazzapan a Casorati, daSavinio a De Pisis, da Mino Rosso a Ruggeri, da Merz a DeChirico, da Arturo Martini a Aligi Sassu, a Giacomo Balla. «Laseverità (piemontese?) - osserva Contessi - induce Fossati arifuggire la dimensione eroica, il pathos. Che semmai ènell’oggettività delle cose, in “ciò che l’autore non sa”».

MARCO BELPOLITI

La Tour Eiffel Da 120 anni è l’icona della città:una storia piena di storie, narrata da Jill Jonnes,dove s’incrociano tecnici, operai, artisti, scrittori

Luoghi fantastici Lilliput, Narnia,Flatlandia, un dizionario borgesiano

La Signorinain ferro chestregò Parigi

RICORDI, IDEE E PROGETTI DI ENZO MARI

Piantare un chiodo (e un bosco)= «Di me si scrive che ho fatto qualche oggetto eccezionale. Se questocorrisponde al vero, è forse perché non sono mai andato a scuola». Dalvassoio Putrella alla sedia Sof-Sof, dal calendario Formosa al cestino InAttesa. Ovvero Enzo Mari. Il designer si racconta, sessant’anni di «idee eprogetti per difendere un sogno», in 25 modi per piantare un chiodo(Mondadori, pp. 171, € 17,50). Là dove il sogno - confessa Mari - è quello«della mia ingenuità: realizzare la bellezza». Non si nasconde, il «Maestro»,che il design è nudo, ma fondando il sogno sull’amara constatazione: ilprogetto nasce «quando quello che vediamo fuori dalla finestra ci appareorrendo, sbagliato o falso [...] come reazione a ciò che non è giusto». E poisperare, come il contadino che pianta un bosco, «il miglior progettista».

Naufragarenegli Oggetti

FABIOGEDA

Non esistono più luo-ghi sconosciuti. Nessuna fore-sta da esplorare alla ricerca diciviltà scomparse, nessun ma-re da solcare sperando di im-battersi in isole misteriose, nes-sun deserto che non sia statoscandagliato dai radar e dai sa-telliti. Grazie a Google Earth ab-biamo (quasi) ogni luogo dellaTerra a portata di mouse. Maper i viaggiatori impenitenti esi-ste ancora uno sfogo: esistono iluoghi irreali, utopici, immagi-nari. Ed esiste una guida che lienumera, li descrive e spiegacome raggiungerli. Come scri-ve Alberto Manguel, autore delDizionario dei luoghi fantasticiinsieme a Gianni Guadalupi,nell’introduzione a questa ter-za edizione (la prima è del 1980)«non ci vuole molto per scopri-re che la geografia dell’immagi-nazione è infinitamente più va-sta di quella del mondo fisico».

Alberto Manguel aveva se-dici anni e lavorava in una li-breria di Buenos Aires quan-do conobbe un cliente, quasicieco, che gli chiese se fosse di-sposto ad andare da lui, la se-ra, a leggere ad alta voce. Ilcliente era Jorge Luis Borges.Manguel divenne il suo lettoreprivato. Anni dopo, giunto aMilano per lavoro, si trovò acollaborare con un editore con

la passione per i viaggi, passio-ne tale da portarlo a colleziona-re, nel corso della vita, oltre13.00 volumi, ora affidati allaFondazione Marilena Ferrarinella «Biblioteca del viaggioGianni Guadalupi».

A dare il via al dizionario fuLa ville vampire di Paul Féval.Guadalupi, letto il romanzo, chie-se all'amico Manguel di scriverecon lui una specie di guida turisti-ca, trattando la Città Vampiranon come luogo immaginario,ma reale: dove si poteva alloggia-re per la notte, dove consumareun buon pasto, cosa visitare. Sen-za dubbio si divertirono un mon-do. Tanto che, terminata questaprima voce, i due decisero di al-largare l'indagine agli altri luo-ghi fantastici. Un primo elenco -giusto quelli che conoscevano a

memoria - ne contava centinaia.Alla fine, alcune migliaia. Perscelta accantonarono quelli nonpresenti sul pianeta Terra, imondi paralleli, e anche i luoghi

del futuro. Ma da Narnia a Lilli-put, dalla tolkeniana Minas Tiri-th alle borgesiane Rovine Circo-lari (dove si può sognare un uo-mo fino a dargli vita), dal Regnodelle scimmie di Burroughs allageometrica Flatlandia di Abbot(dove gli oggetti animati e inani-mati appaiono come linee rette,dove le abitazioni sono a formadi pentagono e quelle quadrate etriangolari sono vietate per ra-gioni di sicurezza), nulla mancaal minuzioso elenco dei posti neiquali, oggi più che mai, continuaad avere senso perdersi. Boschie pianure, città e specchi d'ac-qua, regni e isole che ci promet-tono nuovi occhi, ci restituisconobellezza, si fanno incubatori delnostro immaginario.

Il Dizionario dei luoghi fanta-stici è un manuale prezioso, cor-

redato di cartine dettagliate - daquella di Arkham, nata dalla fan-tasia di Lovecraft, a quella delPaese che non c'è, rifugio di Pe-ter Pan e dei suoi ragazzi perdu-ti - e immaginifiche illustrazioni- conoscete forse le mostruoseforme dell’idolo Manduca adora-to nell’isola di Gaster? O le deco-razioni della carrozza di Geovanel corso dell’ultima visita nelRegno di Noè?

Concludiamo con una sfida.Come ricompensa per il loro du-ro lavoro, Manguel e Guadalupidecisero di concedersi l'inven-zione di un luogo a testa, com-pleto di autore e bibliografiaapocrifa. Due luoghi fantastici,così fantastici da non esistereneppure nei libri citati. Un plau-so e una confezione di erba pipaa chi riesce a trovarli.

GABRIELLABOSCO

Lo si direbbe un ro-manzone postmoderno, a giu-dicare dai personaggi, tutti ar-cinoti e molto eterogenei: Buf-falo Bill, Van Gogh, Edison,Rosa Bonheur e Sarah Ber-nhardt, Maupassant, JamesGordon Bennett, lo scià diPersia, Toro Seduto, Whist-ler, Annie Oakler cioè la cam-pionessa massima di tiro a se-gno con il fucile, Mark Twain,il signor Otis quello degliascensori... La protagonistapoi, la Demoiselle, ha i tratti de-cisi dell'icona pop: gambe pos-senti, fianchi snelli, un'invidia-bile altezza, il collo lunghissi-mo e al posto degli occhi un fa-ro. E invece è storia vera, an-zi: la vera storia, per nientepost e tutta moderna, della Si-gnorina in Ferro, il puntiglio-so resoconto del suo concepi-mento, della sua nascita, in-fanzia, adolescenza, fino algran debutto in società.

Ma cominciamo dall'ini-zio, come fa Jill Jonnes, l'au-

trice. Avrebbe potuto essereuna gigantesca ghigliottina, ilsimbolo dell'Exposition Uni-verselle del 1889, uno specia-lissimo arco di trionfo sotto ilquale avrebbero dovuto pas-sare tutti i visitatori, ben ma-cabra porta d'ingresso per lecelebrazioni organizzate acento anni dall'abbattimentodella monarchia in Francia.Tra i progetti che partecipa-rono alla gara e che il commis-sario dell'esposizione si trovòa dover esaminare c'era an-che quello. Si affrettò ovvia-mente a escluderlo: l'intentoera inneggiare alla Repubbli-ca, non ricordarne gli aspetti«discutibili».

La palma la riportò, benpiù adeguatamente, il proget-to intitolato Tour en fer de troiscents mètres. Era di un ingegne-re francese, Gustave Eiffel, lacinquantina avanzata, elegan-te nella sua sobrietà, specializ-zato in ponti ferroviari. Alcommissario Lockroy bisognadare atto di notevole perspica-cia. Ce ne voleva una buona do-se per scommettere su quell'idea, una torre interamente inferro, più alta di qualunquemonumento - quello a Washin-gton, detentore del record, mi-surava 169 metri - che avrebbeposato i suoi quattro piedi alcentro di Parigi e da lì si sareb-be erta esile e impavida a por-tare in cielo lo stendardo bian-co rosso e blu. Su carta, avevatutta l'aria di una follia. Bellis-sima, però, esaltante.

Lockroy capì che se Eiffelce l'avesse fatta, quella torreavrebbe conquistato il mon-do, diventando l'insuperabiledimostrazione dell'assoluta

supremazia francese in fatto dimodernità tecnologica e inge-gneristica genialità. Certo èche a nulla sarebbero valse lapotente visione di Eiffel e la lun-gimiranza di Lockroy, se nonfossero state supportate dal co-raggio dei 199 operai che quellatorre, pezzo dopo pezzo e me-tro dopo metro, misero in piedi.

Ventisei mesi di lavoro in condi-zioni estreme, a anche -10˚ d'in-verno e fino a +37 d'estate, perun salario assolutamente impa-ri. Scioperarono per avere unaumento, giunti a una certa al-tezza (quando ormai da sotto,avvolti nella nebbia, non li si ve-deva più). Eiffel, ingegneristica-mente, rispose: «Mancate di lo-gica: cadendo da trecento me-tri non succede niente di diver-so che da quaranta. Si muore».E loro continuarono.

Non bisogna pensare peròche si sia trattato di una partitafacile. Di oppositori, feroci, cene furono in ogni ambiente.Una lista di intellettuali e scrit-tori, tra i quali Maupassant eDumas figlio, firmarono un ap-pello contro «l'odiosa colonnadi metallo imbullonato». Ric-che signore impugnarono la vi-sta sui Champs de Mars dei lo-ro appartamenti: che fineavrebbe fatto? I catastrofisti:mai e poi mai la torre avrebberesistito ai venti. Eccetera.

Lui, l'ingegnere del ferro, lisbaragliò tutti. Ai primi dimaggio dell'89, all'aperturadell'Exposition - 90 ettari difiera sdraiata lungo la Senna,frutto dell'amplesso tra la Bel-le Epoque francese e l'Età dell'Oro americana, consumato adispetto delle monarchie euro-pee disdegnose e assenti - la

sua Torre era pronta. Uniconeo: in cima - là dove, sull'ulti-ma piattaforma, Eiffel avevafatto costruire un apparta-mento per sé, «il nido dell'aqui-la» - ci si doveva andare a pie-di, e pericolosamente. Gliascensori, affidati all'america-na Otis, mancarono l'appunta-mento di qualche settimana. Il

disguido comunque non oscu-rò la grandezza dell'impresache, anche commercialmente,fu un totale trionfo.

Le altre due vedettes delcentenario, americane doc, Buf-falo Bill e Thomas Edison, con-tribuirono a rendere l'evento in-dimenticabile. Il primo portan-do a Parigi per l'occasione ilsuo Wild West, il celeberrimoshow che metteva in scenacowboy, indiani e bufali congrandi effetti e al culmine delquale si esibiva con fucili e rivol-telle Annie la tiratrice; il secon-do, Edison, accettando che il fo-nografo, l'ultima sua invenzio-ne, venisse celebrata proprio làin cima, nell'appartamento ae-reo di Eiffel. Scalarono la Torrei pellirosse dello show come loscià di Persia (quest'ultimo tre-mando di paura); tante teste co-ronate, sia pur contrarie alla re-pubblicana Esposizione, e duemilioni di persone nei sei mesidella sua durata, che pranzava-no al Café Brébant sulla prima

piattaforma e visitavano la re-dazione lì allestita per l'edizio-ne della Tour del Figaro. Men-tre l'Herald, dalla sede parigi-na, che il direttore GordonBennett junior aveva apertodopo esser stato cacciato daNew York avendo fatto pipì da-vanti a tutti ad un ricevimen-to, trasformava ogni visita in

cronaca mondana. Fanfara.Onore e gloria.

Peccato le pagine di epilo-go: lo scandalo di Panama dacui Eiffel si lasciò toccare, VanGogh suicida, la morte di ToroSeduto, Wounded Knee... laStoria. Superstiti? Incolume,solo lei: la Tour, centoventi-due anni a giorni.

GLI «SCRITTI SULL’ARTE» DI SERGIO SOLMI

Un sogno, tra Carrà e Morandi= «Critico non professionale», com’era solito definirsi, SergioSolmi fu fra coloro che segnalarono a Piero Gobetti gli Ossi di seppiadi Eugenio Montale. Adelphi termina la pubblicazione delle sueopere complete, un’impresa che ha il respiro di trent’anni, conScritti sull’arte (pp. 469, € 45, a cura di Giovanni Pacchiano, conuna nota di Antonello Negri). Da Carrà a Morandi, da De Chirico aDe Pisis, da Matisse a Music. «Il sogno nostalgico di Solmi poeta -coglie Pacchiano -, nel continuo oscillare fra i due poli opposti, ilmomento della regressione a una mitica condizione originaria,infantile o addirittura prenatale, e la precisa chiarezzadell’intelligenza, si conferma anche con e nei suoi pittori».

La sfida di «Viverecon la complessità» masenza tossicodipendenzadalla tecnologia: le tesidello psicologo Norman

Enzo MariGisèle Freund

LA FOTOGRAFA GISELE FREUND

Obiettivo il mondo= Fra le maggiori icone del fotogiornalismo, GisèleFreund, artista di origine tedesca nazionalizzata francese,scomparsa nel 2000 a 91 anni, si racconta in Il mondo e ilmio obiettivo (Abscondita, pp. 205, € 22, trad. di PieraOppezzo, con immagini). Dominante, in particolare, nellasua autobiografia, la Parigi intellettuale, via via ritratta: daAdrienne Monnier, proprietaria dell’omonima libreria, aSartre, da Matisse a Léon-Paul Fargue,Colette, Malraux.La fotografia come arte contemporanea, dagli anniOttanta a oggi, è ripercorsa da Charlotte Cotton perEinaudi (pp. 299, € 30, traduzione di Maria Virdis).

pp Jill Jonnesp STORIA DELLA TOUR EIFFELp trad.di Cristina Spinogliop Donzelli, pp. 346, € 26p in libreria dal 27 aprile

.

p

pp Alberto ManguelGianni Guadalupip DIZIONARIO

DEI LUOGHI FANTASTICIp Archinto, pp. 976, € 50

pp Donald A. Normanp VIVERE CON LA COMPLESSITÀp trad. di V. B. Salap Pearsonp pp. 266, € 16

Il manifesto per l’arrivo di Buffalo Bill a Parigi nel 1889

Modernità Dal telefono al frigorifero al computer:macchine sempre più «potenti», sempre più complicate

Nel Paese chenon c’è, infinitaè la meraviglia

La Torre di Babele, qui in un dipinto di Peter Bruegel il Vecchio, 1563

A destrauna caricatura

dell’ingegnerGustave Eiffel

apparsail 29 giugno

1889su «Punch»;

a sinistrauna visione

dal bassodella Torre

ai giorni nostri

Una lavastoviglie a muro e «trasparente» (DornoB Design)

Una cartolina con la Tour Eiffel in costruzione

Tra i feroci oppositoridella «odiosa colonnadi metallo imbullonato»ci furono ancheMaupassant e Dumas

Personaggi e simboliVITuttolibri

SABATO 23 APRILE 2011LA STAMPA VII

Vinse il progettodell’ingegner Gustave:gambe possenti, fianchisnelli, collo lungoe come occhi un faro

Per l’inaugurazionearrivarono Buffalo Billcon il suo circo, Edisoncon il suo fonografoe lo scià di Persia

Non bastail turistaper farcirisorgere

Una fotografia di Eiffel

Page 8: Tuttolibri n. 1762 (23-04-2011)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - VIII - 23/04/11 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/08 - Autore: PATZAN - Ora di stampa: 22/04/11 20.36

NELL TRE RELIGIONI

Brindisi di fedeIl significato simbolicodellavite edell’uvanelleculture espressedalle tre religioni monoteiste,Ebraismo,Cristianesimoe Islam.Vinoe interculturalità (Longoeditore,pp.108, € 15) èunsaggiodiMauro Manaresi,da anniimpegnato in ricerchedi carattereeconomicoe sociologico.«Il vinoèunabevanda paradisiaca, èunadelle cosemiglioridonate daDioall’umanità, l’ubriachezzael’eccessosono proibiti, la vite (o ildivietodiberevino) èutilizzatacomemetafora di comunità (pergli ebrei ed i cristiani, mentreper imusulmaniè il non berevinocheidentifica la comunità), al vinosonoriconosciuti effetti beneficisulla salutedell’uomo».

MARCOVOZZA

Il debito di ricono-scenza che la cultura inter-nazionale, non soltantoquella italiana, intrattienenei confronti di Giorgio Col-li è inestimabile, innanzitut-to per averci restituito unNietzsche integro e credibi-le, sottratto alle reiteratemanipolazioni precedenti,attraverso l’edizione criticadelle sue opere condottacon Mazzino Montinari. MaColli era anche un grandeeditore e un filosofo autono-mo, seppur sempre fedelealla traccia dei suoi autoriprediletti, Schopenhauer eNietzsche fra tutti, ma inparticolare i primi pensato-ri greci, quei sapienti delleorigini che si avvalevanodelle forme espressive delmito, della religione e dellapoesia prima che si affer-masse il pensiero astrattodei filosofi classici.

Ora abbiamo la possibili-tà di tornare su quei temi,tra antico e moderno, in vir-tù di una consistente, affasci-nante quanto rigorosa, rac-colta di scritti inediti, la cuitesi assai ambiziosa conside-ra «apollineo» e «dionisia-co» non soltanto criteri elet-tivi per la comprensione delmondo greco ma «principiuniversali e supremi della re-altà», capaci di spiegare idualismi del pensiero filoso-fico ma anche la musica diBeethoven. La chiave teore-tica, non soltanto estetica,che introduce Colli, dell’anti-tesi tra dionisiaco e apolli-neo come connessione indis-solubile, più che contrappo-sizione, tra interiorità ed

espressione appare già prefi-gurata nella filologia nietz-scheana dell’avvenire che in-daga il fenomeno della vita se-condo istanze metafisiche.

Apollo e Dioniso rappre-sentano il sogno e l’ebbrezza,la forma e la forza, la visione el’impulso orgiastico, differentiespressioni del sentimentoestatico dell’esistenza, quelloin cui l’uomo viene trasfigura-to nell’opera d’arte. Nietzscheinsiste sulla coesistenza delledue divinità che si spartisconoil dominio nell’ordinamentodelfico del culto, generandoun equilibrio che vede alter-narsi assennatezza e dismisu-ra, moderazione e violenza.

Nell’ebbrezza dionisiaca, lanatura ritrova la propria po-tenza unitaria, dapprima dissi-pata nel processo di individua-zione, opera altresì la reden-zione di una volontà altrimen-ti intristita, ora rivitalizzatada una mescolanza panico-or-giastica di affetti.

Tra Dioniso e Apollo si in-staurò la lotta tra verità e bel-lezza, che caratterizzò la gre-cità fino a raggiungere, depau-perata e isterilita dopo Socra-te, la modernità; i Greci intese-ro che il fine della cultura èquello di «velare la verità», diopporre la misura all’eccesso.Si trattò per la grecità apolli-nea di trasformare il caratte-

re lacerante del pensiero tra-gico in «rappresentazioni concui si potesse vivere», crean-do un mondo intermedio traverità e bellezza, in cui il dolo-re, l’assurdità e l’atrocità del-l’esistenza giungessero a ma-nifestarsi in una bella parven-za, trasferendo cioè sul pianoillusorio e salutare dell’appa-renza la visione annichilentedi quell’abisso terrificante.

L’arte rendeva possibile lacreazione di «una possibilitàpiù alta di esistenza», checonsisteva nel mantenereaperta e vibrante l’espressio-ne degli affetti, la comunica-zione dei sentimenti, la condi-visione del dolore, seppur tra-sferita «in rappresentazionicoscienti»; in tal modo, nel-l’esaltazione dell’essere chesi avvale della danza e dell’in-tero simbolismo del corpo, labellezza veniva ad accresce-re «il piacere di esistere»,cioè la vita ascendente.

Colli non ne fa menzionema la più rilevante confermadella propria tesi giunge indi-rettamente dalla letteraturapsicanalitica: Jung pone alcentro dei Tipi psicologici la di-cotomia tra apollineo e dionisi-

aco, come modello di spiega-zione dei fenomeni di introver-sione ed estroversione. Il dio-nisiaco costituisce «l’espansio-ne diastolica», pulsionale emultiforme, dell’esistenza,mentre l’apollineo rappresen-ta il tentativo razionale di ri-pristinare nella psiche un ordi-ne unitario. Eros e Logos con-vivono permanentemente nel-la nostra vita.

SILVIARONCHEY

Che cosa sarebbe ilnostro mondo senza Platone?Infinitamente diverso e certa-mente peggiore, lo sanno tut-ti. Ma pochi sanno che lo sa-rebbe anche senza un altro fi-losofo, suo quasi omonimo:Pletone. Non è uno scherzo,né, o non solo, un calembour.Il nostro pensiero, la nostracultura, la nostra politica, que-sta nostra civiltà occidentale,che ha origine nella Grecia an-tica ma è nel Rinascimentoche si forma alla modernità eappunto rinasce, non avrebbe-ro avuto il loro imprinting nel-la filosofia di Platone se a tra-smetterla all’internazionaledegli umanisti europei nonfosse stato quel grandissimofilosofo bizantino. Il suo vero

nome, Gemisto, nel greco delQuattrocento voleva dire«colmo» (gemistos); e lo stes-so o quasi — «pieno», «traboc-cante» — significava, nel gre-co classico, lo pseudonimoPlethon, Pletone, che si era da-to in omaggio al filosofo percui traboccava d'amore. Conquesto nome era noto in tuttoil mondo, come spiega More-no Neri nello straordinario li-bro — un vero evento — cheoggi ci consegna la traduzionedel più diffuso fra i testi di Ple-tone, il Trattato delle virtù, e incui più di 400 pagine sono de-dicate a un saggio introduttivoche ha lo spessore intellettualee critico oltreché la lunghezzadi un’esemplare monografia.

Da Platone a Pletone, la filo-sofia platonica, per dieci secoli,aveva seguito un cammino car-sico, ininterrotto ma spesso sot-terraneo. Inizialmente cristia-nizzata, eppure quasi sempreconiugata a un sincretismo reli-gioso intrinseco ai suoi princìpie a un neopaganesimo filosoficocondiviso anche dagli esponentiecclesiastici delle più o menoeretiche o clandestine «eterìe»o «fratrie» che seguitarono aprofessarla anche dopo la suaeclissi dalla teologia ufficiale di-venuta aristotelica, solo allaScuola di Pletone sarebbe rie-mersa alla piena luce. E con lavenuta del Gran Maestro e deisuoi discepoli in Italia per il con-cilio fiorentino del 1439 si sareb-be trasmessa agli intellettuali eai politici riuniti in suo ascolto.

Fu un preciso passaggio didottrine, uomini e testi, che daBisanzio ormai prossima a ca-dere sotto il dominio turco ven-nero portati in salvo nell’Euro-pa occidentale. Fu un delibera-to passaggio di consegne, in no-me del quale Cosimo de' Medicifondò l'accademia platonica. Equella filosofia diventò, comeha scritto Eugenio Garin,«l’ideologia della sovversioneeuropea».

«E’ solo grazie a una combi-nazione di talento e fortuna cheMarsilio Ficino - scrive Neri -

resta un nome che non si scor-da, mentre quello di Giorgio Ge-misto è ignoto ai più, così comeShakespeare è un’icona interna-zionale e Marlowe no». Di Pleto-ne, come scrisse il suo grandeestimatore e traduttore Giaco-mo Leopardi, «la fama tace alpresente, non per altra causa senon che la celebrità degli uomi-ni, come in effetti ogni cosa, di-pende più da fortuna che da ra-gione, e nessuno può assicurar-si di acquistarla per merito,quantunque grande».

In realtà, non sono certomancate le ragioni per dimen-ticare Gemisto, o per travisar-lo, se non per diffamarlo, spie-ga Neri, il primo dopo Leopar-di ad essersi misurato vittorio-samente con il suo greco splen-dido e impossibile, musicale eburrascoso, arcaico e futuribi-le, che ha dissuaso molti daltradurre la sua opera omnia,di cui invece questo Trattato èil primo volume.

«Detestato da tutte le chie-se costituite, finita sul rogo lasua opera più importante» —il libro delle Leggi, bruciatodal patriarca Gennadio pocodopo la sua morte —, «Pletonediede vita a entusiasmi comea odi non passeggeri tra le per-sone più eccellenti del Rinasci-mento», scrive Neri. «Fu unodei primi geni del moderno,

mosso da una curiosità quasitopografica per ogni ramo delsapere». Oltre che un teologoneopagano e un eretico, eraun utopista che «aveva trova-to nelle dottrine platoniche eneoplatoniche, nei mitici testizoroastriani, orfici e pitagori-ci, il fondamento di un radica-le programma di rinnovamen-to politico e religioso, di una ri-nascita della più antica sapien-za che fosse l’inizio di un nuo-vo tempo dell’esperienza uma-na». Alla sapienza nascostadel cristianesimo non poteva-no non essere arrivati, ritene-va Pletone, gli antichi saggi el-lenici e orientali. Far rivivere iloro testi e riti avrebbe porta-to a una religione filosofica incui le diversità dei culti e delleconfessioni storiche sarebbe-ro state irrilevanti per gli ini-

ziati di un alto clero illumina-to. In quel mondo nuovo, ognidevozione sarebbe stata am-messa e libera di prosperare.

Pletone affermava che tuttoil mondo entro pochi anniavrebbe accolto una sola religio-ne con un solo animo, una solamente e una sola predicazione.«Cristiana o maomettana?», gliavevano chiesto. «Nessuna del-le due - aveva risposto - ma simi-le a quella dei gentili. Solo quan-do Maometto e Cristo sarannodimenticati, la verità vera splen-derà su tutte le terre del mon-do». I filosofi musulmani amaro-no quanto gli umanisti italianile sue opere e poco dopo la suamorte ciò che restava del librodelle Leggi fu tradotto in arabo.

CLAUDIOFRANZONI

Non è accaduto a ca-so che a volte, in passato, iltermine greco symposion siastato tradotto con «banchet-to», come, ad esempio, nelfilm che Marco Ferreri tras-se dal Simposio di Platone nel1988; il fatto è che ci viene na-turale ricondurre alla nostraesperienza ciò che incontria-mo nel mondo antico, e dun-que anche le occasioni convi-viali, quasi che le forme delmangiare e del bere siano lestesse sempre e dappertutto.

Negli ultimi vent’anni lasaggistica di ambito anglosas-sone e francese ci ha spiegatoinvece che il simposio anticonon era per niente paragona-bile ai conviti, pubblici o pri-vati, del Medioevo e dell’etàmoderna, tanto meno a quellidel nostro tempo. Si inseri-sce in questo ambito di ricer-ca anche il libro che MariaLuisa Catoni dedica a questotema, facendo il punto suglistudi precedenti e aprendonuovi fronti di discussione.

Il simposio era, come diceil nome, una «bevuta assie-me», le cui forme, forse ap-prese dai Fenici, divennerodopo l’età omerica un vero eproprio contrassegno dellostile di vita aristocratico in

Grecia. Al di là delle possibilivarianti, il meccanismo delsimposio dovette restare stabi-le per secoli: gli ospiti si acco-modavano in una sala appositadella casa, l’andrón («sala degliuomini») - termine che baste-rebbe a illustrare la destinazio-ne esclusivamente maschiledella «bevuta» - e qui si sdraia-vano sui letti (di solito sette),modalità ereditata da formeconviviali orientali. Al centrodella stanza era posto il crate-re, un grande recipiente per

mescolare vino e acqua: l’as-sunzione moderata del vino di-venta infatti uno dei punti chia-ve dell’etica simposiale. Dalcratere si attingeva per riempi-re le larghe coppe decorate diciascun invitato. Si iniziavacon una libagione e una pre-ghiera, ci si lavava, ci si incoro-nava con edera: azioni cheiscrivevano il simposio in unambito sacro e che ne rimarca-vano il carattere rituale.

Tutto questo e molti altridettagli si scoprono appunto in

Bere vino puro, grazie anche alcorredo di oltre 150 illustrazio-ni tratte proprio da quei vasi afigure nere e a figure rosse cheservivano per lo svolgimentodei simposi e che vennero pro-dotti in Attica tra VI e V secoloprima di Cristo. Ma il saggionon punta tanto a descriverelo svolgimento del simposio,quanto a osservare in questo«microcontesto quello che av-viene nello spazio più ampiodella polis e del mondo greco».

Del resto l’obbiettivo delsimposio non era solo quellodi condividere il piacere del vi-no, ma quello di conversare,di discutere temi filosofici, dieseguire o ascoltare canti ebrani poetici; c’era posto an-che per gli incontri amorosi,ed eventualmente per diverti-menti, per giochi, per la baldo-ria finale. Attraverso queste«bevute assieme» i gruppi ari-stocratici rinsaldavano i rap-porti reciproci e riaffermava-no la propria identità; nellospazio modesto dell’andrónviene così rappresentata lacomplessità della dialetticapolitica e sociale: basterebbeleggere i vivaci paragrafi sugliinvitati e sugli esclusi (che pe-rò a volte vengono ugualmen-te e ne approfittano).

Ripetutamente l’autricecambia angolazione e ordine di

domande, affrontando ancheproblemi di metodo; in partico-lare, a proposito dell’interpre-tazione iconografica, non na-sconde anche nodi problemati-ci, come quello dei percorsicommerciali dei vasi da simpo-sio: come mai migliaia di essi fi-nirono in Occidente, magaridestinati a conviti non greci oaddirittura a corredi funeraridi area etrusca?

Uno dei cardini del lavoro èl’analisi comparata di poesia eiconografie; sin dall’età arcai-ca infatti la lirica greca usa ilsimposio quale argomento, co-me quando Alceo incita i com-pagni a brindare per la mortedel tiranno Mirsilo o invita acolmare le coppe «fino all’or-lo» (ma di «due parti di acqua euna di vino»); nello stesso arco

di tempo più di un pittore sce-glie scene di simposio per deco-rare i vasi che verranno usatiproprio per le «bevute assie-me». In una sorta di specchio,allora, i convitati possono am-mirare immagini che li descri-vono e ascoltare versi che han-no il simposio come sfondo.

Per quanto lirica e pitturavascolare abbiano codici epercorsi autonomi, si trovanopienamente d’accordo su unpunto, additare i pericoli del-l’ebbrezza e della perdita dicontrollo. Questa è la primaragione per mescolare il vinocon l’acqua e per invitare allagiusta misura nel comporta-mento. Ma, come osserva Ca-toni, un conto è proporre mo-delli normativi, un altro è os-servarli: più di un indizio ci fa

pensare che non fosse poi cosìraro bere vino puro e che bal-dorie ed eccessi non fosseroepisodi isolati.

Parole e immagini interagi-scono sugli oggetti stessi delsimposio, i vasi, con iscrizionidipinte o graffite: storie di rela-zioni e di amicizie, un brindisi(«salute e bevimi, davvero!»),l’accenno a un verso celebre, inomi di alcuni convitati; spes-so troviamo acclamazioni amo-rose: si proclama cioè che que-

sto o quel giovane «è bello», aconferma che l’atmosfera delsimposio è perfetta per il cor-teggiamento omoerotico. Eleggiamo anche le firme delvasaio e del pittore, a voltepersino i loro nomi quando siritraggono in veste di convita-ti: si trattava dell’orgoglio perla propria bravura e, forse,dell’aspirazione di questi arti-giani a veder riconosciuta laloro téchne con una posizionespeciale tra i cittadini, parteci-pando appunto ai simposi.

Vi presento Pletone(e non è un refuso...)

Eros e Logos La lotta tra bellezzae verità che ha caratterizzato i Greci

Rinascimento Il pensatore bizantino cheinnestò la dottrina platonica nel Quattrocento

pp Giorgio Collip APOLLINEO E DIONISIACOp a cura di Enrico Collip Adelphi, pp. 270, € 14

pp Pletonep TRATTATO DELLE VIRTÙp a cura di M. Nerip Bompiani, pp. 739, € 18

pp Maria Luisa Catonip BERE VINO PURO

Immagini del simposiop Feltrinelli, pp. 505,€ 39

BOOKCROSSING

Libri e passioni= «Ho lasciato un Idiota, hotrovato un Piccolo Principe». Il30 aprile, in sette città italiane(Milano,Genova, Torino,Verona, Firenze, Roma, Napoli)torna il bookcrossing Fnac. Ilettori sono invitati a lasciarenon più di cinque libri nei varicentri, in cambio portandone acasa degli altri. Quaranta editorihannoaderito all’iniziativaoffrendocirca 15 mila volumi.Inoltre, per festeggiare la letturatredici editori sono stati invitatida Fnac a scegliere cento titoliche hanno fatto la storia dellaletteratura. Fino all’8 maggiosarannovenduti con il 20 percento di sconto.

A RAGUSA

A tutto volume= Dal 29 aprile al primomaggio, a Ragusa, nuovaedizione del festival letterario«A Tutto Volume». Tra gliospiti Innocenzo Cipolletta,Vito Mancuso, Aldo Cazzullo,Roberto Vacca, ValentinoZeichen, Achille Bonito Olivanonché vari esordienti.

CON «LA STAMPA»

Salgari racconta= Quattro romanzi di Salgari:I misteri della jungla nera, I piratidella Malesia, Le tigri diMompraceme Il Corsaro nero.Li offre, in un unico volume di788 pagine con 32 illustrazionid’epoca, «La Stampa». Inedicola da mercoledì 27 aprile (il25 ricorre il centenario dellamorte dello scrittore) al prezzodi 12,90 euro.

DALLA VITE ALLA BOTTIGLIA

L’uva è cultura= Una passione cheaccompagna l’uomo findall’Eden. Jean-Robert Pitte,autore di varie opere digeografia culturale, racconta Ildesiderio del vino (EdizioniDedalo, pp. 308, € 24,traduzione di Vito Carrassi).Nella prefazione Paolo Scarpiavverte che Pitte «haintrecciato e mescolato lacomplessa e millenariatradizione vitivinicolamediterranea, insieme ai suoimiti, ai suoi simboli e ai suoiriti, con lo sviluppo dellaproduzione e con la diffusionedel vino nel mondocontemporaneo».Un saggio «sul gusto del vinonell’era della sua produzioneindustriale» è Dionisocrocifisso di Michel Le Gris(Deriva Approdi, pp. 185, € 16,traduzione di Roberto Gelini).Come le trasformazioni delletecniche di vinificazione edelle forme di coltivazioneincidono sulla facoltàindividuale di giudicare i vini.Roger Scruton ha compostouna guida filosofica al vino,Bevo dunque sono (RaffaelloCortina editore, pp. 240,€ 19,80, traduzione di GianniRigamonti). Scopo dell’autore«è difendere l’opinioneattribuita a suo tempo aPlatone, cioè che “dagli Deinon è mai stato concessoall’uomo niente di piùeccellente o prezioso delvino”».Jonathan Nossiter indiva infineLe vie del vino (Einaudi, pp.237, € 16, traduzione di FabioMontrasi): un enologico girodel mondo, tra vitigni, cantineed enoteche.

«Trattato delle virtù»:l’opera di unofra i primi genidel moderno, curiosodi ogni ramo del sapere

Intorno a Baccosi degusta la vita

Mescolare con l’acquainvitava alla giustamisura , la «bevutaassieme» rinsaldavai rapporti sociali

Stimato e tradottoda Leopardi, detestatoda tutte le chiese,un utopista radicale,politico e religioso

.

Simposio Un rito stabile per secoli: berevino puro, conversare, amare, divertirsi

Bloc notes

Una «ricostruzione»di Maria Luisa Catoninella antica Greciacon l’analisi comparatadi poesia e iconografie

Letture

Gemisto, detto Pletone,in un dipinto di Benozzo Gozzoli

Scena di banchetto su un cratere a figure rosse del IV sec. a. C.

I nostri classiciVIIITuttolibri

SABATO 23 APRILE 2011LA STAMPA IX

Come conciliareDioniso e Apollo,ebbri e assennati

Giorgio Colli

Per Giorgio Colli,nel solco di Nietzsche,le due divinitànon si contrappongono,ma coesistono

In occasione della beatifi cazione del 1° maggio 2011, La Stampa, Priuli & Verlucca e LaPresse presentano uno splendido volume fotografico inedito che racconta tutta la vita di Papa Wojtyla attraverso 230 immagini emozionanti e il racconto appassionato e puntuale di Gian Mario Ricciardi, giornalista della RAI che ha se-guito personalmente Giovanni Paolo II in moltissimi dei suoi viaggi.

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NELL TRE RELIGIONI

Brindisi di fedeIl significato simbolicodellavite edell’uvanelleculture espressedalle tre religioni monoteiste,Ebraismo,Cristianesimoe Islam.Vinoe interculturalità (Longoeditore,pp.108, € 15) èunsaggiodiMauro Manaresi,da anniimpegnato in ricerchedi carattereeconomicoe sociologico.«Il vinoèunabevanda paradisiaca, èunadelle cosemiglioridonate daDioall’umanità, l’ubriachezzael’eccessosono proibiti, la vite (o ildivietodiberevino) èutilizzatacomemetafora di comunità (pergli ebrei ed i cristiani, mentreper imusulmaniè il non berevinocheidentifica la comunità), al vinosonoriconosciuti effetti beneficisulla salutedell’uomo».

MARCOVOZZA

Il debito di ricono-scenza che la cultura inter-nazionale, non soltantoquella italiana, intrattienenei confronti di Giorgio Col-li è inestimabile, innanzitut-to per averci restituito unNietzsche integro e credibi-le, sottratto alle reiteratemanipolazioni precedenti,attraverso l’edizione criticadelle sue opere condottacon Mazzino Montinari. MaColli era anche un grandeeditore e un filosofo autono-mo, seppur sempre fedelealla traccia dei suoi autoriprediletti, Schopenhauer eNietzsche fra tutti, ma inparticolare i primi pensato-ri greci, quei sapienti delleorigini che si avvalevanodelle forme espressive delmito, della religione e dellapoesia prima che si affer-masse il pensiero astrattodei filosofi classici.

Ora abbiamo la possibili-tà di tornare su quei temi,tra antico e moderno, in vir-tù di una consistente, affasci-nante quanto rigorosa, rac-colta di scritti inediti, la cuitesi assai ambiziosa conside-ra «apollineo» e «dionisia-co» non soltanto criteri elet-tivi per la comprensione delmondo greco ma «principiuniversali e supremi della re-altà», capaci di spiegare idualismi del pensiero filoso-fico ma anche la musica diBeethoven. La chiave teore-tica, non soltanto estetica,che introduce Colli, dell’anti-tesi tra dionisiaco e apolli-neo come connessione indis-solubile, più che contrappo-sizione, tra interiorità ed

espressione appare già prefi-gurata nella filologia nietz-scheana dell’avvenire che in-daga il fenomeno della vita se-condo istanze metafisiche.

Apollo e Dioniso rappre-sentano il sogno e l’ebbrezza,la forma e la forza, la visione el’impulso orgiastico, differentiespressioni del sentimentoestatico dell’esistenza, quelloin cui l’uomo viene trasfigura-to nell’opera d’arte. Nietzscheinsiste sulla coesistenza delledue divinità che si spartisconoil dominio nell’ordinamentodelfico del culto, generandoun equilibrio che vede alter-narsi assennatezza e dismisu-ra, moderazione e violenza.

Nell’ebbrezza dionisiaca, lanatura ritrova la propria po-tenza unitaria, dapprima dissi-pata nel processo di individua-zione, opera altresì la reden-zione di una volontà altrimen-ti intristita, ora rivitalizzatada una mescolanza panico-or-giastica di affetti.

Tra Dioniso e Apollo si in-staurò la lotta tra verità e bel-lezza, che caratterizzò la gre-cità fino a raggiungere, depau-perata e isterilita dopo Socra-te, la modernità; i Greci intese-ro che il fine della cultura èquello di «velare la verità», diopporre la misura all’eccesso.Si trattò per la grecità apolli-nea di trasformare il caratte-

re lacerante del pensiero tra-gico in «rappresentazioni concui si potesse vivere», crean-do un mondo intermedio traverità e bellezza, in cui il dolo-re, l’assurdità e l’atrocità del-l’esistenza giungessero a ma-nifestarsi in una bella parven-za, trasferendo cioè sul pianoillusorio e salutare dell’appa-renza la visione annichilentedi quell’abisso terrificante.

L’arte rendeva possibile lacreazione di «una possibilitàpiù alta di esistenza», checonsisteva nel mantenereaperta e vibrante l’espressio-ne degli affetti, la comunica-zione dei sentimenti, la condi-visione del dolore, seppur tra-sferita «in rappresentazionicoscienti»; in tal modo, nel-l’esaltazione dell’essere chesi avvale della danza e dell’in-tero simbolismo del corpo, labellezza veniva ad accresce-re «il piacere di esistere»,cioè la vita ascendente.

Colli non ne fa menzionema la più rilevante confermadella propria tesi giunge indi-rettamente dalla letteraturapsicanalitica: Jung pone alcentro dei Tipi psicologici la di-cotomia tra apollineo e dionisi-

aco, come modello di spiega-zione dei fenomeni di introver-sione ed estroversione. Il dio-nisiaco costituisce «l’espansio-ne diastolica», pulsionale emultiforme, dell’esistenza,mentre l’apollineo rappresen-ta il tentativo razionale di ri-pristinare nella psiche un ordi-ne unitario. Eros e Logos con-vivono permanentemente nel-la nostra vita.

SILVIARONCHEY

Che cosa sarebbe ilnostro mondo senza Platone?Infinitamente diverso e certa-mente peggiore, lo sanno tut-ti. Ma pochi sanno che lo sa-rebbe anche senza un altro fi-losofo, suo quasi omonimo:Pletone. Non è uno scherzo,né, o non solo, un calembour.Il nostro pensiero, la nostracultura, la nostra politica, que-sta nostra civiltà occidentale,che ha origine nella Grecia an-tica ma è nel Rinascimentoche si forma alla modernità eappunto rinasce, non avrebbe-ro avuto il loro imprinting nel-la filosofia di Platone se a tra-smetterla all’internazionaledegli umanisti europei nonfosse stato quel grandissimofilosofo bizantino. Il suo vero

nome, Gemisto, nel greco delQuattrocento voleva dire«colmo» (gemistos); e lo stes-so o quasi — «pieno», «traboc-cante» — significava, nel gre-co classico, lo pseudonimoPlethon, Pletone, che si era da-to in omaggio al filosofo percui traboccava d'amore. Conquesto nome era noto in tuttoil mondo, come spiega More-no Neri nello straordinario li-bro — un vero evento — cheoggi ci consegna la traduzionedel più diffuso fra i testi di Ple-tone, il Trattato delle virtù, e incui più di 400 pagine sono de-dicate a un saggio introduttivoche ha lo spessore intellettualee critico oltreché la lunghezzadi un’esemplare monografia.

Da Platone a Pletone, la filo-sofia platonica, per dieci secoli,aveva seguito un cammino car-sico, ininterrotto ma spesso sot-terraneo. Inizialmente cristia-nizzata, eppure quasi sempreconiugata a un sincretismo reli-gioso intrinseco ai suoi princìpie a un neopaganesimo filosoficocondiviso anche dagli esponentiecclesiastici delle più o menoeretiche o clandestine «eterìe»o «fratrie» che seguitarono aprofessarla anche dopo la suaeclissi dalla teologia ufficiale di-venuta aristotelica, solo allaScuola di Pletone sarebbe rie-mersa alla piena luce. E con lavenuta del Gran Maestro e deisuoi discepoli in Italia per il con-cilio fiorentino del 1439 si sareb-be trasmessa agli intellettuali eai politici riuniti in suo ascolto.

Fu un preciso passaggio didottrine, uomini e testi, che daBisanzio ormai prossima a ca-dere sotto il dominio turco ven-nero portati in salvo nell’Euro-pa occidentale. Fu un delibera-to passaggio di consegne, in no-me del quale Cosimo de' Medicifondò l'accademia platonica. Equella filosofia diventò, comeha scritto Eugenio Garin,«l’ideologia della sovversioneeuropea».

«E’ solo grazie a una combi-nazione di talento e fortuna cheMarsilio Ficino - scrive Neri -

resta un nome che non si scor-da, mentre quello di Giorgio Ge-misto è ignoto ai più, così comeShakespeare è un’icona interna-zionale e Marlowe no». Di Pleto-ne, come scrisse il suo grandeestimatore e traduttore Giaco-mo Leopardi, «la fama tace alpresente, non per altra causa senon che la celebrità degli uomi-ni, come in effetti ogni cosa, di-pende più da fortuna che da ra-gione, e nessuno può assicurar-si di acquistarla per merito,quantunque grande».

In realtà, non sono certomancate le ragioni per dimen-ticare Gemisto, o per travisar-lo, se non per diffamarlo, spie-ga Neri, il primo dopo Leopar-di ad essersi misurato vittorio-samente con il suo greco splen-dido e impossibile, musicale eburrascoso, arcaico e futuribi-le, che ha dissuaso molti daltradurre la sua opera omnia,di cui invece questo Trattato èil primo volume.

«Detestato da tutte le chie-se costituite, finita sul rogo lasua opera più importante» —il libro delle Leggi, bruciatodal patriarca Gennadio pocodopo la sua morte —, «Pletonediede vita a entusiasmi comea odi non passeggeri tra le per-sone più eccellenti del Rinasci-mento», scrive Neri. «Fu unodei primi geni del moderno,

mosso da una curiosità quasitopografica per ogni ramo delsapere». Oltre che un teologoneopagano e un eretico, eraun utopista che «aveva trova-to nelle dottrine platoniche eneoplatoniche, nei mitici testizoroastriani, orfici e pitagori-ci, il fondamento di un radica-le programma di rinnovamen-to politico e religioso, di una ri-nascita della più antica sapien-za che fosse l’inizio di un nuo-vo tempo dell’esperienza uma-na». Alla sapienza nascostadel cristianesimo non poteva-no non essere arrivati, ritene-va Pletone, gli antichi saggi el-lenici e orientali. Far rivivere iloro testi e riti avrebbe porta-to a una religione filosofica incui le diversità dei culti e delleconfessioni storiche sarebbe-ro state irrilevanti per gli ini-

ziati di un alto clero illumina-to. In quel mondo nuovo, ognidevozione sarebbe stata am-messa e libera di prosperare.

Pletone affermava che tuttoil mondo entro pochi anniavrebbe accolto una sola religio-ne con un solo animo, una solamente e una sola predicazione.«Cristiana o maomettana?», gliavevano chiesto. «Nessuna del-le due - aveva risposto - ma simi-le a quella dei gentili. Solo quan-do Maometto e Cristo sarannodimenticati, la verità vera splen-derà su tutte le terre del mon-do». I filosofi musulmani amaro-no quanto gli umanisti italianile sue opere e poco dopo la suamorte ciò che restava del librodelle Leggi fu tradotto in arabo.

CLAUDIOFRANZONI

Non è accaduto a ca-so che a volte, in passato, iltermine greco symposion siastato tradotto con «banchet-to», come, ad esempio, nelfilm che Marco Ferreri tras-se dal Simposio di Platone nel1988; il fatto è che ci viene na-turale ricondurre alla nostraesperienza ciò che incontria-mo nel mondo antico, e dun-que anche le occasioni convi-viali, quasi che le forme delmangiare e del bere siano lestesse sempre e dappertutto.

Negli ultimi vent’anni lasaggistica di ambito anglosas-sone e francese ci ha spiegatoinvece che il simposio anticonon era per niente paragona-bile ai conviti, pubblici o pri-vati, del Medioevo e dell’etàmoderna, tanto meno a quellidel nostro tempo. Si inseri-sce in questo ambito di ricer-ca anche il libro che MariaLuisa Catoni dedica a questotema, facendo il punto suglistudi precedenti e aprendonuovi fronti di discussione.

Il simposio era, come diceil nome, una «bevuta assie-me», le cui forme, forse ap-prese dai Fenici, divennerodopo l’età omerica un vero eproprio contrassegno dellostile di vita aristocratico in

Grecia. Al di là delle possibilivarianti, il meccanismo delsimposio dovette restare stabi-le per secoli: gli ospiti si acco-modavano in una sala appositadella casa, l’andrón («sala degliuomini») - termine che baste-rebbe a illustrare la destinazio-ne esclusivamente maschiledella «bevuta» - e qui si sdraia-vano sui letti (di solito sette),modalità ereditata da formeconviviali orientali. Al centrodella stanza era posto il crate-re, un grande recipiente per

mescolare vino e acqua: l’as-sunzione moderata del vino di-venta infatti uno dei punti chia-ve dell’etica simposiale. Dalcratere si attingeva per riempi-re le larghe coppe decorate diciascun invitato. Si iniziavacon una libagione e una pre-ghiera, ci si lavava, ci si incoro-nava con edera: azioni cheiscrivevano il simposio in unambito sacro e che ne rimarca-vano il carattere rituale.

Tutto questo e molti altridettagli si scoprono appunto in

Bere vino puro, grazie anche alcorredo di oltre 150 illustrazio-ni tratte proprio da quei vasi afigure nere e a figure rosse cheservivano per lo svolgimentodei simposi e che vennero pro-dotti in Attica tra VI e V secoloprima di Cristo. Ma il saggionon punta tanto a descriverelo svolgimento del simposio,quanto a osservare in questo«microcontesto quello che av-viene nello spazio più ampiodella polis e del mondo greco».

Del resto l’obbiettivo delsimposio non era solo quellodi condividere il piacere del vi-no, ma quello di conversare,di discutere temi filosofici, dieseguire o ascoltare canti ebrani poetici; c’era posto an-che per gli incontri amorosi,ed eventualmente per diverti-menti, per giochi, per la baldo-ria finale. Attraverso queste«bevute assieme» i gruppi ari-stocratici rinsaldavano i rap-porti reciproci e riaffermava-no la propria identità; nellospazio modesto dell’andrónviene così rappresentata lacomplessità della dialetticapolitica e sociale: basterebbeleggere i vivaci paragrafi sugliinvitati e sugli esclusi (che pe-rò a volte vengono ugualmen-te e ne approfittano).

Ripetutamente l’autricecambia angolazione e ordine di

domande, affrontando ancheproblemi di metodo; in partico-lare, a proposito dell’interpre-tazione iconografica, non na-sconde anche nodi problemati-ci, come quello dei percorsicommerciali dei vasi da simpo-sio: come mai migliaia di essi fi-nirono in Occidente, magaridestinati a conviti non greci oaddirittura a corredi funeraridi area etrusca?

Uno dei cardini del lavoro èl’analisi comparata di poesia eiconografie; sin dall’età arcai-ca infatti la lirica greca usa ilsimposio quale argomento, co-me quando Alceo incita i com-pagni a brindare per la mortedel tiranno Mirsilo o invita acolmare le coppe «fino all’or-lo» (ma di «due parti di acqua euna di vino»); nello stesso arco

di tempo più di un pittore sce-glie scene di simposio per deco-rare i vasi che verranno usatiproprio per le «bevute assie-me». In una sorta di specchio,allora, i convitati possono am-mirare immagini che li descri-vono e ascoltare versi che han-no il simposio come sfondo.

Per quanto lirica e pitturavascolare abbiano codici epercorsi autonomi, si trovanopienamente d’accordo su unpunto, additare i pericoli del-l’ebbrezza e della perdita dicontrollo. Questa è la primaragione per mescolare il vinocon l’acqua e per invitare allagiusta misura nel comporta-mento. Ma, come osserva Ca-toni, un conto è proporre mo-delli normativi, un altro è os-servarli: più di un indizio ci fa

pensare che non fosse poi cosìraro bere vino puro e che bal-dorie ed eccessi non fosseroepisodi isolati.

Parole e immagini interagi-scono sugli oggetti stessi delsimposio, i vasi, con iscrizionidipinte o graffite: storie di rela-zioni e di amicizie, un brindisi(«salute e bevimi, davvero!»),l’accenno a un verso celebre, inomi di alcuni convitati; spes-so troviamo acclamazioni amo-rose: si proclama cioè che que-

sto o quel giovane «è bello», aconferma che l’atmosfera delsimposio è perfetta per il cor-teggiamento omoerotico. Eleggiamo anche le firme delvasaio e del pittore, a voltepersino i loro nomi quando siritraggono in veste di convita-ti: si trattava dell’orgoglio perla propria bravura e, forse,dell’aspirazione di questi arti-giani a veder riconosciuta laloro téchne con una posizionespeciale tra i cittadini, parteci-pando appunto ai simposi.

Vi presento Pletone(e non è un refuso...)

Eros e Logos La lotta tra bellezzae verità che ha caratterizzato i Greci

Rinascimento Il pensatore bizantino cheinnestò la dottrina platonica nel Quattrocento

pp Giorgio Collip APOLLINEO E DIONISIACOp a cura di Enrico Collip Adelphi, pp. 270, € 14

pp Pletonep TRATTATO DELLE VIRTÙp a cura di M. Nerip Bompiani, pp. 739, € 18

pp Maria Luisa Catonip BERE VINO PURO

Immagini del simposiop Feltrinelli, pp. 505,€ 39

BOOKCROSSING

Libri e passioni= «Ho lasciato un Idiota, hotrovato un Piccolo Principe». Il30 aprile, in sette città italiane(Milano,Genova, Torino,Verona, Firenze, Roma, Napoli)torna il bookcrossing Fnac. Ilettori sono invitati a lasciarenon più di cinque libri nei varicentri, in cambio portandone acasa degli altri. Quaranta editorihannoaderito all’iniziativaoffrendocirca 15 mila volumi.Inoltre, per festeggiare la letturatredici editori sono stati invitatida Fnac a scegliere cento titoliche hanno fatto la storia dellaletteratura. Fino all’8 maggiosarannovenduti con il 20 percento di sconto.

A RAGUSA

A tutto volume= Dal 29 aprile al primomaggio, a Ragusa, nuovaedizione del festival letterario«A Tutto Volume». Tra gliospiti Innocenzo Cipolletta,Vito Mancuso, Aldo Cazzullo,Roberto Vacca, ValentinoZeichen, Achille Bonito Olivanonché vari esordienti.

CON «LA STAMPA»

Salgari racconta= Quattro romanzi di Salgari:I misteri della jungla nera, I piratidella Malesia, Le tigri diMompraceme Il Corsaro nero.Li offre, in un unico volume di788 pagine con 32 illustrazionid’epoca, «La Stampa». Inedicola da mercoledì 27 aprile (il25 ricorre il centenario dellamorte dello scrittore) al prezzodi 12,90 euro.

DALLA VITE ALLA BOTTIGLIA

L’uva è cultura= Una passione cheaccompagna l’uomo findall’Eden. Jean-Robert Pitte,autore di varie opere digeografia culturale, racconta Ildesiderio del vino (EdizioniDedalo, pp. 308, € 24,traduzione di Vito Carrassi).Nella prefazione Paolo Scarpiavverte che Pitte «haintrecciato e mescolato lacomplessa e millenariatradizione vitivinicolamediterranea, insieme ai suoimiti, ai suoi simboli e ai suoiriti, con lo sviluppo dellaproduzione e con la diffusionedel vino nel mondocontemporaneo».Un saggio «sul gusto del vinonell’era della sua produzioneindustriale» è Dionisocrocifisso di Michel Le Gris(Deriva Approdi, pp. 185, € 16,traduzione di Roberto Gelini).Come le trasformazioni delletecniche di vinificazione edelle forme di coltivazioneincidono sulla facoltàindividuale di giudicare i vini.Roger Scruton ha compostouna guida filosofica al vino,Bevo dunque sono (RaffaelloCortina editore, pp. 240,€ 19,80, traduzione di GianniRigamonti). Scopo dell’autore«è difendere l’opinioneattribuita a suo tempo aPlatone, cioè che “dagli Deinon è mai stato concessoall’uomo niente di piùeccellente o prezioso delvino”».Jonathan Nossiter indiva infineLe vie del vino (Einaudi, pp.237, € 16, traduzione di FabioMontrasi): un enologico girodel mondo, tra vitigni, cantineed enoteche.

«Trattato delle virtù»:l’opera di unofra i primi genidel moderno, curiosodi ogni ramo del sapere

Intorno a Baccosi degusta la vita

Mescolare con l’acquainvitava alla giustamisura , la «bevutaassieme» rinsaldavai rapporti sociali

Stimato e tradottoda Leopardi, detestatoda tutte le chiese,un utopista radicale,politico e religioso

.

Simposio Un rito stabile per secoli: berevino puro, conversare, amare, divertirsi

Bloc notes

Una «ricostruzione»di Maria Luisa Catoninella antica Greciacon l’analisi comparatadi poesia e iconografie

Letture

Gemisto, detto Pletone,in un dipinto di Benozzo Gozzoli

Scena di banchetto su un cratere a figure rosse del IV sec. a. C.

I nostri classiciVIIITuttolibri

SABATO 23 APRILE 2011LA STAMPA IX

Come conciliareDioniso e Apollo,ebbri e assennati

Giorgio Colli

Per Giorgio Colli,nel solco di Nietzsche,le due divinitànon si contrappongono,ma coesistono

Page 10: Tuttolibri n. 1762 (23-04-2011)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - X - 23/04/11 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/10 - Autore: PATZAN - Ora di stampa: 22/04/11 20.36

86

46

4

Gran circoTaddei ealtrestorie di VigàtaCAMILLERISELLERIO

5

48

E disse

DE LUCAFELTRINELLI

Gesùdi Nazareth IIBENEDETTOXVI(JOSEPH RATZINGER)LIBRERIAEDITRICE VATICANA

1

48

2Sanguisughe.Le pensioniscandaloGIORDANOMONDADORI

72

La leggendadel mortocontentoVITALIGARZANTI

60

62

Saggistica TascabiliNarrativaitaliana

Vieni viacon me

SAVIANOFELTRINELLI

Nessunosi salvada soloMAZZANTINIMONDADORI

108

Il profumodelle fogliedi limoneSÁNCHEZGARZANTI

Narrativastraniera Varia Ragazzi

LA CLASSIFICA DI TUTTOLIBRI È REALIZZATA DALLA SOCIETÀ NIELSEN BOOKSCAN, ANALIZZANDO I DATI DELLE COPIE VENDUTE OGNI SETTIMANA, RACCOLTI IN UN CAMPIONE DI 1100 LIBRERIE.SI ASSEGNANO I 100 PUNTI AL TITOLO PIÙ VENDUTO TRA LE NOVITÀ. TUTTI GLI ALTRI SONO CALCOLATI IN PROPORZIONE. LA RILEVAZIONE SI RIFERISCE AI GIORNI DAL 10 AL 16 APRILE.

79

Libertà

FRANZENEINAUDI

AI PUNTILUCIANO GENTA

Controgli indifferenti

con Gramsci

9Odiogli indifferenti

GRAMSCICHIARELETTERE

1. La versione di Barney 29RICHLER 12,00 ADELPHI

2. Il piccolo principe 25SAINT-EXUPÉRY 7,90 BOMPIANI

3. Bianca come il latte, rossa... 24D’AVENIA 13,00 MONDADORI

4. La solitudine dei numeriprimi 16GIORDANO 13,00 MONDADORI

5. L’amicod’infanziadi Maigret 16SIMENON 10,00 ADELPHI

6. Il tempo che vorrei 15VOLO 13,00 MONDADORI

7. Non lasciarmi 14ISHIGURO 12,00 EINAUDI

8. Il simbolo perduto 14BROWN 14,00 MONDADORI

9. Gesù di Nazareth 13BENEDETTO XVI 10,00 BUR, RIZZOLI

10.L’ombra del vento 13RUIZ ZAFÓN 13,00 MONDADORI

Per fortuna sembra che la corsa in discesa si siafermata: la Mazzantini conserva il primato e ilvalore dei 100 punti, sopra le 6000 copie. La

sua coppia in crisi al tavolo di un ristorante è un qua-dro d’interni emblematico del malamore e dei malu-mori d’oggi, un piano sequenza che mette nostalgia-per La cena di Scola. Tutti gli altri tra i primi dieci siattestano sotto quota 5000: l’unico nuovo ingressodella settimana è la microantologia di Gramsci, so-stanzioso complemento del pamphlet di Hessel, oraal 20˚ posto. Mentre all’11˚, con il solito aiutino tv diFazio, salgono i dialoghi di Bauman - titolo lambic-

cato, testo cristallino -, dove si ripercorrono i temidella sua sociologia, tra democrazia e globalizzazio-ne, crisi del welfare e diritti umani, nuove frontieredella scienza e antichi dogmi, come sempre unendo lecornici della teoria con la prassi della vita quotidia-na (le relazioni sociali e personali, il lavoro, l’amore,la sessualità), opponendo a disorientamento, ansia epaura l’arte di costruire e affermare la propria iden-tità di persona. Con ciò in sintonia con Gramsci, daleggere oltre la politica, analista e narratore di uma-nità, come sottolinea Michela Murgia nella prefazio-ne al ritorno einaudiano delle Lettere dal carcere.

Di là scriveva alla carissima Julca, moglie inquieta esofferente: «Non bisogna lasciarci schiacciare dallavita vissuta finora, o almeno bisogna conservarne so-lo ciò che fu costruttivo e anche bello. Bisogna usciredal fosso e buttar via il rospo dal cuore». Ecco unmessaggio laico di rinascita. Da accompagnare - inquesti giorni, tra Resurrezione e Resistenza, in cui, sispera, tacerà il delirio dell’oltraggio alla res publicae alla Costituzione - a letture con Un cuore intelli-gente (Finkielkraut/Adelphi) per riprendere la for-za di risanare L’Italia nonostante tutto (Berselli/ilMulino). Buona Pasqua, Edmondo, ovunque tu sia.

Suona bene «Nikita»: nelmondo della comunicazio-ne, da Luc Besson alla bel-

lissima bionda assassina del se-rial-thriller tv; in quello dei libri,dal romanzo di Lucarelli alla si-gla editoriale appena sbucatadalla fiorentina Barbès. Sottoti-tolo: «Da Berlino alla Siberia»,mission: «dare voce ai nuovi au-tori dell’Europa dell’Est».

Il progetto di Tommaso Gur-rieri, direttore editoriale della ca-sa madre (anima italo-francese)e della consorella Cult (narrati-va italiana e saggistica), mira in-fatti a «far riflettere su una Eu-ropa troppo poco considerata,vittima di pregiudizi, il cui dram-ma di prima e dopo l’89 non èstato ancora superato». Consa-pevolmente sfidando una piccolama agguerrita concorrenza, «lastupenda collana praghese die/o, tuttora in navigazione attor-no a questi, i libri della Voland eanche delle due intraprendentiZandonai e Keller: oggi però nes-suna editrice interamente

“dedicata" come Nikita».Altra ottica rispetto alla raffi-

nata Barbès, traguardi anche com-merciali «ma di qualità lettera-ria», target ambito il pubblico gio-vane. Neo responsabile della «ca-sa», Sabina Trzan, arrivata giova-nissima un quarto di secolo fa a Fi-renze dalla natia Celje, la bella cit-tà medievale slovena, affermata

traduttrice. Anche del primo titolod’esordio di Nikita, autore il com-patriota Miha Mazzini con Michiamavano il cane, romanzo au-toreferenziale, forse il più duro traquelli in uscita: il russo La cami-cia, fiaba contemporanea di Evge-nij Griskivec; il ceco Romanzo peruomini, già diventato film, di Mi-chael Viewegh; La morte dellapiccola fiammiferaia con l’hu-mour nero del croato Zoran Feric.«Tutti intorno ai 50 anni, terribil-mente disillusi ma non arresi, ar-mati di una passione che rende af-fascinanti le loro pagine».

Verissimo. Sarà interessanteincontrare nei mesi prossimi letto-ni, georgiani, polacchi mentre alSalone di Torino si presenterannoi romeni: Florin Lazarescu con Ilnostro inviato speciale; CeciliaStefanescu con Relazioni morbo-se; Nora Iuga con La sessantennee il giovane, quasi autobiografiadella «Grande Dame» della poesiadi Bucarest, «una confessione cheè un gesto fortemente erotico».(Della terza età, evviva).

100

6 49

1. Il profumodelle fogliedi limone 62SÁNCHEZ 18,60 GARZANTI

2. Libertà 60FRANZEN 22,00 EINAUDI

3. Vacanze in villa 43WICKHAM 19,00 MONDADORI

4. La legge del deserto 40SMITH 19,60 LONGANESI

5. Il vino della solitudine 31NÉMIROVSKY 18,00 ADELPHI

6. Vicino a te non ho paura 29SPARKS 20,00 FRASSINELLI

7. Il centenario che saltò... 28JONASSON 17,90 BOMPIANI

8. I dodici segni 21CHILD 18,60 LONGANESI

9. La mappa del destino 17COOPER 19,60 NORD

10.Appartamento a Istanbul 16AYKOL 14,00 SELLERIO

Genialmente, il Belgio èsenza governo da quasiun anno e se la cava be-

nissimo. Non diffidiamo dalleimitazioni, chissà che la solu-zione non sia esportabile. Nelfrattempo lì la vita va avantiegregiamente, letteratura in-clusa. E anzi, guardare al labo-ratorio belga può essere utileovunque si navighi verso multi-culturalismo, federalismo, ec-cetera. Eurozine - eccellente ri-vista, uno dei pochi luoghi do-ve la parola Europa non facciasbadigliare ma sia fertile - pub-blica un lungo articolo di TomVan Imschoot sulla narrativafiamminga: la narrativa delleFiandre.

La fenomenale conclusionedell'articolo è che il libro chemeglio condensa la fiorituraletteraria ad Anversa e dintor-ni, si intitola Sprakeloos. Ov-vero «Senza parole». Al tempostesso «realista e teatrale, sca-bro e barocco, eloquente e afa-sico, impotente e potente», tut-

to e il suo contrario. L'autore èTom Lanoye, il romanzo (auto-biografico) è una storia di afa-sia e demenza, che precedono lamorte della madre del protago-nista: muore la madre, o la lin-gua madre?

È un approdo sperimentale,che rielabora la lezione dei piùgrandi scrittori fiamminghi del

Novecento, Louis Paul Boon(tradotto Minuetto a tre) e Hu-go Claus (La sofferenza del Bel-gio è bellissimo), entrambi prole-tari d'origine, entrambi speri-mentatori di statura almeno eu-ropea. Claus pubblicava in Olan-da, perché fino a poco fa l'identi-tà editoriale fiamminga, in con-trapposizione ovviamente aquella francofona, trovava ap-poggio ad Amsterdam. Ora nonpiù. Ora all'autonomia politica,con il federalismo, comincia acorrispondere quella editoriale eculturale. I fiamminghi sono po-co più di sei milioni, eppure lavarietà letteraria è tale che sem-bra scrivano tutti o quasi. L'uni-ca regola è che non ci sono rego-le, ognuno va per conto proprio.Segni distintivi: un complessivoritorno al realismo e persino all'ibridazione con il documentario.Molti romanzi à la Ballard. El'insoddisfazione degli immigra-ti, anche di seconda generazionee oltre: nonostante il governomanchi, e la vita continui.

1. Aldilà. La vita continua? 35GIACOBBO 17,50 MONDADORI

2. Benvenuti nella mia cucina 23PARODI 14,90 VALLARDI

3. Cotto e mangiato 22PARODI 14,90 VALLARDI

4. La parigina. Guida allo chic 19DE LA FRESSANGE E GACHET 25,00 IPPOCAMPO

5. Instant English 16SLOAN 16,90 GRIBAUDO

6. The power 15BYRNE 18,50 MONDADORI

7. Noi due sconosciuti 15SCHELOTTO 17,50 MONDADORI

8. E’ facile smettere di fumare... 14CARR 10,00 EWI

9. La dieta Dukan 14DUKAN 16,00 SPERLING & KUPFER

10.The secret 13BYRNE 18,60 MACRO EDIZIONI

1. Diario di una schiappa... 22KINNEY 12,00 IL CASTORO

2. Il giorno delle selezioni 13GARLANDO 11,00 PIEMME

3. Le avventure di Re Artù 12STILTON 23,50 PIEMME

4. Diariodiunaschiappa 11KINNEY 12,00 IL CASTORO

5. La banda del gatto 10STILTON 8,50 PIEMME

6. La prima indagine di Theodore Boone 10GRISHAM 18,00 MONDADORI

7. Via le zampedalla pietra di fuoco! 9STILTON 8,50 PIEMME

8. Principesse. GiocaKit 9- 12,90 WALT DISNEY ITALIA

9. Il diario di una schiappa 9Kinney 12,00 IL CASTORO

10.Cappuccettorossosangue 9BLAKLEY-CARTWRIGHT 17,00 MONDADORI

I PRIMI DIECI INDAGINE NIELSEN BOOKSCAN

1. Nessuno si salva da solo 100MAZZANTINI 19,00 MONDADORI

2. E disse 48DE LUCA 10,00 FELTRINELLI

3. La leggenda del morto contento 48VITALI 18,60 GARZANTI

4. Gran circo Taddei 46CAMILLERI 14,00 SELLERIO

5. Non chiedere perché 32DI MARE 18,00 RIZZOLI

6. Odore di chiuso 26MALVALDI 13,00 SELLERIO

7. Uncalcio in bocca fa miracoli 23PRESTA 16,50 EINAUDI

8. Io e te 22AMMANITI 10,00 EINAUDI

9. America amore 22ARBASINO 19,00 ADELPHI

10.Racconti con figure 20TABUCCHI 15,00 SELLERIO

CHE LIBRO FA...IN BELGIOGIOVANNA ZUCCONI

Fiandre«senzaparole»

1. Vieni via con me 86SAVIANO 13,00 FELTRINELLI

2. Gesù di Nazareth II 79BENEDETTO XVI 20,00 LIBRERIA EDITRICE VATICANA

3. Sanguisughe. Le pensioni scandalo 72GIORDANO 18,50 MONDADORI

4. Odio gli indifferenti 49GRAMSCI 7,00 CHIARELETTERE

5. Vite che non possiamo... 44BAUMAN 16,00 LATERZA

6. Il grande disegno 37HAWKING & MLODINOW 20,00 MONDADORI

7. Togliamo il disturbo 30MASTROCOLA 17,00 GUANDA

8. Indignatevi! 30HESSEL 5,00 ADD EDITORE

9. La fine è il mio inizio 28TERZANI 22,00 LONGANESI

10.GiovanniPaolo II. La biografia 20RICCARDI 24,00 SAN PAOLO EDIZIONI

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7

Classifiche TuttolibriSABATO 23 APRILE 2011

LA STAMPAX

PROSSIMAMENTE

MIRELLA APPIOTTI

Nikita,la passione

dell’Est

Page 11: Tuttolibri n. 1762 (23-04-2011)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - XI - 23/04/11 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/11 - Autore: PATZAN - Ora di stampa: 22/04/11 20.36

f

CARL BARKS

PaperinoComic Art, pp. 159, € 16

«Una saga in cui caratteri evicende sonomagistralmentetratteggiati con il disegnonon meno che con laparola»

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FEDERICO ZERI

Abbecedario pittoricoLonganesi, pp. 296, € 25

«Come tutti i libri di Zeri,anche questo è unautentico modello dimetodo e di scrittura: l'arterestituita alla storia»

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DANIEL EVAN WEISS

Gli scarafagginon hanno reFeltrinelli, pp. 248, € 8

«Mio padre era ancheentomologo: questoromanzo ci fa guardare ilmondo con gli occhi degliscarafaggi»

Studioso di cartoline, a torto considerate un’ arte minore,una collezione con 150 mila pezzi, figlio di Mario,ceramista, pittore e scrittore (bocciato dall’amico Pavese)

SANTOALLIGO

La bella fotografia diEnrico Sturani lo ritrae a unostand zeppo di memorie so-vietiche. Sarà un nostalgico,oppure ha trovato in quell'edi-cola di San Pietroburgo paneper i suoi denti; le amate, su-date, studiate cartoline? Uninteresse che lo ha portato adiventare il massimo studio-so di queste fragili e volatilicarte, tanto da essere «Il car-tolinaro» (come lui ama defi-nirsi) per antonomasia.

Sturani è figlio di Mario, ce-ramista inarrivabile, disegna-tore (sua la splendida coperti-na frassinelliana di Moby Di-

ck), entomologo e scrittore(ma il suo romanzo autobio-grafico Il maglione rosso atten-de ancora di essere pubblica-to). Laureato a Torino in filoso-fia, per anni ha scritto manualiper gli alunni delle scuole me-die; poi molti libri in cui svisce-ra la sua passione di «cartoli-naro». Ricordiamo Otto milio-ni di cartoline per il duce, L'Ita-lia in posa (per il ministero deiBeni Culturali) e Memorie di uncartolinaro, il suo libro più utileper conoscere le vicende cheruotano intorno al mondo deicollezionisti; qui l'autore de-scrive, con autoironia, tutte lesituazioni, i personaggi e icomportamenti in cui si è tro-vato coinvolto nel mettere in-sieme la sua immane collezio-ne di cartoline; ma, più chel'estensione, ciò che impressio-na è la varietà dei soggetti: mi-litari, paesaggistici, storici,donnine, illustratori, arte, cro-naca, scatologici, politici, ani-

mati... Ora, dopo l'ultimo nato,cARToline. L'arte alla prova del-la cartolina, Sturani è al lavorosu altri due nuovi volumi, tieneconferenze (anche a Helsinki ea Tokyo) e corsi universitari.Certo, da una collezione di150.000 pezzi cosa potrà tira-re ancora fuori questo incalli-to «cartolinaro»? Attenzione,però. Se non si è vaccinati, acollezionar cartoline c'è ancheil rischio che «un bonario hob-by generi un mostro». Paroladi Enrico Sturani.

Come e quando è nato ilsuo interesse storico perla cartolina, per quelleche ancora qualcuno siostina a chiamare «cartepovere»?

«In una casa dell’intellighen-zia torinese con alle pareti qua-dri di Casorati, in biblioteca leprime edizioni di Pavese condedica, ospite - sino al 1954 - ilnonno professore (AugustoMonti), verso gli anni del liceo,il mio Edipo ha cominciato amanifestarsi spedendo ai mieile cartoline più kitsch che tro-vavo. Una volta la portinaia,porgendone una a mio padre,commentò: "Credevo che que-sta fosse una casa signorile".Poi, arrivati agli anni Settan-ta, alla mitica libreriadell'"Ebreo" (il proprietarioaveva l'aria di un profeta), arri-vò un'intera, enorme collezio-ne di cartoline di inizio Nove-cento: e tutte profeticamentecorrispondenti al gusto colle-

zionistico più moderno: il fior fio-re dell'Art Nouveau, dei nudi,dei tipi locali. Nessuno le com-prava, giudicandole care: 750 li-re una per l'altra. Ormai mi erotrasferito a Roma, ma ogni voltache venivo a trovare i miei, ri-partivo con una 24 ore piena: di-ciamo un quattro chili. Sul cata-logo francese Neudin erano se-gnate a decine, se non a centina-ia di franchi; pensavo di portar-le a Parigi, rifarmi i soldi di viag-gio e soggiorno e trattarmi aostriche e champagne; invecescrissi uno, due... dieci articolisu "L’art nouveau alla luce diuno spazio bianco" (a inizio ’900

il messaggio andava scritto latoimmagine; e negli Anni Settan-ta andavano di moda le ricer-che strutturaliste). Era inizia-ta, più ancora che la collezione,un campo di studio che conside-rava la cartolina in tutta la suaestensione: scrissi poi anche aproposito delle cartoline raffi-guranti Mussolini e su quellescatologiche, su quelle raffigu-ranti insetti o tipi sardi».

Che cosa ricorda delle amici-zie paterne?

«Pavese e mio padre erano com-pagni di banco al ginnasio; poimio padre fu bocciato per il sololatino (e gli piaceva ricordare

che poco dopo trovarono quelprofessore impiccato con la cra-vatta nei cessi della scuola). Miopadre venne messo in collegio aMonza dove si era iscritto allaneonata Scuola di Arti Decorati-ve. L'amicizia con Pavese sistrinse con un fitto scambio dilettere e proseguì quando tornòa Torino come pittore; frequen-tavano entrambi la “banda” chesi era formata attorno al loroprofessore di lettere, AugustoMonti (di cui mio padre sposò lafiglia). Nel dopoguerra venivaogni tanto a casa nostra Massi-mo Mila, che pareva la controfi-gura di Jean Gabin e racconta-

va straordinarie storie alpinisti-che. Si seccò quando, negli anniOttanta, gli passai una serie difotocopie di cartoline raffiguran-ti donnine musicanti in pose al-lusive, chiedendogli di commen-tarle; scrissi poi io l'articolo"Quando Freud dirigeva l'orche-stra". Pavese invece non lo in-contrai mai: nel 1940 mia ma-dre, incinta di me, lo invitò a ce-na; "No grazie - fu la sua rispo-sta -: le donne col pancione mifanno schifo". Ovviamente nonripeté mai più l’invito».

Suo padre ha lasciato un li-bro manoscritto che atten-de ancora di essere pubblica-to. Lo ha letto?

«Negli Anni Trenta, mio padre,come ogni pittore, fece il viag-gio alla Mecca dell'arte, Parigi.Ma per campare dovette accet-tare un lavoro di domestico nel-la famiglia di un ex ammiraglio.Tornato, con le avventure diParigi faceva divertire tutti.Poi misero in galera il nonnoMonti, poi ci fu la Resistenza incui combatté con i partigiani,poi l'impegno nel Partito Comu-nista. Nel fatidico ’48 mise perscritto le avventure di Parigi,trasformandole in un romanzodi formazione politica: un'ope-razione di realismo socialistaancor oggi interessante per ca-pire quel periodo. Ebbe l'inge-nuità di far leggere a Pavesequesto suo Maglione rosso; inve-ce di dirgli le proprie impressio-ni a titolo di amico, Pavese com-binò una riunione redazionaleall'Einaudi, sparando a zero:non ebbe pietà per gli errori di

grammatica, gli anacoluti, le in-genuità ideologiche… Insom-ma, era pittore, guadagnava co-me direttore artistico della Len-ci, aveva sposato la figlia diMonti, aveva una bella fami-glia, aveva fatto il partigiano;non pretendesse ora di fare an-che lo scrittore! I rapporti conPavese si raffreddarono, quellicon la letteratura abortirono.Dopo anni di cassetto casalin-go, ora il dattiloscritto è passa-to a quello di un editore, in atte-sa dei fondi per pubblicarlo».

Quali sono state le letturegiovanili?

«Ho cominciato a leggere mol-to tardi e, sino al liceo, solo Pa-perino. Ma sono fiero di esser-mi solo e sempre limitato aquelli che allora dicevo “veri” eche poi scoprii essere ideati edisegnati dal grandissimo CarlBarks. Li ho sempre tenuti tut-ti, a formare un'autentica“Paperoteca”. Poi, all'universi-

tà, feci filosofia e, volendomilaureare con Abbagnano, chie-si a Viano, suo brillante assi-stente, una tesi sulla forma de-gli oggetti d'uso. Invece di dir-mi che con la storia della filoso-fia non c'entrava, o di segnalar-mi il grandissimo antropologoLeroi-Gourhan (autore di ope-re fondamentali in fatto di tec-nologia comparata), mi disse dileggere Merleau-Ponty. Nel pri-mo libro non trovai nulla. Nullanel secondo, e così via. Alla fineero pronto per una tesi su Mer-leau-Ponty. Poi passai ai libriscolastici. Finiti questi passaialle cartoline e fu fondamenta-le la lettura di tutti i libri di Fe-derico Zeri: mi insegnaronoche l'arte si incarna in precisimateriali, più o meno consuntidal tempo, restaurati, localizza-ti e dislocati. Fui molto lietoquando, mandatogli un mio li-bro, mi rispose che se avessedovuto tornare indietro gli sa-rebbe piaciuto occuparsi diquesti settori apparentementeminori in cui meglio si sente ilpolso di un'epoca».

C'è una cartolina per cui fa-rebbe una follia?

«Farò inorridire i collezionisti,

ma invece dei pezzi che non misono aggiudicato alle aste percorrispondenza perché trop-po cari, ho infilato nell'albumla loro riproduzione. Ai salonidella cartolina non vado ango-sciato, con il foglietto della“mancolista”, ma mi siedotranquillo al primo banco incui mi imbatto e comincio apassare gli album uno per uno;alla domanda "Che cosa cer-ca?", rispondo "Un po' di tut-to"; quando poi chiedo di vede-re le cartoline di bambini oquelle di fiori, chi già non miconosce, mi prende per unprincipiante, e per giunta sce-mo. Insomma, dall'alto del paiodi metri cubi della mia collezio-ne, non mi sento come un inna-morato pronto a fare pazzieper conquistare una bella chese la tira, ma come un sultano:se una sera la bruna circassaha mal di testa, pazienza, ci sa-rà sempre la bionda o la rossa.Questo è il grande vantaggiodella collezione generale rispet-to a quella iperspecializzata».

I PREFERITI

«Mio padre era direttoreartistico della Lenci,i suoi Anni 30 a Parigidiventarono un romanzorifiutato dall’Einaudi»

«Il mio Edipo cominciòa manifestarsispedendo ai mieile cartolinepiù kitsch che trovavo»

“Insegnò Zeriche non sonocarte povere”

«Mia madre era figliadi Augusto Monti,ogni tanto veniva a casanostra Mila, parevala controfigura di Gabin»

«Ho cominciatoa leggere molto tardie, sino al liceo,solo Paperino, quellovero, di Carl Barks»

Diario di lettura TuttolibriSABATO 23 APRILE 2011

LA STAMPA XI

La vita. Enrico Sturani è nato a Torino nel 1940. Laureato in Filosofia conNicola Abbagnano. Autore di libri scolastici e collezionista di cartoline. Figlio diMario, tra gli amici di Cesare Pavese, ceramista, disegnatore e scrittore.

Le opere. La sua ultima raccolta è «cARToline. L'arte alla prova dellacartolina» (Barbieri). Tra gli altri suoi titoli: «Memorie di un cartolinaro»(Coniglio), «Otto milioni di cartoline per il Duce. L’Italia in posa» (per ilMinistero dei Beni culturali), «Ai monti! Ceramiche d’arte 1930-1950» (MuseoNazionale della Montagna).

Enrico Sturani

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